Una vita meravigliosa pur partendo da un forte dolore: Lucio Presta, un uomo “Nato con la camicia”

Giovedì 28 marzo 2019. Ore 16.30.  Piazza Pugliatti. Rettorato. Accademia Peloritana dei Pericolanti. Lucio Presta, agente e produttore dello spettacolo, ha presentato il suo nuovo libro dal titolo “Nato con la camicia”. Libro dai forti tratti autobiografici, scritto in collaborazione con la cugina, nonché coautrice: Annamaria Matera. La storia di Lucio Presta è quella di un’Italia che ci piace raccontare e conoscere – cita il Magnifico Rettore prof. Salvatore Cuzzocreaun uomo del Sud che inizia la sua storia parlando di un momento difficile, che, nel corso della sua vita, ha comunque contribuito a rendere forte il legame con la sua terra. L’iniziativa è stata organizzata nell’ambito delle attività del Corso di Laurea triennale in Scienze dell’Informazione: Comunicazione pubblica e Tecniche giornalistiche, ed ha coinvolto anche alcuni studenti del DAMS.

©SofiaCampagna (incontro con Lucio Presta), Accademia Dei Pericolanti – Messina, Marzo 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

©SofiaCampagna (incontro con Lucio Presta), Accademia Dei Pericolanti – Messina, Marzo 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’autore, orfano di madre sin dalla nascita, ha scritto questo libro spinto dal desiderio fortissimo di raccontare una persona così diversa da quella percepita dall’opinione pubblica e da quello che è il suo mondo lavorativo e non. Come lui stesso ha dichiarato durante l’incontro:

Lo dovevo ai mie figli. Volevo che i miei figli conoscessero da dove sono partito e com’ero arrivato a loro. Sono partito dalla curiosità di conoscere cosa fosse successo la notte della mia nascita, cioè cose terribili e straordinarie nello stesso tempo, che mi hanno regalato una vita meravigliosa pur partendo da un forte dolore. Poter condividere con gli altri la possibilità di dimostrare che da un dolore può nascere una storia bellissima era davvero necessario; potevo raccontarlo solo in prima persona.

©SofiaCampagna (incontro con Lucio Presta), Accademia Dei Pericolanti – Messina, Marzo 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nero su bianco viene descritta la perdita della figura materna, nel giorno della sua nascita, tra la notte del 13 e 14 febbraio 1960, la scoperta di un fratello sconosciuto, il difficile rapporto con il padre, la zia che lo ha cresciuto come un figlio, la morte della prima moglie, madre della sua prole. Le donne della sua vita, capaci di comprendere che dietro al professionista inflessibile si celava un uomo fragile che non ha mai realizzato il sogno di ricevere il bacio tanto desiderato della madre. Un viaggio nel tempo, uno sfogo per narrare a penna ciò che non è in alcun modo facile spiegare a parole, una storia privata, intima, fatta di momenti felici ed episodi drammatici, sicuramente saturi di significato che lo hanno portato ad essere un uomo “nato con la camicia”. Da qui il titolo del “diario-romanzo” edito da Mondadori Electra. Nelle sue parole è presente il sud, ha un forte senso di appartenenza: cosentino di nascita e di madre di origini messinesi. C’è un amore viscerale per quella terra che è l’unico luogo in cui si sente davvero sicuro. Emozioni, esperienze, sensibilità che non riescono ad essere contenute.

Quasi due ore di dialogo in cui il brillante manager si è messo a nudo e ha portato alla luce una storia tanto triste quanto bella. All’incontro erano presenti oltre al Magnifico Rettore, prof. Salvatore Cuzzocrea, il Direttore del Dipartimento DICAM, prof. Giuseppe Giordano, ed il prof. Marco Centorrino, docente di Sociologia della Comunicazione.

 Gabriella Parasiliti Collazzo

Non perché, ma come

“Per molto meno, nei secoli scorsi, scoppiavano guerre e rivolte popolari”. Così D’Amico della Gazzetta del Sud la settimana scorsa chiudeva un articolo riguardo l’isolamento e l’arretratezza in cui verte la Città di Messina.

