Attacco hacker: i pericoli e le risposte della Pubblica amministrazione

Nei giorni scorsi, un massiccio attacco cybernetico ha investito numerosi Paesi del mondo compromettendo migliaia di server. I più danneggiati sono stati Francia e Norvegia, ma nel mirino anche l’Italia.

All’origine degli attacchi hacker

Secondo l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn), gli attacchi hacker provenivano da un ransomware già noto da tempo. Il ransomware è un tipo di virus che prende il controllo del computer di un utente ed esegue la crittografia dei dati, quindi chiede il pagamento di un riscatto (ransom) per poter tornare a utilizzarlo. Questo tipo di malware si diffonde mediante file di virus che devono essere installati come file con estensione .exe. Una volta entrato nella rete, è in grado di diffondersi su tutti i dispositivi sotto mentite spoglie di un worm.

La vulnerabilità sfruttata dagli hacker ha colpito, in particolare, i server VMware, un software di VMWAre Inc, sito a Palo Lato in California. Considerato anche come hypervisor, consente la produzione di una “macchina virtuale”, termine che sta ad indicare la creazione di uno o più ambienti virtuali in un unico computer. Su uno stesso hardware, condividendo le risorse, possono così girare diverse macchine virtuali.

Funge da intermediario tra l’hardware del computer e i sistemi operativi ospitati all’interno delle macchine virtuali: assegna ad esse le risorse hardware – come cpu, memoria e disco – in modo che ogni macchina virtuale possa eseguire il proprio sistema operativo e le applicazioni, come se fosse installata direttamente sul computer.

La vulnerabilità era già stata corretta nel passato dal produttore già due anni fa, a febbraio 2021, ma evidentemente gli amministratori di sistema non si sono preoccupati di fare il backup dei dati, che consente di cancellare i dati infetti e riformattare i dispositivi. La vulnerabilità, non corretta, ha permesso agli hacker di sferrare l’ondata di attacchi registrata nel weekend.

Richiesta di riscatto dopo infezione del PC di un ransomware. Fonte: swdcomputer.it

Migliaia di identità compromesse

Gli attacchi alla sicurezza informatica non si sono limitati solo a questo: ad essere stati rubati troviamo anche documenti di identità e dati personali.

Il furto d’identità può avvenire in tantissimi modi: sono sempre più frequenti i cyberattacchi che si infiltrano in server internazionali, dalle strutture più piccole come aziende commercianti fino alle grandi strutture sanitarie, e mirano al furto dei dati sensibili degli utenti.

Non solo: fra le truffe più pericolose che circolano in rete troviamo il phishing, realizzata ingannando l’utente e si concretizza principalmente attraverso messaggi di posta elettronica ingannevoli. La più diffusa è sempre il classico allegato al messaggio di posta elettronica; oltre i file con estensione .exe, i virus si diffondono celati da false fatture, contravvenzioni, avvisi di consegna pacchi, che giungono in formato .doc o .pdf .

Un’altra tipologia risulta l’email falsificata, che solo apparentemente proveniente da istituti finanziari o da siti web che richiedono la registrazione, nella quale richiede all’utente di cliccare su un apposito link, grazie al quale potrà risolvere una determinata tipologia di problematica, dove, spesso, risulta essere un mancato versamento di contributi previdenziali, la riscossione di un pagamento della dogana per una spedizione, una richiesta di aggiornamento dei propri dati (tra cui le coordinate bancarie).

Questo, il più delle volte, porta all’attivazione di un piccolo abbonamento, a carico della vittima, che toglie pochi soldi al mese sul conto. Piccole somme che nel suo insieme, vista la natura silenziosa dei prelievi, l’utente non si accorge immediatamente. Oppure capita anche il colpo grosso e dirottano a proprio vantaggio un corposo bonifico, nella maggior parte dei casi fino a ripulire del tutto un conto corrente.

Anche tramite i social network più utilizzati, come Instagram e Facebook per esempio, possono accadere furti d’identità: gli hacker iniziano così a scrivere sotto falsa identità, o a nome dell’account hackerato a tutti i contatti presenti in lista, cose molto lesive per la reputazione della vittima, salvo poi chiedere un riscatto, oppure convincere gli stessi contatti verso altre truffe certe, magari su piattaforme Bitcoin o piattaforme di trading on-line.

