COVID-19: miti da sfatare e risposte alle domande più frequenti

In questi giorni sono state mandate un’enormità di catene su WhatsApp in cui venivano date svariati informazioni inesatte sul Coronavirus. Sfatiamone alcune.

“il coronavirus è piuttosto grande (diametro circa 400-500 nanometri) quindi ogni tipo di mascherina può fermarlo.”
Il Coronavirus è molto più piccolo, e soprattutto non è vero che ogni mascherina può fermarlo. Anzi al momento non esiste nessuna mascherina capace di impedire del tutto il passaggio di un virus (neanche quelle usate da personale sanitario).

“Se una persona infetta starnutisce davanti a voi, tre metri di distanza saranno sufficienti per far cadere il virus a terra, così facendo non vi colpirà.”
In realtà le particelle espulse con uno starnuto viaggiano a velocità molto alte e possono rimanere in aria a lungo. Non esiste nessuna regola dei tre metri.

“Le bevande calde uccidono il virus in quanto esso non resiste a temperature superiori a 26-27 gradi.”
È facile capire che questa sia una bufala in quanto la nostra temperatura corporea normale è superiore di almeno 10 gradi a quella indicata. Se questa notizia fosse vera, il virus sarebbe incompatibile con l’essere umano, ed invece non è così.
In ogni caso non c’è modo di alzare la temperatura del nostro corpo assumendo una bevanda calda o stando al sole.

“La vitamina C può essere d’aiuto per contrastare il Coronavirus.”
È molto importante avere un’alimentazione equilibrata, compreso il giusto apporto di vitamina C, ma non ci sono prove che esso abbia effetti nel contrastare il virus.

Di seguito alcune domande che molti di noi si pongono in questi giorni.

Sintomi

Quanto dura il periodo di incubazione del nuovo coronavirus SARS-CoV-2?

Le informazioni sulle caratteristiche cliniche delle infezioni da SARS-CoV-2 stanno aumentando. Si stima che il periodo di incubazione vari in media tra 2 e 14 giorni, ma incubazioni più lunghe sono state riportate (fino a 27 giorni) in alcuni studi preliminari.

Come distinguere la tosse da “infreddatura” da quella da nuovo coronavirus SARS-CoV-2?

Il rischio di sviluppare questa infezione è quello di essere venuto a contatto con il virus che circola in alcune zone del mondo, incluso in alcune limitate aree italiane. Quindi in presenza di sintomi, potrebbero avere contratto la malattia COVID-19 le persone che negli ultimi 14 giorni hanno viaggiato in zone in cui il virus sta circolando, hanno avuto contatti con persone con infezione da nuovo coronavirus SARS-CoV-2 probabile o confermata in laboratorio o, infine, aver frequentato o lavorato in una struttura sanitaria dove siano ricoverati pazienti con infezione da SARS-CoV-2. In Italia, attualmente, stanno circolando altri virus, in particolare il virus influenzale. Qualora dovessero comparire febbre e disturbi respiratori, in assenza delle condizioni di rischio suddette, è opportuno rivolgersi al proprio medico curante, possibilmente non recandosi in Pronto Soccorso. Se si pensa di essere stati contagiati dal virus SARS-CoV-2, si raccomanda di contattare il numero verde 1500, attivo 24 ore su 24, istituito dal ministero della Salute per rispondere alle domande sul nuovo coronavirus SARS-CoV-2 e fornire indicazioni sui comportamenti da seguire o, in alternativa, il 112 (o il 118 a secondo della regione) o i numeri verdi regionali dedicati al coronavirus, ove presenti.

L’infezione da nuovo coronavirus SARS-CoV-2 causa sempre una polmonite grave?

No, l’infezione da nuovo coronavirus SARS-CoV-2 può causare disturbi lievi, simil-influenzali, e infezioni più gravi come le polmoniti in una minoranza di casi. È opportuno precisare, in ogni caso, che poiché i dati in nostro possesso provengono principalmente da studi su casi ospedalizzati, e pertanto più gravi, è possibile che sia sovrastimata al momento la proporzione di casi con manifestazioni cliniche gravi.

Trasmissione

È vero che si può contrarre il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 attraverso il contatto con le maniglie degli autobus?

Poiché la trasmissione può avvenire attraverso oggetti contaminati, è sempre buona norma, per prevenire infezioni, anche respiratorie, lavarsi frequentemente e accuratamente le mani, dopo aver toccato oggetti e superfici potenzialmente sporchi, prima di portarle al viso, agli occhi e alla bocca.

Ricevere una lettera o un pacco dalla Cina può essere pericoloso?

No, le persone che ricevono pacchi dalla Cina non sono a rischio di contrarre il nuovo coronavirus SARS-CoV-2. Da precedenti analisi, sappiamo che in funzione del tipo di superficie e delle condizioni ambientali il virus può resistere da poche ore a un massimo di alcuni giorni.

Gli animali domestici possono diffondere il nuovo coronavirus SARS-CoV-2?