Fondata come colonia greca col nome di Zancle e poi Messana, la città raggiunse l’apice della sua grandezza fra il tardo medioevo e la metà del XVII secolo, periodo in cui contendeva a Palermo il ruolo di capitale siciliana.

Il nome originario Zancle deriva forse dalla forma a falce della penisola di S. Raineri, la quale oltre ad aver stimolato l’immaginazione dei greci attribuendone l’origine al momento in cui Cronos (padre di Zeus) tentò di scacciare dal trono il padre Urano evirandolo con una falce poi lasciata cadere proprio nello stretto, ha costituito un porto naturale che fu alla base dello sviluppo della colonia greca.

Lo stesso che oggi è snodo fondamentale per le imbarcazioni che solcano il mediterraneo e che nel 2016 è stato il primo porto italiano per traffico passeggeri (250mila in più di Napoli). Considerazioni che poco sembrano interessare alla politica nazionale, la quale toglie a Messina la sede dell’Autorità Portuale e poi la lascia fuori dal fondo di 1 miliardo e 397 milioni di euro destinati alle linee metropolitane e filoviarie delle Città metropolitane e altre città.

Sembra quasi ci sia la volontà di punire ed umiliare ogni volta questa splendida città privandola di tutto, spesso anche di diritti fondamentali. La continuità territoriale, in questa zona così cruciale della geografia italiana, viene negata dallo Stato italiano dato il progressivo rincaro dei biglietti aerei per l’Isola da parte delle compagnie aeree, l’assenza di un’alta velocità ferroviaria (per non dire di treni e binari) insieme alle penose condizioni della Messina-Catania il cui versante peloritano non è stato sistemato nemmeno con la venuta del G7 (Tchamp piss no uor).

Caro voli denunciato nei giorni scorsi ancora una volta dall’associazione “Fuori di Me” con il report annuale, da cui si evince un incremento costante dei biglietti aerei per le tratte che servono la nostra zona con picchi sotto Natale a 603 euro per una A/R sulla tratta Linate-Catania. «Come evidenziato dall’ultimo bilancio demografico – sottolinea l’ex presidente dell’associazione Roberto Saglimbeni –, la città di Messina ha subito una perdita pari a 5000 abitanti (-2,2%) solo negli ultimi cinque anni. È quindi ovvio che c’è una sempre più forte esigenza di collegamenti efficienti, soprattutto aerei».

Una realtà quella del fuorisede messinese che cresce quotidianamente, come attestano i dati Istat pubblicati quest’estate sui quotidiani locali secondo cui Quattromila 20enni hanno lasciato Messina dal 2008 ad oggi. Insomma uno stillicidio di giovani più che una fuga di cervelli. Talenti che devono brillare altrove pur essendo nati e cresciuti qui come il chimico-fisico di 25 anni recentemente intervistato da IlFattoQuotidiano.it Fabrizio Creazzo che dopo la tesi magistrale alla Sorbona ha ottenuto il finanziamento del suo PhD sul carburante ecologico del futuro alla Université Paris-Saclay e Ecole Polytechnique. Dopo un 110 e lode in Fisica all’UniMe Fabio è partito per svoltare la sua situazione economica e professionale come si legge nell’articolo del quotidiano nazionale:

“Io vengo dal Sud ma nonostante ciò, con fatica e sacrifici, ho potuto realizzare la mia tesi magistrale in fisica, con il massimo dei voti, all’Università della Sorbona e ottenere un completo finanziamento da un laboratori d’eccellenza per realizzare il mio PhD sempre in Francia”. Ma non solo: in questi pochi anni di vita parigina Fabrizio ha potuto pubblicare ben tre articoli scientifici, conoscere gli esperti mondiali del suo ambito di lavoro e diventare membro del comitato editoriale di una rivista scientifica a soli 25 anni. “E sono partito da Messina. Tutto questo in Italia sarebbe stato impensabile”.

Tutto ciò potrebbe suonare come un commiserare ripetitivo, una lamentela, di quella che è la situazione attuale, ma ciò che deve spaventare davvero è l’assordante silenzio della classe dirigente locale. L’assenza di politiche concrete che rendano Messina capace di richiamare ed attrarre a sé i più giovani, senza i quali questo posto non ha futuro.

