Emergenza Climatica: siccità e carenza di cibo piegano l’Etiopia

OSLO, Premio Nobel per la Pace

Uno dei più grandi Paesi africani è a rischio carestia. La mancanza di acqua e cibo mette a rischio 21 milioni di persone. Uomini, donne, bambini.

La crisi sta investendo l’intero Corno d’Africa, in maniera più drammatica l’Etiopia.
Da ben 5 stagioni non piove in Etiopia. E’ piena emergenza climatica. La fondazione Cesvi, attiva dal 2021 nell’area di Borena lancia il grido di aiuto.

Un’altissima percentuale della popolazione del Paese, ben il 90%, vive nelle zone rurali. L’attività principale è la pastorizia. L’80% del bestiame è morto. Non c’è neppure da perdere tempo a fare i conti.

L’Africa contribuisce con appena il 3% di emissioni nocive al surriscaldamento del pianeta, eppure è proprio lei a pagare un altissimo prezzo.
Le poche piogge durante l’ultimo anno sono state improvvise e torrenziali e hanno provocato alluvioni in tutto il Corno d’Africa.
“Paradosso climatico”, è questa l’accezione data al fenomeno della siccità e a queste violente piogge da Cesvi, che sta tentando di sensibilizzare l’opinione pubblica occidentale attraverso ogni mezzo possibile.

La Fondazione

L’associazione è stata fondata nel 1985 a Bergamo, laica e indipendente, da allora ha operato in Asia, Sud America e, dal 2021 anche in Etiopia.
Nel 1997 opera in Corea del Nord, in risposta alla carestia, inviando navi cariche di cibo e beni di prima necessità da Ho Chi Min, seconda città più importante del Vietnam.
La Cesvi opera a favore delle popolazioni vulnerabili, colpite da colpite da guerre, calamità naturali e disastri ambientali. Lavora inoltre per risollevare le popolazioni in stato di emergenza promuovendo attività di riabilitazione e sviluppo. Valore fondante dell’associazione, si legge sul suo sito, è “che il riconoscimento dei diritti umani contribuisca al benessere di tutti sul pianeta, casa comune da preservare”.
Nel 2001 vince l’0scar di Bilancio, riconoscimento che premia le migliori rendicontazioni annuali.

 

Dottore esamina bambino in Etiopia.

L’Etiopia

L’Etiopia è il decimo Paese africano per estensione (1.104.300 kmq), con una popolazione di circa 120 milioni di abitanti. La capitale è Addis Abeba, situata su altopiano ad un’altitudine di 2047 metri ai piedi della catena montuosa dell’Entotto.
La forma di governo è una repubblica parlamentare federale, suddivisa in 21 stati. Ottiene l’indipendenza nel

40 anni fa un’altra terribile carestia aveva colpito l’Etiopia, provocando la morte di 1,3 milioni di persone. Il famosissimo brano “We are the world” fu scritto da famose star del pop e del rock con lo scopo di raccogliere fondi per una delle più gravi emergenze del continente africano.
Oggi, oltre alla Cesvi e alle Nazioni Unite è Netflix a far sentire la propria voce, mediante il documentario “The Greatest Night in Pop”, che narra gli eventi che hanno preceduto la celebre composizione.

Ma è soltanto la siccità a causare la crisi idrica e alimentare?

La risposta ce la forniscono molti degli Osservatori Internazionali e lo stesso Onu. Causa prima delle carenza di cibo è la guerra che infiamma, e ha infiammato in passato la zona del Tigray, regione a Nord dell’Etiopia e al confine con l’Eritrea. Il conflitto perdura in realtà da ben 50 anni, a causa di velleitarie volontà secessioniste.

Negli ultimi anni sistematiche violazioni dei diritti umani da ambo le parti hanno messo in ginocchio la già vulnerabile popolazione etiope.

Il governo etiope non ha lesinato l’uso di massicci bombardamenti aerei e le sistematiche violazioni dei diritti umani e di guerra dei militari etiopi ed eritrei.
Nel 2021 il Premier Abiy Ahmed Ali riceve un Nobel per la pace, “per i suoi sforzi per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per la sua decisiva iniziativa per risolvere il conflitto al confine con la vicina Eritrea”. Tuttavia la guerra è perdura ancora oggi, tra le forze del governo federale etiope e dell’Eritrea con il Fronte di Liberazione Popolare del Tigray.