Per non farsi truffare bisogna controllare attentamente il nome del mittente della email (in alto, sopra all’oggetto) e verificare che questi corrisponda a quelli effettivamente appartenenti al mittente originale.

Messaggio di riscatto dopo l’attacco hacker avvenuto il 4 agosto 2021 alla Regione Lazio. Fonte: open.online

La pubblica amministrazione risponde

Con la pubblicazione del messaggio n. 535 del 3 febbraio 2023 l’INPS ha comunicato “l’attivazione di un controllo di verifica aggiuntivo dell’identità digitale quando si inseriscono le credenziali per effettuare l’accesso ai servizi online dell’Istituto“, un controllo aggiuntivo che interviene nei soli casi in cui si verifichi un tentativo di accesso ai servizi con identità digitali diverse da quelle utilizzate precedentemente dallo stesso utente.

Dopo ciò, il sistema invia sui recapiti telematici e -mail e cellulare già registrati dall’utente, un codice di conferma “usa e getta”, che l’utente stesso dovrà inserire per ottenere l’accesso. Contestualmente, il sistema invierà una notifica via e-mail o, in assenza, sul cellulare o via PEC, per informarlo dell’avvenuto accesso con nuove credenziali SPID, CNS o CIE a lui intestate, in modo da adottare le conseguenti azioni in caso di accesso indebito. La nuova funzionalità risulterà attiva per tutti coloro che abbiano validato i propri recapiti telematici

 

Victoria Calvo

Terremoto in Siria e Turchia: oltre 11000 i morti

Veduta aerea Fonte :AGI

Nella notte tra domenica e lunedì, intorno alle ore 2:17 italiane, si è verificato un forte terremoto ha colpito la Turchia meridionale, nella provincia di Gaziantep, una zona altamente sismica, e il confine con la Siria.

É stato il più grande disastro registrato nel Paese dal 1939 “sono queste le parole del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

Due le scosse maggiori , la prima con magnitudo 7.8 e la seconda di 6.7, seguite poi da  ben 120 di assestamento. Il sisma ha avuto un ipocentro a 7 km di profondità ed è stato sentito nelle 10 province meridionali del paese, nonché in Libano e a Cipro. Il bilancio delle vittime è in continuo aggiornamento, e dopo due giorni, si stimano esservi stati 11200 morti e trentamila feriti. Inoltre il governo turco ha segnalato il crollo di ben  2.824 edifici.  Virale il video di uno stabile che crolla diverse ore dopo la scossa.

Le immagini che ci arrivano mostrano uno scenario a dir poco catastrofico : gente che fugge per trovare un riparo, abitazioni rase al suolo che non fanno che aumentare l’apprensione per coloro che ancora, dopo giorni, si trovano intrappolati sotto le macerie. Foto e video hanno fatto il giro del mondo, innescando una mobilitazione internazionale significativa. Sono tanti i Paesi che hanno offerto assistenza e aiuto al popolo turcho e siriano.

 

Aiuti internazionali: quali sono i paesi mobilitati

A mostrare il proprio supporto vi è stata anche l’ Italia, che tramite il ministero italiano della Difesa ha fatto sapere che è stato predisposto “un velivolo P180 dell’Aeronautica Militare che è in partenza con la prima aliquota avanzata di personale specializzato della Protezione Civile. Seguiranno ulteriori voli con C130 per trasportare mezzi, materiale e personale tra cui anche personale sanitario”. Biden che tramite un tweet comunica “Sono profondamente rattristato dalla devastazione causata dal terremoto in Turchia e in Siria. Ho detto alla mia squadra di continuare a monitorare la situazione, coordinarsi con la Turchia e fornire tutta l’assistenza necessaria”.

Anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha espresso su Twitter le sue condoglianze alle vittime del terremoto cha ha colpito nella notte il sud della Turchia ed ha offerto assistenza. “Siamo al fianco del popolo turco in questo momento difficile. Siamo pronti a fornire l’assistenza necessaria per superare le conseguenze del disastro”. Non da meno il presidente russo Vladimir Putin che  ha dichiarato che Mosca è pronta a fornire tutto il sostegno e si dice vicino al popolo colpito.  Ugualmente pronti a offrire attrezzature e forniture mediche sono state la Germania e il Messico. Solidarietà al popolo turco anche dalla Gran Bretagna , dalla Francia e dall’Azerbaigian.

