Processo Floyd: condannato a 22 anni e mezzo di carcere l’ex agente Chauvin. Biden: «Sentenza appropriata»

Condannato a 22 anni e mezzo di carcere Derek Chauvin, l’ex agente di polizia 45enne ritenuto responsabile dell’uccisione dell’afroamericano George Floyd, durante l’arresto, il 25 maggio del 2020 , a Minneapolis, in Minnesota. L’avvenimento provocò l’esplosione su scala globale del movimento antirazzista “Black Lives Matter’’.

Fonte: Huffington Post

La decisione è arrivata dopo che lo scorso 20 aprile, Chauvin era stato ritenuto colpevole dalla giuria popolare per tutti e tre i capi di accusa: «omicidio di 2° grado», cioè colposo, ma con il presupposto di un’aggressione o un assalto contro la persona; «omicidio di 3° grado», per condotta pericolosa e negligente; «omicidio preterintenzionale». Il giudice aveva allora annunciato 8 settimane di attesa per stabilire la pena.

La sentenza del giudice

«Sono solidale con il dolore della famiglia Floyd, ma la mia decisione non si basa sulle emozioni e non intende mandare un messaggio di tipo politico»,

precisa il giudice Peter Cahill in un’insolita premessa alla lettura della sentenza e spiegando inoltre che alla decisione è allegato un memorandum di 22 pagine con le motivazioni.

L’ex agente Derek Chavin. Fonte: Il Fatto Quotidiano

Cahill ha richiamato le linee guida del codice penale del Minnesota, per le quali sono previsti tra i 12 e i 15 anni di reclusione per l’omicidio di secondo grado, il reato più grave (le pene non sono cumulabili). Il magistrato ha poi aggiunto il carico di quattro aggravanti, tra le quali l’«abuso dell’autorità», arrivando al risultato finale di 22 anni e 6 mesi.

La sentenza del giudice della Contea di Hennepin ha incontrato la delusione dei parenti di Floyd e del mondo dell’attivismo per i diritti, in quanto l’accusa aveva chiesto 30 anni di carcere per Derek Chauvin.
Il pubblico ministero Matthew Frank spiega perché:

«Non è stato uno sparo momentaneo, un pugno in faccia. Sono stati 9 minuti di crudeltà verso un uomo che era impotente e stava solo implorando per la sua vita».

Gli interventi della famiglia Floyd e dell’imputato

Durante l’udienza di ieri non è mancato lo spazio agli interventi delle parti, prima che venisse comunicata la sentenza: sono stati ascoltati i cari di Floyd e lo stesso imputato Chauvin, che con voce tremante e palesemente scosso ha espresso le condoglianze alla famiglia Floyd.

Questo il commento rilasciato dalla sorella di George, Bridgett Floyd:

«La sentenza emessa oggi nei confronti dell’ufficiale di polizia di Minneapolis che ha ucciso mio fratello George Floyd mostra che le questioni relative alla brutalità della polizia vengono finalmente prese sul serio. Tuttavia, abbiamo una lunga strada da percorrere e molti cambiamenti da apportare prima che i neri si sentano finalmente trattati in modo equo e umano dalle forze dell’ordine in questo Paese».

Bridgett Floyd. Fonte: Audacy

Non ha avuto «nessun riguardo per la vita umana, per la vita di mia fratello», ha detto, invece, il fratello, Philonise Floyd, chiedendo al giudice di assicurarsi che Chauvin non possa uscire dal carcere prima di aver scontato tutta la sua pena.

Ma il momento più toccante è stato senz’altro quando Gianna, la figlia di 7 anni di George Floyd, è intervenuta tramite collegamento video con l’aula del tribunale: «Gli direi che mi manca e che gli voglio bene». A chi le chiedeva cosa farebbe se potesse vedere di nuovo suo padre ha risposto: «Voglio giocare con lui».

Il commento di Biden

Mentre stava parlando con i giornalisti alla Casa Bianca – in attesa dell’incontro con il presidente dell’Afghanistan – anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha espresso la sua opinione in merito alla condanna dell’ex poliziotto, dichiarando che «la sentenza sembra appropriata», pur comunque aggiungendo di non conoscere tutti i dettagli.

Un mondo unito in protesta

L’ingiustizia razziale è un problema mondiale (e non solo americano) che esiste da tempo, cosicché l’uccisione di Floyd ha rappresentato un solo sintomo di un problema più grande che sottende alle morti di tanti altri neri, dei quali gli ultimi minuti di vita non sono stati però ripresi da un video, a differenza di Floyd: dai 164 neri uccisi dalla polizia statunitense nei primi otto mesi del 2020 all’omicidio dell’infermiera di 26 anni Breonna Taylor, uccisa in casa il 13 marzo 2020 con un colpo d’arma da fuoco.