Quando ero all’ultimo anno di Liceo, in occasione del 66^ anniversario della nascita della Regione Sicilia (2012), la mia scuola organizzò un incontro con l’autore del libro “I Siciliani” Gaetanno Savatteri, incontro al quale parteciparono anche l’allora sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca e l’allora assessore regionale alla cultura Mario Centorrino. Mi fu richiesto dal comitato organizzativo insieme ad altri compagni di scuola di porre una domanda allo scrittore. I miei coetanei fecero domande inerenti al libro, alla Sicilia ed alla Mafia, io pensai di andare un po’ fuori traccia. Così presa la parola mi rivolsi direttamente all’assessore regionale e chiesi come potessimo noi giovani una volta terminato il liceo costruirci un futuro rimanendo nella nostra terra. Era un professore distinto, molto pacato, e fu piacevole ascoltare la sua risposta sul perché fosse importante rimanere qui, ma una volta averlo lasciato terminare al microfono dissi: “assessore non le chiedo perché, ma come?”. Lui mi sorrise e fu così gentile da rispondermi che era possibile ma difficile. A distanza di cinque anni però, continuo a pormi la stessa domanda: “Non perché, ma come?”.

Alessio Gugliotta

Dedica di Gaetano Savatteri

 

Donarsi

Sottofondo musicale consigliato: Christmas Lights – Coldplay

Più che alle porte oramai è nelle nostre case e nei nostri cuori. E’ arrivato senza bussare, di certo non ha bisogno di alcuna presentazione. E’ arrivato e ne son certo. Lo s’intuisce dalle illuminazioni, dagli addobbi e dall’atmosfera intrisa di felicità e fritto (per molti felicità e fritto potrebbe essere una ripetizione, mi scuso a priori). Ti basterà sfiorare lo sguardo di un bambino per comprendere meglio a cosa mi riferisco. Il Natale, sì, di questo vi sto parlando. Sin da piccoli, non vediamo l’ora che arrivi questo fatidico giorno. Ed è proprio da piccoli che abbiamo imparato la lezione: fare attenzione a non comportarsi male durante tutto l’anno, altrimenti, carbone! (lacrime virili). Arrivato Dicembre, il momento più bello: scrivere la lettera a Babbo Natale. Una lista interminabile di oggettistica, con cui avresti giocato circa 3,6 secondi netti, ma che in quel momento reputavi indispensabili per la tua vita. Dalla pista delle macchinine fino ad arrivare all’ultimo prototipo di ActionMen. Volevi tutto, non si badava a spese, anche perché pensavi realmente li portasse Babbo.. Poi l’attesa interminabile, la notte della Vigilia non passava mai. Non si chiudeva occhio. E sul tavolino vicino l’albero, un po’ di latte e biscotti per il vecchietto dalla barba lunga. Per poi svegliare l’intero vicinato alle sei di mattina del giorno dopo per via delle tue grida di gioia per i regali ricevuti.

Ebbene sì, fin da bambini siam stati abituati sempre e solo a ricevere. Un regalo da mamma e papà, un regalo dai nonni, zii e via dicendo. Ed andando avanti con l’età, il regalo lo si pretendeva sempre. E guai a dimenticarsi del regalo. Ma è davvero questo il significato del Natale? Riempirsi le mani e le tasche di oggetti e basta? Sembrerebbe davvero riduttivo. Allora, in questo pomeriggio freddo ed uggioso, mi domando: qual è il vero dono del Natale? In questi anni ho sempre pensato al Natale non come un periodo dell’anno qualsiasi, ma come un momento di riflessione, che ogni uomo o donna sulla terra, si prende per tirar le somme del proprio operato.  Ci si ferma un attimo per domandarsi: ma quanto ho fatto del bene quest’anno? Cos’è davvero importante per me? Ed è per questo che voglio condividere una storia con voi, una storia che, dopo averla letta, mi ha cambiato la vita ed il modo di vedere le cose. Il protagonista di questa storia è un professore, che un giorno, per introdurre una sua lezione, prese un grosso barattolo vuoto e lo riempì con delle palline da golf. Domandò quindi ai suoi studenti se il barattolo fosse pieno ed essi risposero di sì.

