8 miliardi di persone e…non è più l’inizio di una frase ironica. Siamo davvero cresciuti di 1 miliardo in soli 11 anni

8 miliardi di persone non è più solo il titolo di una canzone, o una frase per fare ironia sui i più svariati temi, ma un vero e proprio record raggiunto dalla popolazione mondiale. Una crescita senza precedenti, considerando che nel 1950 – un tempo, in proporzione, non troppo lontano – eravamo in 2,5 miliardi.

Crescita della popolazione mondiale negli ultimi 12mila anni (fonte: OurWorldInData.org)

La conferma ufficiale da parte dell’Onu e l’analisi dei dati

Arrivata ieri, 15 novembre, la conferma ufficiale da parte dell’Onu, che ha definito il traguardo raggiunto “un’importante pietra miliare nello sviluppo umano”, ma che ha anche colto l’occasione per sottolineare, ancora una volta, la necessità di lavorare con tutte le risorse possibili alla cura del nostro pianeta e alla lotta contro l’inquinamento, ma anche a sfide importanti come il contrasto alla povertà, che affligge in maniera sproporzionata il mondo.

Nonostante fosse già sicuro il raggiungimento degli 8 miliardi, la data fissata per ieri è stata calcolata in base a statistiche, per cui vi è un margine di errore, che si quantifica in un range di 160-240 milioni di persone. Ciò è dovuto alla scarsità di dati a disposizione in alcuni Paesi.

Nell’Ottocento era stato raggiunto il picco più alto nella storia dell’uomo, quello di un miliardo. Dunque, vi è senz’altro una netta separazione tra la storia fino a quel momento e dopo, dovuta allo straordinario e, in proporzione, velocissimo miglioramento della qualità della vita.

L’incremento più considerevole è avvenuto in soli undici anni, con la crescita pari a 1 miliardo, il doppio rispetto al 1974. L’aumento ha subito un boost incredibile nell’ultimo secolo, ma ha rallentato a partire dagli anni Settanta, in specifico nel Nord America e in Europa, poiché sono in diminuzione le nascite.

Nei Paesi più ricchi, circa 61, la popolazione ha già iniziato o comunque comincerà a diminuire, almeno, dell’1% fino al 2050. Fattore determinante, oltre la bassa natalità, è l’emigrazione.

A bilanciare il decremento parziale è stato l’aumento delle nascite in Africa e Asia: qui è stato registrato l’incremento maggiore. Nei prossimi anni, infatti, solo 8 Paesi saranno quelli interessati dall’aumento di popolazione in maniera esponenziale: Egitto, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, India, Nigeria, Pakistan, Filippine e Tanzania.

Si ritiene, inoltre, che l’anno prossimo l’India dovrebbe superare la Cina, il Paese finora più popoloso al mondo.

Le altre cifre calcolate con abbastanza certezza sono quelle di 8,5 miliardi e 9,7 miliardi, che dovrebbe raggiungere la popolazione mondiale, rispettivamente nel 2030 e nel 2050. Nel 2050, potrebbe essere raggiunto un picco di 10,4 miliardi, che dovrebbe esser mantenuto fino al 2100.

L’ultimo nato per il record di 8miliardi (fonte: ansa.it)

Le differenze di distribuzione della crescita demografica nelle varie aree del globo

Il monitoraggio dell’andamento della crescita demografica globale ha svelato altri dati. Innanzitutto, l’incremento generale della popolazione ha comportato uno sfruttamento maggiore delle risorse ambientali, in gran parte brutale, causando il riscaldamento globale.

Deforestazione, sfruttamento del suolo, problemi con emissioni di anidride carbonica e anche enormi quantità di rifiuti sono le problematiche createsi e che si dovranno risolvere nel minor tempo possibile, prima di arrivare, come sappiamo, al punto di non ritorno.

Oltretutto, si dovrà fare i conti con la povertà che investe in maniera devastante alcune aree del pianeta più che di altre, creando sproporzioni disumane. I Paesi che hanno già registrato un aumento della popolazione più significativo, in rapporto a quello di altri, sono tra i più poveri al mondo.

