I segreti di Sagittarius A*: Fotografato il buco nero al centro della via lattea

Gli scienziati sono riusciti a fotografare per la prima volta il buco nero Sagittarius A* al centro della Via Lattea, la nostra galassia. Una scoperta sensazionale, che conferma la teoria della relatività generale di Einstein.

Indice dei contenuti:

Cos’è un buco nero?

La scoperta

Differenze con M87

L’immagine

Metodologie della scoperta

Futuro

Conclusione

Cos’è un buco nero

Il buco nero è un luogo nello spazio in cui la gravità è talmente attrattiva che nemmeno la luce può uscirne. Questo perché la materia è stata schiacciata in uno spazio minuscolo e ciò può accadere quando una stella sta morendo. Abbiamo già affrontato una spiegazione più dettagliata in un precedente articolo.

Fonte https://tg24.sky.it/

La scoperta

Durante le cinque notti nell’aprile 2017, la collaborazione EHT, ha utilizzato otto osservatori in tutto il mondo per raccogliere dati sia dal buco nero della Via Lattea sia da M87*. Le posizioni dell’osservatorio andavano dalla Spagna al Polo Sud e dal Cile alle Hawaii. Hanno raccolto quasi 4 petabyte (4.000 terabyte) di dati che, essendo troppi per poter viaggiare su internet, sono stati trasportati in aereo su dischi rigidi.

Differenze con il precedente buco nero della galassia M87

I dati di Sagittarius A* erano più difficili da analizzare. I due buchi neri hanno all’incirca la stessa dimensione apparente nel cielo, perché M87* è quasi 2.000 volte più lontano ma circa 1.600 volte più grande. Qualsiasi massa di materia che ruota attorno a M87* copre distanze molto maggiori, più grandi dell’orbita di Plutone attorno al Sole, e la radiazione che emettono è essenzialmente costante su scale temporali brevi. Ma Sagittarius A* può variare rapidamente, anche in poche ore. “In M87*, abbiamo visto pochissime variazioni in una settimana […] Sagittarius A* varia su scale temporali da 5 a 15 minuti”, afferma Heino Falcke, co-fondatore della collaborazione EHT ed astrofisico della Radboud University di Nijmegen, nei Paesi Bassi.

Fonte:
https://www.focus.it/scienza

L’immagine

A causa di questa variabilità, il team EHT ha generato non un’immagine del Sagittarius A*, ma migliaia, la cui immagine svelata qualche giorno fa, è la risultante di molte elaborazioni. Oltre a mostrare un anello di radiazione attorno a un disco più scuro, l’immagine elaborata conteneva tre “nodi” più luminosi. “Vediamo nodi in tutte le immagini che abbiamo creato”, dice Issaoun, astrofisico dell’Harvard and Smithsonian Center for Astrophysics a Cambridge, Massachusetts “ma ognuna aveva i nodi in punti diversi. I nodi mediati che appaiono nell’immagine sono probabilmente artefatti della tecnica di interferometria utilizzata dall’EHT”.

Ricostruisce le immagini da una parabola radiofonica idealizzata delle dimensioni della Terra, ma in cui solo minuscoli frammenti della parabola sono in grado di acquisire dati in un determinato momento. L’aspetto è diverso da quello di M87*, per il quale la regione più luminosa nell’immagine aveva una forma più a mezzaluna, il che potrebbe indicare una massa di materia più densa che viene accelerata lungo la direzione della linea di vista. Come affermato da Gomez, il team EHT ha condotto simulazioni di supercomputer per confrontare i propri dati. Ha così concluso che il Sagittarius A* sta probabilmente ruotando in senso antiorario lungo un asse che punta all’incirca lungo la linea di vista della Terra.

FONTE: https://tech.ifeng.com/

“Quello che mi fa impazzire è che lo stiamo vedendo di fronte”, dice Regina Caputo, astrofisica al Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt, nel Maryland.

Il telescopio spaziale Fermi Gamma-ray della NASA, con cui Caputo lavora, aveva precedentemente rilevato gigantesche caratteristiche luminose sopra e sotto il centro della galassia, che potrebbero essere state prodotte dal Sagittarius A* durante periodi di intensa attività in passato. Ma quelle caratteristiche, note come bolle di Fermi, sembrano richiedere che la materia ruoti attorno al buco nero di taglio, piuttosto che di fronte, come si vede dalla Terra.

