Il segretario generale della Camera Fabrizio Castaldi ospite al master in Istituzioni parlamentari ad UniMe

Si è tenuta il 6 maggio 2024, in Aula Campagna nel dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche dell’Università di Messina, la lezione del Segretario generale della Camera dei Deputati, dott. Fabrizio Castaldi.

L’incontro, organizzato nell’ambito dei Corsi di Dottorato in Scienze Politiche, Scienze delle Pubbliche Amministrazioni e Scienze Giuridiche è stato introdotto dai saluti istituzionali del prorettore vicario prof. Giuseppe Giordano, del direttore del dipartimento di SCIPOG, prof. Mario Pio Calogero e del Direttore del master in Istituzioni Parlamentari e Assembleari, prof. Giovanni Moschella.

Nel suo intervento, il segretario Fabrizio Castaldi si è soffermato sull’importanza di questi incontri per la formazione della nuova classe dirigente dell’amministrazione, grazie anche al contributo della Camera dei Deputati. L’intento è creare un bacino di laureati e di studiosi con una base adeguata per affrontare al meglio le sfide delle istituzioni parlamentari. Oggetto della lezione è stata la «complessa» figura del presidente della Camera dei deputati, su cui il segretario Castaldi ha più volte ribadito che è «imparziale e non neutrale», ma anche «garante della continuità istituzionale». Inoltre, citando una ricostruzione di Andrea Manzella circa il ruolo del Presidente di Assemblea come «uomo della Costituzione», Castaldi ha evidenziato come il presidente della Camera non è né uomo della maggioranza né uomo super partes, configurando quindi una terza via, in una politicità di tipo costituzionale. Nel corso della lezione, ha arricchito l’intervento con degli esempi pratici nati dall’esperienza sul campo e trattando della struttura amministrativa che supporta il lavoro del presidente.

Chi è Fabrizio Castaldi?

Romano, 52 anni, avvocato, laurea in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma con una tesi sul diritto parlamentare, il dott. Castaldi è un conoscitore del funzionamento dell’amministrazione di Montecitorio dove è approdato nel 1999. Ha iniziato la sua carriera proprio negli anni di Ugo Zampetti segretario generale. Castaldi è stato capo della segreteria istituzionale del presidente della Camera e vice segretario generale. Dal 29 dicembre 2021 è segretario generale della Camera dei deputati, con una nomina all’unanimità da parte dell’ufficio di presidenza.

Il master universitario

L’evento si inserisce anche nelle lezioni del master di II livello in Istituzioni parlamentari ed assembleari (IPA_2024), promosso dal Centro Studi in Diritto Parlamentare e delle Assemblee Elettive e cofinanziato dalla Camera dei deputati e dall’Università di Messina, che ha lo scopo far acquisire a laureati magistrali in Giurisprudenza, Scienze politiche e corsi equipollenti le competenze e il profilo professionale necessari a operare nell’ambito delle Camere e delle altre Assemblee rappresentative, nonché a ricoprire ruoli di alto livello negli altri settori della P.A. e a svolgere adeguatamente le attività di giornalista parlamentare e di consulente legislativo.

Il Parlamento ha eletto i nuovi presidenti di Camera e Senato: sono Lorenzo Fontana e Ignazio la Russa

Il 25 settembre gli italiani sono stati chiamati alle urne per il rinnovo dei componenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Le elezioni politiche 2022 si sono concluse con la netta vittoria della coalizione di centrodestra, trainata da Giorgia Meloni e dal suo partito Fratelli d’Italia, prima forza politica con il 26% dei voti. Primo impegno per la XIX legislatura e banco di prova “politico” per la coalizione, è stata l’elezione dei presidenti dei due rami del Parlamento. Camera e Senato si sono riuniti per la prima volta ieri 13 ottobre per il primo passaggio istituzionale necessario per consentire l’avvio delle successive consultazioni al Quirinale e la formazione del prossimo esecutivo.

 

Liliana Segre apre la seduta al Senato nel ricordo del passato come ausilio per il presente

«Oggi sono particolarmente emozionata di fronte al ruolo che in questa giornata la sorte mi riserva. In questo mese di ottobre, nel quale cade il centenario della marcia su Roma, che dette inizio alla dittatura fascista, tocca proprio a me assumere momentaneamente la Presidenza di questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica».

