Diabete Mellito e Covid-19: l’incontro di due pandemie

Il diabete mellito di tipo 2 e l’obesità rappresentano due entità cliniche spesso correlate, oggi dilaganti fra la popolazione mondiale, tanto da costituire una vera e propria pandemia.

Nel 2019 nel mondo erano 463 milioni le persone con diabete mellito tipo 1 e 2, di cui 59 milioni in Europa. Si prevede che nel 2045 si arriverà a 700 milioni di soggetti affetti.

Si tratta di dati allarmanti e dalla crescita esponenziale. Nonostante ciò, il diabete continua ad essere descritto come una “pandemia silenziosa” poiché, alla stregua di molte altre patologie croniche, non suscita la stessa preoccupazione delle malattie infettive acute. Queste ultime, per la loro celere modalità di trasmissione, accompagnata da un rapido impennarsi di contagi, vedono maggiore impatto nella visione collettiva. Questo è uno fra i tanti effetti che stiamo sperimentando a nostre spese in questo delicato periodo, con il crescere del numero di soggetti positivi al Covid-19.

Da un lato abbiamo una pandemia silenziosa, che per le sue caratteristiche ha tutto il tempo necessario per evolversi e condurre verso quadri clinici severi, dall’altro quella da Coronavirus, che per le sue implicazioni cliniche e socioeconomiche è tutt’altro che silente.

Pur essendo delle entità diverse, le due pandemie celano aspetti che le vedono co-protagoniste, scontrandosi clinicamente su più fronti.

Il diabete rappresenta non solo una tra le più frequenti comorbilità segnalate nei pazienti con COVID-19, ma anche un fattore di rischio per gli esiti più severi che la contrazione dell’infezione può avere nei pazienti diabetici.

 

                                                   Dati: International Diabetes Federation, IDF DIABETES ATLAS IX Edizione 2019

Globesità

L’obesità ha un ruolo chiave nell’insorgenza del diabete mellito di tipo 2.

A livello mondiale, negli ultimi 40 anni, il numero di soggetti obesi è quasi triplicato. Anche l’obesità si accompagna più frequentemente a forme critiche di COVID-19.

Un importante studio denominato CORONADO ha valutato specificatamente la relazione esistente tra le classi di Body Mass Index (BMI) e la prognosi di COVID-19 nei pazienti diabetici.

Sono state analizzate le caratteristiche cliniche dei pazienti diabetici e i risultati correlati al COVID-19, in termini di maggiore ricorso a intubazione attraverso ventilazione meccanica invasiva e aumentata mortalità, in base al BMI individuale.

Come atteso, è emerso che l’obesità conclamata si associa a una prognosi infausta nei pazienti con diabete ricoverati per COVID-19.

Aspetti nutrizionali

L’eccessivo consumo di alimenti ricchi in grassi saturi, zuccheri e carboidrati raffinati contribuisce ad incrementare la prevalenza di tali condizioni morbose.

Questo tipo di alimentazione, ipercalorica e disregolata, costituisce uno tra i principali fattori responsabili della compromissione del nostro sistema immunitario, in grado di alterare i meccanismi di difesa dell’ospite contro i virus.

Pertanto, in questo periodo più che mai risulta necessario migliorare il proprio stile di vita, ricercando cibi sani, ai fini di ridurre la suscettibilità e le complicazioni a lungo termine da COVID-19.

Glucovigilanza

Oltre alle misure preventive generali, è necessario monitorare regolarmente la glicemia. Si tratta di un parametro costituente un importante punto di snodo per l’iter terapeutico di tutti i pazienti diabetici.

Nei pazienti affetti da Covid non è di infrequente riscontro anche uno scarso controllo glicemico.

D’altra parte questi pazienti, anche se non sono affetti da Covid-19, sono a rischio di inadeguato controllo glicemico.  Ciò è dovuto alle misure restrittive che hanno compromesso, soprattutto nei mesi scorsi, una assidua assistenza sanitaria.