Metodologie della scoperta

Il Sagittarius A* è praticamente invisibile ai telescopi ottici a causa della polvere e del gas sul disco galattico. Ma a partire dalla fine degli anni ’90, Falcke e altri, si sono resi conto che l’ombra del buco nero poteva essere abbastanza grande da essere ripresa con brevi onde radio in grado di perforare il velo. Ma i ricercatori hanno calcolato che ciò avrebbe richiesto un telescopio delle dimensioni della Terra. Fortunatamente, la tecnica  dellinterferometria, che  implica il puntamento simultaneo di più telescopi lontani sullo stesso oggetto, potrebbe rivelarsi utile perchè, in effetti, i telescopi funzionano come frammenti di una grande parabola (vedi immagine di seguito).

Mappa illustrativa della costituzione dell’EHT ©Jacopo Burgio

I primi tentativi di osservare il Sagittarius A* con l’interferometria, hanno utilizzato onde radio di 7 millimetri relativamente lunghe e osservatori a poche migliaia di chilometri di distanza. Tutti gli astronomi potevano vedere un punto sfocato. I team di tutto il mondo hanno quindi perfezionato le loro tecniche e adattato i principali osservatori che sono stati aggiunti alla rete. In particolare, i ricercatori hanno adattato il South Pole Telescope e l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array in Cile da 1,4 miliardi di dollari per svolgere il lavoro. Nel 2015, i gruppi hanno unito le forze come collaborazione EHT. La loro campagna di osservazione del 2017 è stata la prima a coprire distanze abbastanza lunghe da risolvere dettagli come le dimensioni del Sagittarius A*.

Futuro

Feryal Özel, astrofisico dell’Università dell’Arizona a Tucson, in una intervista svoltasi a Washington, ha affermato che il prossimo obiettivo del progetto è generare un filmato del buco nero per saperne di più sulle sue proprietà fisiche.

I ricercatori sperano di scoprire se Sagittarius A* ha i getti astrofisici. Molti buchi neri, incluso M87*, mostrano due fasci di materia che escono rapidamente in direzioni opposte. Essi sono ritenuti il ​​risultato dell’intenso riscaldamento del gas in caduta e alimentati dalla rotazione del buco nero. Il Sagittarius A* potrebbe aver avuto grandi getti in passato, come suggeriscono nubi di materia riscaldate sopra e sotto il centro galattico. I suoi getti sarebbero ora molto più deboli, ma la loro presenza potrebbe rivelare dettagli importanti sulla storia della nostra Galassia. “Questi getti possono inibire o indurre la formazione stellare, possono spostare gli elementi chimici in giro” e influenzare l’evoluzione di un’intera galassia […] e ora stiamo guardando dove sta succedendo.” afferma Falcke.

Conclusione

Ciò che abbiamo osservato non è una scoperta fine a se stessa, poichè avrà certamente implicazioni nel domani e nelle tecnologie future della vita di tutti i giorni. Quindi non ci resta che aspettare con il naso puntato all’insù.

Livio Milazzo & Gabriele Galletta

Fonti: Nature,   Eso

Il paradosso di Hawking: una storia senza fine

Cosa significa “scienza”?  Vogliamo credere ostinatamente che essa significhi certezza, sicurezza, completezza.  Ne sentiamo un assoluto bisogno per poter puntare gli occhi al cielo e dire “la scienza saprà spiegarmi tutto”.

E dall’altra parte troviamo però R. Feynman, il quale diceva: “La scienza è una cultura del dubbio”. La scienza nasce dal dubbio, si coltiva nel dubbio. È il dubbio la scintilla della scienza.

Per capire ciò, pensiamo al modello atomico. Nel corso dei millenni non ha smesso di evolversi e, man mano che gli studi si approfondivano, una nuova particella si aggiungeva al puzzle.

Tutto viene costantemente messo in discussione.