Queste le parole di Liliana Segre, senatrice a vita sopravvissuta all’Olocausto, chiamata a presiedere la prima seduta del Senato. Quella bambina che in un giorno nell’ottobre del 1938 è stata costretta dalle leggi razziali a lasciare la scuola, oggi invece si trova «sul banco più prestigioso del Senato». Accolta con grandi applausi ha rivolto un saluto a Mattarella, Papa Francesco e Giorgio Napolitano che sarebbe dovuto essere al suo posto ma assente per motivi di salute. L’intervento della senatrice è stato definito come fortemente politico, antifascista, partigiano e repubblicano. Ha affermato quanto «le grandi democrazie mature dimostrano di essere tali, al di sopra delle divisioni, poiché sanno ritrovarsi unite in un nucleo di valori condivisi. In Italia l’unità deve manifestarsi sulla Costituzione, che non è solo un pezzo di Carta, ma il testamento di centomila caduti nella lunga lotta per la libertà». Il buon augurio della senatrice è quello «di lasciare fuori da questa Assemblea la politica urlata che tanto ha contribuito a far crescere la disaffezione dal voto, interpretando invece una politica alta e nobile. Si apra sinceramente all’ascolto e si esprima con gentilezza».

Una grande testimonianza di pace e giustizia quella di Liliana Segre, per la lotta contro la diffusione del linguaggio dell’odio, la violenza dei pregiudizi e delle discriminazioni. Tutti hanno applaudito, ma la destra però sembrerebbe lo abbia fatto troppo timidamente, quando la senatrice ha fatto riferimento all’uccisione di Giacomo Matteotti e al 25 aprile.

 

Il neoeletto presidente del Senato Ignazio La Russa porge un mazzo di rose alla senatrice a vita Liliana Segre, fonte: Micromega

 

Ignazio La Russa nuovo presidente del Senato

Con 116 voti, su una maggioranza di 104, Ignazio Benito Maria La Russa è stato eletto nuovo presidente del Senato. Ha raggiunto i voti necessari per l’elezione ancora prima che terminasse la votazione e lo ha fatto nonostante il non voto deciso da Forza Italia. «La senatrice a vita Segre ha parlato di tre date alle quali non voglio fuggire: 25 aprile, il primo maggio e il 2 giugno. Io vorrei aggiungere la data di nascita del Regno d’Italia che prima o poi dovrà assurgere a festa nazionale. Queste date tutte insieme vanno celebrate da tutti perché solo un’Italia coesa e unita è la migliore precondizione per affrontare ogni emergenza e criticità».

Queste le parole del neo eletto presidente nonché esponente di punta di Fratelli d’Italia con alle spalle una lunga storia politica. A partire dal Fronte della Gioventù, la sezione giovanile del Movimento Sociale Italiano, fino alla vicepresidenza della Camera dal 1994 al 1996 e il Ministero della Difesa nel 2008, incarichi ricoperti prima di fondare, insieme a Giorgia Meloni e Guido Crosetto, Fratelli d’Italia nel 2012.

«Il mio è un compito di servizio, oggi non devo cercare applausi o captare la vostra benevolenza. Lo dovrò fare ogni giorno con i miei atti. Non c’è bisogno di parole che suscitino un applauso, ma solo di una sincera promessa, vi giuro che cercherò con tutte le mie forze di essere presidente di tutti».

L’elezione è avvenuta in un clima tesissimo tra gli alleati di centrodestra. Forza Italia non ha partecipato alla votazione, come segnale di protesta per il poco peso nel futuro governo. Solo Berlusconi ha votato perché da fondatore della coalizione ha voluto dare un segnale di apertura, nonostante la posizione contraria del gruppo.

 

Lorenzo Fontana nuovo presidente della Camera dei Deputati

Contestualmente all’elezione di La Russa, nella Camera dei Deputati dopo tre scrutini non è stato raggiunto nessun quorum. Oggi, per il quarto scrutinio, è bastata una maggioranza assoluta dei votanti, cioè più della metà, per giungere all’elezione del nuovo presidente della Camera: Lorenzo Fontana. Il vicesegretario della Lega ha vinto sulle candidature di Maria Cecilia Guerra, proposta dal PD, di Matteo Richetti, proposto dal Terzo Polo, e Federico Cafiero de Raho, candidato del Movimento 5 Stelle. Membro della Lega e particolarmente vicino a Matteo Salvini, nel suo discorso di ringraziamento ha ricordato il Capo dello Stato, il suo predecessore Fico, il Papa e persino Umberto Bossi.

“Onorevoli colleghi, è con forte gratitudine e grande commozione che mi rivolgo per la fiducia, ringrazio chi mi ha votato e chi no. Sarà mio onore dirigere il Parlamento”.

