Quattro relitti dello Stretto: storia, stato attuale e foto

Lo Stretto di Messina torna al centro della nostra rubrica con un viaggio attraverso quattro relitti che “riposano” nelle sue leggendarie acque.

La Rigoletto

Il primo relitto di cui vogliamo raccontarvi è quello che si trova sulla costa della cosiddetta “Zona Falcata”.

La storia di questo relitto ha inizio negli anni ‘50. La nave serviva per il trasporto automobili Volkswagen e venne varata il 24 marzo 1955. Nel 1968 fu però venduta ad un armatore napoletano che la ribattezzò “Maddalena Lo Faro” (nome che mantiene ancora oggi insieme a Rigoletto).

La nave continuò a trasportare automobili, questa volta usate.

Trova però il suo epilogo in una traversata del Mediterraneo: il 1° luglio 1980 era infatti partita con un carico dal porto di Anversa ed era diretta a Beirut. Nelle acque di Caopospartivento (Sardegna) va però in avaria a causa di un incendio a bordo. L’equipaggio abbandona la nave, salvandosi.

Quale sarà il destino della Rigoletto?

La nave, anche se ancora in fiamme, viene trainata nei pressi del porto di Messina, proprio nella costa dell’attuale “Zona Falcata”. L’intento era quello di far incagliare la nave sulla spiaggia e gestire così la situazione critica. Tuttavia una manovra sbagliata la fa affondare. Non venne mai deciso come smaltirla.

Ricordiamo che si trattava di una nave lunga 78 metri e larga 13 metri, che oggi giace su un fondale di 35 metri.

Per i più coraggiosi, che vogliono avventurarsi nella “Zona Falcata”, ad oggi è possibile vedere dalla spiaggia una punta della prua a capolino dell’acqua. Diversi appassionati hanno effettuato delle immersioni, scattando bellissime foto, come quelle che vi stiamo proponendo qui. Il relitto ha ancora al suo interno i veicoli che trasportava e fa da “casa” a gruppi di pesci trombetta. Ecco un video dell’esplorazione.

Il relitto della nave Rigoletto – Fonte: blogmotori.com

Il traghetto Cariddi, l’amatissima nave che ha vissuto due volte

Il traghetto Cariddi era una nave di tipo ferroviario, voluta della Ferrovie dello Stato nel 1932. Era un mezzo rivoluzionario, perché aveva una maggiore capacità di trasporto mezzi ferroviari. Inoltre si trattava di una nave particolarmente prestigiosa, con ambienti quasi di lusso.

Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, tutte le navi delle F.S vennero usate per scopi bellici. È nel 1943 infatti che la Cariddi venne autoaffondata. La Marina Militare diede quest’ordine perché la nave era carica di materiale bellico tedesco. La nave, infatti, si ribaltò su sé stessa e rimase in acqua capovolta per sei anni.

Anni dopo, vista la necessità di più navi per la tratta Messina-Reggio Calabria, Ferrovie dello Stato decide di recuperare la nave. Dopo i lavori di ricostruzione e manutenzione, finalmente nel 1953 la nave tornò a Messina dal porto di Genova, accolta dalla popolazione con caloroso affetto.

La Cariddi effettuò un servizio lungo 38 anni, fino a quando nel 1991 Ferrovie dello Stato la pose in disarmo e la vendette alla Provincia. Una prima idea dell’Ente era quella di realizzare un museo galleggiante. Tuttavia, i costi di gestione dell’imbarcazione procurarono le prime difficoltà.

La nave rimase abbandonata e priva di utilizzo per molto tempo, fu saccheggiata e vittima anche di un incendio. La Cariddi venne anche spostata nei pressi degli approdi dei traghetti.

A lungo inutilizzata ed esposta alle intemperie la Cariddi affonda per la seconda volta nel 2006. Ed oggi è ancora lì, con una parte di poppa visibile dall’esterno.

La nave Cariddi – Fonte: wikipedia.org

Relitto Valfiorita, uno dei relitti più belli del Mediterraneo

La Valfiorita era una motonave costruita per scopi commerciali.

La storia è uguale per tutti: nel secondo conflitto mondiale ogni mezzo disponibile venne messo al servizio dello scopo bellico. Il suo compito era infatti quello di trasportare rifornimenti per le truppe italiane. Purtroppo nel ‘43, durante la tratta Messina-Palermo, viene colpita con un siluro dal sommergibile britannico HMS Ultor. Il capitano provò a raggiungere la costa, ma i danni provocati dal siluro spezzarono in due la struttura della nave.