Vari Paesi dei Balcani occidentali hanno annunciato la propria disponibilità e cooperazione.  La Serbia ha assicurato una squadra di 21 uomini specializzata nel salvataggio di persone sepolte sotto le macerie. Un gruppo di 40 soccorritori, con dieci cani da ricerca, partirà dalla Croazia, mentre saranno una cinquantina i soccorritori annunciati dalla Bosnia-Erzegovina. Il Montenegro invierà un gruppo di vigili del fuoco di varie città, in particolare da Kotolr , che è gemellata con Gaziantep, la località turca compresa nella regione maggiormente colpita dal sisma. Anche il governo brasiliano ha annunciato che manderà aiuti umanitari in Turchia e Siria.

Le parole del presidente Erdogan

In un incontro con la protezione civile turca, il presidente, ha espresso dolore e cordoglio per le vittime dicendo:

“La stagione è l’inverno, il clima è freddo e il terremoto è avvenuto nel cuore della notte, rendendo le cose difficili, ma tutti stanno lavorando sodo e hanno reagito nel modo più veloce possibile. Spero che ci lasceremo alle spalle questi giorni disastrosi. Oggi è il giorno di 85 milioni di cuori in un solo battito”

Inoltre ha proclamato 7 giorni di lutto nazionale nel Paese. Lo ha riferito l’agenzia di stampa Anadolu, secondo cui le bandiere saranno esposte a mezz’asta in Turchia e nelle sedi delle rappresentanze straniere fino a domenica 12 febbraio. Anche le scuole rimarranno chiuse e le competizioni sportive sono sospese fino a nuovo avviso.

Le testimonianze dei sopravvissuti

Fonte : Chronist

Una volta in strada, abbiamo visto decine di famiglie in preda a terrore e shock. Alcuni cadevano in ginocchio piangendo o pregando, come se fosse il Giorno del Giudizio. E’ molto più difficile di cannonate e pallottole. Non ho mai avuto questa sensazione nemmeno nei lunghi anni della guerra” sono le parole di un siriano fuggito dal proprio appartamento.

Gökce Bay , dell’ospedale di Gaziantep, che ha subito un trapianto di rene domenica, ha raccontato alla Bbc: “Ero al secondo piano dell’ospedale quando è iniziato il terremoto. Non ricordo nemmeno come ho tolto la flebo dal mio braccio per fuggire. Tutti si sono aggrappati l’un l’altro per aiutarsi, pensavamo che non ce l’avremmo fatta e saremmo morti. Quando siamo arrivati in strada, tutti abbiamo iniziato a piangere”. 

“Dormivamo profondamente quando abbiamo sentito un terremoto pazzesco. Mi sono svegliato e con i miei bambini e mia moglie sono uscito dalla porta di casa. Un attimo dopo che ho aperto la porta l’intero edificio è venuto giù. Le mura ci sono cadute addosso, ma mio figlio è riuscito a uscire. I nostri vicini sono tutti morti, ma la mia famiglia si è salvata” sono le parole di un superstite che racconta di quanto abbia urlato prima che i soccorsi lo trovassero sotto le macerie.

Distrutto anche il Castello di Gaziantep, patrimonio mondiale dell’Unesco

Prima e dopo il terremoto, Fonte: il Riformista

Anche la fortezza edificata tra il II e il III secolo dopo Cristo è stata danneggiata dal violento terremoto. Monumento antichissimo che, nonostante i suoi quasi duemila anni di esistenza, ha perso dinanzi alla furia di Madre Natura.  La prima costruzione, infatti, risale addirittura agli ittiti che edificarono un osservatorio militare migliaia di anni fa, ma la vera fortezza venne poi costruita dai romani. E nel sesto secolo subì ulteriori ampliamenti sotto l’imperatore Giustiniano che fece erigere 36 torri a difesa di un bastione circolare con una circonferenza di circa 1200 metri. A crollare proprio diversi bastioni sul fianco est ed ovest e delle porzioni del muro di protezione riversatesi in strada.

  Serena Previti

USA, dubbi amari e tensioni sui “palloni-spia” cinesi

USA e Cina hanno ravvivato le tensioni reciproche. Le insolite “escursioni” di due “palloni-spia” di provenienza asiatica sul territorio statunitense, e nelle sue prossimità, hanno schiuso dubbi piuttosto amari. Per quale motivo degli strumenti d’analisi bellica hanno sorvolato i cieli americani? Perché il loro passaggio è stato così manifesto e spudorato? Che tutto sia propedeutico alla valutazione di uno sconfinamento cinese verso Taiwan? Di seguito una panoramica delle vicende con i loro dettagli controversi.