Allora, il professore rovesciò dentro il barattolo una scatola di sassolini, scuotendolo leggermente. I sassolini occuparono gli spazi fra le palline da golf. Domandò quindi, di nuovo, ai suoi studenti se il barattolo fosse pieno, ed essi risposero di sì.

Il professore, rovesciò dentro il barattolo una scatola di sabbia. Naturalmente, la sabbia occupò tutti gli spazi liberi. Egli domandò ancora una volta agli studenti se il barattolo fosse pieno ed essi risposero con un sì unanime.

Il professore tirò fuori da sotto la cattedra due bicchieri di vino rosso e li rovesciò interamente dentro il barattolo, riempiendo tutto lo spazio fra i granelli di sabbia. Gli studenti risero! “Ora”, disse il professore quando la risata finì, “vorrei che voi consideraste questo barattolo la vostra vita. Le palline da golf sono le cose importanti; la vostra famiglia, i vostri figli, la vostra salute, i vostri amici e le cose che preferite; cose che se rimanessero dopo che tutto il resto fosse perduto riempirebbero comunque la vostra esistenza. I sassolini sono le altre cose che contano, come il vostro lavoro, la vostra casa, l’automobile. La sabbia è tutto il resto, le piccole cose. Se metteste nel barattolo per prima la sabbia -, continuò -, non resterebbe spazio per i sassolini e per le palline da golf. Lo stesso accade per la vita. Se usate tutto il vostro tempo e la vostra energia per le piccole cose, non vi potrete mai dedicare alle cose che per voi sono veramente importanti. Curatevi delle cose che sono fondamentali per la vostra felicità. Definite le vostre priorità, tutto il resto è solo sabbia.”

Una studentessa alzò la mano e chiese che cosa rappresentasse il vino. Il professore sorrise. “Sono contento che tu l’abbia chiesto. Serve solo a dimostrare che per quanto possa sembrare piena la tua vita c’è sempre spazio per un paio di bicchieri di vino con un amico”.

Perciò, dopo aver letto questa fantastica storia credo che riusciate a rispondere a tutti gli interrogativi precedenti. Natale è donare alla propria famiglia tutti noi stessi, Natale è donare qualche ora in più al proprio nonno o alla propria nonna, Natale è donare alle persone più sfortunate di noi cinque minuti di felicità con un piccolo gesto.

Natale significa donarsi alle proprie priorità.

P.S.: Natale è anche donare il proprio sangue, perché come dice un uomo gran lunga più saggio di me, i malati non vanno mai in vacanza!

Buone feste!                                                 

Vincenzo Francesco Romeo

 

 

 

“The Big Kahuna”

Di film indipendenti se ne trovano a bizzeffe, specialmente da dopo la miracolosa discesa in terra della piattaforma mistica di nome “Netflix”, ma sono veramente pochi quelli che riescono a rimanere all’altezza degli standard delle grandi produzioni Hollywoodiane nonostante il loro budget molto limitato.
The Big Kahuna (La Grande Occasione) è uno di questi, una piccola, sbiadita e remota stellina lucente in mezzo ad un panorama troppo scuro…

E’ un film del 1999 diretto da John Swanbeck, tratto dalla commedia teatrale Hospitality Suite di Roger Rueff (che sarà anche sceneggiatore della stessa pellicola) che vede protagonisti “solo” tre attori: Danny DeVito, Kevin Spacey e un giovanissimo Peter Facinelli che interpretano il ruolo di tre venditori di lubrificanti industriali per una azienda sempre più sull’orlo del fallimento.
L’unica location utilizzata è una modesta stanza d’albergo di Wichita, Kansas dove i tre hanno organizzato un incontro con un grosso cliente che con il suo ordine potrebbe risollevare le sorti della loro azienda. Il problema è che nessuno di loro conosce il suo volto.

