La Banca Centrale Europea, la “mamma” delle banche d’Europa

Spesso i media parlano di politica fiscale e politica monetaria, di emissione di moneta, di finanziamento del deficit, e così via. Sapevate che il Governo non può stampare moneta? E sapevate che, in quanto membri dell’UE, il sistema monetario italiano è tutelato e vigilato da un organismo sovranazionale, chiamato Banca Centrale Europea? Vediamolo insieme.

E’ necessario fare innanzitutto una chiara distinzione tra le due forme di politica citate:

  • La politica fiscale è attuata dal Governo, e comprende interventi tramite la spesa pubblica, i trasferimenti (=a favore di famiglie e imprese per scopi sociali o produttivi, es. contributi sociali, assegni familiari, pensioni, incentivi alla produzione) e il prelievo fiscale (=imposte);
  • La politica monetaria è attuata dalla Banca Centrale, in Europa dalla Banca Centrale Europea, ed è attuata tramite l’offerta monetaria (=banalmente, lo stock di moneta inserito nel sistema economico) e il tasso d’interesse.

Cos’è la BCE?

La Banca Centrale Europea, abbreviato BCE, è la banca centrale adottata dai 19 Stati membri dell’Unione Europea che hanno aderito all’euro come moneta comune. 

La Banca Centrale Europea e le banche centrali nazionali, insieme, costituiscono l’Eurosistema, il sistema di banche centrali dell’area euro. 

Qual è l’obiettivo della BCE?

Facendo riferimento all’articolo 105 del trattato di Maastricht, che nel 1992 sancì in modo ufficiale la nascita dell’UE, dopo i primi passi mossi fin dal 1951, il principale obiettivo dell’Eurosistema è mantenere la stabilità dei prezzi, ossia salvaguardare il valore dell’euro. Infatti, l’art. 105 recita:

L’obiettivo principale del SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali) è il mantenimento della stabilità dei prezzi.

La BCE è libera di svolgere le proprie funzioni?

La BCE è un’istituzione politicamente indipendente, e con ciò si concilia il raggiungimento dell’obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi. Nel caso vi sia una dipendenza politica da parte della banca centrale, più precisamente una “dominanza fiscale” sulla politica monetaria, i governi potrebbero ricorrere al finanziamento monetario del disavanzo (= combattere il disavanzo di bilancio – uscite > entrate – con l’emissione di nuova moneta) con maggiore frequenza e questo potrebbe causare un alto livello d’inflazione. 

L’indipendenza politica è sancita dall’articolo 104 del trattato di Maastricht e dall’articolo 7 dello statuto del SEBC.  

Riportando l’art. 104:

È vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della BCE…alle amministrazioni statali […] o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle Banche centrali nazionali.

Nessun governo o ente pubblico può, quindi, influenzare la BCE o le Banche Centrali Nazionali che fanno parte dell’Eurosistema e convincerle a modificare il proprio comportamento in modo da favorirle nell’attuazione della politica monetaria. 

Ad ogni modo, l’indipendenza per la BCE comporta anche degli oneri (=costi), in termini di necessità di trasparenza e in riferimento anche all’enorme peso delle responsabilità delle proprie azioni e strategie.

Cos’è il SEBC?

Il Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) è composto dal governatore della BCE e dai governatori delle banche centrali di tutti i paesi membri dell’UE. L’Eurosistema, invece, è parte del Sistema Europeo delle Banche Centrali, poiché è formato dal governatore della BCE e dai governatori delle Banche Centrali dei paesi che hanno adottato l’euro come moneta legale (attualmente 19 paesi).

Nonostante il SEBC sia un sistema più ampio, l’Eurosistema è quello fondamentale e importante ai fini della politica monetaria.

Per raggiungere l’obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi, l’Eurosistema formula le proprie decisioni di politica monetaria su due approcci analitici complementari detti “due pilastri”: l’analisi monetaria e l’analisi economica.

