Boris Johnson fa dietrofront su Brexit: pronta una proposta di legge contraria agli accordi con l’Unione Europea

Boris Johnson, a capo del governo britannico, ha avanzato una proposta di legge sullo status commerciale dell’Irlanda del Nord, che va in contrasto con gli accordi precedentemente presi con l’Unione Europea. Se la proposta di legge fosse approvata, violerebbe un trattato internazionale.

La situazione dell’Irlanda del Nord

Il governo inglese non intende rispettare gli accordi presi con l’Unione Europea in seguito alla Brexit riguardo la posizione commerciale dell’Irlanda del Nord. Infatti, il paese, che fa parte del Regno Unito, rimane nel mercato comune europeo e nell’unione doganale, quindi rispetta gli standard qualitativi europei e lascia all’Europa la gestione dei controlli sulle merci. Questo, d’altronde, è quello che prevede il Protocollo dell’Irlanda del Nord, uno dei punti dell’accordo Brexit. Tale misura è ritenuta necessaria se si vuole evitare l’interruzione dei rapporti con l’Irlanda, la quale fa parte dell’Unione Europea. Non vogliamo assistere, infatti, a situazioni simili a quelle avvenute dopo la seconda guerra mondiale: episodi di violenza e lotta armata tra Irlanda e Irlanda del Nord, risolti poi con gli accordi di pace del Good Friday Agreement del 1998.

La proposta di legge

A causa della posizione commerciale dell’Irlanda del Nord, le merci che arrivano dal Regno Unito sono sottoposte a controlli e pratiche burocratiche che possono durare anche giorni, creando difficoltà alla popolazione di questa terra di mezzo. Così, il Regno Unito ha proposto una legge per alleggerire il carico di controlli: Johnson vuole creare una “corsia verde” e una “corsia rossa”. La prima per le merci provenienti dalla Gran Bretagna dirette in Irlanda del Nord, in modo che i controlli siano ridotti quasi a zero e quindi ci sia un lasciapassare. La seconda per le merci dirette nell’Unione Europea, che, invece, dovrebbero subire tutti i controlli del caso. Questo, chiaramente, violerebbe gli accordi con l’Europa.

Una corsia verde farebbe arrivare la merce in Irlanda del Nord senza alcun controllo; una volta giunta su questo territorio – che ricordiamo far parte del mercato europeo – nessun controllo sarebbe più richiesto per entrare nei territorio dell’Unione. Ciò, in poche parole, significherebbe che le merci del Regno Unito possono entrare tranquillamente all’interno dell’Unione Europea anche senza rispettare i suoi standard e il suo regime fiscale.

Le proposte di Boris Johnson non sono finite qui. Il governo britannico vorrebbe applicare all’Irlanda del Nord le stesse agevolazioni fiscali di cui beneficiano le regioni del Regno Unito: in questo modo la merce giungerebbe in Irlanda del Nord e quindi sul mercato europeo a prezzi stracciati. Inoltre, vorrebbe che fosse un un arbitrato indipendente a risolvere le controversie tra Regno Unito e Unione Europea, e non la Corte di Giustizia dell’Unione, com’è invece previsto dal protocollo su alcuni argomenti particolari.

Bandiere del Regno Unito, dell’Unione Europea e dell’Irlanda (Fonte: lawyersforbritain.org)

La precedente proposta dell’Unione

L’Unione Europea, nell’ottobre 2021, aveva proposto delle modifiche per alleggerire le pratiche burocratiche per alcuni prodotti in arrivo dalla Gran Bretagna. La carne refrigerata – fondamentale in Irlanda del Nord per la produzione di salsicce -, i medicinali e le piante sarebbero arrivate a destinazione con meno della metà dei controlli fino quel momento previsti. Il Regno Unito, però, ha rifiutato la proposta, portando la Commissione a non voler più aprire trattative.

La risposta dell’Unione e del partito laburista

La Commissione Europea, in risposta all’iniziativa britannica, ha riaperto una procedura d’infrazione, avviata nel 2021, nei confronti del Regno Unito, per presunta violazione del Protocollo dell’Irlanda del Nord. Oltre a due procedure d’infrazione minori per presunta mancata esecuzione dei controlli necessari e per la fornitura di dati statistici commerciali.