Ogni personaggio è diverso dall’altro e tutto il film ruota proprio attorno ai dialoghi che queste tre personalità tanto diverse riescono a partorire.
Il primo di cui facciamo la conoscenza è Phill Cooper (Danny DeVito) saggio venditore di mezz’età dalla personalità profonda e confusa che rappresenterà uno dei punti chiave di tutto il film. Insieme a Cooper troviamo Bob Walker (Peter Facinelli) giovanissimo venditore, neoassunto, ligio al dovere e fortemente legato alla religione Battista di cui è un fervido credente. L’ultimo ad intervenire è Larry Mann (Kevin Spacey) cinico ed astuto venditore, dotato di un grande sarcasmo che spesso lo spinge ad esagerare nell’uso di parole taglienti, specialmente nei confronti del giovanissimo Bob Walker.

“Be’, guardate, sono allibito! Io non fumo, tu non bevi e Bob non fa pensieri licenziosi sulle altre donne. Messi insieme noi tre siamo praticamente Gesù”

I dialoghi sono la vera perla di questo film, soprattutto se si considera che il tutto si ambienta in una sola, piccola e semplice stanza dalle pareti color kaki di un altrettanto anonimo albergo del Kansas. L’azione è bandita dalle scene, la parola viaggia libera e tocca i temi più disparati, dal senso della vita alla religione, dall’importanza della famiglia al valore dell’amicizia, fino, ovviamente, ai temi più concreti della finanza e del linguaggio imprenditoriale. Tutto si muove sulla linea del confronto/scontro tra Larry e Bob, troppo distanti caratterialmente per vivere una giornata intera gomito a gomito sotto la costante pressione di un cliente che non si palesa; confronto che scoppia nella costante battaglia tra il cinismo dato dall’esperienza di vita del primo e la forte e quasi eccessiva fede religiosa del secondo.

Non è un film che eccelle sotto tutti i punti di vista, anzi, spesso dimostra molte lacune sul piano della regia e della trama in se stessa, ma, nonostante la forte mediocrità dell’organizzazione di base, riesce a mettere in luce le splendide performance dei tre attori che riescono a cucirsi addosso perfettamente i loro ruoli, senza troppi eccessi, in maniera semplice, ma diretta. L’apice del film lo si raggiunge nel finale che riesce a condensare perfettamente il senso di tutta la storia in pochi minuti dalla straordinaria forza d’impatto, dimostrandosi così una perfetta chiosa per un film dalle poche aspettative, ma dai molti punti di riflessione e di indagine interiore.

“Non sentirti in colpa se non sai cosa vuoi fare della tua vita. Le persone più interessanti che conosco a ventidue anni non sapevano che fare della loro vita. I quarantenni più interessanti che conosco ancora non lo sanno.”

È un film consigliato a tutti coloro che non hanno paura di mettersi in dubbio, di porre sotto i riflettori del giudizio altrui la propria personalità, i propri difetti e le proprie paure; che sono disposti a cambiare in meglio, a chiedere scusa e ad affrontare i problemi di ogni giorno con spensieratezza, perché, prima o poi, anche loro riusciranno a cogliere la loro grande occasione.

Giorgio Muzzupappa

Twin Peaks : il ritorno

Venticinque anni fa andava in onda l’ultima puntata. Parlo di Twin Peaks la serie cult degli anni Novanta creata da David Lynch e Mark Frost. Precorritrice delle serie d’autore, per la qualità di sceneggiatura, trama e attenzione ai minimi dettagli.

 
Era l’aprile del 1990 quando il corpo di Laura Palmer venne ritrovato avvolto nella plastica, la nebbia della confusione si addensava sempre più con l’avvio delle indagini di questo omicidio e tutta la cittadina di Twin Peaks era passata al setaccio dall’agente del FBI Dale Cooper.
Fra i seriali e non solo c’è grande attesa per questo ritorno di cui si parla dal 2014.


Riecco Kyle MacLachlan nei panni di Dale Cooper, e gli altri volti storici della serie, da Mädchen Amick a Sherilyn Fenn e Sheryl Lee, fino a Ray Wise.
Sono  tanti i nuovi ingressi: da Laura Dern (che in tanti definiscono la musa dello stesso Lynch dai tempi di Blue Velvet)  poi abbiamo Amanda Seyfried, Jennifer Jason Leigh, Naomi Watts, Trent Reznor, Jim Belushi, Eddie Vedder e persino una italiana : Monica Bellucci. Per un totale di 217 attori.
Della trama non si sa nulla, solo che è un sequel. Gli episodi sono 18 e sono stati scritti da David Lynch e dallo sceneggiatore storico della serie Mark Frost. Le musiche sono state composte da Angelo Badalamenti.