L’implementazione delle decisioni relativa alla politica monetaria avviene attraverso gli strumenti di cui si avvale l’eurosistema. Questi strumenti sono:

  • operazioni di mercato aperto  (=acquisto/vendita titoli di Stato);
  • operazioni su iniziativa della controparte (standing facilities) (finalizzate a iniettare o assorbire liquidità nel mercato monetario);
  • riserva obbligatoria (percentuale dei depositi bancari per legge tenuta sotto forma di contanti o di attività facilmente liquidabili).

 

Quali sono gli organi direttivi della BCE?

Gli organi decisionali della BCE sono il Consiglio direttivo, il Comitato esecutivo e il Consiglio Generale. Nel dettaglio:

  • Il Consiglio direttivo stabilisce la politica monetaria dell’Eurozona e fissa i tassi d’interesse applicabili ai prestiti erogati alle varie banche;
  • il Comitato esecutivo attua la politica monetaria, gestisce affari, riunioni del Consiglio direttivo ed esercita i poteri delegati da questi ultimi;
  • il Consiglio generale ha funzioni consultive e di coordinamento e preparatorie per un eventuale allargamento dell’Eurozona.

Vi è poi il Presidente della BCE, che rappresenta la banca nelle riunioni interne ed internazionali. Attualmente, ricopre la carica Christine Lagarde prendendo il posto dal 1° novembre 2019 di Mario Draghi. Lagarde era precedentemente ministra dell’Economia, dell’Industria e dell’Impiego in Francia, poi direttrice del Fondo monetario internazionale.

La BCE è quindi la madre delle banche nazionali appartenenti all’Eurozona, che vigila sul loro operato e fornisce gli strumenti finanziari con le opportune cautele e misure di regolamentazione. La moneta non si distribuisce senza un chiaro criterio, ma questo è un’altra analisi che spiegheremo presto.

 

Contenuto realizzato in collaborazione con Starting Finance Club Messina

Marco Amato

Rossana Arcano

Recovery Fund. Ecco cos’è e perché è la chiave dell’intesa UE

Dopo aver parlato nelle settimane precedenti di PEPP e di MES e SURE, adesso è necessario analizzare il Recovery Fund, data l’importanza di effettuare degli investimenti pubblici oculati che permettano una crescita futura del sistema e una sostenibilità del debito pubblico, a fronte del basso tasso d’interesse che dovremo riconoscere in questi anni grazie agli interventi della BCE.

Spesso discusso dai media da quando, lo scorso aprile, il Presidente del Consiglio Conte aveva definito il Recovery Fund come “una parte essenziale nella trattativa con l’UE”, il 27 maggio sono state delineate le basi di questa forma di sostegno economico. La Commissione Europea, con a capo Ursula von der Leyen, ha infatti dato voce ad una proposta da 750 miliardi di euro.

Cos’è il Recovery Fund?

Così come suggerisce il termine stesso, il Recovery Fund è un fondo di recupero per arginare l’impatto devastante del Covid-19, posto a sostegno dei Paesi maggiormente colpiti.

Ancor prima della proposta UE alcuni Paesi, tra cui Francia e Germania, avevano avanzato una prima proposta sul fondo di recupero, prevedendo concessione di denaro a fondo perduto, cioè denaro da non restituire, interessi a parte.

Tuttavia, per i Paesi più solidi dell’UE, tra cui Olanda, Austria, Danimarca, Svezia, ma anche dalla stessa Commissione, il recovery fund non avrebbe dovuto prendere le sembianze di contributi a fondo perduto ma di finanziamenti. Questo perché, altrimenti, si creerebbe un rischio di “debito perpetuo” europeo.

Infatti, è stato designato come un fondo con il compito di emettere Recovery Bond, con la garanzia del bilancio UE 2021-2027 che proprio per questa occasione aumenterà la propria portata, cioè verranno inserite delle imposte comunitarie come la carbon tax e la web tax per raccogliere maggiori risorse. Si tratta di condividere il rischio guardando il futuro, senza mutualizzare il debito passato.

Com’è finanziato?