Maroš Šefčovič, vicepresidente della Commissione Europea, afferma:

“La fiducia presuppone l’adempimento degli obblighi internazionali. L’azione unilaterale non è costruttiva, la violazione degli accordi internazionali non è accettabile. Il Regno Unito non rispetta il protocollo: è il motivo per cui oggi avviamo queste procedure d’infrazione.”

Anche i laburisti si schierano per il rispetto del protocollo, contro Johnson. David Lammy, il deputato laburista, esprime il suo pensiero in un articolo del Guardian:

“Fu l’accordo di Boris Johnson che introdusse barriere nel Mare d’Irlanda dopo aver promesso che non l’avrebbe fatto. I conservatori devono assumersi la responsabilità dei problemi del protocollo che devono essere risolti.”

Manifestazione contro Boris Johnson (Fonte: informazione.it)

Le supposizioni sulla proposta di Johnson

La Brexit è realmente un argomento che Boris Johnson ha a cuore o solo un tentativo di spostare l’opinione pubblica su altri argomenti? Negli ultimi mesi, le feste organizzate dal primo ministro in casa sua durante il lockdown, tra il 2020 e il 2021, stanno facendo scalpore. Queste violavano le limitazioni imposte dal governo stesso contro la pandemia.

Inoltre, a causa delle diverse polemiche attorno alla figura di Johnson, 54 parlamentari conservatori avevano chiesto il voto di fiducia sul ministro. Tale voto ha avuto esito positivo, ma con una scarsa maggioranza: 148 parlamentari su 359 hanno votato contro il proprio leader. Questo dimostra quanto sia fragile l’equilibrio interno e fa riflettere sull’improbabile lunga durata del governo.

Probabilmente Johnson vuole solo distogliere l’attenzione dai problemi che stanno interferendo con la sua carriera politica. D’altronde, come afferma David Carretta, un esperto giornalista che copre le istituzioni europee:

“Ogni volta che si è trovato in difficoltà, Johnson ha usato la carta Brexit.”

 

Eleonora Bonarrigo

 

Partygate, Boris Johnson e le feste durante il primo lockdown. Le scuse del premier e le indagini di Scotland Yard

Al numero 10 di Downing Street l’occhio del ciclone sembra non indietreggiare e mentre le notizie si rincorrono e la posizione del premier Boris Johnson si aggrava, Scotland Yard fa sapere di aver avviato un’inchiesta sullo scandalo partygate per le feste a Downing Street in presunta violazione delle regole anti-Covid. L’annuncio è stato dato dalla comandante della Met Police Cressida Dick. Mentre in molti chiedono le dimissioni di BoJo, così rinominato dalla stampa britannica, il primo ministro, il cui obiettivo risiede nel condurre il Regno Unito fuori dall’emergenza, torna a difendersi.

“Nessuno mi ha detto che quello che stavamo facendo era contro le regole. Me lo sarei ricordato”.

La festa privata con 100 invitati

La notizia relativa ad una festa privata “bring your own booze”, in cui i partecipanti sono invitati a “portare il proprio alcool” è stata riportata dal Telegraph, ma l’informazione sarebbe trapelata da una mail inviata dal segretario personale di BoJo, Martin Reynolds, nella quale si legge chiaramente di un invito per il personale intorno “alle 6 di pomeriggio”, nel giardino della sede del governo a Downing Street per un ricevimento “socialmente distanziato” che permettesse di “sfruttare il bel tempo al meglio, dopo un periodo di lavoro intenso”. L’invito sarebbe stato esteso a un centinaio di dipendenti. Il party risale al maggio del 2020 quando, in pieno lockdown le disposizioni anti-covid vietavano qualsiasi tipo di assembramento.