 


Nella notte fra domenica 21 e lunedì 22 dalle 3.00 su Sky Atlantic HD sarà possibile vedere i primi due episodi della nuova stagione in versione originale con sottotitoli.
La serie verrà trasmessa in contemporanea con gli Stati Uniti, data di inizio il 26 maggio ogni venerdì alle 21,15 su Sky Atlantic HD.

Le aspettative sono alte, la prima stagione fu un caso storico, la seconda un flop e con conseguente cancellazione del programma. Qui Lynch e Frost si giocano tutto, le carte per un sequel memorabile ci sono.
Voi preparate caffè americano e torta alle ciliegie che mal che vada ci si consola.

 

Arianna De Arcangelis

Adesso di Chiara Gamberale

Tanto ormai è successo.
E quando?
Adesso.

Chiara Gamberale, in Adesso, affronta lo stesso tema che da anni la letteratura cerca di interpretare, scoprire, sviscerare: l’amore

Ma l’amore non è più quello adolescenziale delle attese sul motorino fuori scuola, i primi messaggi, le prime gite al mare, i primi mesi, no … l’amore inteso più come un mal d’amore, che ti forma ma ti deforma, che guarisce le tue ferite ma ti frantuma il cuore e da quel momento finirai per spezzare il cuore a chiunque proverà ad aggiustare il tuo (sempre che le tue ferite non ti abbiano resa troppo menefreghista per lasciarti andare con una persona nuova), perché a quel punto sarai destinata a incontrare solo persone che non ti capiscono, e perciò ti trovano irresistibile, o persone che ti capiscono e che per questo si allontanano.

E adesso? Adesso Lidia e Pietro, una neo-coppia con retaggi di un passato irrisolto, relazioni interrotte, paure stupide,  traumi giovanili, fame d’ amore contrastata da un impetuoso ed irrefrenabile desiderio di fuga oltre a figure ingombranti riemerse o mai scomparse dal proprio cammino.

La loro, in fondo, sarebbe una semplice storia d’ amore, se non subentrassero a complicarla maledettamente quei fantasmi di un passato che ritorna e di un destino che appare segnato.
Lidia e Pietro sono profondamente diversi. Lei lavora nel mondo dello spettacolo, e’ vulcanica, estroversa, logorroica, vive intensamente ogni storia,senza figli, ma un ex marito bambino mai cresciuto, tuttora presente ed incalzante, da cui è stata più volte tradita. Lui è un preside, serio, compito, di poche parole, tende a sottrarsi agli affetti più cari, ha una figlia adorabile ed una ex moglie con neo-vocazione monacale.
Entrambi hanno sofferto di perdite, assenze genitoriali, affetti negati e si incontrano, quasi per caso, come la maggior parte delle neo-coppie, iniziando una relazione specchio del proprio tormentato essere e di quella paura di amare e di perdersi che li trattiene da sempre.

Arriva un momento, per ognuno di noi, dopo il quale niente sarà più uguale: quel momento è “adesso”.”

Chiara Gamberale scava nelle emozioni armata di un bisturi, mettendo il nostro cuore sotto i riflettori della coscienza, descrivendo una generazione cresciuta solo anagraficamente, ancora figli quando la realtà li vorrebbe madri e padri, ancora così impauriti dai sentimenti abituati a un regime di indifferenza di fronte alle proprie emozioni, un meccanismo di difesa che le delusioni passate hanno eretto.

Ma proprio in una giornata come le altre, in cui non ti chiedi più se succederà qualcosa, ecco quella cosa speciale che succede proprio a te.

È un testo dallo stile per niente impegnativo, forse una narrazione confusa nella prima parte ma alleggerita da mail, sms, addirittura un curriculum sentimentale (che forse tutti dovremmo avere, così per facilitare un po’ tutto) , con curiosi e divertenti coprotagonisti che, con le loro storie, si intrecciano alla storia principale.