In questi anni, spesso, i convogli di aiuti del Programma Alimentare Mondiale sono stati bloccati o assaltati dall’esercito etiope.

Oggi il grido è troppo alto e la necessità è troppo stringente. La carestia sta mietendo le sue vittime al di fuori della regione del Tigray, mettendo in ginocchio una fetta troppo grande di popolazione e di economia, la quale aveva visto una vertiginosa crescita tra il 2004 e il 2008.
Oggi Addis Abeba non può far altro che accettare gli aiuti internazionali, con il vincolo di dirottarli verso ogni zona della Nazione.

Il non-rispetto di questo vincolo non farebbe altro che infiammare a dismisura le parti, innalzando la crisi a livelli impensabili e certamente non auspicabili.

Marco Prestipino

Maltempo? No, è la crisi climatica che causa disastri ambientali

È giunta l’ora di smettere di definire come maltempo, tragica fatalità o semplice sfortuna ciò che in questi giorni ha colpito l’Italia. Nonostante i diversi campanelli d’allarme, non tutti sono ancora convinti che la causa principale di questi disastri sia la crisi climatica – oltre che la mala gestione.

Proprio il 15 maggio è scattato l’OvershootDay, il giorno in cui abbiamo esaurito le risorse naturali disponibili per il 2023. Siamo ufficialmente in debito con il nostro Pianeta.

Il nesso tra cambiamento climatico e le alluvioni in Emilia Romagna e nelle Marche

Ripercorriamo, passo passo, quanto successo tra il 15 e il 17 maggio evidenziando insieme cosa non ha funzionato e perché. Trentacinque i comuni allagati, decine di frane e più di venti i fiumi esondati. Questi sono i dati che, più o meno, rimbalzano da un notiziario all’altro, per non parlare di quello più grave: quattordici morti e trentaseimila sfollati. La domanda che la maggior parte della gente si pone davanti a questi eventi è sempre la stessa «si poteva evitare?». Anche la risposta non cambia di anno in anno.

Come impatti sul territorio probabilmente è l’effetto alluvionale più grave di almeno gli ultimi 100 anni. Come estensione delle aree interessate e quantità di precipitazione, così come per danni su più province, è qualcosa di devastante, gravissimo.

Sottolinea Pierluigi Randi, presidente dell’AMPRO (Associazione meteo professionisti).

Già i primi giorni di maggio sono state registrate precipitazioni intense nella regione, ma non come le ultime definite «quelle che cadono di solito in una intera primavera. In un secolo non ci sono mai stati eventi estremi così vicini. La situazione è davvero preoccupante, anche per il futuro».

Spiegazione scientifica

Si tratta di un fenomeno denominato Effetto stau, che si riscontra quando una corrente d’aria, mentre risale lungo una catena montuosa, perde parte della propria umidità, la quale condensa e precipita al suolo sotto forma di neve o pioggia. Questa, insieme al ciclone mediterraneo proveniente dalle coste del Nord Africa, è una delle cause principali del maltempo degli ultimi giorni.

Responsabilità umana

Mauro Rossi, ricercatore dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (IRPI), spiega che nel contesto di queste alluvioni bisogna considerare la cattiva manutenzione del territorio e la poca attenzione dei rischi legati alle sue caratteristiche specifiche. Infatti, l’Appennino romagnolo e le zone collinari a nord sono «altamente propense al dissesto» per natura. Gli errori riguardano sia i versanti dei rilievi, dove l’eccessivo disboscamento e  la livellazione del suolo hanno favorito il deflusso d’acqua verso la valle, sia la pianura che si trova in prossimità dei fiumi.

Ad intervenire sulla questione maltempo anche Nello Musiumeci, che anticipa un approccio ingegneristico diverso.

Nulla sarà più come prima, il processo di tropicalizzazione ha raggiunto anche l’Italia. Serve un approccio nuovo al sistema idraulico su tutto il territorio, perché quello che è accaduto in Emilia Romagna era già accaduto ad Ischia e potrà accadere in tutte le altre zone del Paese

Anche il Po preoccupa

Ci troviamo a Villafranca Piemonte, al confine tra le province di Torino e Cuneo, dove ieri il fiume Po è esondato  raggiungendo i 4 metri di altezza. Tante le zone della regione in cui è stato registrato maltempo per tutta la notte. La stazione meteo di Arpa a Barge (in provincia di Cuneo) ha registrato in tre giorni oltre 300 millimetri di pioggia. Chiusa la statale 589 dei laghi di Avigliana a causa della piena del torrente Ghiandone a Barge.