Boris Johnson, festa con 100 invitati durante il lockdown (fonte: fanpage.it)

Sull’onda dello scandalo e delle proteste dei cittadini, Johnson, che non ha mai fatto mistero del proprio disprezzo nei riguardi delle norme, quando deve applicarle a sé stesso, ha rivolto le proprie scuse alla popolazione, asserendo si trattasse di un incontro di lavoro e dichiarando di comprendere

“l’angoscia che hanno provato non potendo piangere i propri defunti, non potendo vivere le proprie vite nel modo in cui volevano o fare le cose che amavano. E capisco la rabbia che nutrono verso di me e verso il governo che guido, se pensano che nella stessa Downing Street le regole non vengano seguite con osservanza dalle stesse persone che le fanno.”

Il compleanno durante il lockdown 

I fatti risalgono al 19 giugno 2020, giorno del 56esimo compleanno del premier, durante il primo lockdown. Come divulgato da Itv News, Carrie Sydmonds avrebbe organizzato una festa a sorpresa al marito al n.10 di Downing Street, alla quale presero parte circa 30 persone (fra cui molti funzionari) in violazione delle regole anti-Covid vigenti allora. L’evento, con tanto di torta di compleanno, si sarebbe svolto nel pomeriggio all’interno della Cabinet Room, dove è solito riunirsi il Consiglio dei ministri. La conferma è arrivata direttamente da Downing Street, che ha ammesso come “un gruppo di dipendenti che lavorava al n. 10 quel giorno si è riunito brevemente nella Cabinet Room dopo un incontro per augurare un buon compleanno al primo ministro”. Sempre secondo le dichiarazione, il premier si sarebbe intrattenuto meno di 10 minuti.

Boris Johnson, festa di compleanno durante il lockdown (fonte: rainews.it)

La festa il giorno prima del funerale del principe Filippo

Il 16 Aprile 2021, pur esenti da rigide disposizioni anti-covid, escludendo il limite per i ricevimenti all’aperto era di sei persone, il paese affrontava un periodo di lutto per la morte del principe Filippo. Secondo il Telegraph, consiglieri e funzionari pubblici si sarebbero riuniti dopo il lavoro per salutare James Slack, il capo della comunicazione del premier e per congedare uno dei fotografi personali del primo ministro. Anche in seguito a questa circostanza il primo ministro, tramite il portavoce, avrebbe rivolto le proprie scuse alla nazione.

“È del tutto deplorevole che ciò sia avvenuto in un momento di lutto nazionale”

L’inchiesta di Scotland Yard

La polizia britannica indagherà “in modo imparziale” e “senza timori né favoritismi” su otto dei 17 party che si sono svolti nella residenza del premier Boris Johnson e a Whitehall negli ultimi due anni. Così, Cressida Dick, il capo della Metropolitan Police (Met): “Posso confermare che il Met sta indagando su una serie di eventi che ebbero luogo a Downing Street e Whitehall negli ultimi due anni in relazione a potenziali violazioni delle normative Covid“. Dick, ha inoltre rivelato che è inusuale che la polizia si occupi di faccende simili, alla luce del tempo trascorso, ma ha spiegato di comprendere la “profonda preoccupazione pubblica” per il comportamento del governo a fronte degli “enormi sacrifici” sopportati dalla popolazione durante l’emergenza sanitaria.

 

Elidia Trifirò

Inghilterra ed Israele, le prime riaperture. Italia alla rincorsa del modello inglese

Dopo ben 99 giorni di lockdown invernale, la Gran Bretagna ha potuto finalmente festeggiare lo scorso lunedì 12 aprile l’avvio della fase due della ‘’road map’’, stabilita dalle autorità britanniche per una graduale riapertura della nazione.

L’Inghilterra riapre pub, negozi e palestre. Fonte: AGI

Si tratta del primo Paese europeo a stare dimostrando già da ora i risultati di un’efficiente campagna vaccinale, così come lo Stato di Israele sta facendo in territorio extra-europeo. L’Italia ha invece annunciato, per voce del sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, di puntare al mese di giugno per una riapertura all’inglese. A trovarsi in grandi difficoltà è piuttosto il Cile che, nonostante l’ampia campagna vaccinale, pare essere ancora in piena crisi di trasmissione.