Fonte: Il Post

Nel Regno Unito le proteste hanno dilagato in tutto il Paese, con manifestazioni che hanno innalzato cartelli con i nomi di Joy Gardner, Sean Rigg o Mark Duggan, tutte vittime di razzismo. In Francia il movimento per la giustizia razziale trova espressione nel volto di Assa Traoré, il cui fratello è morto in circostanze simili a quelle di Floyd.

Vedere riconosciuta l’esistenza del razzismo e la possibilità di esprimere liberamente il proprio sostegno alla protesta – senza preoccuparsi di conseguenze quali la perdita di lavoro o la manipolazione – sono fonte di profondo sollievo per i neri: agli US Open di settembre la tennista nera giapponese Naomi Osaka ha indossato mascherine con stampati i nomi delle vittime della polizia. E come lei, tante altre celebrità si sono unite alle voci della protesta quali l’attore di Star Wars John Boyega e il quarterback di football americano Colin Kaepernick.
Ma la strada per lo smantellamento delle strutture oppressive e per il raggiungimento di una società scevra di ingiustizie e pregiudizi è ancora molto lunga.

Atteso il processo degli altri tre poliziotti coinvolti

La sentenza per Chauvin non chiuderà il caso Floyd, mancando ancora da processare gli altri tre ex agenti – Thomas Lane, J. Alexander Kueng e Tou Thao, incriminati per la morte di Floyd con l’accusa di averne facilitato l’omicidio. Lane e Kueng avevano infatti aiutato Chauvin a tenere Floyd a terra, mentre Thao aveva assistito senza far nulla per fermarli. Il loro processo dovrebbe iniziare ad agosto.

Gaia Cautela

Chauvin dichiarato colpevole per la morte di George Floyd. Biden: “É ora di cambiare”

Guilty” (colpevole) è la sentenza emessa dal Tribunale di Minneapolis per il poliziotto Derek Chauvin, accusato di aver ucciso George Floyd il 25 maggio 2020. Quest’ultimo era stato trovato in possesso di una banconota falsa da 20 dollari.

Costretto dagli agenti intervenuti a rimanere immobile, a terra ammanettato, è morto in seguito al soffocamento causato dal ginocchio di Chauvin stretto sul suo collo per più di nove minuti. Non ci sono più dubbi. La violenza non si è arrestata neanche dopo le implorazioni e ultime parole di Floyd I can’t breath, divenuto poi simbolo di numerose proteste in tutta l’America.

Chauvin lascia l’aula dopo la sentenza della sua condanna, in custodia alle autorità. Fonte: Deutsche Welle.

La sentenza

Chauvin è tre volte colpevole: per omicidio colposo, per omicidio di secondo grado preterintenzionale e per omicidio di terzo grado. Una decisione che ha richiesto solo due giorni di deliberazione e che, per questo, aveva lasciato presagire la lapidaria sentenza dei giudici di Minneapolis che, senza attenuanti, potrebbero far rischiare all’ex poliziotto fino a 40 anni di carcere.

Mentre Chauvin si allontana in manette dall’aula del tribunale, in custodia alle autorità, fuori la folla esplode di entusiasmo con con applausi e cori che invocano Justice!. Scene analoghe hanno attraversato molte altre città americane, da Times Square (New York) a Washington, fino a Los Angeles e Chicago. Nella stessa città in cui si è consumata l’ingiustizia è stato dichiarato lo stato d’emergenza, in via del tutto precauzionale, schierando la guarda nazionale nei punti nevralgici.

Oggi si rivendica una “svolta storicaper gli Stati Uniti, come affermato dal legale della famiglia Floyd.

Il supporto del presidente Joe Biden

Joe Biden conferma il suo supporto alla causa e dichiara: “Bisogna riconoscere e confrontare il razzismo sistemico, nelle attività di polizia e nel sistema della giustizia”. Fonte: Corriere della Sera.

Lo stesso Joe Biden, che aveva espresso vicinanza ai familiari della vittima con una telefonata del tutto eccezionale, si è spinto a parlare di “prove schiaccianti” emerse durante il processo, auspicando la fine delle violenze razziste e l’inizio di una nuova stagione sociale per il Paese:

E’ stato un omicidio in piena luce, che ha strappato i paraocchi e tutto il mondo ha potuto vedere. Il razzismo sistemico è una macchia sull’anima dell’America” e ancora Dobbiamo ricordare le sue parole “non posso respirare” per cambiare. Questo può essere un momento di significativo cambiamento”.