USA, il percorso dei “palloni-spia”

Riporta le informazioni Rainews. Il Pentagono ha annunciato di aver notato un primo “pallone-spia” (pallone aerostatico) sorvolare gli Stati Uniti lo scorso martedì, e che da allora ne ha monitorato gli spostamenti. Il suddetto oggetto avrebbe percorso le isole Aleutine (in Alaska), il Canada e infine il Montana.

Dato che in quest’ultimo spazio il governo statunitense possiede alcune delle sue centrali nucleari e dato che lo strumento è apparso attrezzato per raccogliere informazioni di genere militare, la presenza è stata immediatamente indagata con sospetto dalla parte violata. Così anche il Presidente Joe Biden si è interessato direttamente della questione.

Un secondo “pallone-spia” è stato ravvisato un giorno più tardi nei cieli sudamericani. Di questo si è detto che non fosse diretto verso il territorio statunitense, ma solo in transito su quello latinoamericano.

Pallone-spia
Pallone-spia. Fonte: Corriere della sera

Le (dure) reazioni di Washington

Il Presidente, apprese le notizie, ha richiesto l’abbattimento dei due palloni con veemenza. A primo impatto, valutando pericolosa la mossa, la Difesa ha deciso di attendere: i detriti dei palloni avrebbero potuto danneggiare i civili a terra. Il primo pallone è stato quindi distrutto una volta giunto sulle vie dell’Oceano Atlantico e ora i sui resti sono sotto l’analisi di alcuni esperti; il secondo pallone scorrazza ancora integro.

Parallelamente, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha deciso di rinviare la sua visita in Cina, prevista per ieri. Blinken ha posto una peso sulla questione affermando che la priorità fosse «allontanare il pallone-spia dai cieli Usa». Successivamente ha comunque rassicurato di aver rimandato il bilaterale a un momento in cui vi sarebbero state «le condizioni per una visita».

Il messaggio dell’amministrazione Biden è stato perentorio: nessuno crede che la sonda cinese sia stata inviata in buona fede.

La difesa-offesa di Pechino

La Cina si è dapprincipio difesa facendo trapelare che il presunto «pallone spia» avvistato fosse in verità un «aeromobile civile» usato per «ricerche meteorologiche e scientifiche». A detta del ministero degli Esteri di Pechino, tale “aeromobile civile” sarebbe giunto nell’estremo occidente a causa di forti venti imprevisti. Per questo, il ministero ha subito dichiarato rammaricazione «per il suo ingresso involontario nello spazio aereo statunitense per cause di forza maggiore».

Dopo le (dure) reazioni di Washington, però, anche Pechino ha scelto di cambiare il registro del dialogo.

La Cina ha alzato i toni, esprimendo «la sua forte insoddisfazione e protesta contro l’abbattimento del suo dirigibile civile senza pilota». Poi aggiungendo, tramite una nota del ministero degli Esteri, che la parte americana avrebbe insistito «nell’usare la forza, ovviamente reagendo in modo eccessivo e violando gravemente la prassi internazionale» malgrado non ci fossero i requisiti di pericolo e l’affermato “uso civile del dirigibile.

Ora la Cina «salvaguarderà risolutamente diritti e interessi legittimi delle società interessate, riservandosi il diritto di effettuare ulteriori reazioni necessarie». Una sigla guerrigliera che apre a scoraggianti scenari.

Bandiera della Cina
Bandiera della Cina. Fonte: Cina in Italia

USA e Cina, gli elementi di contesa

Il principale tema di tensione tra USA e Cina è probabilmente la questione dell’isola di Taiwan.
Gli equilibri hanno subito un brutto colpo lo scorso agosto, con la visita di Nancy Pelosi all’isola, attraverso cui gli USA hanno confermato il sostegno all’idea d’indipendenza taiwanese.

La visita è stata giudicata da Pechino come «una grave violazione della sovranità e dell’integrità territoriale della Cina», e ha portato a crescenti tensioni militari nei pressi di Taiwan.