Mentre in queste aree continuerà la crescita, in altre avverrà l’opposto, con il superamento della popolazione anziana rispetto a quella giovane, scatenando le dinamiche di indebolimento della società e dell’economia dei Paesi. Eppure, nei Paesi con sovrappopolazione, nonostante l’età media più bassa, dunque, potenzialmente, un fattore decisamente positivo, vi saranno altri problemi, seppur diversi, come la fame e l’insufficienza di altre risorse.

 

Le sfide per il futuro

«La rapida crescita della popolazione rende più difficile sradicare la povertà, combattere la fame e la malnutrizione e aumentare la copertura dei sistemi sanitari e scolastici. Al contrario, il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, in particolare quelli relativi alla salute, all’istruzione e all’uguaglianza di genere, contribuirà a ridurre i livelli di fertilità e a rallentare la crescita della popolazione mondiale».

Queste le parole di Liu Zhenmin, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari economici e sociali. La crescita demografica globale, dunque, investirà quelle zone del mondo meno preparate a rispondere adeguatamente al fabbisogno che ne verrà.

Inoltre, il miglioramento delle condizioni di vita porterà a un ulteriore aumento dell’aspettativa di vita, fino a circa 77,2 anni nel 2050 e, di conseguenza, un invecchiamento della popolazione globale. Sempre nello stesso anno, si ritiene che il numero di persone di età pari o superiore a 65 anni sarà il doppio di quello dei bambini sotto i 5 anni.

Quella che di per sé poteva essere una notizia solo positiva, ci pone davanti a problematiche importanti e urgenti, soprattutto perché a subirne poi i danni saranno le categorie di persone sempre svantaggiate.

Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, ha infatti ricordato sia la gran conquista in termini di qualità della vita e riduzione della mortalità materna e infantile, ma ha anche aggiunto:

«Allo stesso tempo, è un promemoria della nostra responsabilità condivisa di prenderci cura del nostro pianeta e un momento per riflettere su dove ancora non rispettiamo i nostri impegni reciproci».

 

 

Rita Bonaccurso

 

Proteste a Parigi per la legge sul clima, a pochi giorni dall’Ora della Terra

“Macron, ta loi en cartoni, c’est nouvelle jaune” recitava uno degli slogan della manifestazione di ieri a Parigi: “Macron, la tua legge di cartone è una spazzatura gialla”.

Proteste contro modifiche delle proposte per la legge sul clima (fonte: video.virgilio.it)

Parliamo della Loi Climat et Relience, la legge Clima e Resilienza, voluta dal presidente Macron e presentata come una delle iniziative più importanti del suo mandato.

Per la sua formulazione, il presidente aveva istituito, nell’ottobre 2019, una Convenzione di 150 cittadini estratti a sorte, la “Convention Citovenne sur le Climat“.

Un modo per far partire proprio dai cittadini “una rivoluzione” dello stile di vita dei francesi, favorendone uno più sostenibile a livello ambientale. Un esperimento di democrazia partecipativa, pensato in seguito al movimento dei Gilet gialli, che aveva sconvolto la Francia proprio nel 2019.

Macron ha, dunque, affidato agli stessi cittadini il compito di pensare a delle misure per ridurre del 40% le emissioni di gas serra entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990.

 

Il presidente aveva anche assicurato i 150 della Convenzione di portare in Parlamento le proposte senza che queste subissero delle modifiche.

Corteo contro Macron (fonte: la Repubblica)

Per oggi, 29 marzo è stato previsto l’arrivo in Parlamento. Proprio a un giorno dall’appuntamento con l’Assemblea francese, i manifestanti si sono fatti sentire, per quello che è stato giudicato come una sostanziale “edulcorazione” delle proposte.

I cortei che si sono riversati nella capitale hanno, dunque, manifestato per quella che sembra essere una promessa infranta. Secondo gli attivisti, con le modifiche apportate, la nuova legge sul clima non sarebbe utile al raggiungimento degli obiettivi fissati dagli Accordi di Parigi del 2015.