Il paradosso dei paradossi: il buco nero

Può sembrare forse ancora assurdo parlare di scienza e assieme di abissi mai colmati. Ma la scienza è proprio questo, con i suoi innumerevoli paradossi. Per capirlo pensiamo a Stephen Hawking e al suo grande desiderio di dimostrare come “i buchi neri non sono così neri” (Hawking al KTH Royal Institute of Technology).

L’esistenza stessa di un buco nero ha rappresentato un paradosso per alcuni scienziati, come Laura Mersini-Houghton, la quale sostenne che i buchi neri fossero matematicamente impossibili. Una stella, una volta collassata, si sarebbe liberata della sua stessa massa e un buco nero non sarebbe potuto in alcun modo esistere.

Poi, il 10 aprile 2019, la concezione che si aveva dell’universo è di nuovo cambiata, quando per la prima volta si è potuto osservare il buco nero M87, un vero e proprio buco nero, con la sua immensa bocca nascosta nell’oscurità. 

Visualizza immagine di origine
La prima foto dettagliata di un buco nero, prodotta dall’Event Horizon Telescope (EHT)

Questo non ha certo messo a tacere le controversie attorno ai buchi neri. 

Una memoria che fugge

Il paradosso della perdita di informazione nei buchi neri di Hawking, come tutte le teorie sui buchi neri, hanno così assunto un significato ancora più straordinario.

Hawking ha trascorso l’intera vita cercando di capire come funzionassero questi incredibili oggetti e di dare una spiegazione al paradosso a cui lui stesso giunse. Un corpo “divorato” da un buco nero sarebbe scomparso del tutto? Ci si sarebbe dimenticati della sua esistenza, o sarebbe stata conservata un po’ della sua memoria

In molti hanno sempre creduto che dovesse esistere un modo affinché l’informazione sulle caratteristiche di un oggetto caduto nel buco nero si conservasse. Qualsiasi ipotesi contraria non avrebbe rispettato, innanzitutto, il primo principio della termodinamica, il quale dice che «l’energia non si crea e non si distrugge», che nulla può essere cancellato per sempre.

Hawking la pensò diversamente.

Ma dov’è il paradosso?

Lo scienziato, assieme ad A. Strominger e M. J. Perry, concluse che il buco nero contenesse soft hair, stati eccitati quantici a bassissima carica rilasciati quando il buco nero evapora, ovvero quando emette la cosiddetta radiazione di Hawking.

I buchi neri «non sono le prigioni eterne che immaginiamo. Le cose possono venire fuori da un buco nero e possibilmente raggiungere anche un’altra dimensione. Quando una particella carica entra in un buco nero, aggiunge un fotone. È come se aggiungesse un pelo».

Sono questi soft hair la memoria, seppur minima, riferita alla particella: i soft hair sono l’impronta della particella. Sono l’informazione rilasciata da quella radiazione termica. L’informazione che per lo scienziato si sarebbe poi cancellata per l’eternità, contro il principio di conservazione dell’energia.

Hawking ci rifletté ancora e ancora e alla fine, alla Conferenza di Relatività Generale e Gravitazione del 1997, ridiscusse la sua teoria. Ma non si fermò a dire che l’informazione sarebbe sopravvissuta. Infatti, se l’informazione può essere riportata alla luce e continuare ad esistere, in ogni universo, in ogni dimensione, è anche vero che lungo il tragitto essa viene corrotta, seppur conservata, e quindi in pratica cancellata. E se anche si potesse riottenerla, il processo sarebbe molto complicato.

È in queste parole che sta il paradosso di Hawking. C’è un momento in cui vita e morte dell’informazione si realizzano contemporaneamente, in cui l’informazione è ancora presente ma sta per essere eliminata. In altre parole ciò che resterebbe dell’informazione è un’ombra caotica.

Foto di Sophia Dagnello del “National Radio Astronomy Observatory” e pubblicata dalla NASA

Cosa si è detto…

Susskind, a difesa del culto dell’informazione eterna, propose una soluzione derivata dai principi della meccanica quantistica. Tutto si risolve nell’immaginare l’informazione protetta da una guaina di stringhe che non permetterebbe ad alcun fenomeno di distruggerla. Per Susskind, anche a seguito di un’evaporazione, l’informazione sarebbe sopravvissuta.