La denuncia delle violenze

E’ stato uno dei processi più seguiti nella storia d’America, che ha tenuto tutti col fiato sospeso, per il timore delle eventuali conseguenze che una decisione differente da quella emessa oggi avrebbe potuto scatenare, in particolar modo per alcune comunità, come quella afroamericana e ispanica, spesso oggetto di violenze da parte della polizia americana.

Proteste per George Floyd a Minneapolis. Fonte: Il Post. 

Secondo le statistiche, infatti, dal 2005 solo sette agenti sono stati trovati colpevoli in casi violenza letale, mentre sono circa 1.100 le persone uccise durante interventi della polizia americana. Eventi drammatici che hanno trovato voce nel movimento di protesta Black Lives Matter, che ha denunciato il controverso uso della forza letale da parte degli agenti e si è, inoltre, attivato per chiedere giustizia di altre vittime dopo la morte di Floyd; l’ultima, quella del ventenne afroamericano Daunte Wright, ucciso qualche giorno fa da un agente che sostiene di aver utilizzato erroneamente la pistola invece del teaser.

La riforma George Floyd Justice in Policing Act

Il verdetto di oggi assume, dunque, un valore altamente simbolico, che vuole consegnare al Paese la pace sociale, assente dalle ultime proteste, e la speranza di una riforma della polizia, sia a livello locale che federale, che necessita di essere realizzata in tempi più celeri.

La riforma, chiamata “George Floyd Justice in Policing Act“, sostenuta in prima linea dalla vice-presidente Kamala Harris, crea standard nazionali per gestire l’ordine pubblico, vieta tecniche di strangolamenti e banche dati sugli agenti accusanti di abusi, fino a una revisione radicale dell’immunità, concessa ai poliziotti in caso di accuse di maltrattamenti verso i civili. Nonostante ciò, la riforma sembra essere destinata ancora a lungo a rimanere bloccata in Senato, sia perché contrariata all’unanimità dai repubblicani sia per due defezioni democratiche. 

 

Alessia Vaccarella

In Francia proteste contro la nuova legge sulla sicurezza. Si riaccende la questione del razzismo della polizia

Negli ultimi giorni la Francia è stata sotto i riflettori. Manifestazioni e proteste contro la nuova proposta di legge sulla sicurezza, presentata dal partito di Macron, hanno messo a soqquadro strade e piazze riaprendo vecchie ferite, quelle causate dalla violenza e dal razzismo della polizia.

Che cosa prevede la legge contestata

Ad essere messo in questione in particolare l’articolo 24 che considera reato, punibile con 45.000 euro di ammenda e un anno di carcere, la diffusione di immagini di poliziotti in servizio che possano danneggiare la loro integrità fisica e psicologica. L’ intento del governo sarebbe quello di proteggere la polizia, divenuta spesso vittima di odio e di minacce sui social network.

Si tratta di una norma assolutamente non innocua che, secondo molti critici, rischia di ostacolare la libertà di stampa. Il sindacato nazionale dei giornalisti ha dichiarato con un post su Twitter:

Affermiamo che la violazione del diritto di informazione dei cittadini e della stampa è sproporzionata e che la legislazione esistente è ampiamente sufficiente per proteggere le forze dell’ordine da possibili attacchi a seguito della diffusione di immagini”.

Il timore più grande è che questa legge possa impedire la denuncia degli atti violenti e prevaricatori perpetrati spesso dagli organi della polizia. Fortemente sentito è dunque il rischio che queste azioni illegali, passando sotto silenzio, dilaghino sempre di più.

Contestati sono anche l’articolo 20, che aumenta la videosorveglianza e l’articolo 21, che legalizza l’uso dei droni per il controllo dell’ordine pubblico. Tutte le norme sembrano rientrare in una politica repressiva, giustificata, a detta di Macron, dalla necessità di tutelare la polizia contro il pericolo di insorgenza sociale, particolarmente elevato a causa della crisi pandemica.

Lo sgombro dei migranti e il pestaggio di Michel Zecler

La tensione, già tangibile, è stata portata all’esasperazione da due avvenimenti: lo sgombro dei migranti e il pestaggio di Michel Zecler.

Il 23 novembre dei profughi, circa un centinaio, accampatisi a Place de la Republique, a Parigi, per chiedere un alloggio, sono stati mandati via violentemente. Ad attestarlo vi è un video che, tra le tante cose, mostra un poliziotto fare lo sgambetto ad un migrante in fuga. Accusato il prefetto Didier Lallement, già criticato per alcuni eccessi durante le proteste dei gilet gialli.