Ben 149 le proposte che erano state avanzate, tra cui: l’eliminazione graduale entro il 2030 degli sgravi fiscali sul diesel per gli autotrasportatori e l’attuazione di un’ecotassa regionale per i veicoli pesanti; il divieto di pubblicità per le imprese inquinanti e menù vegetariani nelle mense, punto che ha suscitato polemiche con le giunte comunali dei Verdi, motivo per il quale il governo non vuole andare oltre una sperimentazione.

L’attivista Cyril Dion, garante della Convenzione, ha denunciato una presunta interferenza delle lobby industriali che avrebbero giocato un ruolo importante nella modifica delle proposte:

“Non ci sono negoziati possibili con il clima, e una corsa contro il tempo” ha dichiarato.

La co-presidente, l’economista Laurence Tubiana, la quale aveva partecipato ai negoziati per gli Accordi di Parigi, si è unita ai manifestanti del corteo di Montpellier:

“Francesi chiedono di più ai loro deputati e al loro governo – ha detto – Serve una vera legge ambiziosa sul clima la cui componente sociale sia il perno di questa transizione necessaria.”.

Finora sono circa 7mila emendamenti presentati per la formulazione della nuova legge. Tra questi anche misure simbolicamente forti, come l’abolizione dei voli nazionali in caso di tragitti alternativi con il treno lunghi meno di due ore e mezza, ho il divieto di affittare appartamenti senza isolamento termico entro il 2028. A proposito di “efficientamento energetico”, tra le proposte anche quella della completa ristrutturazione di 20 milioni di case, ampiamente ridimensionata.

 

In Parlamento, la maggioranza si è divisa e il cammino si preannuncia tormentato.

 

L’Ora della Terra

Intanto il 27 Marzo, pochi giorni prima delle manifestazioni a Parigi, si è celebrata in tutto il mondo l’Earth hour, l’Ora della Terra, per il tredicesimo anno consecutivo.

La prima iniziativa, realizzata nel 2007, coinvolse la sola città di Sydney.

L’evento è promosso dal Wwf a livello globale, è un simbolo molto potente per la sensibilizzazione alla lotta ai cambiamenti climatici, una delle più grandi piaghe del nostro tempo.

Speak Up For Nature”, “Parla per la Natura” è stato lo slogan di quest’anno.

L’iniziativa prevedeva luci spente dalle 20.30 per un’ora. Ben 192 Paesi hanno aderito, mentre milioni di persone hanno partecipato individualmente, spegnendo le luci nelle proprie case.

Trecento i Comuni italiani che hanno deciso di partecipare. Così, sono rimasti al buio anche il Colosseo, l’Arena di Verona e Palazzo Vecchio a Firenze.

Il Colosseo al buio per l’Ora della Terra (fonte: la Repubblica)

Mattarella, ha conferito all’Earth hour la Medaglia del Presidente della Repubblica. Inoltre, le più importanti istituzioni nazionali, quali il Senato, la Camera dei Deputati e la Presidenza del Consiglio dei Ministri hanno dato il proprio patrocinio all’iniziativa, così come l’Anci – l’Associazione Nazionale Comuni Italiani – grazie alla quale effettivamente l’iniziativa ogni anno ha sempre più risonanza.

La natura non può più attendere, siamo in ritardo. Sarebbero, dunque, senza dubbio condivisibili da chiunque, più sensibili o meno a tali tematiche, le parole del presidente del Wwf Italia, Donatella Bianchi:

“Il Wwf chiede a tutti di “dar voce alla natura”, di pretendere che si dia il giusto valore al nostro capitale naturale che alla base della nostra salute, del nostro benessere, del nostro cibo, della nostra acqua, della nostra aria, in una parola, della nostra vita. Difendere la biodiversità significa difendere il futuro dell’umanità e la qualità della nostra esistenza sul Pianeta. Allora tutti insieme “Speak up for nature” con la consueta ora di buio, che rappresenta la richiesta forte, decisa ed inequivocabile di un futuro diverso. Per tutti noi e per chi verrà dopo di noi”.