Non è prima di una vecchiaia dolce e non è dopo un’infanzia tremenda, non è prima di niente e dopo di niente, è solo adesso, dopo il dolore, prima del dolore, finalmente è adesso, un momento in cui rimanere mentre c’è, senza fuggire, perché è una fuga in sé, senza sperare, perché è in sé una speranza, io? Tu, no no, sì sì, non sono pronto, nessuno lo è.”

Serena Votano

13 Assassini e la lotta per la giustizia del popolo.

Sono tredici, ma non sono audiocassette di una ragazzina suicida. 

Lord Naritsugu Matsudaira, fratello minore dello Shogun in carica, semina morte e paura per suo semplice diletto, in un periodo di assoluta pace che perpetua nel Giappone. Ciò non è accettabile, ma nonostante il disgusto e la disapprovazione delle più alte cariche, il legame di Naritsugu con il fratello lo rende fondamentalmente intoccabile, almeno dal punto di vista formale. Proprio per questo motivo, un nobile samurai di nome Shinzaemon Shimada viene incaricato di una missione assolutamente segreta e di vitale importanza: quella di ucciderlo. Shinzaemon sa perfettamente che questa sarà la missione della sua vita e che come ricompensa avrà solo la morte, dunque, con animo nobile e giusto di samurai, accetta di buon grado la missione senza esitare. Così comincia la ricerca di valorosi, fidati e abili guerrieri favorevoli al compimento della missione e pronti a tutto pur di portarla a termine. A ricerca conclusa, il gruppo risulta essere formato da soli dodici uomini, formidabili samurai votati all’arte della spada puntando sulla qualità piuttosto che sulla quantità. Lealtà e giustizia sono i punti cardine. Il loro appuntamento con la morte è dunque alle porte.

13 Assassini” di Takashi Miike è un’opera curata e controversa, remake dell’omonimo lavoro del 1963 a cura di Eiichi Kudo. Azione, esplosioni, combattimenti fra samurai, sangue. Gli ingredienti ci sono tutti o forse c’è qualcosa in più. Infatti la pellicola nipponica produce un buon risultato finale, nonostante la trama sia piuttosto lineare e prevedibile, senza trascurare elementi poco credibili e realistici utili ad alimentarne la spettacolarità, assolutamente gradita. Vi è da precisare che il genere non è proprio per tutti, specialmente nel caso trattato, dove per alcuni le sequenze iniziali potrebbero essere considerate “disturbanti”. Nel complesso si mantiene un certo equilibrio, con scene di piena azione, ma non troppo crude, alternate a combattimenti godibili. L’atmosfera che si viene a creare è sicuramente appropriata per il genere e in ogni singolo tratto del film, si respira Giappone dei tempi dello Shogunato (forse con qualche pizzico di stereotipi, ma non è dato saperlo con certezza). Se si è alla ricerca di un buon lavoro cinematografico e samurai impavidi con katana al loro seguito, “13 Assassini” sicuramente non deluderà.   

                                                                                                                                                Giuseppe Maimone

IT di Stephen King

Il 1986 è l’anno in cui il terrore ha fatto la conoscenza della carta stampata.
L’anno in cui gli incubi di ogni persona hanno avuto un contatto diretto con la realtà.
L’anno in cui viene pubblicato il capolavoro dell’orrore di Stephen King “It”.

“E una volta andato non puoi più tornare indietro

Quando di punto in bianco sei nel buio”

Queste sono le parole di “My My, Hey Hey (Out Of The Blue)” storico pezzo di Neil Young, che perfettamente sintetizzano la sensazione che questo libro regala ad ogni lettore sin dalle prime pagine. Una volta iniziato non ci si può più fermare, non c’è scampo, veniamo immersi nella realtà tetra, umida e stantia dove vive la paura mascherata da clown, dove il male si nutre e prolifera. Nella dimora di It!