Michel zecler – Fonte: ma7.sk

Il 21 novembre, il produttore discografico proprietario della società Black Gold Studios, Michel Zecler, è stato arrestato. Gli agenti della polizia hanno dichiarato di essere stati aggrediti e insultati dopo averlo fermato perché non indossava la mascherina. Un video, registrato dalle telecamere di videosorveglianza e diffuso qualche giorno dopo dal sito di informazione Loopsider, ha smentito le parole dei poliziotti: Michel Zecler è stato vittima di azioni brutali. Come mostrato dal filmato, l’uomo è stato picchiato con calci, botte e manganellate per 15 minuti nel suo studio di registrazione e poi portato in carcere. Ma non è tutto. Si tratta non solo di un caso di violenza ma anche di razzismo. Gli agenti della polizia si sono lasciati andare a pesanti insulti:

Sporco negro”.

Le proteste e gli scontri

 Di fronte a questi avvenimenti, il malcontento dell’opinione pubblica, già forte a causa della legge sulla sicurezza, non poteva non esplodere in manifestazioni e proteste.

A Parigi, come riportato dal Ministero degli Interni, 46000 persone hanno partecipato alla Marcia per la libertà, il corteo che ha avuto come centro Piazza della Bastiglia.  Secondo il giornale Le Monde la manifestazione è stata in gran parte pacifica, fatta eccezione per qualche episodio: alcuni dimostranti hanno dato fuoco a un chiosco, ad una caffetteria e alla facciata della Banque de France. In molti casi la polizia è stata costretta a ricorrere all’uso dei lacrimogeni.

Le proteste hanno avuto luogo anche a Strasburgo, Marsiglia, Lione e Bordeaux. In particolare, a Bordeaux sono stati incendiati diversi arredi urbani, mentre a Lione è stato segnalato il ferimento di un poliziotto e di alcuni manifestanti.

Il ministro degli Interni Gérald Darmanin ha condannato le violenze contro la polizia definendole inaccettabili. Duro anche il commento di Marine Le Pen, leader di Rassemblement national: “I francesi ne hanno abbastanza di queste immagini di saccheggi permanenti”.

La risposta del governo

Il governo ha tentato di correre ai ripari compiendo un passo indietro. Christophe Castaner, capogruppo all’Assemblea Nazionale di En Marche, il partito del presidente Emmanuel Macron, ha dichiarato che l’articolo 24, sebbene non venga eliminato, così come richiesto dai manifestanti, verrà tuttavia riscritto. L’ obiettivo da seguire, a detta di Castaner, è quello di coniugare il rafforzamento della sicurezza delle forze dell’ordine e la difesa del diritto fondamentale alla libera informazione.

Cristophe Castaner – Fonte: www.lejdd.fr

Più radicale la proposta dell’ex presidente Hollande: “Se oggi c’è una cosa da fare per salvare l’onore non è mantenere questo testo, ma ritirarlo”.

Il razzismo della polizia

La manovra del governo, sebbene temporaneamente possa allentare la tensione, tuttavia non risolve la grave questione sulla quale gli avvenimenti degli ultimi giorni fanno riflettere: il razzismo della polizia.

Proteste contro la morte di George Floyd – Fonte: www.ibtimes.co.uk

Qualche mese fa le piazze gremite urlavano a gran voce: “Black Lives Matter” in occasione dell’uccisione di George Floyd, afroamericano morto soffocato per mano dell’agente Derek Chauvin. Oggi anche la Francia ha il suo George. Il caso di Michel Zecler prova che il razzismo della polizia non è un fenomeno diffuso soltanto negli Stati Uniti, ma anche in Europa.

Tra l’altro, in Francia non è la prima volta che accade un caso del genere: risale al 2016 la morte di Adama Traorè, giovane che aveva tentato di fuggire ad un controllo di identità. Purtroppo, la Francia non è la sola. Nel 2015, Mitch Henriquez, un turista proveniente da Aruba, durante una rissa nata a un concerto a L’Aia, Paesi Bassi, venne immobilizzato a terra da un poliziotto e morì per asfissia. Ad Anderlecht durante il lockdown, Adil, diciannovenne di origini marocchine, è stato travolto da un’auto della polizia dopo aver tentato di sfuggire a un controllo di routine. Si indaga per omicidio colposo.