Il Recovery Fund riceve i fondi grazie ad una raccolta di liquidità data dall’emissione di Recovery Bond. Una volta ricevute le risorse, queste sono distribuite agli Stati membri. I 750 miliardi di euro saranno suddivisi in 500 miliardi di sovvenzioni e 250 miliardi di finanziamenti, all’Italia dovrebbe spettare il 22,5% di queste risorse poiché è uno dei paesi più colpiti dalla crisi Covid. In termini numerici, all’Italia spetteranno 172 miliardi di euro di cui 90 in prestiti e 82 in sovvenzioni.

Come abbiamo visto la scorsa settimana, MES e SURE sono interventi a breve termine, poiché il loro utilizzo dovrebbe essere quello di potenziare le strutture sanitarie e di erogare i sussidi di disoccupazione per i lavoratori che maggiormente soffrono la crisi. Il Recovery Fund, invece, al contrario di Mes e Sure, guarda più a lungo termine. Infatti, il Recovery Plan che bisogna presentare per ottenere tali fondi deve prevedere un progetto di importanti investimenti in infrastrutture, innovazione e ricerca.

In termini semplici, se l’Italia decidesse di spendere questi fondi in una nuova Quota 100 – ovvero in pensionamenti anticipati – non potrebbe accedervi. Questi fondi devono essere spesi per investimenti che stimolino fortemente la crescita economica, investimenti in infrastrutture, potenziamento del sistema d’istruzione; pensate se ci fossero delle autostrade nuove e senza interruzioni, significherebbe non solo maggiore sicurezza ma anche più facilità e tempi brevi nel trasporto di merci e persone.

Perché è così importate stimolare una costante crescita economica?

Dopo aver esaminato il quadro completo, è possibile addentrarsi in un’analisi più specifica. Da sempre si parla del problema del debito pubblico italiano, come ben sappiamo elevatissimo, con la possibilità di raggiungere quasi il 160% del PIL a seguito di questa crisi. Ma l’importante, secondo gli economisti, non è il livello del debito pubblico sul PIL, quindi il numeratore, ma la sua tendenza, cioè se questo numero tende a diminuire o ad aumentare ancora; da cosa vediamo questa tendenza? Dalla differenza tra il tasso d’interesse pagato sul debito e la crescita del PIL.

Il progetto del Recovery Fund è ancora lontano dall’essere totalmente definito nella sua interezza, ma l’opinione comune dei Paesi è potersi rialzare grazie a strumenti solidi e duraturi in un’ottica di lungo periodo.

Contenuto realizzato in collaborazione con Starting  Finance

Rossana Arcano
Marco Amato

 

MES e SURE. Ecco cosa sono, come funzionano e le criticità che hanno fatto discutere

Dopo aver discusso nel dettaglio la scorsa settimana le caratteristiche dell’intervento effettuato dalla BCE in risposta alla crisi causata dal Covid-19, la linea temporale degli interventi posti in essere dalle istituzioni europee suggerisce come passi successivi il SURE e il MES.

Il 2 aprile Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha annunciato ai microfoni lo strumento SURE (“Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency”), appunto, letteralmente, “supporto per mitigare i rischi di disoccupazione dovuti all’emergenza”.

Considerato come uno strumento con carattere temporaneo, dovrebbe terminare alla conclusione dell’anno 2022, con una dotazione per il periodo considerato di 100 miliardi di euro.

Come funziona?

E’ prevista la creazione di un fondo ad hoc di cui i paesi europei saranno i “soci” e verseranno una garanzia di €25 miliardi; la quota della garanzia versata da un Paese sarà proporzionale alla percentuale del suo PIL rispetto a quello dell’UE – ad esempio l’Italia verserà il 13% di questi 25 miliardi.
Lo stesso fondo, che poggia le sue basi sulla garanzia dei paesi europei, emetterà dei bond per raccogliere i 100 miliardi necessari alla propria capitalizzazione che verranno prestati agli stati che ne presenteranno richiesta.