Gli inglesi tornano alla normalità

Lunghissime file davanti a pub e negozi, tra assembramenti vari e pinte di birra in mano: questo lo scenario in diverse città del Regno Unito già nelle prime ore di un lieto lunedì inglese, che è stato pronto ad accogliere il piano di allentamento delle restrizioni per la pandemia, deciso in precedenza dal governo. Esso prevede la riapertura di negozi non essenziali, edifici pubblici, palestre, piscine – e ancora – bar, pub e ristoranti (con possibilità di fare servizio solo all’aperto ma senza limiti di orario).

Ma il primo ministro inglese Boris Johnson ha tenuto comunque a precisare, in un intervento su Bbc, che il graduale percorso di uscita dalle restrizioni anti Covid – protrattesi per oltre 3 mesi – comporterà in modo inevitabile una ripresa di casi di contagio e conseguenti decessi. Durante l’intervento, Boris ha inoltre evidenziato il merito del rigido lockdown imposto a fine gennaio (che vietava di uscire di casa se non per motivi di salute o necessità) e dell’ottimo andamento della campagna vaccinale nel rendere possibili delle simili riaperture:

«È molto molto importante che tutti capiscano che la riduzione dei ricoveri, delle vittime e dei contagi non è stato ottenuto dal piano vaccinale. Penso che la gente non capisca che è stato il lockdown ad essere incredibilmente importante nell’ottenere questi miglioramenti. Naturalmente i vaccini hanno aiutato ma il grosso del lavoro è stato fatto dal lockdown», ha detto il premier inglese.

Il Regno Unito non deve abbassare la guardia

Il Regno Unito è al momento il paese con la più alta percentuale di abitanti vaccinati dopo Israele, trascurando ovviamente i dati delle piccole nazioni.

Il motivo di tale successo deriva senz’altro dalla negoziazione in autonomia dei vaccini e da un’aggressiva strategia vaccinale, con la quale si è cercato di somministrare la prima dose a più persone possibili, senza badare molto alla conservazione di scorte per i richiami: il 47% delle persone ha ricevuto la prima dose del vaccino, ma il ciclo vaccinale è stato completato soltanto dall’11%. Dalla combinazione tra protezione della prima dose di vaccino e rigide misure restrittive è derivato quindi un sostanziale calo di contagi e terapie intensive.

Secondo uno studio condotto dall’Imperial College di Londra, il Regno Unito dovrebbe essere diventato dal 12 aprile scorso ‘’territorio dell’immunità di gregge’’, dal momento che i tre quarti della sua popolazione possiede gli anticorpi contro il Covid, grazie alle avvenute guarigioni e agli oltre 40 milioni di dosi vaccinali fino ad ora somministrati.

Lunga coda di persone davanti al pub di Coventry. Fonte: BBC

Non bastano tuttavia tali numeri per abbassare la guardia. Per questo, già nei giorni scorsi, sono scattate le prime indagini di polizia e minacce di multe per via dell’eccessivo entusiasmo segnalato in diverse zone del Paese per la ripresa del servizio dei pub, tradizionali luoghi di ritrovo per moltissimi inglesi.

Tra i casi limite, spicca quello del pub ‘’Oak Inn’’ di Coventry, finito sotto investigazione a causa di un assembramento di persone che fin dalla mezzanotte si erano radunate in fila, con pochissimo distanziamento tra loro.

L’Israele riapre grazie alle vaccinazioni

In Israele tutto sta gradualmente tornando alla normalità, dimostrando al resto del mondo che non per forza è necessaria l’immunità di gregge per sconfiggere la pandemia e far ripartire l’economia: vaccinare il 55% dei cittadini è stato sufficiente. Tale percentuale (più alta ove la popolazione fosse più anziana) sarebbe infatti sufficiente per bloccare la trasmissione del virus e proteggere i soggetti a rischio mediante una ‘’protezione indiretta’’, fatta di vaccinazioni e restrizioni.

Ad intervenire sul tema il noto divulgatore scientifico italiano Roberto Burioni, che ha mostrato attraverso una serie di tweet la curva dei contagi in Israele, per dimostrare l’importanza dell’immunizzazione con i sieri anti-covid.