La corrente marina fece il resto, trasportando la nave verso la costa. Ancora oggi giace di fronte l’abitato di Mortelle.

A causa dell’attacco 13 civili persero la vita e 11 militari risultarono feriti, su un totale di 67 passeggeri.

La Valfiorita è considerato uno dei più bei relitti, perché le immersioni effettuate da appassionati sub hanno dimostrato la presenza dell’intero carico di camion, autovetture e motocicli d’epoca, tutti immobili e addormentate sul fondo del mare.

Il relitto della nave Valfiorita – Fonte: ascosilasciti. com

Il Viminale, il “titanic italiano”

Il Viminale fu un transatlantico di lusso, in uso dal 1925. Secondo le testimonianze, si trattava di una nave particolarmente dotata. Disponeva infatti di cabine di prima, seconda e terza classe, di grandi saloni e perfino di acqua corrente.

Tra i suoi vanti c’è quello di aver raggiunto le coste del Giappone, viaggio considerato “difficile” per la gente del tempo. In seguito, il Viminale si occupò del trasporto di emigranti italiani per l’Australia.

Tuttavia, così come per le altre navi di cui vi abbiamo appena raccontato, anche il Viminale fu utilizzato per scopi bellici nel secondo conflitto mondiale. Trova infatti la sua fine quando viene silurata, nel 1943, al largo della costa di Palmi (Reggio Calabria) mentre effettuava il tratto Palermo-Napoli.

La nave viene totalmente dimenticata fin quando, nel 2000, un gruppo di sub esperti di Palmi la ritrova durante un’immersione.

La nave Viminale – Fonte: wikipedia.org

 

Angela Cucinotta

 

Fonti:

Rigoletto:

blogmotori.com

oloturiasub.it

colapisci.it

Cariddi:

youtube.com

ecosfera.info

Valfiorita:

ocean4future.org

Viminale:

eclipse-magazine.it

wikipedia.org

L’intarsio tra cinema e Sicilia al Taormina Film Fest

Lo scorso sabato è calato il sipario sulla 67esima edizione del Taormina Film Fest con la cerimonia di premiazione. Il Cariddi d’Oro (premio al miglior film) è stato assegnato al film Next Door di e con Daniel Brühl, che ha conquistato inoltre la Maschera di Polifemo come migliore attore. La Maschera di Polifemo per la categoria femminile è stata assegnata a Matilda De Angelis, per la sua impeccabile interpretazione nel film Atlas di Niccolò Castelli. Il Cariddi d’Argento è andato a Roberto De Feo e Paolo Strippoli, giovani registi di A classic horror story. Inoltre sono stati assegnati tre Taormina Arte Arwards, rispettivamente a Francesca Michielin, Anna Ferzetti e Ferzan Ozpetek.

Matilda De Angelis, vincitrice della Maschera di Polifemo come miglior attrice – Fonte: ciakmagazine.it

Oltre ai film in concorso, il grande protagonista del Festival è stato senza dubbio l’intarsio tra il cinema e la Sicilia; numerosi, infatti, sono stati gli appuntamenti e le proiezioni che hanno messo al centro questo profondo legame. Ripercorriamo insieme le tappe principali del viaggio attraverso questo prezioso intreccio.

Space Beyond

Apre la serie di proiezioni di “Cinema e Sicilia” -in collaborazione con Sicilia Film Commission e Fondazione Taormina Arte– il film-documentario Space Beyond (2020), dedicato all’astronauta siciliano Luca Parmitano. Diretto da Francesco Cannavà, Space Beyond è il racconto biografico della missione “Beyond” dell’ESA (European Space Agency), effettuata da Parmitano nelle vesti di colonnello pilota sperimentatore dell’Aeronautica militare e primo comandante italiano della Stazione Spaziale Internazionale.

Sei mesi di missione sulla ISS racchiusi in 82 minuti di film, con immagini inedite ed esclusive degli esperimenti scientifici svolti e delle attività extraveicolari effettuati durante la permanenza a bordo. “Il limite lo scegli tu, lo scegliamo noi come umanità come scienziati ed esploratori. Nel momento in cui lo scegliamo abbiamo un obiettivo da superare, poi sta a noi metterci tutti i mezzi necessari per poterlo superare. Per me Beyond, il termine “oltre”, è un contenitore e in un certo senso ci mettiamo dentro sia il limite sia il mezzo per superare questo limite” ha dichiarato Luca Parmitano.