Di riconosciute posizioni conservatrici e cattoliche, ha voluto però rassicurare immediatamente che nelle sue nuove vesti di presidente della Camera si metterà fin da subito al servizio della stessa. “La Camera rappresenta le diverse volontà dei cittadini: la nostra è una nazione multiforme con diverse realtà storiche e territoriali che l’hanno formata e l’hanno fatta grande: la grandezza dell’Italia è la diversità. Interesse dell’Italia è sublimare le diversità”

 

Lorenzo Fontana (Lega), presidente della Camera dei Deputati, fonte: L’Arena

Marta Ferrato

La Camera dice sì all’iscrizione contemporanea a diverse università. Ecco tutti i dettagli e le considerazioni

Il sì unanime della Camera dei Deputati, giunto mercoledì, apre la via alla possibilità che il divieto sul conseguimento di più lauree in contemporanea cada davvero: si tratterebbe del punto di arrivo di una norma di origini addirittura pre-Repubblicane. Ad ogni modo, nonostante i 387 deputati favorevoli (e nessun contrario), sarà il Senato ad avere l’ultima parola sulla questione. Anche il minimo emendamento, difatti, potrebbe comportare il ritorno della proposta tra le mani della Camera e dare il via ad un nuovo iter di approvazione.

Si tratta però di una proposta accolta positivamente dalla gran parte degli ambienti parlamentari, soprattutto perché conforme finalmente all’orientamento seguito a livello europeo ed internazionale. La ratio della proposta sta nel tentativo di creare figure professionali capaci di adattarsi, tramite percorsi interdisciplinari, alle esigenze in continua evoluzione del mercato del lavoro.

Iscriversi a più corsi di laurea contemporaneamente sarà presto possibile anche in Italia: un grande risultato che consente al nostro Paese di fare un salto verso il futuro della formazione universitaria, in linea con il resto del mondo. Un risultato a portata di mano grazie alla determinazione e al lavoro che stiamo portando avanti con il Parlamento che da tempo ha messo al centro questi temi.

Ha commentato il Ministro dell’Università Maria Cristina Messa.

(fonte: open.online)

La norma oggetto della proposta di abrogazione

Il divieto di conseguire più lauree nello stesso arco di tempo affonda le proprie radici in un Testo Unico delle Leggi sull’Istruzione Superiore approvato con Regio Decreto 31 agosto 1933, n. 1592, di epoca fascista. La legge, all’articolo 142, prevede infatti:

  1. Nelle Università e negl’Istituti superiori si può ottenere l’iscrizione solo in qualità di studenti.
  2. Salvo il disposto dell’art. 39, lettera c), è vietata l’iscrizione contemporanea a diverse Università e a diversi Istituti d’istruzione superiore, a diverse Facoltà o Scuole della stessa Università o dello stesso Istituto e a diversi corsi di laurea o di diploma della stessa Facoltà o Scuola.

Ed è proprio l’articolo 142 che la proposta di legge n.43 del 2018 (la medesima approvata alcuni giorni fa alla Camera), intitolata “Soppressione del divieto di iscrizione contemporanea a diverse università, a diverse facoltà o scuole della stessa università e a diversi corsi di laurea o diploma della stessa facoltà o scuola”, intende abrogare all’articolo 1.

Dopo l’approvazione

Una volta entrata in vigore, il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (adesso Ministero dell’Università e Ricerca) dovrebbe adottare entro sessanta giorni tutte le misure necessarie a dare esecuzione alle disposizioni, salvo la clausola di non comportare maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Si ritiene che anche questa proposta s’inserisca in linea con quanto previsto dal PNRR.

Ma quali sarebbero le conseguenze dell’abrogazione del divieto? Sarà anzitutto consentita l’iscrizione contemporanea a due diversi corsi di laurea triennale, laurea magistrale o di master, anche presso più università, scuole o istituti superiori a ordinamento speciale. Lo stesso vale per dottorati di ricerca e corsi di specializzazione, eccezion fatta per i corsi di specializzazione medica.

A tal proposito, il deputato del MoVimento 5 Stelle Manuel Tuzi si è detto «particolarmente soddisfatto dell’ottimo risultato, ottenuto grazie al M5S, per gli specializzandi in medicina che, durante la formazione, potranno nel frattempo seguire un master o conseguire un dottorato di ricerca».

Rimane in ogni caso il divieto di iscriversi allo stesso corso di laurea (o master) in atenei differenti.