La pandemia da COVID-19 ha influenzato la gestione dei pazienti diabetici in modi senza precedenti, rendendola più difficoltosa di quanto non fosse già. Tuttavia, con il subentrare della nuova era digitale anche in campo medico, gli sviluppi della telemedicina offrono innovative possibilità nel monitoraggio dei pazienti.

Gli inibitori di DPP-4 come innovativa strategia terapeutica del Covid-19

Fonte: V. Stalin Raj et al Nature, “Il Recettore DPP4 essenziale per la replicazione dei Coronavirus Umani”

Tra le via d’ingresso del Coronavirus a livello cellulare, una tra le più peculiari è rappresentata da quella che sfrutta il recettore Dpp-4. Esso, presente su tutte le cellule dell’individuo ospite, costituisce una “serratura molecolare” che il virus usa per invaderle.

Si tratta della stessa via  su cui agiscono mirabilmente molti farmaci anti-diabete, noti come Inibitori di DPP-4. Ciò indica che gli stessi farmaci potrebbero essere usati contro il Covid-19, almeno nei casi più lievi.

L’osservazione ha aperto il campo a nuove strategie e ipotesi per il futuro, ma al momento si attendono ulteriori studi, affinchè si possa avvalorare il ruolo protettivo di tale possibilità terapeutica.

Prospettive future

Un messaggio positivo è quello emerso da uno studio condotto dai ricercatori dell’Ospedale San Raffaele. Alla luce dei risultati ottenuti, i pazienti diabetici sono in grado di produrre anticorpi con la stessa efficacia della popolazione sana.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Diabetologia, lascia uno spiraglio di fiducia: quando sarà disponibile un vaccino per il nuovo coronavirus, tra quelli attualmente in corso di sperimentazione, è plausibile che anche i pazienti diabetici potranno beneficiarne.

Pertanto, se da un lato i soggetti con DM2 hanno rappresentato e continuano a rappresentare una fascia di popolazione tra le più colpite da severe complicanze da Covid-19, dall’altro lasciano intendere possibilità terapeutiche che danno speranza.

                                                                                                                                                                                                                              Federica Tinè

 

Bibliografia:

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32345579/

“Clinical characteristics and outcomes of patients with severe covid-19 with diabetes”

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32369736/

“Association of Blood Glucose Control and Outcomes in Patients with COVID-19 and Pre-existing Type 2 Diabetes”

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33062712/

Clinical Features of COVID-19 Patients with Diabetes and Secondary Hyperglycemia”

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32413342/

COVID-19 in diabetic patients: Related risks and specifics of management”

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33051976/

“Relationship between obesity and severe COVID-19 outcomes in patients with type 2 diabetes: results from the CORONADO study”

 

 

 

 

Il “peso” del DNA nell’obesità

L’obesità è uno dei problemi più rilevanti del mondo occidentale, attribuibile allo stile di vita e non solo.

Basti pensare che in Italia, nel 2015, il 35% della popolazione è in sovrappeso, mentre il 9,8% è obesa. Si tratta di un fenomeno in continua crescita, che non risparmia nessuna fascia di età. I motivi sono vari, ma una scorretta dieta e una vita sedentaria sono i più importanti.

Sono soltanto fattori modificabili a favorire lo sviluppo di sovrappeso e obesità? In realtà altri protagonisti concorrono allo sviluppo di queste condizioni, anche se in passato veniva dato loro un ruolo marginale.

Si è visto, infatti, che molti geni regolano il metabolismo del tessuto adiposo e un corretto controllo del peso corporeo, tra cui FTO e IRX3.

Milioni di mutazioni possono influenzare in diversa misura l’obesità: può bastare soltanto un gene mutato ed è il caso di MC4R, ovvero il recettore della melanocortina. Un suo deficit potrebbe correlare con un’obesità monogenica, cioè dovuta alla mutazione di un solo gene.