Molti gli avvenimenti che provano l’esistenza di un fenomeno di vasta portata, definito con il termine racial profiling, con cui si indicano tutte quelle azioni della polizia basate, non sul comportamento criminale, piuttosto sull’etnia o sulla nazionalità della persona. Uno studio del 2009 del Centre National de la Recherche Scientifique e Open Society Justice Initiative ha riportato che nelle stazioni di Parigi persone di origine africana vengono fermate per i controlli più frequentemente rispetto alle altre persone. Questo avviene anche in Belgio, dove i giovani di origine marocchina sono controllati dalla polizia tre volte di più del resto della popolazione. Preoccupanti anche i dati del report del 2018 “Being Black in the EU” dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali: tra gli intervistati, tutti persone di origine africana residenti nell’UE, il 24% nell’ultimo anno era stato sottoposto a controlli e, tra questi, il 44% aveva percepito il controllo come motivato da fattori razziali.

Chiara Vita

Inaugurato il Campo Libero George Floyd 8’46” Playground Messina

È stato inaugurato giovedì 3 settembre alle 18:30 in via San Raineri, il playground pubblico intitolato a George Floyd, ora fruibile gratuitamente da tutta la cittadinanza.

“Spetta a noi cambiare la nostra città , servono le istituzioni, le abbiamo, però serve l’impegno di tutti. È arrivata l’idea e siamo andati in giro a cercare spazi, non è stato facile, abbiamo cercato tanto. Abbiamo bussato a molte porte, fino a quando una parte delle istituzioni, in questo caso il presidente dell’Autorità Portuale Mario Mega, ha aperto la porta. A furia di bussare, qualcuno apre.”

Queste sono le parole dell’ex primo cittadino Renato Accorinti, che ha destinato alla realizzazione del campo di basket “Campo libero George Floyd 8’46”‘”parte della differenza tra l’indennità di sindaco e lo stipendio di professore maturata in cinque anni.

Il playground è stato realizzato nella “falce”, zona falcata di Messina, in via San Raineri, nell’area antistante la base della Marina Militare, data in concessione dall’autorità portuale, e affidato alla società Amatori Basket, che usufruirà del campo due volte a settimana.

Seppur con numeri limitati, per rispettare le norme di sicurezza anti-covid, l’inaugurazione ha ospitato un numero contingente di persone (munite di mascherina).

Apre la cerimonia con un discorso introduttivo Renato Accorinti, per poi passare la parola al Presidente dell’autorità purtuale Mario Mega. “Ringrazio Renato Accorinti per aver consentito insieme all’associazione sportiva Amatori Basket la realizzazione di questo spazio. Stiamo riproponendo e rinnovando con l’attuale amministrazione la zona falcata. Speriamo che questo sia l’inizio di un processo di valorizzazione, che consenta a Messina di riappropriarsi di questa zona.”

Subito dopo è intervenuto il presidente della società sportiva Mario Maggio, commentando la realizzazione del campo come “un sogno che si realizza”.  ” Per me e per la società che rappresento, riuscire ad avere un campo libero a Messina, dove poter fare quello che ci piace, ovvero giocare a basket, è un sogno. Ringrazio Renato Accorinti, i miei ragazzi, lo staff dirigenziale […] per aver dedicato molto tempo per la realizzazione di questo posto. Qui si lega lo sport ad un messaggio sociale (black lives matter), che qualcuno purtroppo non condivide.”

Nelle scorse settimane, infatti, i murales del campo, opera dell’artista messinese Daniele Battaglia, erano stati deturpati da scritte a sfondo razzista. Per scelta di Renato Accorinti le scritte non sono state cancellate. Quando, appena possibile, si svolgerà la partita “inaugurale”, le scritte saranno cancellate e i murales restaurati e completati.

L’inaugurazione si è conclusa con un discorso da parte dell’ex sindaco Renato Accorinti “Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce, e qua c’è la foresta” e con la lettura da parte di Marco Giordano della lettera firmata dalla scrittrice messinese Nadia Terranova, seguita dall’ascolto del messaggio del presidente della commissione antimafia Nicola Morra e del presidente del CONI Giovanni Malagò: “L’inaugurazione del primo playground di Messina, realizzato nella zona falcata ed intitolato alla memoria di George Perry Floyd, ha davvero un significato speciale. A nome mio e del CONI, rinnovo la mia più sincera gratitudine a Renato Accorinti, all’Amatori Basket Messina e a tutte le istituzioni locali che hanno fatto squadra permettendo di coronare questo fantastico progetto, con la consapevolezza che tutta Messina lo onorerà giocando a pallacanestro, divertendosi, e diffondendo un esempio che rappresenterà un vanto per l’intero Paese”.