Luca Parmitano – Fonte: ciakmagazine.it

Sulle tracce di Goethe in Sicilia

L’appuntamento successivo si è incentrato sul documentario Sulle tracce di Goethe in Sicilia (2020), del regista tedesco Peter Stein, che ha ripercorso le tappe del poeta connazionale attraverso l’occhio della telecamera. Il tema principale che merge dal diario di viaggio di Goethe è soprattutto la contraddizione tra la bellezza dell’Isola e le condizioni di vita della popolazione. Stein ha preso ispirazione proprio della bellezza dei paesaggi siciliani immortalati su un libro di fotografie; ha sottolineato inoltre di aver un profondo legame con la nostra terra, che lo ha premiato varie volte.

Peter Stein (a destra) durante le riprese – Fonte: ciakmagazine.it

Salviamo gli elefanti

Tre “corti cinematografici” -che affrontano il tema dell’integrazione- sono stati posti al centro di uno degli appuntamenti: stiamo parlando di La bellezza imperfetta (2019) di Davide Vigore, Scharifa di Fabrizio Sergi e Salviamo gli elefanti (2021) di Giovanna Bragna Sonnino. Quest’ultimo in particolare è stato proiettato in anteprima al festival e acclamato con una moltitudine di applausi da parte del suo primo pubblico.

Il corto, nonostante la breve durata, è denso di significato e rappresenta aspetti significativi della società siciliana. I due protagonisti sono Agata, donna ignorante e con una mentalità molto chiusa, e Orlando, bambino di origini italiane nato a Nairobi. Orlando è in vacanza con la sua famiglia e nella confusione del mercato del pesce si perde. Sarà Agata a proteggerlo e a portarlo con sé; i due sono molto diversi e questo porta a una impossibilità di incomprensione tanto verbale quanto culturale. Orlando ama gli animali, è un bambino molto intelligente, vive in una famiglia normale. Agata vive in un substrato sociale completamente diverso: parla prevalentemente in dialetto, non riuscendo a parlare bene l’italiano, è molto diffidente nei confronti degli animali; lavora come donna delle pulizie. Nonostante i contrasti iniziali, alla fine i due riusciranno ad imparare l’uno dall’altro.

Salviamo gli elefanti porta una certa innovazione nel mondo dei cortometraggi: racconta le vicende di una Catania povera, di una donna che, come molte altre, è invisibile nella società. Qui il tema delle differenze socio-culturali porta all’integrazione, alla comprensione del diverso: l’essere umano è sempre portato a temere il diverso, ma è proprio da esso che si andrà ad imparare e ad ampliare le proprie vedute.

Locandina di “Salviamo gli elefanti” – Fonte: ciakmagazine.it

Lo schermo a tre punte

Conclude il ciclo di incontri di “Cinema e Sicilia” l’opera Lo schermo a tre punte, del regista bagherese Giuseppe Tornatore, che ha dialogato con uno degli organizzatori del Festival -tramite la piattaforma online “Zoom”- prima della proiezione del film. Con lo stesso metodo della scena conclusiva del suo masterpiece Nuovo Cinema Paradiso, il Maestro ha unito diversi frame, tratti da oltre un centinaio di film legati alla cultura siciliana.

Attraverso la suddivisone in capitoli, Tornatore si è focalizzato sugli elementi comuni più presenti nei numerosi film visionati; vi è, così, un capitolo dedicato ai gesti, ai codici e al linguaggio tipici della sicilianità, uno dedicato alla Storia, uno alle carte geografiche dell’Isola, uno alle donne siciliane, e così via.

L’opera, dunque, non è altro che un’enciclopedia della cultura cinematografica siciliana, in continua evoluzione; proprio a causa di questa espansione, il regista considera il suo lavoro incompleto e ha ammesso che se dovesse aggiungere un nuovo capitolo lo dedicherebbe alle nuove generazioni.

Nonostante il lungometraggio sia datato risulta ancora funzionale ed irripetibile, un’intuizione geniale che esalta una cultura peculiare, bastarda, ricca e affascinante come quella siciliana.