Quanto ai benefici per il sostegno allo studio, lo studente che si iscrive contemporaneamente a due corsi beneficia degli strumenti e dei servizi a sostegno del diritto allo studio per una sola iscrizione, a scelta dello stesso studente, fermo restando che l’esonero, totale o parziale, dal versamento del contributo onnicomprensivo annuale si applica, in presenza dei requisiti previsti, ad entrambe le iscrizioni (art. 3). (Il Sole 24 Ore)

(fonte: quifinanza.it)

Considerazioni e parole degli esponenti politici

Alessandro Fusacchia, membro della Commissione Cultura della Camera e relatore della proposta di legge, ha affermato sulla propria pagina Facebook:

Sono molto contento che il testo che avevo proposto prima alla Commissione Cultura e poi all’Aula, mettendo insieme tante proposte diverse sia andato finalmente in porto. Tuttavia, non è ancora legge, dal momento che il testo andrà adesso al Senato, ma il fatto che sia stata approvato all’unanimità lascia ben sperare rispetto alla possibilità che entri in vigore in tempo utile per dispiegare tutti i suoi effetti già dal il prossimo anno accademico. La legge aiuterà i giovani a immaginare e costruire più liberamente i propri percorsi di vita e professionale.

Non bisogna però trascurare inquietudini e ragionevoli dubbi: la preoccupazione delle più giovani generazioni è che una svolta del genere, piuttosto che facilitare l’inserimento del giovane nel mondo del lavoro, inasprisca ancor di più la selvaggia concorrenza e le già irrealistiche pretese dei datori di lavoro. Un altro legittimo parere è poi quello di chi ritiene che un tale cambiamento contribuisca ad alimentare la narrativa dello studente modello, un tipo di racconto che ha negli ultimi anni contribuito ad alimentare le aspettative sociali sugli universitari, determinando inoltre – in certi casi – tragici eventi di cronaca nera.

Non resta, a questo punto, che aspettare il parere del Senato – che non sembra poi così distante dalla conferma positiva, visto il generale accordo delle forze politiche sulla positività della richiesta.

Valeria Bonaccorso

 

 

160 anni d’Italia, unione e pandemia: le parole del Presidente Mattarella e le proteste sul web

(fonte: twitter.com, @MinisteroDifesa)

17 marzo 1861: 160 anni fa nasceva il Regno d’Italia sotto la guida del re Vittorio Emanuele II di Savoia. Da quel momento molti eventi hanno segnato il destino del regno, poi divenuto Repubblica, fino ai giorni nostri: a celebrare la giornata una dichiarazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ricorda, tra l’altro, l’importanza dell’unità in tempi di pandemia.

Le parole del Presidente

Celebriamo oggi il 160° anniversario dell’Unità d’Italia, la “Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera“.

Così il Capo di Stato ha introdotto l’argomento della breve ma corposa dichiarazione, approfittando subito dopo per ricordare l’importanza dei valori di unità sanciti 160 anni fa nell’attraversare un periodo di sfida come quello del Covid-19.

L’Italia, colpita duramente dall’emergenza sanitaria, ha dimostrato ancora una volta spirito di democrazia, di unità e di coesione. Nel distanziamento imposto dalle misure di contenimento della pandemia ci siamo ritrovati più vicini e consapevoli di appartenere a una comunità capace di risollevarsi dalle avversità e di rinnovarsi.

Non è un caso che il Presidente abbia voluto spendere parole d’incoraggiamento alla coesione. Negli ultimi giorni, infatti, molti sono stati i motivi di dibattito e scissione sulla questione vaccini, soprattutto a causa dell’inchiesta e della sospensione temporanea della somministrazione del vaccino AstraZeneca. Poi continua:

La celebrazione odierna ci esorta nuovamente a un impegno comune e condiviso, nel quadro del progetto europeo, per edificare un Paese più unito e solido, condizione necessaria per una rinnovata prosperità e uno sviluppo equo e sostenibile.

Ribadisce l’importanza dell’impegno verso lo sviluppo sostenibile e la transizione ecologica, chiave del Recovery Plan ed oggetto dell’opera del neo-governo Draghi.

Le parole da Camera e Senato

Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato, scrive sui social: “Gli Italiani sono un grande popolo, che ha dimostrato coraggio e responsabilità nell’affrontare la più difficile crisi sanitaria, economica e sociale dal Dopoguerra. Orgogliosa di essere italiana!”

(fonte: twitter.com @Roberto_Fico)

Il presidente della Camera Roberto Fico ha invece approfittato dall’occasione per toccare diversi punti importanti. Lo rivela Adkronos: il Presidente, nel proprio discorso, ha infatti ricordato l’importanza del raggiungimento di obiettivi come la pace e la prosperità tramite l’utilizzo di quelle energie morali, culturali e civili che animarono il Risorgimento. Poi prosegue:

“Nella difficile fase che stiamo vivendo c’è una splendida immagine di identità e di italianità: quella dei nostri medici e di tutto il personale sanitario che sono sempre rimasti in prima linea a combattere una guerra logorante a tutela della salute della collettività. E c’è quella degli uomini e delle donne, impegnati nelle missioni internazionali di pace che contribuiscono, con il nostro Tricolore, alla promozione dei valori universali della libertà e della dignità della persona nelle aree del mondo ricattate dai conflitti e dalle violenze”.