Al termine della presentazione non si è svolta la programmata partita di basket tra giocatori di tante nazionalità diverse, che è stata rinviata alla prima data utile quando le restrizioni lo consentiranno. Il campo sarà comunque aperto al pubblico e fruibile da chiunque, nel rispetto delle regole affisse nella recinzione.

Cristina Geraci

Anche Messina manifesta per George Floyd: Piazza Unione Europea dice no al razzismo

©LauraLaRosa, Manifestazione movimento “Black Lives Matter” – Messina, Giugno 2020

Il caso George Floyd ha dato il via ad una serie di manifestazioni che hanno coinvolto non solo gli Stati Uniti, ma anche stati geograficamente distanti: tra sabato e domenica in molte città d’Italia si sono già svolte manifestazioni contro il razzismo sulla scia di quelle organizzate negli Stati Uniti dal movimento “Black Lives Matter” e continueranno fino all’11 giugno

©FernandoCorinto, Manifestazione movimento “Black Lives Matter” – Messina, Giugno 2020

Anche Messina si è dimostrata sensibile al tema: a partire dalle 18 di domenica 7 giugno decine di messinesi si sono radunati in modo composto per ricordare la morte di George Floyd e per affermare ad alta voce il valore fondamentale dell’uguaglianza.

La manifestazione è stati divisa in più momenti: una prima parte commemorativa dove i presenti in piazza hanno rispettato ben nove minuti di silenzio, silenzio che è stato spezzato poi dalla lettura dei nomi delle vittime della violenza razzista; una seconda parte più informativa, attraverso un’assemblea aperta, ovvero dando la possibilità a tutti di comunicare ed esprimere le proprie idee; la terza, infine, “propositiva”, dove hanno avuto spazio rappresentazioni artistiche ed uno stacco musicale che ha cercato di dare un senso di sacralità alla manifestazione.

©FernandoCorinto, Manifestazione movimento “Black Lives Matter” – Messina, Giugno 2020

La manifestazione messinese nasce grazie alla proposta di Angelo Marano e Miriam Augugliaro, i quali, grazie ad un tam tam sulla rete, sono riusciti a coinvolgere parecchie organizzazioni sensibili al problema.

E’ lo stesso Angelo che ci spiega:

La tematica mi premeva particolarmente e Messina spesso si muove troppo poco e lentamente, manca la scintilla, serve qualcuno che dica “facciamolo” e che poi si prenda la briga di fare le cose “camurriuse”. Ho pensato di coinvolgere Miriam, una ragazza che sul tema è preparata e pronta ad impegnarsi attivamente. Abbiamo scritto un comunicato e costruito l’evento, rivolgendoci all’associazionismo universitario, presenti sono infatti Must e Link, ma anche altre realtà come UDS e l’Arci, e queste si sono spese a loro volta per questa causa. Uno dei mezzi di diffusione più imponente però è sicuramente stata la videoconferenza organizzata attraverso la piattaforma di Google Meet nel pomeriggio di giovedì, a cui hanno partecipato varie realtà in modo attivo e propositivo.

Il nostro interlocutore ci racconta altresì che verrà lanciata una piattaforma condivisa, attraverso la quale chiunque potrà condividere proposte e richieste per cercare di abbattere dal basso un razzismo sistemico che dà prodotti disgustosi anche perchè, com’è noto, non è un singolo caso quello accaduto a George Floyd, ma uno dei tanti.

Uno dei cartelloni più visto nelle proteste americane recita “I Am the next” (Io sono il prossimo) e finché la risposta non sarà “non c’è nessun prossimo” allora non ci si deve fermare, ha continuato Angelo.

©FernandoCorinto, Manifestazione movimento “Black Lives Matter” – Messina, Giugno 2020

Miriam invece ha colto l’occasione per porre in risalto determinati aspetti legali e non solo:

La legge Bossi-Fini ha ulteriormente complicato le procedure di regolarizzazione degli immigrati. Quindi c’è gente che si trova in una situazione di “stallo” in Italia e che non può muoversi, poiché il nostro territorio, che dovrebbe essere di solo transito, diviene, in realtà, l’approdo definitivo.

Lo Ius Soli è poi l’argomento trattato dalla giovane Miriam:

E’ impossibile che in una società che tenta sempre più di globalizzarsi non si cerchi di tutelare le persone che sono parte integrante di questo fenomeno. Lo Ius Soli tenderebbe a dare stabilità ai bambini nati sul suolo italiano, ossia agli adulti del domani che però si troveranno senza cittadinanza, pur essendo italiani a tutti gli effetti. Sarebbe pure una tutela per lo stato italiano che si trova a crescita zero, perché composto da un popolo sempre più anziano. Perché non concedere a persone nate sul suolo italiano la cittadinanza?