Covid Israele. Fonte: Quotidiano.net

Dalla task force anti Covid di Gerusalemme sono poi arrivati degli incoraggiamenti rivolti all’Italia:
“Ce la farete, come ce l’abbiamo fatta noi”, ha dichiarato Arnon Shahar, capo della task force israeliana.
Il medico, intervistato da Sky Tg24, ha poi continuato dicendo:

«non abbiamo ancora una vita normale, ma ci stiamo arrivando. La nostra è stata una Pasqua diversa. Siamo stati a casa e in famiglia», ma ora «possiamo sperare di poter togliere la mascherina all’aperto entro la fine di aprile».

E ancora:

«Le scuole sono aperte, anche se non totalmente. Le elementari sono tutte aperte, le medie ‘’in capsule’’, e stiamo valutando se fare tornare anche loro alla normalità». Infine, Shahar ha rivelato di essere stato anche a un concerto «con quasi mille persone, tutte con il patentino verde che dimostra che sono state vaccinate o guarite da Covid, e tutte con la mascherina».

L’Italia spera nel mese di maggio

Per quanto riguarda l’Italia, la decisione sulle riaperture verrà molto probabilmente presa la prossima settimana dal Consiglio dei ministri. Non è possibile fissare con certezza una data, anche se si prospetta già un mese di maggio fatto di progressive aperture.

‘’Riaprire in sicurezza ristoranti a pranzo e a cena sfruttando gli spazi all’aperto’’, questa l’ipotesi contenuta nella bozza delle linee guida sulle riaperture che le Regioni sottoporranno al Governo alla Conferenza Stato-Regioni, confermando inoltre le misure di protezione già in atto.
Il sottosegretario alla Salute Sileri ha detto la sua intervenendo nel programma ‘’Agorà‘’ su Rai 3, confermando di essere a favore delle riaperture ma con giudizio:

«Abbiamo dei dati in miglioramento – osserva Sileri – L’Rt è sceso e verosimilmente continuerà a scendere», quindi «io immagino che consolidando i dati, scendendo largamente sotto un’incidenza di 180 casi ogni 100mila abitanti, a quel punto dal 1 di maggio si può tornare a una colorazione più tenue delle Regioni: le Regioni gialle ovviamente riaprono e qualcuna potrebbe essere bianca», anche se ora «questo non posso saperlo». Anche «riaprire la sera i ristoranti potrebbe essere fattibile. Non dal 1° maggio», precisa il sottosegretario, «ma progressivamente di settimana in settimana nel mese di maggio, fino ad arrivare ai primi di giugno con una riapertura modello inglese».

Sileri parla di possibili aperture. Fonte: LaNotiziaGiornale.it

Il perché della crisi cilena spiegato da Crisanti

Il caso del Cile è alquanto singolare, ritrovandosi quest’ultimo con un continuo aumento di contagi nonostante l’ampia campagna vaccinale: solo pochi giorni fa il paese sudamericano ha registrato un nuovo record di casi giornalieri, con 9.171 positivi rilevati in quelle ultime 24 ore.
A parere del virologo italiano Crisanti la crisi cilena:

«si spiega con le varianti. Sicuramente in questo Paese è stato usato in maniera massiccia un vaccino cinese che non è proprio uno dei migliori al mondo, Sinovac, ed evidentemente non si è rivelato abbastanza efficace. Ma non è solo questo. Loro sono pieni di varianti e la trasmissione è continuata in maniera sostenuta, alimentata dal liberi tutti, dall’allentamento delle restrizioni».

Gaia Cautela

Accordo su Brexit criticato dagli unionisti nordirlandesi: ecco perché non vanno più bene alcuni suoi punti

Oggi, lunedì 22 febbraio, è iniziata una campagna politica e giudiziaria guidata dalla leader del principale partito degli unionisti nordirlandesi, il DUP (Democratic Unionist party), con l’obiettivo di convincere il governo conservatore britannico guidato da Boris Johnson ad apportare delle modifiche su alcune parti essenziali dell’accordo su Brexit. Il motivo sarebbe legato all’allontanamento dell’Irlanda del Nord dagli altri territori del Regno Unito, dovuto proprio alle conseguenze di alcuni punti del trattato.