Giuseppe Tornatore al Taormina Film Fest – Fonte: ciakmagazine.it

 

Sofia Ruello, Mario Antonio Spiritosanto

 

Fonti:

https://www.ciakmagazine.it/ciak-taormina/

Immagine in evidenza:

Acquerello ispirato al viaggio di Goethe in Sicilia – Fonte: ciakmagazie.it

 

Intervista a NessuNettuno: lo street artist messinese che ama il mare

Camminando per le strade delle nostre città spesso rimaniamo ipnotizzati dalla bellezza di opere d’arte a cielo aperto. Stiamo parlando dei capolavori della street art. A Messina la street art è legata ad un’artista dal nome abbastanza suggestivo: “NessuNettuno. Nicolò non ha bisogno di presentazioni prolisse: le sue opere parlano da sole. E lui stesso, oltre a saper usare la pittura per comunicare, pesa bene le parole, che gli vengono dal cuore.

Sono un siciliano a cui piace andare a mare. E che ama il mare, che ama la sua terra tantissimo. Per la Sicilia mi farei ammazzare.

Noi di UniVersoMe abbiamo avuto il piacere di incontralo davanti a un caffè e ad una birra e di intervistarlo.

©Fernando Corinto, Intervista a NessuNettuno – Messina 2020

 

Mario Antonio: Iniziamo con una domanda classica. Da dove è nata la tua passione per la street art?

È stata una cosa naturale. Ho iniziato nel 2015 con il progetto “Distrart”, grazie al quale abbiamo fatto le pensiline del tram. Da lì è nata la passione. E poi a me piace stare in strada, quindi comunque lo trovo naturale.

Corinne: Ci ha particolarmente colpiti un tuo progetto, denominato “Andiamo a mare?”, di cui fa parte una delle tue opere nella zona di Maregrosso. Da dove nasce questo progetto e che messaggio vuoi lanciare? In quali luoghi hai pittato (dipinto n.d.r.)?

“Andiamo a mare?” è un progetto che nasce per salvaguardare il mare. Il mare è l’elemento più significativo per noi messinesi; è sempre presente, perché in qualsiasi luogo di Messina ti trovi vedi sempre il mare. Il progetto vuole invogliare le persone a rispettare il nostro “liquido primordiale”. Perché dal mare nasce la vita, sin da tempi immemori. Di fronte al mare non c’è nessun Dio. L’uomo pensa di poter fare qualsiasi cosa con la natura, di farne una cosa propria, deturpandola, danneggiandola. In realtà non è così. È la natura che è padrona della vita. E allora di fronte al mare non si è nessuno. Il mio nome d’arte, NessuNettuno, deriva proprio da questo.

Una delle opere, appartenente al progetto “Andiamo a mare?”, situate nella zona di Maregrosso – Fonte: @nessunettuno (Instagram)

 

M: Quindi si può parlare di una funzione sociale della street art.

Sì. Inoltre il tuo lavoro deve essere soggetto all’approvazione delle persone del luogo. L’opera di Maregrosso, ad esempio, è nata dall’incontro con alcuni abitanti.

C: Un’altra opera che ci ha particolarmente affascinati è quella che si trova al reparto oncologico dell’ospedale Papardo. Da dove è nata l’idea di dipingere in questo luogo particolare? Cosa vuoi comunicare e trasmettere con questa tua opera?

Ho realizzato quest’opera insieme ad Andrea Spos.art, un mio amico artista di Milazzo, ed è stata commissionata dai dirigenti del reparto oncologico del Papardo. L’intento era allietare e dare un senso di leggerezza all’attesa dei pazienti che entrano a fare terapia. Il messaggio è stato accolto in maniera positiva.

L’opera nel raparto oncologico dell’ospedale Papardo – Fonte: @nessunettuno

 

M: Quindi a volte qualche ente ti commissiona un’opera.

Sì, è capitato. Fra le tante, quella che mi è piaciuta di più è stata commissionata per il carcere di Gazzi, dove insieme a cinque detenuti ho dipinto, per la prima volta, un murales all’interno dell’istituto. Abbiamo raccontato la storia di Giona, il profeta che viene mangiato dalla balena e che all’interno della pancia rielabora tutti gli sbagli e ciò che ha fatto nel corso della sua vita. Dopo averli rielaborati e dopo aver assunto consapevolezza di quello dell’uomo che è, di tutto il percorso che ha fatto, viene sputato fuori. È stata un’esperienza incredibile, perché il carcere è un ambiente al di fuori di qualsiasi contesto sociale.