©FernandoCorinto, Manifestazione movimento “Black Lives Matter” – Messina, Giugno 2020

Miriam infine ricorda come spesso certe manifestazioni siano snaturate dalle presenza di agitatori che fanno perdere di vista la vera essenza della protesta ed aggiunge che:

L’America è fortunata perché gli afroamericani hanno deciso di ribellarsi piuttosto che di vendicarsi, quindi penso che i danni fatti in questi giorni siano la minima cosa e l’ultima di cui bisognerebbe preoccuparsi davanti a persone che protestano contro una schiavitù insita e perenne all’interno della società americana.

Centinaia di persone, in maggioranza giovani, lasciano Piazza Unione Europea in silenzio e con un quesito che li accompagnerà fino a casa: “chi sarà il prossimo?
Speriamo che il prossimo non ci sia mai più.

Laura La Rosa

 

 

 

Foto in evidenza: ©LauraLaRosa, Manifestazione movimento “Black Lives Matter” – Messina, Giugno 2020

 

SIT-IN SOLIDALE “ENOUGH IS ENOUGH” Messina per George Floyd

SIT-IN SOLIDALE “ENOUGH IS ENOUGH”

Si terrà domenica 7 giugno 2020 presso Piazza Unione Europea a Messina, con inizio alle 17:45, la manifestazione commemorativa e solidale in memoria di George Floyd e di ogni vittima di abuso di potere.

Il 25 Maggio 2020 muore a Minneapolis, Minnesota, George Floyd, cittadino afroamericano di 46 anni, padre di due figli, e disoccupato a seguito dell’emergenza da COVID-19. Il video del suo omicidio, diventato subito virale, mostra per 8 minuti e 46 secondi il ginocchio di Derek Chauvin, Ufficiale del dipartimento di polizia di Minneapolis con già 18 precedenti denunce a suo carico, sul collo di Floyd che, come si sente dire più volte dallo stesso, non riesce a respirare. L’omicidio si svolge sotto la completa indifferenza dell’agente Tou Thao. L’ingiustizia perpetratasi scatena inevitabilmente un effetto domino, in pochi giorni gli interi Stati Uniti si rivoltano nelle strade invocando una giustizia che sia tale ed autentica. La presidenza di Donald Trump si piazza lontana dalla tragedia umana e distante dall’affermare le vere responsabilità della vicenda: gli abusi razziali sono una costante del sistema sociale americano, e non solo. Come comunità umana non possiamo tacere di fronte a tale abominio e sentiamo di affermare con forza il principio già condiviso dalla carta dell’indipendenza americana stessa, e mai realmente osservato, cioè che “Noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali”. Questa è una occasione, anche per noi che osserviamo le proteste oltreoceano, per ridiscutere il valore della nostra umanità e per affrontare le piaghe sociali del razzismo e degli abusi di potere presenti anche in Italia.

Cosa fare

Per manifestare in sicurezza:

  • Indossare la mascherina;
  • Sedersi posizionandosi 1,5 m di distanza da chi si ha vicino;
  • Lasciare pulito lo spazio occupato;

Inoltre, gli organizzatori consigliano di:

  • Condividere la propria arte per dare ulteriore voce e forma alla protesta e alle sue ragioni. Si potrà, quindi, portare uno strumento musicale, una foto, una canzone, un dipinto, una poesia o qualsiasi altra forma d’arte correlata al tema della manifestazione;
  • Utilizzare l’hashtag #BLACKLIVESMATTERITALY per condividere immagini, foto e notizie del sit-in sui social;

Cosa NON fare:

Affinché possiamo essere solidali e alleati, cosa NON fare:

  • Pitturare le mani e la faccia di nero;
  • Scrivere “I can’t breathe” sulla mascherina (i suprematisti bianchi lo stanno facendo per screditare il senso delle proteste);

L’intera manifestazione sarà portata avanti pacificamente.

Qui il Link dell’evento Facebook.

Cristina Geraci

“I can’t breathe”: l’ennesima puntata di una serie già vista

«Being Black in America should not be a death sentence»

È così che il sindaco di Minneapolis, Jacob Fray, esprime al mondo la sua rabbia per la morte di George Floyd.

«Studia il passato se vuoi prevedere il futuro» diceva Confucio, ma negli States non sembra possibile; si era già verificato un fatto simile, ad Eric Gardner nel 2014 e quel caso fece esplodere rivolte e polemiche ma, a quanto pare, è rimasto passato.