 

Rita Bonaccurso

 

Gli USA rientrano nell’Accordo di Parigi. Cos’è e perchè pochi Paesi lo stanno rispettando

(fonte: teleambiente.it)

Da venerdì gli Stati Uniti fanno nuovamente parte dell’Accordo di Parigi, un trattato internazionale nato nel 2015 a salvaguardia dell’ambiente e con l’intento di contrastare i cambiamenti climatici.

“Un appello per la sopravvivenza giunge dal nostro stesso pianeta, un appello che non potrebbe essere più disperato e più chiaro di adesso.”

Ha affermato l’attuale presidente durante il proprio discorso d’insediamento.

La notizia, anche se ufficializzata solo alcuni giorni fa, è stata annunciata da tempo in quanto rappresenta uno degli obiettivi primari del presidente neo-eletto Joe Biden. Anche tale provvedimento, tra gli altri, appartiene ad una linea di discontinuità rispetto all’amministrazione Trump, che dall’Accordo di Parigi aveva deciso di ritirarsi nel 2017.

Accordo di Parigi, ecco cosa prevede

Firmato da 195 paesi in tutto il mondo e sottoscritto da 190 (compresa l’UE), l’Accordo di Parigi nasce nel 2015 per limitare le emissioni di gas serra e l’aumento della temperatura terrestre entro i +1.5 gradi. A ciò si aggiunga anche l’obiettivo, per ciascun membro, di versare un contributo in denaro all’anno per aiutare i paesi più poveri a sviluppare fonti di energia meno inquinanti.

Limitare l’aumento di temperatura rappresenta un primo passo verso la neutralità climatica, ossia verso un impatto climatico di ciascun paese pari a zero. Particolare attenzione è riservata alle emissioni di carbonio: al momento, USA e Cina sono i due stati che detengono i record di emissioni e per tale ragione sarebbe fondamentale la loro attiva partecipazione all’Accordo.

L’obiettivo più vicino è quello di arrivare a produrre, nel 2030, 56 miliardi di tonnellate di anidride carbonica anziché gli attuali 69 miliardi. Una meta che, si nota bene, può essere raggiunta solo tramite il rispetto degli accordi internazionali.

(fonte: limesonline.com)

L’abbandono degli USA e le sue conseguenze

Eppure, nel 2017, il presidente Donald Trump ha deciso di abbandonare l’Accordo. Non essendo vincolante, ciò non crea particolari problemi, però si tratta di un risultato raggiungibile circa in 4 anni. Ecco perché l’uscita dal trattato è stata ufficializzata solo a novembre 2020, al termine dell’amministrazione precedente.

Le reazioni alla notizia sono state negative, poichè furono proprio gli USA, durante l’amministrazione Obama, a rendere possibile la realizzazione dell’Accordo. Dalla decisione dell’ex presidente Trump, invece, è derivata la possibilità di gestire le proprie emissioni indipendentemente dal trattato.

L’effetto più importante era quello di dare più spazio alle emissioni statunitensi, con un conseguente ribasso del prezzo del proprio carbonio ed un rialzo di quello degli altri paesi. Il simbolico rientro nel trattato si accompagna adesso alla pretesa degli altri membri di un’azione seria e mirata da parte degli USA, che miri a riparare ai tanti anni d’inerzia.

Quali paesi rispettano davvero l’Accordo?

Sebbene il caso degli Stati Uniti abbia fatto, ai tempi, scalpore, bisogna ricordare tuttavia che molti dei paesi aderenti al trattato non lo stanno rispettando. Recente è la constatazione che la Cina, paese col primato di emissioni, non rispetta il trattato invocando la clausola – per molti inappropriata al suo caso – del paese in via di sviluppo. Quest’ultima contempla delle imposizioni più lievi rispetto agli altri paesi. Nel 2019, la Cina ha infatti emesso circa il 29,3% di tonnellate di CO2 al mondo.

Un caso altrettanto recente è quello della Francia, multata per il simbolico valore di 1 euro dopo aver perso un processo intentato dalle ONG ambientaliste contro lo stesso Stato francese. Secondo l’accusa, il progetto di legge sul clima non permetterebbe di raggiungere l’obiettivo di una riduzione di almeno il 40% delle emissioni nel 2030 in rapporto al 1990.