Al momento, non ci sono prove che animali da compagnia come cani e gatti possano essere infettati dal virus SARS-CoV-2. Tuttavia, è sempre bene lavarsi le mani con acqua e sapone dopo il contatto con gli animali domestici anche per evitare la trasmissione di altre malattie più comuni.

I bambini sono a rischio infezione?
La malattia nei bambini sembra essere lieve e comunque rara. Uno studio fatto in Cina ha dimostrato che solo poco più del 2% dei casi aveva meno di 18 anni. Di questi meno del 3% ha sviluppato conseguenze gravi.

E le donne incinta?
Non ci sono ancora evidenze scientifiche che indichino la gravità della malattia nelle donne incinta.

Qual è il rischio di infezione da Covid-19 per quanto riguarda i prodotti alimentari provenienti dalle zone colpite?
Non c’è stata alcuna relazione di trasmissione di Coronavirus tramite alimenti, pertanto non vi è alcuna prova che i prodotti alimentari provenienti dalle zone colpite siano veicoli di trasmissione della malattia.

Il Coronavirus può essere trasmesso in zone calde e umide?
Da quel che si è visto fino ad oggi, il virus Covid-19 può essere trasmesso in tutte le aree, comprese le zone con clima caldo e umido.

Il freddo può uccidere il virus?
Non c’è motivo di credere che il freddo possa uccidere il Coronavirus. La temperatura normale del corpo umano rimane 36,5 – 37 gradi, indipendentemente dalla temperatura esterna. Stesso discorso vale se si pensa di prevenire il virus facendosi un bagno caldo.

Terapia

Esiste un vaccino contro il nuovo coronavirus SARS-CoV-2?

Al momento non è disponibile un vaccino contro il nuovo coronavirus SARS-CoV-2. Quando si sviluppa una nuova malattia, un vaccino diventa disponibile solo dopo un processo di sviluppo che può richiedere diversi anni.

Quanto tempo ci vorrà per avere un vaccino in grado di contrastare il nuovo coronavirus SARS-CoV-2?

Il meccanismo per la produzione del vaccino è stato attivato con alta priorità, tuttavia gli esperti concordano che sarà difficile che questo possa essere disponibile e distribuibile su larga scala prima dei prossimi 2 anni.

Il risciacquo regolare del naso con soluzione salina può aiutare a prevenire l’infezione?
No, al momento non esistono prove scientifiche a riguardo.

I vaccini contro la polmonite proteggono dal nuovo Coronavirus?
I vaccini contro alcuni tipi di polmonite, come il vaccino anti-pneumococcico e il vaccino contro l’haemophilus influenzae B, non forniscono protezione contro il Covid-19. Ciò nonostante, questi vaccini sono indicati in categorie di persone a rischio per queste infezioni

Assumere farmaci antivirali previene l’infezione da Covid-19?
No, al momento non ci sono evidenze scientifiche a riguardo.

Gli antibiotici sono efficaci contro il Coronavirus?
Gli antibiotici non funzionano contro i virus ma solo contro i batteri. Quindi a meno che subentrino co-infezioni batteriche, essi sono inutili contro il Covid-19.

Esistono medicinali specifici per prevenire il virus?
Ad oggi non è raccomandato alcun medicinale specifico per prevenire o trattare il Coronavirus. Tuttavia coloro che sono stati infettati devono ricevere cure adeguate così da alleviare i sintomi. Alcuni trattamenti specifici sono in fase di studio e saranno testati attraverso studi clinici.

Roberto Calì

Bibliografia:

https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/faq

https://www.who.int/emergencies/diseases/novel-coronavirus-2019/advice-for-public/myth-busters

Echo chambers e dissonanze cognitive: la scienza di difendere la scienza

La comunicazione scientifica, negli ultimi decenni, è diventata sempre più pervasiva. Tutti parlano di scienza: dai politici ai giornalisti, da Wikipedia a Piero Angela, dai talk shows a tuo cugino.

Si parla di scienza per i motivi più disparati: per puro intrattenimento, a volte, con lo scopo di soddisfare la curiosità altrui. Ma ci sono anche motivi più seri: ad esempio, per giustificare una scelta, alle volte particolarmente importante per chi la compie (ad esempio, fare o non fare un vaccino, prendere o non prendere un farmaco) o per l’ambiente circostante (si pensi alle campagne contro l’inquinamento). Motivi che rendono fondamentale il fatto che la divulgazione scientifica funzioni bene, che sia efficace e chiara.

 

A questo fenomeno di massificazione della comunicazione scientifica ne corrisponde un altro per certi versi uguale e contrario: la circolazione di bufale, fake news, notizie scientifiche false, talvolta delle vere e proprie truffe, altre volte talmente articolate da assumere i contorni di vere e proprie teorie del complotto.