Fonte: perunaltracitta.org

Ma in un momento come questo, in cui non possiamo fare molto – e allo stesso tempo non possiamo neanche far finta di niente – capiamo quanto queste tragedie siano lontane, così tanto che sembra non ci appartengano!

Chissà se stavolta le serie tv possono farci “avvicinare” a quel mondo: in effetti potrebbero essere il ponte che ci serve.

Da sempre il piccolo schermo ha cercato di denunciare il razzismo e l’ha fatto in molti modi, nonostante abbia solo drammatizzato l’amara realtà, “rubando” le sceneggiature dalle pagine di cronaca.

Vogliamo ricordare e celebrare, a modo nostro, George e tutti gli altri che come lui, non riuscivano a respirare. 

Grey’s Anatomy

Il più celebre dei medical drama, trova il tempo per alcune – gravose – condizioni di attualità.

Nell’episodio Personal Jesus (14×10) al Grey Sloan Memorial Hospital arriva Eric (scelta del nome non casuale, pensiamo a Gardner) in emergenza.

Eric è un ragazzino di soli dodici anni, figlio di una famiglia benestante e che vive in un quartiere raffinato. Egli (come tanti ragazzi della sua età) è sbadato e perde le chiavi di casa, così cerca un metodo “alternativo” per entrare nell’abitazione.

Fonte: tvtime.com

Un ragazzino di colore che si aggira attorno ad una casa “elegante” non sembra andar giù alla Police locale, che gli spara a bruciapelo e senza un motivo valido.

Ad occuparsi di lui saranno tutti i medici, che per ippocratica memoria hanno il dovere di :  curare […] senza discriminazione alcuna. Tra questi il dottor Avery, l’affascinante chirurgo plastico afro-americano e la dottoressa Bailey (non riuscirei a descriverla in poche parole) anche lei di colore e mamma.

Fonte: tvtime

Mamma che, come tutte, ha bisogno di proteggere il figlio. La necessità di  parlargli e di educarlo per proteggerlo; ma non dall’essere nero, perché da quello non ci si può – e non ci si dovrebbe – proteggere, bensì dal non diventare «come i suoi amici bianchi», pregandolo di non essere arrogante.

Ed è così che si conclude la puntata.

La critica della società, drammatizzata in una puntata da brividi, cerca di condensare in Eric tutte le vittime del razzismo, che forse sarebbe meglio definire vittime del pregiudizio: pregiudizio che ha ucciso in questo caso e in molti altri. Inoltre, nelle reazioni degli altri personaggi (più o meno lodevoli) la serie ha riassunto le nostre o comunque quelle di coloro che sono spettatori di eventi del genere.

Orange Is the New Black

In Orange Is the New Black c’è l’eterno scontro tra forze dell’ordine e detenute; c’è la continua critica nei confronti del sistema di correzione e il penitenziario di Litchfield farà da sfondo a tutta la serie.

Nel contesto delle varie storie ce n’è una, quella di Poussey Washington, detenuta che sconta la sua pena per reati minori, lavorando in biblioteca e facendo… quello che tutte le detenute fanno.

Fonte: tvtime

Ha 23 anni ed è figlia di un generale militare, orfana di madre; è di colore e viene definita “una delle nere”, sia dalle compagne di detenzione che dalle guardie.

Nel contesto di una rivolta pacifica (almeno così era all’inizio) viene accidentalmente uccisa dall’agente Bayley: un uomo bianco, giovane, che non sa come comportarsi nei confronti del minimo accenno al caos.

Questo la getta a faccia in giù, la trattiene con un ginocchio sulla schiena e mettendole tutto il  peso addosso la soffoca: Poussey muore per asfissia da compressione.

Fonte: GQitalia.it

Il nome della puntata è “Animali in gabbia”, c’è qualcosa da aggiungere?

Poussey viene compianta e vendicata, ma comunque ogni tentativo sarà vano in partenza: perché ci sono cose contro le quali si può combattere, ma spesso – purtroppo -non si riesce a vincere.

Fonte:tvtime.com

La scena della sua morte è stata ispirata a casi come quello di Eric Gardner, e le scene della morte di George sembrano essersi “ispirate” a questa puntata. Un circolo vizioso, forse.

Ma siamo stanchi di vedere sempre la stessa storia. 

Essere di colore non vuol dire essere diverso. E quella del razzismo è solo una delle tante sfaccettature del concetto di discriminazione; se ne parla, anche le series lo criticano, ma noi non impariamo.

Ci sarà un momento in cui questo finirà; ricordiamoci che il grande Einstein disse

«L’unica razza che conosco è quella umana»

Quindi, perché non cerchiamo di respirare e far respirare tutti?

Barbara Granata