Graffiti degli unionisti in segno di protesta. Fonte: Il Post

È con tali premesse che in questa giornata si terrà un dibattito sul tema alla Camera dei comuni britannica e che, nei prossimi giorni, verranno presentati dal partito una serie di ricorsi legali per dichiarare l’illegittimità dei punti criticati nelle corti inglesi, nordirlandesi e delle istituzioni europee.

«Le tenteremo tutte per provare a ottenere giustizia per il popolo dell’Unione», ha comunicato una fonte del partito al quotidiano britannico ‘’The Guardian’’.

I motivi delle contestazioni

Il principale motivo delle polemiche degli unionisti è il trovato compromesso del primo ministro britannico nell’ottobre del 2019, con il quale si mise fine alla situazione di stallo dovuta ai lunghi negoziati, accettando la presenza dell’Irlanda del Nord sia nel mercato comune europeo che nell’unione doganale.

In tal modo, se da una parte è stato soddisfatto un obiettivo condiviso da entrambi le parti della negoziazione (europei e britannici) di evitare la costruzione di barriere fisiche fra le due Irlande, dall’altra si è assistito ad un indebolimento del legame fra Irlanda del Nord ed il resto del Regno Unito.

Fonte: JPress

In effetti, da quando il Regno Unito ha completato la sua uscita dall’Unione Europea il primo gennaio 2021, gli impedimenti burocratici tra l’Irlanda del Nord ed il resto dei territori britannici non hanno fatto altro che moltiplicarsi: i supermercati nordirlandesi non si sono potuti più rifornire dall’Inghilterra e ciò ha provocato un’iniziale penuria di prodotti alimentari, oltre che ad un ripensamento generale delle tratte commerciali.

Altre conseguenze – tra le più contestate dell’accordo – riguardano la necessità di un nuovo passaporto per gli animali domestici di chi viaggia fra Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito e l’impossibilità di acquistare online alcuni prodotti della Gran Bretagna. A ciò si aggiunge l’entrata in vigore nei prossimi mesi di nuovi iter burocratici, come quello richiesto ad esempio per l’esportazione delle salsicce di maiale (assai diffuse nelle colazioni inglesi) che potrebbe renderle molto più costose per i nordirlandesi.

Fonte: Eunews

Il DUP cambia idea

Da alcuni anni il DUP aveva grandi aspettative sull’alleanza con il partito Conservatore, tradizionalmente più legato all’integrità territoriale rispetto ai Laburisti: alle elezioni britanniche del 2017 sostennero apertamente il governo Conservatore di Theresa May, la quale non avrebbe altrimenti ottenuto una maggioranza parlamentare e che si è sempre opposta a lasciare l’Irlanda del Nord così legata all’Unione Europea.

La leader del DUP Arlene Foster, nei primi giorni, addirittura difese il compromesso di Johnson, nella convinzione che si sarebbe comunque trovata una soluzione per preservare il legame privilegiato dell’Irlanda del Nord con gli altri territori britannici. Oggi però i toni di Foster sono completamente cambiati, come dimostrano le sue affermazioni di qualche giorno fa:

«è stato il primo ministro britannico a metterci in questa situazione e causare queste difficoltà interne al mercato britannico, quindi spetta a lui risolverle».

La Foster criticata dal giornalista Murray

Eppure – secondo quanto commentato dal giornalista Conor Murray sul sito della tv pubblica irlandese RTÉ – le critiche della Foster non sono credibili, dal momento che le potenziali conseguenze della Brexit sono già note da un anno e mezzo:

«Montare un’opposizione ai diversi regimi commerciali [fra Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito] potrebbe fare parte di un cinico tentativo di galvanizzare la propria base elettorale», ha detto.

La leader del DUP Arlene Foster. Fonte: BBC

Incertezze sulla campagna di pressione del DUP

Non è ancora ben chiaro in che modo il DUP intenderebbe contestare il Protocollo definito dall’accordo su Brexit che regola lo status dell’Irlanda del Nord, ma alcune ipotesi si stanno già facendo strada: in passato il DUP e i suoi governi regionali erano ricorsi al petition of concern, un meccanismo che aveva impedito l’applicazione di alcune leggi del governo centrale nell’Irlanda nel nord senza che ci fosse il consenso della comunità nordirlandese; è possibile quindi che un simile provvedimento venga preso anche in questo caso.