Altro motivo rilevante di disputa è il rapporto indefinito che la Cina ha con la Russia. La plurivocità di Pechino infastidisce notevolmente l’alleanza Nato.

A fronte di tutto ciò, si può pensare che la Cina voglia scandagliare l’arsenale USA per avere migliore contezza del suo potenziale militare, o che voglia punzecchiare la Federazione per cambiare, inasprendoli, i rapporti. Un passo falso di Biden potrebbe diventare un espediente azionante Jinping, e chissà se addirittura l’occasione per aggredire una regione ideologicamente contesa.

 

Gabriele Nostro

La morte dell’afroamericano Tyre Nichols, colpevoli 5 agenti di polizia

Il ventinovenne Tyre Nichols è l’ennesimo membro della comunità afroamericana a pagare con la propria vita gli effetti di una sconcertante cultura di disumanizzazione delle persone di colore che continua ad imperversare tra le forze dell’ordine in negli Stati Uniti. Dopo le innumerevoli battaglie civili sostenute, e a quasi 3 anni dall’omicidio di George Floyd, si apre così un nuovo capitolo nel dibattito su polizia e razzismo.
La triste novità è data dal fatto che il giovane padre afroamericano è stato picchiato a morte da una pattuglia composta da cinque agenti di polizia tutti di colore, accusati di omicidio di secondo grado dopo che la città ha rilasciato i filmati incriminanti del tragico episodio.

I membri della famiglia e diversi attivisti hanno tenuto una manifestazione per Tyre Nichols la scorsa settimana al National Civil Rights Museum di Memphis. Fonte: Nytimes.com

I video brutali dei 5 agenti

Tyre Nichols era stato fermato dai poliziotti per un controllo serale dopo avere commesso una violazione del codice stradale, morendo tre giorni dopo in ospedale, a causa degli “abusi fisici” che il capo della polizia di Memphis – una donna afroamericana – ha definito “atroci, sconsiderati e disumani”.

In effetti venerdì scorso, la città di Memphis ha pubblicato un video che mostra gli agenti prendere a pugni, calci e usare un manganello per picchiare il signor Nichols mentre questi li implora di fermarsi. Quasi un’ora di filmato che, compilato dalla polizia e dalle telecamere di strada, mostra parte di un ingorgo stradale, Nichols che fugge, l’inseguimento e infine gli agenti che lo picchiano. La polizia di Memphis ha detto in una sua dichiarazione iniziale che c’è stato uno “scontro” quando gli agenti di polizia hanno fermato l’auto in fuga di Nichols, e “un altro scontro” successivamente, quando lo hanno arrestato. Scontri che, secondo i risultati preliminari (rilasciati dagli avvocati della famiglia di Nichols) di un’autopsia indipendente, hanno provocato alla vittima “un’emorragia estesa causata da un duro pestaggio”.

Fonte: Gazzetta del Sud

L’assalto da parte di afroamericani – e non di agenti bianchi – contro un membro della loro stessa comunità è la “prova che questa violenza è qualcosa di più profondo e difficile da estirpare nella cultura della polizia”, hanno commentato i pastori di diverse chiese evangeliche afroamericane. E non può esistere alcun tipo di parentela immaginaria che possa restituire una benché minima umanità a dei carnefici addestrati a vedere le vite dei neri come completamente prive di valore.

Anche il presidente degli Stati Uniti Biden si è detto “indignato e profondamente addolorato nel vedere l’orribile video del pestaggio” e ha invitato il Congresso a votare la legge George Floyd sulla responsabilità delle forze di polizia, bloccata da mesi dai senatori repubblicani.

Il George Floyd Justice in Policing Act

La legge di riforma della polizia americana, ancora in esame al Congresso, prende il nome da George Floyd, l’uomo afroamericano ucciso da un agente di polizia il 25 maggio 2020. Questa legge cambierebbe in modo significativo l’attuale modello di polizia statunitense e si aprirebbe maggiormente verso le comunità etniche e il riconoscimento dei diritti civili: un progetto articolato di misure che si propone di contrastare quello che lo stesso presidente Biden ha condannato come “razzismo sistemico”, difficile da sradicare nella società americana, dove ancora prevalgono logiche di esclusione nei confronti delle comunità afroamericane, asiatiche, ispaniche e indo americane.