Invece, il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è un’organizzazione intergovernativa, istituito grazie alle modifiche apportate al Trattato di Lisbona dal consiglio UE nel marzo 2011. Predisposto ad un’entrata in vigore nel 2013, questa fu anticipata al 2012 a causa della crisi dei debiti sovrani.

Normalmente il MES, anche Fondo Salva-Stati, presta denaro ai Paesi che non riescono più a finanziarsi sul mercato emettendo bond, poiché i mercati finanziari nutrono scarsa fiducia sulla loro solidità economica (come già accaduto alla Grecia). Il prestito può essere effettuato attraverso una delle due linee di credito (precauzionale o rafforzata) e può comportare delle condizionalità, concordate attraverso un Memorandum d’intesa.

Nel 2017 era stata proposta una riforma del MES, ma dopo tante riprese la riforma è stata rimandata causa COVID-19.

Il 9 aprile scorso è stato proposto il Pandemic Crisis Support, una linea di credito speciale, in cui i paesi possono richiedere somme fino al 2% del proprio PIL (per l’Italia sarebbero fino a 36 miliardi), con la condizione che i fondi siano utilizzati solo per finanziamenti diretti o indiretti dei costi sanitari dovuti alla crisi Covid-19. Questi fondi potranno essere richiesti fino al 2022 e nessuno Stato è obbligato a richiedere il prestito, ma è assolutamente libero di scegliere se attivarlo e quanto richiedere.

Il modo con cui il MES reperirà i fondi da prestare ai paesi che ne faranno richiesta sarà lo stesso utilizzato dal fondo SURE, emettendo dei propri bond.

I due strumenti appaiono carichi di supporto per fronteggiare la crisi Covid-19 che ha messo in ginocchio i Paesi dell’Eurozona, tuttavia, al loro interno, presentano degli aspetti da analizzare con cura.

Le critiche

In riferimento al MES, la principale critica rilevata è stato l’accordo approvato nell’Eurogruppo di aprile, quando il Consiglio europeo ha proposto come requisito per accedere al fondo senza condizioni, avendo così opportunità di accesso al credito, l’obbligo di utilizzare le risorse ottenute per finanziare le spese sanitarie (mascherine, guanti, respiratori, dispositivi medici, personale, etc.).

Qualche settimana fa Paolo Savona, presidente della CONSOB, ha dato il suo parere riguardo il MES:

Il nodo cruciale è il rapporto tra debito pubblico e Pil: se il rapporto salirà nelle dimensioni previste, il mercato reagirà. Così come reagiranno i cosiddetti Paesi frugali”.

In riferimento a questo, ci sono degli aspetti che non possono essere sottovalutati: tra le tante critiche, una di queste è mossa dai vertici politici italiani: la dotazione è insufficiente, insieme al vincolo di destinazione della spesa, questi risultano essere, infatti, dei paletti alla libera decisione.

Riguardo lo SURE, quali potrebbero essere gli effetti per il futuro date le criticità? Tra queste vi è una probabile insufficienza di capacità finanziaria per rispondere all’emergenza e, anche qui, si parla sempre di prestiti da dover rimborsare. In più, ancora non è stata data piena operatività al sistema: si dovrà aspettare a lungo?

Tuttavia, secondo il professore Carlo Cottarelli, utilizzando questi strumenti, in particolare il MES, “il risparmio sarebbe 9 volte più grande (per 10 anni) di quanto avverrebbe col taglio dei parlamentari, tanto voluto da chi non vuole il MES“.

Nonostante gli accesi dibattiti tra le leadership politiche d’Europa, questi, tra i tanti strumenti eretti nell’area Euro, risultano essere la corda a cui i Paesi in difficoltà si aggrappano, speranzosi che l’Europa possa rivelarsi così come si presentò alla sua nascita: garante e promotrice di continuità allo sviluppo dei Paesi.