Anche R. Penrose si è espresso in merito, sostenendo che l’informazione sarebbe stata immagazzinata all’interno di un oggetto come il bosone, il che avrebbe impedito la sua fuga.

E c’è poi, addirittura, chi ha immaginato che questa informazione si conservasse in un universo neonato separato dal nostro.

…e cosa si dice

Insomma, le idee sviluppatesi sono molte, fino ad arrivare ad oggi. È recente la notizia di un gruppo di scienziati, tra cui Henry Maxfield e Netta Englhardt, che sta lavorando per trovare un’ulteriore soluzione. Già nel 2019 il gruppo aveva concluso che per capire le dinamiche e veder fuoriuscire dal buco nero l’informazione, sarebbe stato necessario sviluppare una teoria della relatività completamente quantistica. Conclusione a cui giunse anche il premio Nobel della fisica Gerardus’ Hooft e su cui si sta lavorando.

Al momento Maxfield e gli altri scienziati hanno determinato che l’informazione non viene resa “nota” fin da subito. Anzi, in un primo momento neppure è presente. Soltanto quando il buco nero comincia a “invecchiare”, la quantità di radiazione emessa accresce, e con essa l’informazione che comincia a venire fuori.

I primi passi fatti confermano quindi l’intuizione di Hawking: l’informazione può fuoriuscire. Tuttavia, come ha detto il gruppo, questa è solo la “punta dell’iceberg”

Il dubbio è sempre lo stesso: saremo mai in grado di recuperare l’informazione?

Giada Gangemi

 

Bibliografia:

https://www.focus.it/scienza/spazio/la-prima-foto-di-un-buco-nero

https://physics.aps.org/articles/v9/62

https://www.focus.it/scienza/scienze/stephen-hawking-e-il-paradosso-dei-buchi-neri

https://www.reccom.org/2020/11/05/paradosso-di-hawking-un-passo-dalla-soluzione/

Interstellar: un viaggio nello spazio tempo, tra fisica e fantascienza

L’amore per la fisica di Nolan ritorna con Interstellar. Ma avrà commesso errori scientifici anche questa volta?

Christopher Nolan, lo sappiamo, nella fisica ci sguazza. E con Interstellar è voluto andare oltre. Si, perché ha coinvolto addirittura Kip Thorne, premio Nobel per la fisica nel 2017 per la scoperta delle onde gravitazionali. Quindi sarà fisicamente perfetto, direte voi… Non esattamente, perché, in genere, dove comincia Hollywood si ferma la fisica.

Siamo sulla Terra, dove una calamità naturale ha stravolto l’ecosistema, tanto da permettere come unica coltivazione quella del mais, mettendo così a rischio la sopravvivenza del genere umano. La NASA ha riscontrato vicino all’orbita di Saturno un cunicolo spazio-temporale, il cosiddetto wormhole, che si pensa sia stato creato da esseri penta-dimensionali. Esso, teoricamente, conduce da tutt’altra parte dell’Universo, precisamente vicino ad un gigantesco buco nero, Gargantua, attorno a cui orbitano ben dodici pianeti, che si spera possano ospitare la vita. La NASA decide così di inviare, nella missione spaziale Lazarus, dodici scienziati, uno per pianeta, per riportare dati sulla loro abitabilità.

Il protagonista è Joseph Cooper (Matthew McConaughey), ingegnere ed ex pilota della NASA, ridottosi a gestire delle piantagioni di mais. Durante una tempesta di sabbia, Cooper nota sul pavimento della camera di sua figlia Murph delle strisce di sabbia ben definite. Egli intuisce subito che si tratta di un codice binario che cela delle coordinate geografiche. Seguendo queste indicazioni giunge, insieme alla figlia dodicenne, ad una base NASA, dove il professor Brand gli mostra i dati ricevuti dagli scienziati della missione Lazarus, iniziata più di dieci anni prima. Cooper, nonostante le resistenze di Murph, parte quindi in missione per verificare la vivibilità di tre dei dodici pianeti.

Tutto il film si basa sull’esistenza del wormhole. Ma che cos’è, in fisica, un wormhole?