La seguente riforma è accompagnata da dibattiti di lunga data che coinvolgono profili di diritto penale e sociologia della sicurezza, per lo più incentrati sulla modifica della dottrina dell’immunità qualificata. Le norme sono quindi destinate a disciplinare specifiche rilevazioni sugli standard operativi dei controlli di polizia e a prevedere attività di inchiesta sistematiche condotte dai Prosecutor e dalla Divisione per i diritti civili del Dipartimento di Giustizia. Sono state inoltre predisposte linee guida sulle attività formative con meccanismi di consultazione con i rappresentanti dei movimenti dei diritti civili molto attivi e presenti nella società americana.

Sciolta l’unità speciale

I cinque agenti accusati facevano tutti parte dell’unità specializzata “Scorpion“, che il dipartimento di polizia di Memphis ha dichiarato di aver sciolto sabato, in seguito alle continue sollecitazioni della famiglia di Nichols e degli attivisti cittadini.

I cinque agenti coinvolti nel pestaggio. Fonte: Nytimes,com

L’unità, il cui nome intero è “Operazione sui crimini di strada per ripristinare la pace nei nostri quartieri”, era stata creata poco più di un anno fa per contrastare un’ondata di violenza in città (il tasso di omicidi era in aumento), ed era già molto disprezzata tra le comunità marginalizzate di Memphis anche prima della morte di Nichols.

In una dichiarazione di sabato il dipartimento di polizia ha detto: “mentre le azioni atroci di pochi gettano una nuvola di disonore sull’unità, è imperativo che noi, il dipartimento di polizia di Memphis, adottiamo misure proattive nel processo di guarigione per tutte le persone colpite”.

Diffondere video non basta

Quello che è successo a Nichols viene in questi giorni mostrato al mondo intero in un video destinato ad alimentare il dibattito sulla brutalità della polizia, scatenando polemiche e indignazione sull’ennesimo episodio di furia insensata. Ci si chiede se è davvero questo il modo di porre fine alla violenza razziale, attribuendo un ulteriore fardello di prove video alla comunità discriminata, condannata a subire l’umiliazione di vedere i propri momenti di morte trasmessi ad una società che, talmente abituata a vedere immagini violente, gli è quasi del tutto indifferente.

Dal 1980 ad oggi sono oltre 17.000 le morti causate “accidentalmente” dalla polizia: tra i numeri figurerà adesso anche quella di Tyre Nichols, il cui nome si affianca pure nelle pagine di storia della città di Memphis a quello di Larry Payne, un sedicenne ucciso per aver partecipato ad uno sciopero nel marzo del 1968, e di Martin Luther King, il più visibile leader del movimento per i diritti degli afroamericani e assassinato da un colpo di fucile di un criminale il 4 aprile dello stesso anno.

Perché riportare il semplice fatto di questi incidenti continua a non essere sufficiente per porre fine alle violenze? Perché tutti gli anni trascorsi a guardare tali filmati si sono dimostrati insufficienti a spingere i legislatori verso un’azione reale? È evidente che sono necessari cambiamenti nelle politiche e nelle procedure delle forze dell’ordine in modo che nessun altro debba sperimentare ciò che sta attraversando la famiglia di Nichols oggi.

Gaia Cautela

Cina, crisi porta crisi: popolazione in calo (per la prima volta dopo 60 anni)

La Cina è nota per essere, forse ancora per poco, la Nazione più popolosa del Mondo. Detiene il primato grazie ai suoi 1 miliardo e 426 milioni abitanti ed è in “esiguo” vantaggio rispetto all’India, che con 14 milioni di persone in meno potrebbe presto scavalcarla. A far ipotizzare il cambio di posizioni è una notizia, neanche troppo straniante: la popolazione nella Terra del Dragone è per la prima volta in calo dal 1961.

Cerchiamo di capire il motivo della crisi, la sua misura attuale e la misura della sua proiezione.

Cina, a cosa è dovuta la contrazione demografica?

È probabile che vi sia più di una causale all’origine del cambio di rotta. I fattori considerati sono specialmente tre: c‘è chi, per spiegare il fenomeno, fa principalmente riferimento alla depressione economica; chi alla collaterale emergenza sanitaria; chi, infine, riconduce il perché agli effetti tardivi della politica abbandonata del “figlio unico”. È plausibile che la verità, come altri ancora sostengono, risulti dalla combinazione di più motivazioni.

