Ocean’s 8: il gruppo di ladre al femminile.

C’è chi lo definisce un sequel, chi uno spin off ma Ocean’s 8 è una storia a sé che di condiviso ci ha solo il cognome della capitana della associazione di ladre : Debbie Ocean la sorella di Danny.
Debbie Ocean è la cara Sandra Bullock la quale progetta da “5 anni, 8 mesi e 12 giorni” di rubare una collana di Cartier , la Toussaint, dal valore di 16 milioni di dollari durante l’annuale MET Gala al Metropolitan Museum.
Viene rilasciata e contatta l’amica di vecchia data Lou (Cate Blanchett) e con lei formano il team : Rose la stilista (Helena Bonham Carter), Daphne Kluger la star (Anne Hathaway),  l’hacker Nine/Eight Ball (Rihanna), Amita (Mindy Kaling) la contraffatrice, il palo Tammy (Sarah Paulson) e Constance (Awkwafina).

Dal predecessore assoluto Frank Sinatra alla trilogia di Clooney & co. il “brand” Ocean rientra nelle commedie brillanti con quel pizzico di azione che non guasta mai.
Questo film dal cast stellare, composto da attrici impeccabili, comiche (Mindy Kaling) e il pezzo da novanta dell’industria musicale che è Rihanna. La sceneggiatura è stata scritta da Gary Ross (che ha anche diretto il film) e Olivia Milch.

Il film è stato girato a New York nel periodo delle elezioni americane, implicitamente si potrebbe pensare a un prodotto creato solo ed unicamente per il vento di cambiamento che soffia in USA, per il movimento “Metoo”, per tutti gli argomenti “caldi” che hanno al centro la donna.
Ma la verità è che in un mondo migliore (forse quello che arriverà presto) l’idea e la creazione di un film dove il genere dei protagonisti viene invertito rispetto all’originale,  o che hanno al centro solo personaggi femminili , non dovrebbe essere una idea innovativa, una notizia clamorosa. Se non la decisione più naturale da seguire.

 

 

Una lettura del film in questo senso svilirebbe il lavoro compiuto dal cast e dalla troupe.
Il franchise Ocean’s ci racconta la storia di un gruppo di persone,  dei ladri, che lavorano sodo per raggiungere un obiettivo comune, irraggiungibile da sole.
Sono in genere film piacevoli per i personaggi, i dialoghi e dell’esecuzione complessiva, ma sarebbe noioso e fastidioso senza la dinamica collettiva dei suoi protagonisti.

Ocean’s 8 ha tutte le carte in regola per essere un buon prodotto, non ci resta che aspettare il 26 luglio per poterlo vedere in sala.

NB: in America nelle prime due settimane ha sbancato il botteghino, la prima settimana si è classificato al primo posto con 41.5 milioni e la seconda settimana al secondo posto con 19.5 milioni. Insomma chi dice che i film con protagoniste donne non portano denaro si sbaglia di grosso (per riprendere il discorso della Blanchett agli Oscar del 2014 quando vinse).

 

Arianna De Arcangelis

 

Thor: Ragnarok delusione o capolavoro?

La critica e le recensioni oltre oceano lo definiscono uno dei film più belli del MCU (Marvel Cinematic Universe) e il più divertente prodotto finora dagli studios di casa Disney.
Gli incassi sono notevoli e, dopo una sola settimana di programmazione, è al primo posto nel Box Office italiano.
La domanda sorge spontanea: è davvero così straordinario? La risposta è Nì.
Il film è ispirato molto vagamente alle saghe fumettistiche Ragnarok e Planet Hulk, ma non aspettatevi una trasposizione fedele, se siete fan dei fumetti.

Vedendo il trailer ci si aspetta un film caciarone, divertente, pieno di azione, e in effetti lo è.
La Marvel ha sempre inserito battute, a volte puerili, per creare prodotti fruibili a un pubblico vasto, ma forse stavolta ha esagerato.
Con questo non voglio dire che non intrattiene, anzi, il film è davvero esilarante in diverse parti e le due ore di proiezione non si sentono nemmeno; ma a volte questo umorismo è preponderante, stemperando eccessivamente la tensione in momenti in cui, probabilmente, sarebbe stato il caso di soffermarsi un po’ di più.
Questo film è davvero fatto bene tecnicamente. La regia di Taika Waititi è davvero attenta e mostra con chiarezza ogni singola scena di azione; tra l’altro il regista interpreta anche Korg, un personaggio davvero simpatico.
Gli effetti visivi sono veramente belli, compiendo citazioni per omaggiare Jack Kirby (disegnatore della Marvel), ma ricordano un po’ troppo l’estetica di Guardiani della Galassia; questo a volte risulta un po’ decontestualizzante rispetto al personaggio di Thor, legato al cosmico, ma anche, e soprattutto, al lato epico e mitologico, che comunque nell’ultima parte traspare molto di più.
La colonna sonora è azzeccatissima, sottolinea i momenti salienti della pellicola e, ammettiamolo, sentire Immigrant Song dei Led Zeppelin gasa moltissimo.

Un difetto del film? la sceneggiatura.
Un po’ squilibrata, perché vediamo molto di ciò che accade sul pianeta dei Gladiatori. Scene fantastiche tra Hulk e Thor, indubbiamente; nel frattempo, ad Asgard imperversa Hela, la dea della morte (interpretata da una Cate Blanchett che, nonostante la scrittura un po’ povera del suo personaggio, col suo talento, riesce a dare una caratterizzazione ad una villain altrimenti scialba), ma ci viene mostrato poco.