A Torino, i Vigili del fuoco sono intervenuti per rimuovere alcuni alberi pericolanti e riparare alcune infiltrazioni dai tetti dovuti ad alcuni guasti alle grondaie.

Anche a Cardè si sono verificate esondazioni del fiume Po. Tuttavia, il sindaco rassicura: «È una piena ordinaria. La situazione è di allerta, ma sotto controllo. Abbiamo chiuso alcune strade, e manteniamo alta l’attenzione». Inoltre, si segnalano diverse frane. Il Ribordone, un paese nella valle del torinese, è isolato per la caduta di alcuni massi sulla strada.

Ultima Generazione: gli attivisti “colpiscono” la Fontana di Trevi

Fonte : Ansa

Nella giornata di ieri, 21 maggio, gli attivisti di Ultima Generazione, già protagonisti di azioni analoghe, hanno deciso di gettare del carbone vegetale all’interno della Fontana di Trevi (Roma) tingendo così le acque di nero. Accompagnati da uno striscione con su scritto «Non paghiamo il fossile» , hanno anche ricordato quanto sta accadendo in questi giorni con lo scopo di sensibilizzare il prossimo. Dieci attivisti sono stati fermati dalla polizia locale, non sono mancati gli insulti da parte dei romani e dei turisti nei confronti dei giovani protagonisti.

Di seguito il commento del sindaco di Roma Roberto Gualtieri sull’accaduto:

Tante persone dovranno lavorare per rimuovere la vernice, appurarsi che non ci siano danni permanenti, come noi speriamo . È sempre un rischio che corrono i monumenti. Gli interventi di ripristino sono sempre costosi e hanno un impatto ambientale significativo.

Serena Previti

Parlamento UE, approvato il Fit-for-55: dal 2035 niente più automobili a benzina e diesel

In attesa della discussione in Commissione e Consiglio per l’approvazione definitiva, il Parlamento UE ha votato sul pacchetto Fit-for-55: dal 2035 sarà possibile la vendita di soli veicoli green.

Il Parlamento Europeo ha votato a favore dello stop ai motori a combustibili fossili dal 2035 -Fonte:dmove.it

Lo stop alla vendita di auto e veicoli commerciali leggeri a benzina, diesel e con motori a combustione interna a partire dal 2035 punta ad attuare il piano di azione per contrastare il cambiamento climatico. La misura, facente parte del pacchetto Fit-for-55, insieme ad altre tredici iniziative si pone come obiettivo la riduzione entro il 2030 delle emissioni di CO2 dell’Unione Europea del 55%. Mentre si auspica il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050.

L’approvazione del Parlamento Europeo

Il progetto di legge approvato con 339 voti favorevoli, 249 contrari e 24 astensioni mira ad agire in modo radicale per contrastare le emissioni. L’Unione Europea, infatti, è sul podio delle produttrici mondiali di CO2, stanziandosi alla terza posizione. Il divieto di vendita di veicoli a combustione interna, o endotermici, agisce sul settore dei trasporti responsabile di circa un quarto di emissioni totali.

L’emendamento però, per divenire definitivo, dovrà essere negoziato con il Consiglio dell’Unione Europea nei prossimi mesi. Il blocco dunque non è ancora definitivo.

Il “cuore” del Fit-for-55

L’intero piano ruota attorno al rilancio dell’Emissions Trading Systems (ETS) nato nel 2004 e che ancora oggi vanta una notevole incidenza, in quanto è uno dei più importanti mercati di emissioni del mondo.

Se negli anni ha subito diversi stop, oggi l’ETS ha imposto un limite alle emissioni di circa 11 mila centrali energetiche e industrie in tutta Europa, creando altresì un mercato di scambi di quote di emissioni. Ciò che si intende fare è permettere alle industrie che inquinano maggiormente di comprare quote da quelle che inquinano di meno. Si rispetta sempre il limite interno totale prestabilito, che va via via a ridursi.