Contenuto in collaborazione con Starting Finance:

Marco Amato
Rossana Arcano

Cos’è il Quantitative Easing e perchè la Corte Costituzionale tedesca si è messa contro la BCE durante la pandemia

La Corte Costituzionale tedesca ha dato 3 mesi di tempo alla Banca centrale europea per difendere la proporzionalità del Quantitative Easing, mettendo in dubbio il rispetto del mandato e del Trattato del programma di acquisti di titoli pubblici, il celebre Pspp (Public sector purchase programme), avviato dalla BCE dal mese di marzo del 2015 per rilanciare l’economia europea (e non solo) dopo il freno causato dalla crisi del 2008. L’intervento della Corte Costituzionale ha inevitabilmente, in modo implicito,  gettato dei dubbi anche sulle recenti misure adottate dalla BCE per aiutare i Paesi europei ad affrontare l’imminente nuova crisi economica generata dal Covid19.

Ma procediamo per gradi.

  • Cos’è il debito pubblico

Lo Stato necessita di  denaro per garantire i servizi necessari ai propri cittadini, sostenere la crescita economica attraverso continui investimenti e finanziare il proprio deficit, in caso di prevalenza delle spese sulle entrate. Denaro che viene richiesto da parte dello Stato, sotto forma di prestito, quando non dispone delle risorse necessarie per coprire il proprio fabbisogno. Il debito pubblico può essere inteso pertanto come il debito che lo Stato contrae o ha contratto nel passato verso i creditori, ovvero verso tutti quei soggetti che hanno contribuito al suo finanziamento. I titolari del suddetto debito sono soggetti sia pubblici che privati, interni o esterni alla nazione, inglobando quindi all’interno della cerchia dei creditori: singoli risparmiatori o investitori, ma anche imprese piuttosto che banche o altri Stati.

Gli strumenti finanziari impiegati dallo Stato per finanziare il proprio debito pubblico sono molteplici, tuttavia l’emissione di obbligazioni a medio-lungo termine o a breve scadenza è considerato lo strumento finanziario più ricorrente per ottenere il denaro necessario.

Le obbligazioni corrispondono ai famosi ‘’Titoli di Stato’’ emessi in Italia dal Ministero del Tesoro e spesso al centro del dibattito internazionale, soprattutto quando si verificano forti impennate dello spread (differenziale di rendimento tra i BTP italiani e BUND tedeschi), la cui crescita repentina incute timore agli investitori e mette a serio rischio la stabilità finanziaria dei Paesi che già di per sé  non godono di una sana salute finanziaria.

  • Cos’è lo spread

La Germania viene identificata di frequente come benchmark per il confronto con gli altri Paesi, per la sua spiccata solidità finanziaria nella zona euro. Proprio per questo motivo, ogniqualvolta il differenziale di rendimento tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi cresce in modo esponenziale, si interpreta come un campanello di allarme. Significa infatti che la solidità finanziaria dell’Italia sta correndo un rischio. È quello che è successo agli inizii della diffusione della pandemia, tristemente nota a noi tutti, come COVID-19, che ha gettato l’Italia in una situazione di estrema emergenza, inizialmente non percepita in modo proattivo dal resto del resto dell’Unione Europea, salvo poi accorgersi del grave rischio a cui si stava andando in contro.

L’aumento dello spread provoca un significativo aumento del rischio percepito, che si traduce in un aumento dei tassi di interessi sui singoli prestiti contratti tra lo Stato Italiano e i suoi creditori. Aumento dei tassi di interesse significa che diviene più difficile, nonché più oneroso, per lo Stato Italiano accedere al credito e finanziare la propria spesa pubblica, poichè sarà costretto a sostenere un costo di interessi ancora più alto, che incrementano il valore del debito contratto.

  • Il ruolo della BCE durante la pandemia

In effetti, la BCE il suo contributo lo ha dato in diversi modi, primo fra tutti il famoso e ingente piano di quantitative easing (QE), ovvero il programma per l’emergenza pandemica di acquisti netti di attività per 750 miliardi lanciato a fine marzo, noto con l’acronimo Pepp — Pandemic Emergency Purchase Programme — il programma di acquisto titoli per far fronte all’emergenza pandemia, attraverso l’immissione di liquidità nel sistema finanziario europeo.