Infine rivolge un pensiero all’ambasciatore Luca Attanasio ed al carabiniere Vittorio Iacovacci, scomparsi tragicamente a causa di un attentato nel Congo e ricordati tra coloro che hanno contribuito a portare nel mondo la cultura della pace del nostro Paese.

Ripercorrere la nostra storia, promuovere i nostri valori, avere rispetto per il nostro passato, serve a dar forma a una forza positiva, a una riserva di energie morali, culturali e civili indispensabile per affrontare il futuro e le sue sfide.” Ha concluso il Presidente.

Le proteste del web e l’hashtag #IONONFESTEGGIO

Molti utenti del web hanno approfittato della ricorrenza per lanciare su Twitter l’hashtag di protesta #IONONFESTEGGIO, con motivazioni legate in particolare al divario tra Nord e Sud.
Effettivamente, un rapporto del 2020 dello Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) ha rivelato l’accentuazione del divario economico causato dalla pandemia, affermando che nelle regioni meridionali il secondo lockdown ha causato la caduta del reddito disponibile delle famiglie del -6,3% che si trasmette ai consumi privati, con una contrazione al Sud pari al -9,9% esuperiore a quella del Centro- Nord (-9%).

Secondo le proiezioni Svimez, il PIL crescerà al Sud dell’1,2% nel 2021 e dell’1,4% nel 2o22, mentre al Centro-nord avremo tassi di crescita del 4,5% nel 2021 e del 5,3% nel 2022. (agenziacoesione.gov.it)

I messaggi dei partiti

Diversi esponenti politici e partiti hanno voluto, allo stesso modo, approfittare della giornata per lanciare messaggi ai propri elettori: è il caso di Fratelli d’Italia, che celebrerà la giornata occupandosi della riqualificazione dei Parchi della Rimembranza ma ricorda l’importanza della difesa dell’identità nazionale.

Italia Viva, sotto l’hashtag #Italia160, ha dichiarato in un tweet l’intenzione di voler rendere omaggio allo spirito patriottico di coloro che lottarono per l’Unità battendosi per far ripartire il paese una volta superata la crisi pandemica.

Anche il neo-segretario del Partito Democratico Enrico Letta ha voluto condividere un messaggio di auguri, rimarcando l’importanza dell’unità nazionale.

 

Valeria Bonaccorso

Approfondimento sul Referendum Costituzionale: le ragioni del SI e del NO

Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?

 

 

Tra il 20 e il 21 settembre i cittadini potranno confermare o meno il testo della legge costituzionale che modifica gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione.

La legge, approvata in doppia lettura da entrambe le Camere a maggioranza assoluta, come previsto dall’articolo 138 della Costituzione per qualsiasi proposta di revisione costituzionale, non ha superato la soglia della maggioranza qualificata dei due terzi ed è stato dunque possibile per 71 senatori richiedere la consultazione referendaria. Originariamente prevista per il 29 marzo di quest’anno, e rinviata per le problematiche note ormai a tutti noi, la consultazione potrà finalmente svolgersi a quasi un anno di distanza dall’approvazione in via definitiva della legge.

Oggetto della riforma costituzionale proposta dalle forze di maggioranza al Parlamento è l’abbassamento del numero dei deputati da 630 a 400 e dei senatori eletti da 315 a 200 nonché la fissazione di un numero massimo dei senatori a vita pari a 5. Il quadro che si delineerebbe in caso di esito favorevole sarebbe quello di una diminuzione del 36,5% del numero totale dei parlamentari, che passerebbero dall’essere 945 a 600, di cui 12 per i cittadini italiani residenti all’estero, invece di 18, e una riformulazione dei criteri di ripartizione dei seggi per il Senato che tenga in considerazione non solo le Regioni ma anche le Province Autonome.

Si tratta del quarto referendum costituzionale nella storia repubblicana e come i precedenti, datati 2001, 2006 e 2016, sarà destinato a far discutere a lungo indipendentemente dal risultato finale.

Le ragioni che hanno spinto le forze attualmente al governo, in particolar modo il Movimento 5 Stelle, a promuovere e varare questa riforma possono essere riassunte nella necessità di rendere il Parlamento più celere nello svolgimento delle sue funzioni, soprattutto per quel che riguardai tempi dell’iter di approvazione legislativo, e l’assicurare allo Stato un risparmio in termini di spesa derivante dal minor numero di deputati e senatori.