(fonte: valuechina.net)

Il movimento ambientalista Fridays For Future ha denunciato che, di tutti i paesi appartenenti al G20 (Italia compresa), nessuno stia effettivamente rispettando l’Accordo di Parigi. Un rapporto delle Nazioni Unite del 2018 ha evidenziato i problemi della linea seguita dal G20, la quale non permetterà di rispettare le promesse del trattato previste entro il 2030. Dai tempi di Parigi, le emissioni dei paesi del G20 non avevano fatto altro che rimanere in stallo per poi aumentare nel 2017.

Bene, invece, Marocco e Gambia che mirano rispettivamente a convertire il 52% della produzione di energia entro il 2030 ed a ridurre le emissioni del 55% entro il 2025.

Valeria Bonaccorso

Al rettorato un seminario sul tema delle disuguaglianze e migrazioni forzate

Giovedì 16 maggio 2019. Messina. Accademia dei Pericolanti – Rettorato. Ore 15:00. Ѐ stato presentato il rapporto 2018 “Il diritto di asilo”.

Al tavolo dei relatori la prof.ssa Anna Maria Anselmo, vicedirettrice COSPECS, che ha fornito le categorie utili per contestualizzare il fenomeno; si è poi proseguito con l’intervento della curatrice del rapporto, Mariacristina Molfetta, presidente del Coordinamento “Non solo Asilo”. Infine, l’evento si è concluso con la presentazione di una ricerca sul campo di Tiziana Tarsia, sociologa, e Giuliana Sanò, antropologa, e due interventi che hanno descritto iniziative di partecipazione attiva con i rifugiati, gli studenti e gli operatori sociali del settore.

Più di 160mila sono gli immigrati che dall’inizio del 2016 sono sbarcati sulle coste italiane tutti ufficialmente in cerca di protezione internazionale. La politica da tempo è divisa sulla loro accoglienza e sulla presenza dei requisiti per la concessione dello status di rifugiato. Un dibattito spesso sin troppo polemico.

Infatti negli ultimi anni l’attenzione pubblica e politica, italiana ed europea, è stata fagocitata dall’ossessione delle migrazioni. Il tema è diventato la bussola delle campagne elettorali. Il futuro dell’Europa sembra tragicamente legato alla sua capacità di gestire, o meglio, respingere le migrazioni. Questo dibattito cieco e di cortissimo respiro non permette di ragionare con maggiore consapevolezza su questioni fondamentali che segneranno veramente il nostro futuro. E in particolare, la triade cambiamento climatico, migrazioni e disuguaglianza, si presenta come una questione che avrebbe bisogno di una maggiore attenzione per discutere di politiche e comportamenti sociali ed individuali.

Il fenomeno migratorio è complesso e le cause sono interagenti. Gli studiosi sottolineano che le migrazioni sono un modo per adattarsi al cambiamento e che quindi non vanno combattute, ma regolate e rese sicure con piani ad hoc.

Nello scenario mondiale, i Paesi che accolgono il maggior numero di rifugiati si trovano in regioni in via di sviluppo. La Turchia si conferma il Paese che ospita il maggior numero di rifugiati con 2,5 milioni di persone accolte, rispetto agli 1,6 milioni dello scorso anno; la Siria è il primo paese di origine con 4,9 milioni di rifugiati.

In questo quadro si chiede alle istituzioni e si propone alla società civile una riflessione sugli strumenti legali e sulle politiche internazionali e nazionali: affinché non siano discriminanti verso le persone in difficoltà o che hanno necessità di spostarsi, ma riconoscano il diritto ad una vita dignitosa di chi fugge dai sempre più frequenti disastri di varia natura; occorre creare nuovi regimi per regolare, regolamentare e rendere sicure e ordinate le migrazioni a livello internazionale e regionale, fondati sul riconoscimento dei diritti dei migranti.

Gabriella Parasiliti Collazzo