Il wormhole Lorentziano, o ponte di Einstein-Rosen, è una scorciatoia, un cunicolo, che per l’appunto squarcia lo spazio-tempo e unisce due punti remoti dell’Universo. Il wormhole dovrebbe essere composto da un buco nero d’entrata, che assorbe tutta la materia a sé circostante, e un buco bianco d’uscita, che al contrario la emette. Interessante a leggersi, ma abbiamo prove certe della loro esistenza? Purtroppo no. Infatti, mentre i buchi neri si basano su solide teorie e riscontri sperimentali (per i quali Penrose, Genzel e Ghez hanno vinto il premio Nobel per la fisica nel 2020, ne parliamo qui), i buchi bianchi costituiscono ancora una mera speculazione.

I primi wormhole attraversabili, che rispettano la Relatività Generale, furono ipotizzati per la prima volta proprio da Kip Thorne, consulente scientifico del film, e da un suo studente, Mike Morris (essi infatti presero il nome di wormhole di Thorne-Morris). Questo tipo di wormhole, tuttavia, pur essendo ammissibile nella Relatività Generale, richiederebbe la presenza di un particolare tipo di materia esotica con densità negativa di energia. Si presume, inoltre, che alcuni paradossi circa i viaggi nel tempo, insiti nella relatività generale, comportino l’irrealizzabilità dei viaggi tramite wormhole.

Quindi, per il momento, più che di scienza stiamo parlando di fantascienza.

Ma Cooper e la sua navicella, l’Endurance, attraversano comunque il fantomatico wormhole e arrivano nei pressi di Gargantua. Il film offre a questo punto una rappresentazione molto realistica di un buco nero supermassiccio, tanto da valergli il premio Oscar per gli effetti speciali, oltre che uno straordinario sforzo da parte degli scienziati.

Arrivano quindi sul pianeta di Miller, uno dei dodici scienziati della missione Lazarus. Distruttivi moti ondosi imperversano sulla superficie del pianeta, ricoperta unicamente da acqua. Questi moti ondosi sono prodotti dalla forte attrazione gravitazionale di Gargantua. Talmente forte, però, che avrebbe dovuto attrarre a sé, inesorabilmente, la stessa Endurance. Inoltre, come se non bastasse, nel film viene sottolineato come un’ora passata sul pianeta di Miller corrisponda a sette anni passati sulla Terra. Questo è un errore: infatti, affinché ciò si realizzi, il pianeta dovrebbe essere così vicino al buco nero da venirne irrimediabilmente risucchiato e, di conseguenza, distrutto.

Ma un’altra domanda sorge spontanea: qual è la fonte di calore di questi pianeti? Non c’è nessuna stella attorno ad essi. Come la Terra viene riscaldata dai raggi del Sole, anche i pianeti che orbitano attorno a Gargantua dovrebbero godere del calore di una Stella per permettere la vita: così non è, risultando freddi e inospitali.

Dopo mille peripezie, comunque, Cooper decide di entrare dentro Gargantua. Ma nella realtà dei fatti, non è possibile. L’incredibile forza di gravità di un buco nero comporterebbe un fenomeno chiamato spaghettificazione che, come suggerisce il nome, fa sì che un corpo, superato l’orizzonte degli eventi, si disintegri, tanto da ridursi alle dimensioni di uno spaghetto. Anche se decidessimo di ignorare questo fenomeno, saremmo comunque soggetti ad una spaventosa e letale dose di radiazioni fortemente energetiche (raggi X e raggi gamma), che non ci lascerebbero scampo. Infine, una forza gravitazionale così intensa, in pratica, fermerebbe il tempo! Quindi Cooper, una volta entrato nel buco nero, morirebbe di vecchiaia senza raggiungerne mai il centro. Ma andiamo oltre e parliamo del tesseract, un evergreen dei film di fantascienza.

Cooper giunge in una struttura a cinque dimensioni, il tesseract. Si accorge molto presto, però, che questa è una proiezione penta-dimensionale della stanza di sua figlia Murph. Capisce così che può inviare dei dati nel passato, per convincere sé stesso prima della partenza a restare a casa. Invia infine i dati relativi al buco nero a Murph, che nel frattempo è diventata una brillante fisica, affinché possa utilizzarli per risolvere l’annoso problema della sopravvivenza sulla Terra. Che sia una cosa tecnicamente irrealizzabile è chiaro, ma le motivazioni fisiche di ciò sono radicate nella teoria, più precisamente nei paradossi insiti nella stessa.