Questi due fattori (risparmio e efficienza dei lavori parlamentari) sono i punti focali intorno a cui i sostenitori del SI hanno incentrato la loro campagna referendaria nonché quelli maggiormente criticati da chi invece si oppone alla riforma. Analizziamo quindi più nel dettaglio le ragioni che vengono adottate dei sostenitori del SI e quelle a sostegno del NO.

Ragioni del SI

La riduzione dei costi della politica: secondo gli esponenti delle forze politiche di maggioranza promotrici del SI la riduzione della spesa pubblica ottenuta grazie al taglio dei parlamentari garantirà un risparmio di circa 100 milioni di euro annui allo Stato che diventeranno 500 milioni a legislatura. Fondi che potranno essere destinati ai settori maggiormente bisognosi già dalla prossima legislatura.

Maggiore efficienza dei lavori parlamentari: fin dagli anni settanta si è avvertita l’esigenza di riformare il meccanismo parlamentare e più volte nella storia repubblicana sono state presentate proposte di riforme che hanno però avuto sempre esito negativo. L’idea è che un numero minore di soggetti attivi all’interno delle Camere possa garantire una riduzione dei tempi di discussione, del numero delle polemiche, e una partecipazione più attiva da parte di ciascun parlamentare. La diminuzione del 36,5% del totale dei parlamentari garantirebbe inoltre una maggiore responsabilizzazione degli stessi dato che un deputato arriverebbe a rappresentare circa 151 mila cittadini invece dei 96 mila odierni.

Il passaggio a 600 parlamentari inoltre avvicinerebbe il nostro parlamento ai numeri delle altre principali esperienze parlamentari: il nostro è uno dei legislativi più numerosi al mondo nonché il secondo in Europa dietro al solo Regno Unito, ormai uscito dall’UE causa Brexit. Dopo la riforma scenderebbe al quinto posto dietro Regno Unito, Germania, Francia e Spagna.

Ragioni del NO

Sul versante economico il fronte del no è contrario perché i problemi che deriverebbero dalla diminuzione del numero dei parlamentari non giustificherebbero il limitato risparmio: secondo l’Osservatorio dei conti pubblici italiani  il risparmio effettivo sarebbe nettamente inferiore rispetto ai numeri pubblicizzati dalle forze di maggioranza e sarebbe di 285 milioni a legislatura ovvero 57 milioni di euro annui, circa lo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana.

Inoltre la riduzione del numero dei parlamentari non inciderebbe concretamente sull’efficienza dei lavori parlamentari: il bicameralismo perfetto che caratterizza il nostro legislativo rimarrebbe inalterato con le due Camere che continuerebbero ad avere esattamente le stesse funzioni ma che lavorerebbero in maniera depotenziata. L’aumento dell’efficienza del Parlamento non sarebbe automaticamente legato al minor numero di parlamentari ma potrebbe essere ottenuto grazie a una revisione dei meccanismi di formazione del processo legislativo, aspetto che la riforma non tocca e che potrebbe essere solamente in parte raggiunto con una modificazione urgente dei regolamenti parlamentari.

La principale contestazione del fronte del No riguarda però la riduzione di rappresentatività del Parlamento. Attualmente l’Italia ha un rapporto di 1 eletto ogni 64mila persone, con 945 parlamentari eletti e 60,4 milioni di abitanti. Se la riforma costituzionale dovesse essere approvata, con 600 parlamentari eletti, il rapporto diventerebbe di un eletto ogni 101mila persone. Soltanto la Germania, con un eletto ogni 117 mila, la Francia con uno ogni 116mila e l’Olanda con uno ogni 115 mila avrebbero un rapporto più elevato.

In caso di vittoria del SI vi sarebbe il rischio concreto di avere territori sotto-rappresentati, soprattutto al Senato essendo quest’ultimo eletto su base regionale. Anche se la Costituzione prevede per ogni territorio un numero minimo di seggi (sette senatori per ogni regione, tranne due per il Molise e uno per la Valle d’Aosta), le regioni più piccole non sarebbero più adeguatamente rappresentate.

Altra criticità per i contrari alla riforma è che nei collegi divenuti più piccoli , dovendosi eleggere meno deputati e senatori, possano essere maggiormente incisivi ed ottenere seggi solo i partiti più grandi, riducendo la rappresentanza delle comunità a livello locale.