 

Comunicazione scientifica e bufale, per quanto apparentemente opposti, possono in realtà essere considerati due facce della stessa medaglia. Sia il divulgatore scientifico che il creatore di bufale, infatti, per comunicare le loro posizioni, mettono in atto processi narrativi, che, in quanto tali, non sono mai ideologicamente neutri: piaccia o no, entrambi fanno riferimenti a sistemi di valori e di credenze condivisi dal gruppo sociale a cui il narratore fa riferimento.

 

L’avvento dei social network ha amplificato ulteriormente la portata del problema: gli algoritmi informatici che regolano i social  sono infatti costruiti in un modo tale da facilitare l’interazione con soggetti che potenzialmente la pensano come noi e l’esposizione a informazioni che confermano le nostre posizioni. Si formano così dei gruppi di persone che condividono gli stessi sistemi di valori e di credenze e quindi sono potenzialmente più propensi a ritenere vere (o false) le stesse informazioni, si tratti di divulgazione scientifica o di teorie del complotto: sono le cosiddette “camere di risonanza”, o echo chambers.

 

La reazione al fenomeno delle bufale, da parte di chi si occupa di comunicazione scientifica, è spesso quella del cosidetto debunking: prendere le false notizie o le false teorie e confutarle pezzo per pezzo presentando i dati scientifici disponibili sull’argomento. Capita spesso che il debunking assuma toni anche molto accesi, per mettere in evidenza l’assurdità e l’infondatezza delle false notizie. La convinzione di chi pratica il debunking è che questo approccio, basato sulla solida evidenza delle prove addotte e sulla limpidezza delle argomentazioni, possa in qualche modo persuadere chi crede alle bufale a rivedere le proprie idee sull’argomento, oltre a convincere eventuali scettici ed indecisi.

 

Ma è veramente così? Sebbene apparentemente fondato in termini logici, questo ragionamento sembra non tenere conto di un fenomeno noto da decenni in psicologia sociale: la dissonanza cognitiva. Semplificando, un soggetto si trova di fronte a una dissonanza cognitiva quando si trova costretto a riconoscere come vera una affermazione che contrasta con il proprio pregresso sistema di valori e di credenze. In queste situazioni, è come se il nostro cervello mettesse in atto una sorta di meccanismo difensivo volto a rimuovere al più presto la contraddizione, e, nella maggior parte dei casi, ciò avviene attraverso la assoluta negazione o addirittura l’attacco nei confronti dell’affermazione nuova.

 

Si potrebbe quindi ipotizzare che un soggetto fortemente convinto della veridicità di una bufala, magari perché condivisa da soggetti che la pensano come lui e condividono la sua echo chambermesso alle strette dal rigore del debunker possa reagire in maniera opposta a quanto atteso, addirittura in maniera aggressiva, rifiutando di cambiare idea.

 

É possibile mettere alla prova questa ipotesi? Si, ed è quello che ha fatto questo articolo, uscito su PLOS One e firmato da un team internazionale guidato da Walter Quattrociocchi, dell’Università Ca’Foscari di Venezia. Sono stati analizzate le attività (Like, commenti e condivisioni) su Facebook US di oltre 54 milioni di utenti nel lasso di tempo di cinque anni, su un database di pagine divise fra pagine a tema scientifico e pagine di controinformazione. Una prima analisi quantitativa ha consentito di dimostrare una polarizzazione fra utenti che svolgono preferenzialmente attività riguardanti le pagine scientifiche (pro-science) e utenti che le svolgono nei confronti delle pagine di controinformazione (pro-conspiracy). In breve, i due gruppi di utenti tendono a interagire preferenzialmente tra di loro e tra le loro pagine di riferimento, piuttosto che con membri o pagine del gruppo opposto, confermando così l’esistenza delle echo chambers. In aggiunta, sono stati valutati i commenti e le attività dei soggetti del gruppo “pro-conspiracy” in risposta a post provenienti da pagine che si occupano di debunking, evidenziando una prevalenza netta di contenuti negativi: in pratica, i soggetti che credono a teorie del complotto e bufale tendono a reagire negativamente sui social se esposti a post di debunking. Non solo, ma è anche stata riscontrata, per questi soggetti, una aumentata attività nelle loro pagine “di riferimento” a seguito dell’esposizione: come se l’esposizione alle smentite li avesse ulteriormente irrigiditi nelle loro posizioni.

 

Morale della favola? Intanto che l’approccio del debunking non solo non è efficace a far cambiare idea, ma potrebbe anche essere dannoso; e secondariamente che esiste anche una scienza di raccontare la scienza, e persino una scienza di difenderla. Divulgatori scientifici non ci si improvvisa e l’articolo si conclude infatti con un invito, da parte degli autori, ad adottare strategie di divulgazione più morbide, per abbattere i muri tra le camere di risonanza in cui le bufale proliferano. Un monito che dovrebbe risuonare nelle menti di tanti auto-proclamati “paladini della scienza”, che proprio alla luce di dati scientifici sembrano fare più danno che altro allo sviluppo di un dibattito sano ed efficace.