Fit-for-55 -Fonte:socialistsanddemocrats.eu

Il pregiudizio affiliato all’ETS come “insuccesso” negli ultimi anni vede invece la volontà di rilancio della Commissione attraverso un ampliamento del suo campo di azione. Questo permetterebbe un’inclusione totale delle emissioni dell’Unione, inglobando anche il settore dei trasporti e del riscaldamento.

A fianco dell’ETS è stato inoltre introdotto il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM): un sistema che obbligherà le aziende internazionali, che influiscono maggiormente sull’inquinamento, a pagare le emissioni da loro prodotte se intendono immettere merce nel mercato europeo.

Il CBAM in realtà appare più come un dazio imposto al fine di proteggere tutte le imprese europee che devono sostenere ingenti costi per sostenere i giusti requisiti richiesti dall’Unione. Tale operazione serve come filtro per contrastare una concorrenza sleale.

Il dettaglio della misura approvata in Parlamento

Il piano della riduzione di emissioni avrà come obiettivo ridurre le emissioni medie:

  • delle auto del 55% entro il 2030 e del 100% entro il 2035;
  • dei furgoni del 50% entro il 2030 e del 100% entro il 2035.

Ciò significa che a partire dal 2035 le nuove immatricolazioni dovranno produrre zero emissioni di CO2, mentre i veicoli già immatricolati potranno circolare fino a fine vita.

Fit-for-55, il Parlamento Europeo vota il blocco di benzina e diesel dal 2035 -Fonte:motorbox.com

Dunque sia il settore automobilistico che il trasporto su strada conterà dal 2035 motori 100% elettrici o ad idrogeno. È prevista altresì una deroga “Salva Ferrari” che permetterà alle imprese di nicchie, con una produzione annua dalle 1000 alle 10 mila unità, di applicare la normativa dal 2036. L’obiettivo tenta di tutelare la motor valley dell’Emilia-Romagna, ed in particolare le aziende come Ferrari e Lamborghini.

Le spinte del Fit-for-55

Il piano Fit-for-55 al fine di garantire e rendere effettivamente possibile la produzione e la vendita di auto elettriche e ad idrogeno ha fissato diversi obiettivi:

  • Espansione della capacità di ricarica in linea attraverso le vendite di auto a emissioni zero con installazione a intervalli regolari di punti di ricarica sulle principali autostrade;
  • Installazione di punti di ricarica in parcheggi sicuri e protetti nelle principali città e agglomerati posti sulla rete di trasporto trans-europea;
  • Innalzamento delle imposte sui carburanti e diminuzione di quelle sull’elettricità.
Stop alle auto a benzina e diesel in Europa dal 2035 -Fonte:agi.it

Sebbene la strada da percorre sia ancora lunga, si attende un via libera pro-forma, dell’Eurocamera e Consiglio entro l’autunno. Con il rigetto da parte del Parlamento della “scappatoia” per i carburanti sintetici nelle automobili, cioè una soluzione green (E-fuels) lanciata dall’industria dei combustibili fossili al fine di prolungare la vendita di nuovi motori a combustione, il legislativo europeo ha posto un freno alla nascita di nuove combustioni sintetiche, ancora più nocive per l’ambiente. Lo stop, in aggiunta, favorisce il benessere ambientale ed un taglio agli eccessivi costi di soluzioni “falsamente green”.

Giovanna Sgarlata

Distacco della piattaforma Conger: cosa accade in Antartide

Le terre dei ghiacciai sono solo alcune delle vittime del riscaldamento globale. Tra tutte le aree colpite, l’Artico e l’Antartide, insieme alla calotta groenlandese, sono le più sofferenti. Negli ultimi 40 anni la massa di ghiaccio perso in Antartide è aumentata di sei volte, portando ad un innalzamento del livello del mare di 1, 3 cm.

Cosa sta succedendo in Antartide?

Basta osservare gli ultimi eventi per comprendere come l’Antartide stia andando alla deriva. È recente la notizia secondo cui la piattaforma Conger, lunga 8 km e situata nella parte occidentale della Wilkes Land, sia collassata. Gli scienziati stanno ancora approfondendo i motivi dell’incidente, ma tra questi segnalano sicuramente l’aumento eccezionale delle temperature. Verso marzo l’area è stato colpita da un’anomala ondata di calore, che ha innalzato le temperature fino a 47 gradi.  È da sottolineare che la piattaforma aveva mostrato dei segnali di distacco già 15 anni fa, ma non aveva mai dato segni di un collasso così veloce. La situazione è peggiorata a partire dal 2020 e, tramite i rilievi satellitari, gli studiosi avevano dimostrato come già il 4 marzo del 2022 il Conger avesse perso metà della sua naturale estensione.