 

In conclusione, indipendentemente dalle idee politiche e dalle posizioni proprie di ognuno, rimane un’unica grande verità: la Costituzione è di tutti e in quanto tale abbiamo il dovere prima che il diritto di partecipare a qualsiasi modificazione della stessa.

Filippo Giletto

Cambio di colori per il nuovo esecutivo, non chiamatelo Gialloverde

Il via all’esecutivo Gialloblu. Il Governo cambia colore e ottiene la fiducia al Senato, ora tocca alla Camera.

Si chiude con 171 sì, 117 no e 25 astenuti la votazione per la fiducia da Palazzo Madama. E dopo il Senato, tocca a Montecitorio, dove l’esecutivo potrà contare – salvo la presenza di franchi tiratori – sul sì di almeno 346 deputati (222 del M5s e 124 della Lega). Ma le polemiche non tardano a mancare. Il nuovo Governo fa discutere prima ancora di iniziare il mandato. Pentaleghista, legastellato, gialloverde e ora gialloblu.

È il leader della Lega, neo Ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio ad annunciare il cambio di colore del nuovo esecutivo direttamente con un post su Twitter


per poi replicarsi il 5 giugno scorso


In questi mesi l’ex partito della Padania ha infatti cambiato volto e mission (e colore!): dalla scomparsa della parola “Nord” per vincere la sfida del Sud, ad un tono decisamente più popolare – o populista, come sostiene il segretario reggente del PD Maurizio Martina. Dietro le quinte, nascosto nell’ombra, a muovere i fili, Luca Morisi, 41 anni, mantovano. Guru di Internet e curatore dell’immagine o, come egli stesso si definisce sul suo profilo LinkedIn “digital philosopher” e “social-megafono” per il Matteo giusto.

La Lega, grazie alle direttive del Social Media Strategist, si dipinge così di blu. Scelta cromatica perfetta, dal momento che è la tonalità che, tra tutte, spiegano gli esperti, è indice di sicurezza, affidabilità, serenità. Non a caso è il colore dei Social (Facebook, Twitter, Tumblr, per citarne alcuni) e quindi della comunicazione digitale. La squadra blu scende in campo epurata e svecchiata dalla reggenza Bossi e Matteo Salvini, indossata la fascia da capitano, è ora pronto a innalzare al cielo la coppa più importante di tutte, quella della vittoria.

Ma lo sappiamo tutti: non è l’abito che fa il monaco! Il cambio di colore fa discutere, attestandosi tra i trending topic (tendenze) del giorno. E il giornalista Lorenzo Ferrari su “Il Post” non tarda a replicare: “Magari avessimo un governo giallo-verde”, suggerendo che dietro quest’aria primaverile, di cambiamento, di freschezza, si nasconda in realtà “il Governo più nero della storia della Repubblica e il più nero d’Europa“. Al Parlamento europeo, la Lega si accompagna infatti a “Europa delle Nazioni e delle libertà” di Marine Le Pen; mentre il M5S a “Europa delle Libertà e della Democrazia diretta” di Nigel Farage, rispettivamente estrema destra francese e tedesca.

Una scelta tutt’altro che popolare,insomma, e che di democratico sembra avere ben poco. Nero, giallo o blu ormai non ci interessa granché. Il vento del cambiamento soffia alle nostre porte, non ci resta che accoglierlo e sperare che stavolta, almeno, sia quella giusta.

Elisa Iacovo

 

 

Aspetto e intanto…voto Pannella e canto

“Sembra che aboliranno il proibizionismo. Cosa farà?”
“Andrò a bere un bicchiere!”.
Recitava così una delle scene de “Gli Intoccabili”, quasi trent’anni fa.
Benvenuti nel Paese del proibizionismo, della facciata, degli sprechi, della menzogna, della cattiva informazione. Benvenuti in Italia, signori miei.
25 luglio, una data come un’altra. Un po’ meno per chi ha fatto di una semplice idea una proposta di legge, rendendo un tabù l’argomento del giorno, e provando a fare la storia di uno dei paesi più introversi (e controversi, ovviamente) del Mondo.
Si chiama Benedetto della Vedova, ex radicale appartenente al gruppo misto, sottosegretario agli Esteri.
Alla proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis hanno aderito circa 220 parlamentari appartenenti alle più disparate forze politiche: circa 90 direttamente dal Pd, mentre non sono mancati esponenti di Sinistra Italiana, M5S, di Forza Italia, Gal, Scelta Civica, Socialisti ed altri del Gruppo Misto.
Osserviamo, però, i punti salienti della proposta:
Consumo e detenzione: i maggiorenni potranno detenere fino a 15 grammi di marijuana in casa, mentre al di fuori dell’abitazione potranno essere detenuti un massimo di 5 grammi. L’uso sarà consentito solo ed esclusivamente ai maggiorenni e la detenzione per i minorenni sarà punita con le attuali leggi sulla droga;
Coltivazione: sarà possibile coltivare la marijuana a casa, fino ad un massimo di 5 piante per appartamento. Ovviamente, non sarà possibile venderla;