Facciamo finta che io inventi la macchina del tempo. Torno indietro nel passato e uccido mio nonno prima che possa nascere mio padre. Come ho fatto a nascere, inventare la macchina del tempo e uccidere mio nonno? Intrigante, vero? Benvenuti nel magico mondo dei viaggi nel tempo.

Il film si conclude con la visione di una stazione spaziale che sfrutta la penta-dimensionalità, realizzata grazie agli studi di Murph basati sui dati di Cooper.

Nonostante gli errori scientifici, la simulazione del buco nero ha rappresentato una delle più veritiere rappresentazioni mai realizzate. Saremo in grado di viaggiare nello spazio e nel tempo? Riusciremo, un giorno, a sfruttare i wormhole per raggiungere i posti più remoti dell’Universo? Non possiamo ancora saperlo, la scienza è ancora troppo giovane. Ma sognare non costa nulla.

Giovanni Gallo

Giulia Accetta

Buchi neri, grande passo avanti della scienza

Oggi per la prima volta nella storia vedremo le foto di un buco nero.
Un evento di portata storica.
È lo straordinario successo di un gruppo di ricerca formato da scienziati internazionali che ha riunito una rete di telescopi sparsi su tutta la Terra per raggiungere la risoluzione necessaria a “fotografare” il misterioso fenomeno.

La diretta della conferenza dell’Eso (European Southern Observatory) avrà inizio alle ore 15 e sarà trasmessa su Youtube nel canale della Commissione europea.
Su Focus lo speciale sarà trasmesso dalle ore 14:30 fino alle 16:00, e ancora in seconda serata questa sera alle 23:15.

I risultati del progetto, dal nome Event Horizon Telescope, segneranno una pietra miliare nell’astrofisica, che potrebbe confermare ma anche smentire alcune delle principali teorie che costituiscono la base della nostra comprensione del cosmo, inclusa la teoria della relatività di Albert Einstein.

 

 

 

I buchi neri si generano quando le stelle muoiono, collassano su se stesse e creano una “regione” dove la forza di gravità è così forte che nulla può sfuggire venendo risucchiati per sempre.

Fino ad oggi gli scienziati non sono mai stati in grado di fotografarli, ma sono riusciti solo ad ascoltarli: quando i buchi neri si scontrano l’uno con l’altro, rilasciano infatti enormi onde gravitazionali che sono state rilevate da appositi strumenti negli osservatori degli Usa e anche dell’Italia.

L’impossibilità di fotografare questi fenomeni è dovuta ad una serie di motivi.

La loro attrazione gravitazionale rende impossibile la fuga della luce.

Inoltre i buchi neri si trovano molto distanti dalla Terra.

Ciò che gli scienziati stanno cercando di catturare è “l’orizzonte degli eventi”, il confine di un buco nero e il punto di non ritorno oltre il quale tutto viene risucchiato per sempre.

 

 

 

Sebbene sia uno dei luoghi più violenti dell’universo, gli scienziati ritengono che i radiotelescopi possano catturare i fotogrammi dell’orizzonte degli eventi.

Oltre a mostrare l’immagine, gli scienziati sperano di fare chiarezza su alcuni dei temi più dibattuti in astronomia e fisica teorica. Uno di questi è la forma dei buchi neri: secondo la teoria della relatività, essi sono circolari, ma altri scienziati ritengono sia ‘prolata’, ovvero schiacciata lungo l’asse verticale, o ‘oblata’, schiacciata lungo l’asse orizzontale.

Se non fossero circolari, questo – secondo gli scienziati di Event Horizon Telescope – non vorrebbe dire che la teoria della relatività è sbagliata, ma che semplicemente “nella fisica c’è ancora molto da capire”.

Un evento di portata astronomica, proprio per restare in tema, che traccia un solco nello studio dell’astrofisica e che rischia di porre in discussione perfino il buon vecchio caro Albert Einstein.

Antonio Mulone