Distacco del ghiaccio: di cosa si tratta?

Il fenomeno del distacco del ghiaccio, o dell’ablazione glaciale, consiste nella rottura di una parte di ghiaccio appartenente ad una piattaforma, ad un ghiacciaio, ad un iceberg o ad un crepaccio. A seconda delle dimensioni del ghiaccio collassato si distingue tra un growler (alto meno di un metro e lungo meno di 5 m), un bergy bit (alto da 1 a 5 metri e lungo da 5 a 15 m), per poi individuare distacchi ancora più grandi, come nel caso del Conger.

Il momento precedente al distacco è caratterizzato da forti boati e, inoltre, la caduta del ghiaccio può provocare onde molto alte. Le ragioni  del distacco cambiano a seconda del caso considerato. Oltre alle temperature elevate, si possono riscontrare fenomeni sismici ed eventi mareali, onde di tempesta (storm surge), collisioni tra ghiacciai, screpolature del ghiaccio. Oggi gli scienziati stanno cercando di stabilire una legge previsionale del distacco, servendosi delle variabili di temperatura, densità, spessore, carico di impurità.

Fonte: blastingnews.com

Lo sviluppo del fenomeno tra XX e XXI secolo

Nel corso degli anni si sono susseguiti diversi fenomeni di questo tipo. Tra questi, il distacco di due aree della piattaforma glaciale di Larsen, nel 1995 e nel 2002. Nel primo caso si dispersero 3250 km2 di ghiaccio. Nel 2005, invece, quasi l’intera piattaforma glaciale di Ayles  si distaccò dal margine settentrionale dell’Isola di Ellesmere, che dal 1900 ha perso circa il 90% delle sue piattaforme. Allora si persero 87,1 km² di ghiaccio. Infine, una situazione molto critica, riguarda il ghiacciaio di Jakobshavn Isbrae, dal quale ogni anno si distaccano 35 miliardi di tonnellate di ghiaccio.

Jakobshavn Isbrae, Groenlandia

Antartide: non solo la piattaforma Conger

Accanto al Conger, sono parecchi i ghiacciai che continuano a collassare, come il ghiacciaio Totten e la piattaforma di Glenzer. Gli scienziati continuano ad osservare e analizzare questi eventi, mentre la loro attenzione è rivolta anche al ghiacciaio Thwaites, la cui caduta potrebbe determinare l’innalzamento dei mari globali di oltre mezzo metro. Il suo soprannome è infatti “ghiacciaio del giorno del giudizio”.

Gli studi condotti

Gli studi condotti hanno dimostrato che tra il 1979 e il 1990 l’Antartide ha perso circa 40 miliardi di tonnellate di massa di ghiaccio all’anno. La perdita è peggiorata sempre di più: tra il 2009 e il 2017 è risultata pari a circa 252 miliardi di tonnellate all’anno. Si è osservato come l’area più colpita sia la Wilkes Land, proprio il luogo in cui si trovava la piattaforma Conger.

Ghiacciaio Thwaites, Antartide

Consapevolezza tra scenari spaventosi

Al momento è difficile immaginare uno scenario positivo per l’Antartide, così come è difficile immaginarla privata dei suoi ghiacciai. Gli eventi che portano al loro collasso sono  peculiari, ma è semplice intuire che se non controllati  potrebbero portare a distacchi ancora più intensi, con conseguenze  per l’intero pianeta. Comprendere cosa accade in territori lontanissimi da noi significa sapere cosa sta accadendo e cosa potrebbe accadere a livello globale.

In questo caso non esiste alcuna distanza.

Giada Gangemi

Bibliografia:

Energia sostenibile e Nucleare: cosa deve preoccuparci davvero?

Crediti immagine: Huffpost

Due giorni fa ricorreva il 35° anniversario dell’incidente nucleare avvenuto a Chernobyl.
Nonostante siano passati diversi anni da quest’incidente, la sua risonanza mediatica è ancora enorme.
I dati ufficiali dell’ONU tuttavia riportano un numero di vittime accertate compreso tra le 49 e le 65.