La balena nel carcere di Gazzi – Fonte: @nessunettuno

 

M: Davvero molto bello. Procediamo con una domanda che un nostro redattore, non presente oggi, teneva molto a farti: l’atto di rovinare un’opera di street art può anche considerarsi esso stesso street art?

Certo! Perché comunque l’opera è alla mercé di tutti e di tutto. Quello che fai in strada non è destinato a un museo e quindi è soggetto all’usura del tempo e delle intemperie; un po’ come la vita, che a poco a poco ti consuma. Oggi c’è, domani no. È questa la bellezza della street art.

C: Quali sono i tuoi progetti artistici futuri, a parte quelli già in atto? Cosa pensi guardando al domani?

Penso di pittare per tantissimo tempo. Ora dovrei andare a Venezia a fare una mostra, dall’8 al 13 ottobre. Voglio continuare a lavorare e pittare soprattutto per il sociale, perché è quello che mi interessa di più.

L’opera “Cariddi”, situata ad Acquedolci (ME) – Fonte: @nessunettuno

 

M: Per concludere una domanda un po’ spinosa. Secondo te da cosa dovrebbe ripartire Messina?

Dal mare, o meglio dagli spazi limitrofi al mare. Messina è una città tutta costruita sul mare, quindi qualsiasi iniziativa si voglia far partire,  deve comunque essere legata alla riqualificazione del mare e delle spiagge. Inoltre bisognerebbe ripartire dall’insegnamento delle nostre tradizioni siciliane a scuola. Perché se conosci la tua cultura sei più propenso ad amarla e a rispettare anche le altre.

 

Corinne Marika Rianò, Mario Antonio Spiritosanto

 

 

Immagine in evidenza:

Una delle opere, appartenente al progetto “Andiamo a mare?”, situate a Maregrosso – Fonte: @nessunettuno. Oggi l’opera non è più visibile a causa dell’erosione che ha subito da parte degli agenti atmosferici, ma l’autore – come evidenziato nell’intervista – ha manifestato l’intenzione di non rimaneggiarla, considerando l’usura “naturale” come facente parte della street art.

La realtà sommersa di Messina: la storia raccontata dal mare

“R…estate in Sicilia” è la campagna lanciata dall’associazione FuoridiME con lo scopo di valorizzare il territorio siciliano. Messina riparte ancora una volta dal turismo e l’associazione invita tutti a dare il proprio contributo, inviando contenuti multimediali che abbiano come protagonista la Sicilia in modo da creare un tour virtuale della nostra isola.

Tutto nasce da un importante bisogno di ripartenza e da un senso di appartenenza al proprio territorio; proprio per questo noi non potevamo certo tirarci indietro.

Vogliamo quindi valorizzare quello che è il nostro patrimonio culturale e vogliamo farlo rendendo protagonista il nostro mare. Lo stesso Pascoli, parlando dello Stretto di Messina, affermava:

“Questo mare è pieno di voci e questo cielo è pieno di visioni”.

Troppo spesso considerato solo dal punto di vista della balneazione, nei suoi fondali nasconde invece secoli di storia, tesori spesso sconosciuti o dimenticati. E oggi ve ne mostreremo un assaggio.

 

Fonte: FuoridiME (Facebook)

 

Il museo sottomarino di Capo Graziano, Filicudi

Conosciamo benissimo le leggende legate allo Stretto che mostrano quanto questo mare fosse temuto da marinai e navigatori fin dall’antichità, a causa delle correnti che rendevano difficile il transito delle imbarcazioni.  La situazione è particolare nell’isoletta di Filicudi (arcipelago delle Eolie) dove – sin dai primi secoli a.C. – le imbarcazioni venivano intrappolate in una secca.

Questo ha fatto sì che oggi questo luogo sia anche un importantissimo sito archeologico, meta indiscussa di sub esperti. Ad una profondità di 45 metri si può osservare il relitto A di età greca, risalente al II secolo a.C. e il relitto G del V secolo a.C.

Oltre ai relitti troviamo numerose anfore e moltissimi reperti conservati in parte al museo Bernabò Brea, situato a Filicudi Porto, dove è possibile ammirare ritrovamenti dell’Età del Bronzo e ceramiche greco-romane e africane, a testimonianza di quanto la Sicilia fosse meta ambita sin dall’antichità.