I programmi di QE sono stati oggetto di critiche fin dal loro primo esordio, specie tra i paesi dell’eurozona che hanno sempre sostenuto di avere i propri conti pubblici in ordine, come la Germania. La Bce compra titoli di stato sul mercato secondario, ovvero i titoli già emessi dagli stati e in possesso delle banche, aumentando così la base monetaria disponibile nell’eurozona con l’obiettivo di fornire liquidità agli istituti in modo che dispongano delle condizioni per continuare e ampliare la concessione di crediti, stimolando al tempo stesso le attività economiche e in particolare l’aumento dell’inflazione. Da sempre la Bce giustifica gli acquisti con la necessità di riportare il tasso d’inflazione dell’eurozona vicino alla soglia del 2%, riconosciuto l’obiettivo primario dell’istituto. La profonda recessione verificatasi in seguito alla crisi del 2008, infatti, aveva portato il tasso d’inflazione vicino allo zero, sfiorando le soglie della deflazione, una condizione sostanzialmente prossima al collasso dell’economia.

Nonostante le motivazioni dettate dalla crisi del 2008, il 5 maggio 2020 i giudici della corte di Karlsruhe hanno dichiarato ‘’parzialmente incostituzionali’’ i programmi di QE che sono stati messi in atto nel 2015, sotto la presidenza di Mario Draghi. Il pronunciamento sembrerebbe non riguardare il nuovo programma di acquisti PEPP, sopracitato. Tuttavia ciò che viene messo in discussione rimane comunque il modus operandi  della BCE e lo strumento messo in atto, è lo stesso che è stato adottato per arginare le conseguenze economiche della pandemia: non si possono pertanto escludere delle ripercussioni future. L’incipit della sentenza sarebbero alcuni ricorsi, secondo i quali queste operazioni risulterebbero un finanziamento diretto ai bilanci pubblici dei paesi dell’eurozona, un’operazione vietata dall’articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. La Corte Costituzionale tedesca aveva già affrontato la questione nel 2017, rimandando il tutto alla Corte di giustizia dell’Unione europea, dal momento che la Bce è un’istituzione comunitaria. La corte di Lussemburgo non aveva accolto i ricorsi, ma con la sentenza del 5 maggio Karlsruhe ha di fatto rigettato la decisione.

I giudici tedeschi in realtà hanno confermato che il QE della presidenza Draghi non viola i trattati europei. Ciò che la Corte contesta è il fatto che la loro attuazione non rispetta i criteri di proporzionalità e adeguatezza rispetto ad altri ambiti del sistema economico. Il riferimento esplicito riguarda gli effetti sul bilancio pubblico tedesco e soprattutto sul risparmio, che sarebbe stato penalizzato dai bassi tassi d’interesse (se i tassi di interesse sono estremamente bassi non avrebbe senso per i risparmiatori depositare i propri soldi presso i conti correnti della Banche, poiché non crescerebbero). La sentenza ha ordinato alla Bundesbank, la banca centrale tedesca, di cessare l’acquisto dei titoli e di prepararsi a vendere quelli già acquistati. Alla Bce vengono concessi 3 mesi, per fornire una documentazione dettagliata e dimostrare che i suoi programmi in realtà non hanno violato i criteri di proporzionalità e adeguatezza.

  • La risposta di Lagarde non ha tardato ad arrivare.

In una videoconferenza organizzata da Bloomberg sulla imminente e necessaria riapertura dell’economia e sulla protezione della salute pubblica, Lagarde, ha infatti dichiarato che la Bce ha già un organo al quale riferisce sulle misure intraprese e gli strumenti utilizzati, e questo è il Parlamento europeo.