Allora, perché abbiamo questa paura atavica del Nucleare? Perché non lo si conosce abbastanza e l’ignoto, si sa, genera paura.

Ma il nucleare è davvero pericoloso?

Per parlare della pericolosità del nucleare, l’unico modo per affrontare senza pregiudizi la questione è parlare di probabilità e di rischio relativo.

Facendo un esempio, se consideriamo l’aereo, sicuramente è il mezzo più pericoloso in caso di incidente, in quanto raramente ci sono superstiti. Tuttavia, la probabilità che si verifichi un incidente aereo è circa 10 volte inferiore ad un incidente a piedi o in treno, 30 volte inferiore ad un incidente in macchina ed addirittura 300 volte inferiore ad alla probabilità di un incidente in moto.
Traslando l’esempio al mondo energetico, in tutta la storia delle centrali elettriche nucleari si sono verificati solamente due incidenti: quello di Chernobyl e quello di Fukushima. In essi hanno perso la vita rispettivamente circa 54 persone a Chernobyl ed 1 morto e 16 feriti nell’incidente Giapponese.
Di incidenti petroliferi, invece, con enormi disastri ambientali, purtroppo ne abbiamo notizia quasi ogni anno.

In seguito all’incidente di Chernobyl, evento unico nel suo genere, c’è stato un aumento del numero di tumori alla tiroide nelle popolazioni colpite. In termini relativi, si prevede che questo aumento rimanga inferiore allo 0,05% (worst case scenario) dei casi di tumore totali nelle aree coinvolte.

Cosa significa “in termini relativi”? Significa che l’incremento dello 0,05% non è calcolato rispetto alla popolazione totale, ma rispetto all’incidenza della malattia.
Se ad esempio si considera una popolazione di un milione di persone e statisticamente ci si aspetta che il 20% di esse si ammali di tumore nel corso della vita, un aumento relativo dello 0,05% significa che i malati “extra” non saranno 500 (lo 0,05% di un milione), ma solo 100 (lo 0,05% del 20% di un milione).

Nonostante la drammaticità di perdite di vite umane, si tratta quindi di eventi eccezionali, causati nel primo caso da una drammatica sequenza di errori umani, inesperienza ed arretratezza tecnologica; nel secondo caso da un terremoto con Magnitudo 9, circa 5000 volte più energico del terremoto che distrusse L’Aquila.
I morti legati con certezza alle centrali nucleari quindi, secondo le stime ufficiali, si attestano circa ad una sessantina.

Quanti morti causano ogni anno i combustibili fossili?

L’inquinamento dell’aria, causato dai combustibili fossili,  è la quarta causa di morte a livello mondiale.

Parliamo di 5 milioni di morti ogni anno, 9 milioni se inseriamo nell’equazione anche l’inquinamento dei mari e dei fiumi e il riscaldamento globale.
Eppure lo consideriamo più accettabile del nucleare: in nessuna parte del mondo i combustibili fossili, che sono la causa primaria dell’inquinamento atmosferico, vengono combattuti con la stessa ferocia con cui viene combattuta l’energia nucleare.
E ciò ha dell’assurdo, perché proprio l’energia nucleare previene l’immissione in atmosfera di miliardi di tonnellate di gas inquinanti, dunque diminuisce il fattore di rischio dovuto all’inquinamento atmosferico.

Ma non esistono alternative ai combustibili fossili ed al nucleare?

Non bastano le fonti di energia rinnovabile?

Purtroppo no.
Dall’inizio della storia dell’uomo, infatti, non abbiamo fatto altro che aumentare sempre più il consumo energetico, senza mai subire una battuta d’arresto o tornare indietro.

Non è un caso che il boom tecnologico sia iniziato quando abbiamo avuto a disposizione una maggiore quantità di energia. Infatti, se per millenni l’uomo ha sfruttato cavalli o navi a vela per gli spostamenti, con l’invenzione della macchina a vapore e successivamente del motore a scoppio, siamo passati in soli due secoli alla conquista del cielo e perfino dello spazio.

Va da sé che più l’umanità evolverà tecnologicamente, più avrà bisogno di energia.