 

Fonte: marenaturasicilia.it

 

La battaglia di Nauloco e il rostro di Acqualadroni

Sul versante tirrenico si pensa invece si trovi il famoso Nauloco, sito passato alla storia per la battaglia navale in cui Sesto Pompeo fu sconfitto da Marco Vipsanio Agrippa nel 36 a.C. Nella zona tra Milazzo e Capo Peloro, nei pressi di Capo Rasocolmo e Acqualadroni si trova infatti una struttura palafitticola che si pensa potesse essere un pontile per il carico e lo scarico delle merci, riconducibile proprio al Nauloco (il cui termine significa appunto “rifugio per le navi”).

A prova di ciò sono i famosi ritrovamenti del relitto di Capo Rasocolmo (componenti metalliche della nave, monete della Roma pompeiana e una lamina di bronzo, probabilmente un collare di uno schiavo, sulla quale è leggibile il cognomen di Pompeo). Nel 2008 inoltre fu ritrovato nella zona di Acqualadroni un rostro in bronzo (oggetto montato sulla prua per colpire e affondare le navi nemiche) probabilmente legato alla battaglia e appartenente alla flotta di Pompeo. Il rostro, decorato con spade utilizzate già nelle armate greche, è situato oggi all’interno del Museo Regionale di Messina.

 

Rostro in bronzo. Fonte: marine-antique.net

La Bowesfield e la Valfiorita

Due relitti sono presenti ancora oggi nei fondali dello Stretto: uno di questi è la nave mercantile britannica Bowesfield, soprannominata la “Nave di Faro“. Diretta inizialmente a Bari, affondò poco distante da Capo Peloro nel 1892 a causa delle cattive condizioni meteo marine ed è oggi una delle mete più ambite dai subacquei di tutta Italia, poiché ancora in perfette condizioni (è possibile visitarne le stive e il ponte di comando).

 

 

Altro reperto importante è la motonave Valfiorita, nata per usi commerciali e utilizzata successivamente a scopo militare durante la Seconda Guerra Mondiale. Diretta a Palermo, viene attaccata da un sommergibile inglese e affonda nel 1943 nei pressi di Mortelle dove si trova tutt’ora. Oggi diviene invece meta importante, ma per subacquei particolarmente esperti a causa delle difficoltà dovute alla profondità, alle correnti e alle varie reti presenti nel relitto.

 

Motonave Valfiorita. Fonte: untuffonelblu.com, foto di Marco Bartolomucci

 

Il traghetto Cariddi

Una storia particolare che merita attenzione è invece quella del Cariddi, traghetto di tipo ferroviario costruito nel 1932 a Trieste, con un innovativo sistema di propulsione che garantiva maggiore efficienza rispetto ai mezzi utilizzati precedentemente. Viene affondato durante la Seconda Guerra Mondiale e ristrutturato successivamente. Nel 1992 è acquistato dalla Provincia di Messina per essere trasformato in un museo galleggiante. Questo però non avviene e, dimenticato, affonda nel 2006 nel Porto di Messina sotto gli occhi incuranti della città.

 

Il traghetto Cariddi. Fonte: nauticareport.it, foto di Vincenzo Annuario

 

Molti di questi reperti, che costituiscono una parte importante del patrimonio culturale della città, sono oggi nascosti o dimenticati e sarebbe invece importante valorizzarli, realizzando ad esempio un museo del mare ancora oggi assente nella città di Messina.

Bisognerebbe insomma far sì che risultino vere le parole di Pascoli, che citiamo nuovamente:

Tale potenza nascosta donde s’irradia la rovina e lo stritolio, ha annullato qui tanta storia, tanta bellezza, tanta grandezza. Ma ne è rimasta come l’orma nel cielo, come l’eco nel mare. Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia”

Fare in modo dunque che questo mondo e questa realtà, se pur “sommersi”, non vengano dimenticati ma siano piuttosto l’eco di battaglie e vicende che hanno visto la nostra terra e – soprattutto – il nostro mare protagonisti indiscussi di secoli di storia, una storia che ha portato alla creazione di miti, leggende, racconti e alla realtà che viviamo oggi.

Cosa aspettiamo per valorizzare tutti questi tesori?

Cristina Lucà

Fonti:

wikipedia.org

tempostrettotv.it

turismoeolie.com

guideturistichemessina.it