Hulk, finalmente, si vede un po’ di più e non solo nei panni di Bruce Bunner (interpretato da Mark Ruffalo, in entrambi i casi).

Loki, interpretato da Tom Hiddleston, è diventato un po’ una macchietta, ma non c’è Thor senza il fratellastro dio del Caos e anche grazie a lui il dio del Tuono, interpretato come sempre da Chris Hemsworth, raggiunge la piena maturità (e non sveliamo di più).

Per la macrotrama, in attesa di Infinity War, che uscirà il prossimo anno, questo film non aggiunge nulla, o quasi. L’ultima parte è indicativa e soprattutto una delle 2 scene post credits fa un grosso collegamento (ma ovviamente non si fa spoiler).

In definitiva, Thor: Ragnarok è un capolavoro o una delusione?
Non è un capolavoro, ma nemmeno una delusione. E’ promosso insomma. Se vi piace la Marvel, se volete passare due ore di intrattenimento, se volete vedere un film fatto discretamente bene o semplicemente vi incuriosisce, guardatelo e fateci sapere cosa ne pensate.

Saveria Serena Foti

 

 

 

 

 

“Carol”

Quando si entra in sala , per quelle due ore ci allontaniamo dalla nostra quotidianità e viviamo altre vite, epoche e mondi. cate-blachett
Capita però qualche volta che il mondo e la storia con cui entriamo in contatto lascino qualcosa dentro di noi, una sensazione, difficile da descrivere e spesso fonte di riflessione.

Ed è per questo che oggi mi prenderò la briga di darvi un consiglio cinematografico che potrà essere utile non solo per apprezzare un bel film ma anche per compiere questa riflessione e, forse, ampliare il nostro punto di vista. Mi permetterò di parlarvi di questo film che si chiama “Carol” del regista Todd Haynes.

Presentato a maggio a Cannes, apprezzatissimo dal pubblico di tutti i festival da Roma a Londra. Ha fatto conquistare a Rooney Mara la palma d’oro a Cannes. Candidato a 5 Golden Globes e 6 Oscar fra cui miglior attrice protagonista e miglior attrice non protagonista.

La storia è tratta dal libro di Patricia Highsmith “The Price of Salt” nel quale si narra l’incontro e l’amore che nasce fra due donne nell’America degli anni 50. Potrei essere più specifica ma vi rovinerei, la sensazione che durante tutto il film si prova. I motivi per cui andare al cinema sono molteplici, non mi soffermerò molto sul fatto che l’interpretazione di Cate Blanchett (Carol) è sublime e coinvolgente , come sempre, e che Rooney Mara (Therese) non sbaglia nessuna delle sue scelte lavorative.

La sintonia fra le due attrici è tangibile, traspare dallo schermo. I soliti malpensanti hanno additato questo a passate e possibili preferenze sessuali delle due, a cui la Blanchett a Cannes , con la tua solita schiettezza che tanto ci piace, ha tagliato corto dicendo “La domanda che mi fu posta , da quel che ricordo, era “ ha mai avuto relazioni con donne?” e io dissi “certo, ma se lei si riferisce a relazioni sessuali la risposta è no.” Ma ovviamente ciò non è stato trascritto. Ma la vera domanda , nel 2015, dovrebbe essere “a chi importa?”.

Todd Haynes , il quale per la prima volta non ha scritto la sceneggiatura del film, con una delicatezza disarmante racconta questo amore, le difficoltà e i tabù degli anni ’50, un’epoca che gli è cara (v. Lontano dal paradiso) , e riconferma di essere uno dei migliori registi del nostro tempo e di avere quella empatia che pochi registi riescono a trasmettere al pubblico.

La bellezza pervade il film: la fotografia e i costumi , compiti assegnati a due “pezzi da 90” come Edward Lachman (Io non sono qui, Erin Brockovich, Il giardino delle vergini suicide,Radio America) che gioca con la luce e sfrutta l’effetto della pellicola in super 16mm con cui è girato il film e Sandy Powell (The Wolf of Wall Street, Cenerentola, The Aviator, Gangs of New York) che trasmette i sentimenti di ogni personaggio con i vestiti e i loro colori.

Un film giocato sui piccoli gesti, i più veri. Sulle mani, mani che sfiorano, che stringono, che danno conforto, in una società rigida, ancorata a tanti preconcetti ed al silenzio, per vergogna per paura di perdere tutto. Il silenzio a cui ci si ribella perchè non si vuole più negare se stessi , per quel sentimento identico per tutta l’umanità che è l’amore.

Tempo storico lontano dal nostro, ma in realtà i punti di contatto purtroppo sono ancora gli stessi. Todd Haynes e le sue due muse narrano con semplicità dell’amore, i sentimenti , i tremori, la passione delle due donne , gli stessi che tutti noi abbiamo provato almeno una volta nella vita. Ed è proprio questa disarmante chiarezza che ci fa uscire dalla sala soddisfatti, contenti e pensare che l’amore è amore per tutti e dire , forse anche a chi è restio riguardo a questi rapporti, “Who cares?”.

Arianna De Arcangelis