Le rinnovabili da sole possono far fronte ad una tale richiesta?
Nel 2019 la richiesta energetica italiana è stata pari a 319.622 GWh.
Un pannello solare in silicio policristallino fornisce una potenza di 0.2 kiloWatt (kW) per metro quadro.
Una pala eolica può normalmente erogare una potenza massima di 6000 kW (o, se preferite, 6 MW).
Un reattore nucleare può invece arrivare a 1.6 GW di potenza nominale, il che significa che, per ottenere la stessa potenza nominale di un singolo reattore nucleare, servono circa 250 pale eoliche, o 8 chilometri quadrati di pannelli solari.

Bisogna poi considerare il Capacity Factor, vale a dire il rapporto tra produzione di energia elettrica effettiva “x” fornita da un impianto di potenza durante un periodo di tempo e la fornitura teorica di energia “y” che avrebbe potuto offrire se avesse operato alla piena potenza nominale in modo continuativo nel tempo.

Tenendo in considerazione pure il CF, la quantità di pannelli solari e pale eoliche richieste per un paese come l’Italia ammonta ad un numero elevatissimo: bisognerebbe disboscare per costruire pannelli solari e pale eoliche.

Un reattore nucleare, invece, riesce ad operare ad una potenza stabile nel tempo anche per anni, cosa conveniente se si considerano l’inverno (dove le giornate sono più corte o uggiose) con meno luce solare e i giorni con poco vento.

Per quale motivo dovremmo usare anche il nucleare?

Perché le rinnovabili, purtroppo, da sole non bastano a ridurre il consumo di combustibili fossili. Attualmente, infatti, in Italia l’energia che non ricaviamo dalle rinnovabili la importiamo dalla Francia (che usa il nucleare) o la otteniamo bruciando Gas o Carbone.

La concentrazione in atmosfera di anidride carbonica (CO2) ha superato la soglia delle 415 parti per milioni (ppm) il 15 maggio 2019. È una concentrazione superiore del 48% a quella dell’epoca preindustriale, quando la concentrazione di CO2 in atmosfera era attestata sulle 280 ppm.

Questo aumento enorme dei gas serra, che oltre la CO2 annoverano anche il Metano (CH4) ed altri, porterà ad un aumento di 2 gradi centigradi o più entro il 2050, il che porterà a conseguenze catastrofiche. Sarà difficile l’approvvigionamento di acqua potabile per sempre più persone, si scioglieranno ulteriormente i ghiacciai, moriranno sempre più animali marini.

Si tratta di eventi a cascata che porteranno ad una distruzione dell’ecosistema e della vita per come la consociamo oggi.

Il nucleare può ridurre queste emissioni: basterebbero infatti solo 5 centrali in Italia per essere completamente indipendenti dai combustibili fossili, includendo il contributo delle rinnovabili.

Inoltre, sempre grazie a questa energia, si potrebbe procedere ad una “cattura” della CO2 atmosferica, tentando di invertire l’inesorabile aumento delle temperature terrestri.

Conclusioni

Tutto questo porta ad una conclusione, che per molti sarà contro-intuitiva, ma che nondimeno è vera e statisticamente verificabile: non solo i rischi dell’energia nucleare sono prossimi allo zero (un aumento dello 0,05% della mortalità da tumore moltiplicato per la probabilità infinitesima di un incidente catastrofico), ma se li confrontiamo con i benefici (ovvero il calo del rischio di mortalità dovuto alle emissioni di gas inquinanti e la diminuzione dei gas serra), otteniamo che il nucleare è benefico per il pianeta.
E infatti, secondo uno studio di Scientific American del 2013, l’energia nucleare, dal 1971 ad oggi, ha salvato quasi due milioni di vite.

Riguardo la gestione delle scorie radioattive, argomento che spaventa molti, data la corruzione nella nostra società, fortunatamente la gestione degli impianti nucleari è regolamentata da severissime leggi e controlli internazionali.
Questo bypasserebbe una eventuale inefficienza italiana nella gestione dei rifiuti radioattivi.

Salvare il pianeta dalla distruzione a cui lo stiamo portando è nostro dovere.
Serve dunque meno paura e più spirito critico.
Per vincere la paura è necessaria la conoscenza, per cui cerchiamo sempre di informarci ed essere critici (soprattutto verso i nostri stessi pregiudizi), per rendere il pianeta un luogo in cui sia ancora bello e possibile vivere.

Roberto Palazzolo