Solo di fronte al Parlamento, la Bce ha l’obbligo istituzionale di spiegare come «analizza, soppesa, misura» gli strumenti che utilizza per la sua politica monetaria. Una minore quota di debito detenuta dal settore privato riduce nell’immediato il rischio associato a un certo livello di debito pubblico, in termini di possibili crisi sul mercato dei titoli di Stato. Aumenta però la dipendenza dalle istituzioni europee che hanno finanziato l’Italia e, in particolare, dalla BCE. Quest’ultima continuerà a finanziare l’Italia e gli altri paesi “stampando moneta”. In questa situazione, e assumendo un’ottica di medio termine, se il settore privato manterrà volontariamente i più elevati livelli di liquidità, il finanziamento monetario dei deficit pubblici non dovrebbe comportare particolari conseguenze inflazionistiche: gli elevati deficit pubblici, causati dalla pandemia, sarebbero finanziati in modo permanente dalla BCE attraverso il cosiddetto “signoraggio”, con cui si intende l’insieme dei redditi derivanti dall’emissione di moneta. Se invece la liquidità esistente nel sistema fosse mobilizzata in modo massiccio nel medio periodo (attraverso il canale del credito bancario) potrebbero insorgere problemi.

L’Osservatorio sui conti pubblici italiani (OCPI) evidenzia tuttavia, che, in presenza di pressioni inflazionistiche, se la BCE dovesse vendere sul mercato i titoli italiani e di altri paesi europei per assorbire l’enorme liquidità creata negli ultimi anni, incluso quest’anno, i tassi di interesse sui titoli di Stato italiani tornerebbero a crescere, così come aumenterebbe il peso del maggiore debito pubblico creato (inevitabilmente) nel corso di quest’anno.

Marco Bavastrelli

D’Arrigo su Viktor Orbàn: “Le manovre a tempo indeterminato non sono nel novero dei principi comunitari”

Già Direttore Generale dell’Agenzia Nazionale dei Giovani (2013-2018), classe 1976 di Nizza di Sicilia, Giacomo D’Arrigo, fondatore nel 2007 di ANCI Giovane, la rete degli amministratori under 35 dei Comuni italiani, dalla seconda metà del 2019 è presidente della Fondazione Erasmo, il cui scopo è condividere e valorizzare i diritti alla mobilità su scala continentale e le politiche pubbliche europee. Ci ha concesso una chiacchierata per chiarire la questione ungherese, nel contesto dell’emergenza sanitaria da COVID-19 in Europa.

In Ungheria si è deciso democraticamente di attribuire pieni poteri al primo ministro Viktor Orbàn, sotto controllo del parlamento ma senza specificare alcun limite temporale. Se il mezzo utilizzato è democratico, il risultato lo è altrettanto?

Mi sembra evidente come questa decisione sia in contrasto con quelli che sono i principi fondativi dell’Europa. Il respiro dell’Unione rimanda a concetti quali la libertà, il pluralismo e soprattutto la supremazia dello stato di diritto. Quindi non vedo come manovre a tempo indeterminato possano stare nel novero dei principi comunitari. Non a caso, proprio la scorsa settimana sui temi che riguardano il rispetto di regole e principi, la Corte di Giustizia Europea ha condannato Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca rispetto all’utilizzo improprio dei fondi per i migranti. Sia il presidente del parlamento europeo David Sassoli, sia altri esponenti politici di tutto lo spettro dei partiti presenti al Parlamento di Strasburgo hanno chiesto ad Orbàn di chiarire e rivedere questa decisione; ben 12 partititi nazionali aderenti al suo stesso gruppo parlamentare europeo ne ha chiesto l’espulsione. 

Pensi che Orbàn avesse premeditato questa mossa così radicale, oppure si è semplicemente limitato a cogliere la giusta occasione ?

Questo è sempre difficile da capire; credo un insieme delle due cose. Secondo me c’era già una predisposizione, ed è riuscito a prendere il palla al balzo sfruttando la situazione creatasi con l’emergenza sanitaria.
 
Concretamente, che mezzi ha l’Europa per opporsi ad una deriva come questa? Pensi abbia intenzione di farlo?
 