Si tratta però di una patologia rara, e più comunemente l’obesità è causata dall’interazione di più geni e l’ambiente (fondamentalmente lo stile di vita).

Ma se i geni hanno un ruolo così importante, è possibile prevedere se un bambino diventerà obeso?

Uno studio pubblicato sulla rivista Cell, condotto dai ricercatori del Broad Institute del Massachusetts Institute of Technology e dell’ Università di Harvard, ha cercato di dimostrare proprio questo, studiando circa 2.1 milioni di variazioni poligeniche in più di 300.000 individui.

I dati sono stati ricavati dal più grande studio sull’obesità, pubblicato nel 2015 sulla rivista Nature. I soggetti sono stati stratificati in base al loro BMI (Body Mass Index) assegnando un punteggio definito GPS (Genome-wide Polygenic Score) che raggruppa tutti i possibili fattori di rischio ereditabili.

Lo score si basa sulla frequenza di determinate mutazioni genetiche: più sono presenti più il GPS aumenta, correlandosi ad un maggiore BMI.

Relazione tra GPS e BMI medio (A), peso espresso in kg (B), percentuale di obesità grave (C)

Si tratterebbe, quindi, di un vero e proprio test in grado di predire, già alla nascita, il rischio di diventare obesi.

Il Polygenic Score è direttamente collegato alla probabilità di sviluppare un’obesità grave (BMI>40).

Nonostante diversi valori nel GPS non correlino con significative differenze di peso nei primi mesi di vita, queste vengono a palesarsi durante l’infanzia. Infatti, ragazzi con un punteggio molto alto pesano mediamente 12 kg in più rispetto ad un soggetto con GPS basso.

Differenze nel peso in base all’età e rischio correlato.

È stato dimostrato anche che, soggetti con Polygenic Score elevato hanno una probabilità di diventare obesi molto simile a soggetti con mutazione del recettore della Melanocortina.

Se si parla di obesità, però, dobbiamo parlare anche di tutto ciò che circonda questa patologia. Infatti, sovrappeso e soprattutto obesità sono un fattore di rischio per numerose affezioni, tra cui eventi cardiovascolari e ipertensione arteriosa, insulinoresistenza e diabete, alterazioni nel metabolismo dei lipidi… che se presenti contemporaneamente caratterizzano quella che viene definita come sindrome metabolica.

Dato che questo test può predire la possibilità di diventare obesi, indirettamente potrebbe predire anche il rischio cardiometabolico e la mortalità. Infatti, un alto GPS è associato ad un rischio elevsdi sviluppare diabete mellito, patologie coronariche e scompenso cardiaco. La mortalità aumenta del 19%.

La grande novità dello studio sta nella possibilità di individuare precocemente soggetti con numerosi fattori di rischio ed optare per scelte terapeutiche mirate.

Nonostante si tratti di un test molto affidabile, è possibile che alcuni soggetti con uno score elevato abbiano un BMI ottimale. Come si spiega?

Ciò è causato da una proprietà dei geni in questione, ovvero la penetranza incompleta. Nonostante la presenza di più mutazioni, queste rimangono silenti e il soggetto, quindi, non manifesterà alcuna patologia.

Abbiamo ammesso, dunque, l’importanza che hanno dei fattori intrinseci come i geni nello sviluppo di obesità e sovrappeso; ma questo non deve di certo escludere una vita sana e una prevenzione adeguata nei soggetti a rischio. Infatti, adottando una dieta corretta e svolgendo una regolare attività fisica, è possibile tenere il rischio cardiometabolico pari a quello di un soggetto con un GPS basso.

Carlo Giuffrida

 

 

Bibliografia:

Polygenic Prediction of Weight and Obesity Trajectories from Birth to Adulthood. Khera et al., 2019, Cell.

https://doi.org/10.1016/j.cell.2019.03.028

Genetic studies of body mass index yield new insights for obesity biology. Locke et al., 2015 , Nature.

https://www.nature.com/articles/nature14177