Tutto inizia nel 1957 nella cittadina, fittizia, di Derry dove da parecchi giorni imperversano forti temporali che stanno allagando la città e causando non pochi problemi a tutta la popolazione. Qui facciamo la conoscenza del piccolo George Denbrough che, nonostante il diluvio, si trova nelle strade della città a giocare nei piccoli canali che si sono formati ai bordi della strada con una barchetta di carta fabbricatagli dal fratello Bill.
Il cielo è grigio ed il vento soffia forte spingendo la barca sempre più veloce lungo il marciapiede di Witcham Street, tanto forte che Georgie quasi non riesce a stargli dietro. Ma le acque in cui la barchetta naviga sono troppo mosse per permetterle di resistere a lungo nel suo tragitto ed in poco tempo finisce per affondare ed essere trasportata dalla corrente in uno dei canali di scolo presenti lungo la strada. Li è dove si nasconde il pagliaccio Pennywise con il suo sorriso sgargiante ed il coloratissimo mazzo di palloncini, ma, come in ogni sogno che ci fa risvegliare sudati e sconvolti, ciò che può sembrare innocuo e sicuro in realtà rappresenta la più oscura delle paure. In un attimo il demone si palesa e uccide brutalmente il piccolo Georgie seminando il panico a Derry…

Dopo questo terribile avvenimento, un gruppo di bambini guidati proprio dal fratello maggiore di George, Bill Denbrough, decidono di formare una squadra, o meglio un club, “il Club dei Perdenti”, per riuscire a stanare il mostro e fermare la sua sete di sangue.

La storia si muove su due piani temporali diversi, uno parallelo alla morte del piccolo Denbrough (1957-1958) ed uno futuro in cui i membri del club sono ormai grandi e vivono la propria esistenza lontani da Derry (1985), ma si mantiene sempre lineare, semplice, grazie soprattutto alla capacità dello Scrittore di miscelare alla perfezione i momenti di riflessione dei vari personaggi con corposi flashback che ci permettono di vivere a cavallo di tre decadi senza mai sentirci spaesati nel testo. La scrittura di King è dinamica, fluente, introduce il lettore nelle scene e gli permette di viverle nella realtà, di immaginarsele alla perfezione nella mente, non in maniera grezza o approssimativa, ma estremamente particolareggiata.
Ogni personaggio ha una sua specifica immagine, un suo carattere ben delineato, una sua personale e profonda paura e questo consente di creare legami stretti con ognuno di loro, di viverne le avventure e non di osservarle da lontano come spettatori asettici.

Il genere horror vive in perfetto equilibrio sul filo sottile che separa la magia dalla realtà, la mera falsità dal puro terrore umano, e con questo libro Stephen King si dimostra il migliore tra i funamboli riuscendo a rendere vere e carnali le sensazioni che questa storia immaginaria ci incide nella mente. Mai una volta ci ritroveremo a pensare che una delle scene narrate sia troppo esagerata o falsa, appunto. Ogni particolare è sapientemente inserito tassello per tassello in un mosaico che ci permette di arrivare ad un’unica conclusione: la magia esiste!

Abbiate timore di leggere questo libro, non quel timore che congela il pensiero e costringe ad un vigliacco dietrofront, ma quello che ci incuriosisce, che ci spinge ad avvicinarci al burrone ed a guardare giù anche quando chiunque sarebbe pronto a dirci di non farlo, perché, in fondo, chi non ha mai provato a rapportarsi con la propria paura, ad avvicinarsi solo per sfiorarla in una profonda introspezione.            Abbiate quindi il coraggio di avere paura, di allontanarvi dalla luce chiara e sicura del sole, per trovarvi cosi, di punto in bianco, nel buio…

Giorgio Muzzupappa

 

(nda di seguito il trailer del remake cinematografico del libro che uscirà l’8 settembre)
https://youtu.be/w7Zv5nPLDqw

 

Alfano in visita all’UniMe: “Il governo abbatterà le tasse universitarie”

Si è svolto presso l’Aula Magna del Rettorato l’incontro intitolato “60 anni di Europa con un futuro da disegnare”, organizzato dall’Università degli Studi di Messina in occasione delle celebrazioni per 60° anniversario dei Trattati di Roma ed a cui ha partecipato anche il Ministro agli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale, Angelino Alfano….

….E pure voi che ci credete. Buon pesce d’aprile dalla redazione di UniVersoMe.