Me lo auguro vivamente. Spero e penso che ci saranno dei provvedimenti. l primi segnali sono andati in questa direzione. Il fatto che siano intervenuti il presidente del parlamento europeo ed i vertici dei vari partiti fa ben sperare. Ha ragione il presidente Prodi quando dice che questa è una situazione in cui l’Europa può sfruttare l’occasione per fare un salto in avanti e rafforzare la sua dimensione comunitaria la forza rispetto alla deviazione manifestata da Stati membri.
 
Ospite d’onore sul palco di Atreju, invitato da Fratelli d’Italia, Viktor Orbàn ha detto di Giorgia Meloni: <<In Ungheria sarebbe considerata “di centro”, io sono più a destra>>. Come giudichi le reazioni dei suoi alleati italiani dopo questa presa di potere? E quelle del resto della classe politica italiana?
 
I sovranisti hanno questo limite: è difficile spiegare perché gli ungheresi non debbano dire “prima gli ungheresi” quando il meccanismo è identico a quello adottato in Italia. Non è un caso che i problemi principali nella dimensione Europea provengano dai leader sovranisti e dai partiti che esprimono una forte presenza sovranista, non soltanto ora nell’epidemia ma anche ma anche in altre crisi come ad esempio quella dei migranti. Rispetto alla presa di distanza da Orbàn mi aspetto che Salvini e la Meloni dicano parole chiare su questo. Non prendere una posizione significherebbe legittimare di ungheresi contro l’Italia.
 
La pandemia di COVID-19 ha messo in evidenza tutte le lacune del Sistema Europa con una enfasi che mai ci saremmo aspettati. Siamo forse di fronte alla crisi terminale dell’Unione Europea ?
 
La pandemia ha fatto emergere la stessa confusione che viene fatta da troppi anni ossia: confondere l’Unione Europea con gli Stati che compongono l’Europa. Seppur in maniera lenta e macchinosa l’Unione Europea ha risposto: la BCE dopo lo scivolone della Lagarde sta comprando il debito di tutti i Paesi; la Commissione Europea ha sospeso il Patto di stabilità; è stata varata la Cassa Integrazione europea da Gentiloni; è stata fatta la centrale unica degli acquisti sanitari a livello europeo; è stata implementata la ricerca sanitaria per il vaccino; sono tutt’ora in corso manovre per rimpatriare i cittadini europei che sono fuori dai confini a spese dell’Unione. Quindi ripeto l’Unione Europea, tolta la prima settimana di incertezza, ha poi risposto; a non fare altrettanto sono invece gli stati membri.
 
Questa è la crisi più grande che l’Europa abbia mai affrontato nei suoi 70 anni di vita, e arriva in quest’ultimo decennio in cui l’UE ha già affrontato altre crisi quali: la crisi terroristica degli attacchi terroristici diffusi, la crisi dei migranti, la Brexit e la crisi sanitaria da COVID-19. Oggi l’Europa ha l’occasione di fare un salto in avanti per strutturare meglio la dimensione comunitaria, altrimenti rimanere così come si è: qualcosa in più di un conglomerato di Stati ma non una dimensione politica completa. Di fatto in questo modo siamo in balia della disponibilità e degli aiuti di altri grandi potenze come la Cina, gli Stati Uniti e la Russia. Tutte queste crisi, ultima la pandemia, ci dimostrano come nel mondo ci siano problemi talmente grandi da non poter essere affrontati singolarmente da nessuno Stato europeo ma insieme.
 
Allora come immagini l’Europa post COVID-19?
 
Non è più tempo di un generico richiamo all’unità, sarebbe limitativo. Sicuramente va maggiormente responsabilizzata la Commissione Europea, assegnando risorse e governance di politiche pubbliche (che oggi sono in mano ai singoli Stati), e certamente va intrapresa una armonizzazione fiscale per uniformare e dare forza centrale. Se l’Europa vuole essere un soggetto realmente competitivo su scala globale deve avere un profilo politico, di governance e di organizzazione degno di questa dimensione.
 
Alessio Gugliotta