Ciononostante, il governo britannico e le istituzioni europee non hanno – almeno per il momento – manifestato alcuna intenzione di modificare radicalmente l’accordo su Brexit, così come non è possibile sapere con certezza fino a che punto la campagna di pressioni del partito Partito Unionista Democratico possa funzionare.

Gaia Cautela

A partire dall’1 gennaio 2021 in vigore il nuovo accordo su Brexit. Ecco cosa cambierà

Il 24 dicembre, a pochi i giorni dall’ 1 gennaio, è arrivato l’accordo sulla Brexit con Bruxelles.

Questo sancisce definitivamente che la Gran Bretagna si separerà dall’Unione Europea.

Facciamo un passo indietro. Come si è arrivati alla Brexit?

La storia del divorzio amichevole, così come è stato definito dal Financial Times, tra Regno Unito e Unione Europea ha avuto inizio il 23 giugno 2016 con il voto popolare del referendum che approvò l’uscita del Regno Unito dall’UE. In realtà, potremmo tornare più indietro nel tempo per rintracciare i primi segnali di questa separazione. Non è un mistero che la Gran Bretagna è sempre stata euroscettica. Lo prova il fatto che aderì alla CEE soltanto nel 1973, dopo la creazione nel ’60 di un’area di scambio alternativa; lo prova la mancata adozione dell’euro; lo prova la decisione di non aderire all’ area Schengen. La Brexit, dunque, non ha colto di sorpresa l’Europa.

All’euroscetticismo, negli anni 2000, si sono aggiunti il crollo finanziario, la preoccupazione dell’opinione pubblica sull’immigrazione e la minaccia politica del partito antieuropeista di destra guidato da Nigel Farage. Tutti fattori che hanno portato il conservatore David Cameron, nel 2015, a promettere, se avesse vinto le elezioni, un referendum sulla Brexit.

David Cameron – Fonte: www.independent.co.uk

Sono seguiti difficili anni di negoziati che hanno visto impegnata anche l’ex premier Theresa May e che si sono conclusi con la vittoria alle elezioni di Boris Johnson e il via libera del Parlamento britannico alla Brexit, la cui realizzazione è avvenuta il 31 gennaio del 2020.

Il difficile cammino verso l’accordo

A partire dall’ 1 febbraio 2020 si è aperta una fase di transizione di 11 mesi per cercare un accordo che regolasse la nuova relazione con l’UE. Mesi difficili, in cui le due parti coinvolte hanno dovuto mediare tra la difesa dei propri interessi e la necessità di scendere a compromessi.

Più volte si è prospettato lo scenario del “no deal”, cioè la possibilità di arrivare all’1 gennaio 2021 senza aver raggiunto un’intesa. Il mancato accordo, prima di tutto, avrebbe messo in pericolo l’economia sia dei paesi dell’Unione sia della Gran Bretagna. L’immediata conseguenza sarebbe stata l’introduzione di dazi e tariffe nello scambio delle merci, il che avrebbe implicato un aumento del loro prezzo per i consumatori. Mark Carney, il governatore della banca d’Inghilterra, aveva affermato che l’ipotesi del no deal avrebbe causato “uno shock istantaneo” all’economia britannica, facendo schizzare i prezzi alle stelle e diminuendo il potere d’acquisto delle famiglie. Ma sarebbero stati in pericolo anche i paesi esportatori, come l’Italia.

Theresa May – Fonte: www.independent.co.uk

A livello politico, il no deal avrebbe compromesso la carriera di Boris Johnson, salito al potere, dopo il fallimento di Theresa May, con l’impegno di realizzare la Brexit ad ogni costo e già messo in cattiva luce dalla gestione della pandemia. Non è un caso, forse, che l’accordo sia arrivato pochi giorni dopo la diffusione della notizia della nuova variante del Covid, che in Gran Bretagna ha fatto salire alle stelle il numero di vittime e ha provocato la sospensione dei voli aerei da più di 40 paesi.