Luoghi pubblici: non sarà possibile consumare hashish né marijuana in “luoghi pubblici, aperti al pubblico e negli ambienti di lavoro, pubblici e privati. Sarà possibile fumare solo in spazi privati, sia al chiuso, che all’aperto”;
Guida: previste le medesime leggi che riguardano l’alcol alla guida;
Cannabis social club: si potranno costituire dei gruppi per la coltivazione della cannabis in forma di associazione, ma l’associazione in questione non potrà avere fini di lucro. Questi club saranno costruiti sul modello spagnolo e prevedono un massimo di 50 associati, che potranno coltivare fino a 5 piante ciascuno. Dell’associazione potranno far parte solo i maggiorenni residenti in Italia e la coltivazione potrà avvenire trascorsi i 30 giorni dalla comunicazione all’ufficio regionale dei Monopoli competente per territorio;
Cannabis terapeutica: dall’entrata in vigore della legge sarà lecito, e molto più semplice, potersi curare con la marijuana;
Destinazione delle risorse finanziarie: Il 5% dei proventi della legalizzazione saranno destinati a finanziare progetti del Fondo nazionale per la lotta alla droga.
Dal 15 luglio 2015 al 25 luglio 2016: c’è voluto poco più di un anno per poter vedere approdare in Parlamento la discussione, e la successiva votazione.
In realtà però la votazione potrebbe non effettuarsi nella giornata di domani, visto il forte ostruzionismo operato dalle diverse forze politiche: quasi 2000 gli emendamenti, (ben 1300 operati da Area Popolare, guidata dalla strenua resistenza di Alfano), che intendono annullare diversi articoli della proposta di legge, fino ad eliminarla. Fortemente contrarie anche le posizioni di Lega Nord e Fratelli d’Italia.
Con ogni probabilità infatti la votazione slitterà a settembre, situazione analoga a quella delle Unioni Civili: al tempo vi furono circa 6000 emendamenti.

Intanto diversi personaggi hanno già detto la loro in merito, fortissima l’opposizione del Ministro alla Sanità, Beatrice Lorenzin: “Noi diciamo no e questa deve essere l’occasione per mettere al centro dell’agenda italiana la lotta alle dipendenze: alcol, droga, gioco. Non possiamo parlare dei giovani e poi abbandonarli, alcol e droga sono una piaga in questo momento”.
Dall’altra parte, parla Roberto Saviano: “La repressione ha fallito. È tempo che Parlamento e politici italiani prendano posizione a favore di questa legge e lo facciano con fermezza. Basta con le questioni di principio: è con i dati alla mano che bisogna lavorare per indebolire le mafie. I 1.300 emendamenti presentati da Area popolare e il silenzio, su questo, del presidente del consiglio dimostrano, ancora una volta, come la politica non riesca a liberarsi da quella zavorra che ha un nome preciso: e si chiama ricerca del consenso”.

Farlo, sì, ma attuando una vera e propria rivoluzione culturale: già in Uruguay, Colorado e tanti altri Stati del Mondo il consumo, in seguito alla depenalizzazione, è diminuito sensibilmente.
Ad ogni modo, il dibattito continua ad impazzare sui social, per le strade, sui giornali.
Si è presentata un’occasione importantissima: poter finalmente togliere le droghe leggere dalle strade, vietarne l’accesso ai minorenni, diminuire la criminalità, togliere alla mafia i maggiori introiti con cui finanzia le proprie opere criminali.
Non solo: ogni anno una quantità spropositata di soldi, energie, risorse umane (in termini di forze dell’ordine), vengono impiegate per combattere le droghe leggere. Soldi, energie e risorse umane che potrebbero essere investite in qualcosa di più utile. Non so: lotta alla mafia? Sembra troppo facile così: magari chiedetelo ad Alfano che con il suo impeccabile operato ha già debellato la piaga mafiosa. Per maggiori informazioni, consultare i suoi tweet.
Vi sono tanti pro, tanti contro: i Paesi Bassi ci hanno dimostrato più di tutti che il modello, sulla base di 16 milioni di abitanti, è vincente.
Ricollegandoci all’incipit del pezzo, chissà che una volta finito il proibizionismo, saranno proprio coloro i quali erano contrari a “farsi un bicchiere”?

Alessio Micalizzi