Cosa prevede l’accordo

Cerchiamo adesso di capire come cambierà, in base all’accordo, la relazione tra Gran Bretagna e Unione Europea.

Il patto prevede la liberalizzazione degli scambi commerciali, grazie alla rimozione di dazi e quote. Questo, tuttavia, non implica la caduta di ogni barriera: sono previsti alla dogana controlli di merci e di persone. Gli scambi saranno più difficili e più lunghi.

Per visitare il Regno Unito sarà necessario il passaporto. Se si permane per turismo e per meno di sei mesi non sarà obbligatorio il visto, indispensabile invece se ci si trasferisce nel Paese per motivo di lavoro o per più di sei mesi.

Con l’accordo, arriva anche una nota dolente per gli studenti universitari: il governo britannico non prenderà più parte al progetto Erasmus, aderendo invece al Turing Scheme, programma che permetterà agli studenti britannici di studiare non solo nelle università europee ma anche nelle migliori del mondo.

Il patto regolamenta anche la pesca, una questione controversa che più volte ha rischiato di far precipitare i negoziati. Fino al giugno 2026, i pescherecci UE potranno accedere alle acque territoriali britanniche ma dovranno ridurre il pescato del 25%. Dopo questa data, l’accesso e le quote saranno ristabilite ogni anno.

Un’altra questione disciplinata è quella della concorrenza sleale tra aziende europee e aziende britanniche: è stato stabilito un minimo standard ambientale, sociale e dei diritti dei lavoratori al di sotto del quale nessuno potrà scendere, con la possibilità di intervenire nel caso in cui si ritenga che l’altra parte stia facendo concorrenza sleale.

Una vittoria importante per Johnson riguarda la Corte di Giustizia, che cesserà di avere potere giuridico sul Regno Unito e sarà sostituita da un arbitrato indipendente.

Una conquista importante per l’UE è stata invece l’introduzione di una clausola per regolare l’eventuale violazione del patto, che prevede l’imposizione di dazi su alcuni beni.

Non è presente, invece, nessuna norma relativa al settore dei servizi finanziari. Una grave perdita per la Gran Bretagna, la cui economia attinge enormemente dall’esportazione dei servizi verso l’UE. La City di Londra, l’importante centro finanziario che comprende la Banca d’Inghilterra, la Borsa, le Corti di Giustizia e molte banche e società assicurative internazionali, cesserà di far parte del mercato finanziario unico europeo.

L’entusiasmo per l’accordo

L’accordo è stato accolto con entusiasmo da Boris Johnson:

“Per la prima volta dal 1973 il Regno Unito sarà uno stato costiero indipendente con il pieno controllo delle nostre acque di pesca”.

Rassicuranti le parole di Ursula von der Leyen che precisa come si tratti di un accordo bilanciato che rispetta gli interessi di entrambe le parti.

Soddisfatto dell’intesa anche il premier Conte, sicuro che l’accordo garantisca gli interessi e i diritti di imprese e cittadini europei. Si dimostra entusiasta anche il ministro per gli affari europei Enzo Amendola:

“Deal, accordo raggiunto in extremis tra Ue e Uk. Un buon compromesso che tutela innanzitutto gli interessi di cittadini e aziende europee. Da oggi la Brexit è il passato, il futuro è l’Europa”.

Il ministro Enzo Amendola – Fonte: www.statoquotidiano.it

Sentiremo ancora parlare di Brexit?

Non possiamo, però, come il ministro Amendola essere certi che la Brexit appartenga ormai al passato. Si pensi, ad esempio, alla questione della pesca che dal 2026 riaprirà nuove trattative. Per non parlare del fatto che l’applicazione dell’accordo aprirà, di certo, in futuro delle controversie che faranno riemergere l’argomento Brexit.

Non è un capitolo chiuso né per la Gran Bretagna che sarà impegnata nei prossimi mesi ad affrontare le difficoltà implicate nell’applicazione dell’accordo né per l’Unione Europea che ne esce moralmente sconfitta. Ne è consapevole la stessa Ursula Von der Leyen:

“Questo, fino ad oggi, era il gruppo a cui tutti volevano unirsi, non andarsene”.

Chiara Vita