L’incidenza del Covid-19

Di certo, il Sars-Cov-2 in Cina è stato (ed è) un potente agente funereo. Più che altrove. Il Paese asiatico è la patria del virus, l’incubatrice che per prima ne ha fertilizzato e sofferto l’incidenza. Il suo governo, tra l’altro, con poco buon senso, senza poter guardare ad esempi, ne ha mal gestito la propagazione.

Il vaccino Sinovac, prodotto e distribuito in valenza autarchica, sembra aver guarnito ben poco gli asiatici. Le ferree restrizioni, praticate a oltranza dalla fine del 2019 sino a poco tempo fa, hanno sì ridotto al minimo il numero di contagi, ma non hanno permesso l’immunizzazione naturale della popolazione.

Ed ecco che il leader cinese Xi Jinping si troverà a fare i conti con la situazione disastrosa ed, eventualmente, a rispondere delle conseguenze.

Sars-Cov-2
Sars-Cov-2. Fonte: 3M Science. Applied to Life.

Disastro economico-sanitario-demografico

L’amministrazione cinese ha spesso occultato o disordinato i dati sull’andamento della pandemia nel proprio Stato. Tuttavia, stime occidentali adducono che si dovrebbero calcolare nei milioni le vittime da Sars-Cov-2 dall’inizio della pandemia.

Come già scritto: una bassa percentuale della popolazione dispone di una protezione contro l’agente patogeno a causa dell’inefficienza del vaccino e dell’eccessiva politica “di chiusura”. Ora, quindi, la sanità è al collasso. Gli ospedali sono affollati oltremisura, i mezzi di contenimento scarseggiano, la sicurezza sanitaria svanisce nel valore di un’utopia.

Dal punto di vista finanziario… Durante il lungo periodo di filosofia “zero Covid”, quasi tutte le classi di lavoratori hanno sofferto le restrizioni di libertà. Nel momento attuale, in cui, in teoria, si sarebbe dovuta rilevare una ripresa, la forza lavoro sta subendo la frusta del Sars-Cov-2.

In definitiva: moltissimi deceduti hanno provocato un decremento nella popolazione; l’instabilità monetaria dissuade le famiglie dall’idea di allargarsi.

La politica del “figlio unico” come elemento

Introdotta nel 1979 per rallentare la crescita della popolazione, la politica “un solo figlio” è stata abbandonata nel 2016 e parallelamente sono stati introdotti incentivi a sostegno delle famiglie con due figli.

C’è ancora chi ritiene che le conseguenze di tale misura siano visibili solo oggi, a distanza di sette anni, e che in concorso con gli altri elementi abbiano dato origine al deficit demografico.

Cina, il crollo: nel presente e nel futuro

Secondo l’ufficio di statistica di Pechino, citato dal Sole 24 ore, la Cina avrebbe concluso il 2022 con 850mila abitanti in meno e sarebbe entrata “in un’era di crescita negativa della popolazione“. Sarebbe in aumento il tasso di mortalità, poiché i decessi avrebbero superato per la prima volta le nascite. Si individuano 7,37 morti ogni mille abitanti, diversamente dai 7,18 dell’anno precedente.

A detta di un studio, condotto delle Nazioni Unite, curato dal Dipartimento degli Affari Sociali ed Economici, l’India supererà la Cina nel 2023 diventando il Paese più popoloso del mondo. 

Il Presidente cinese, affrontando di petto la previsione, aveva già dichiarato lo scorso ottobre di voler adottare «una strategia nazionale pro-attiva» per incalzare il processo di natalità.

Gabriele Nostro

 

 

Parlamento Ue e lobbismo: Metsola corre ai ripari con un piano anticorruzione

Circa un mese dopo lo scandalo del Qatar per la presunta corruzione di alcuni eurodeputati e funzionari, la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola ha presentato una riforma delle regole interne su lobbying e trasparenza alla Conferenza dei Presidenti di giovedì scorso (alla presenza di tutti i leader dei gruppi politici rappresentati al Parlamento europeo).

La Presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola. Fonte: Linkiesta

Quello del “Qatargate”, in effetti, è passato alla storia come il più grande scandalo delle istituzioni comunitarie degli ultimi decenni ed è tutt’ora oggetto di una inchiesta della procura federale belga. Quest’ultima già a dicembre aveva convalidato l’arresto per 4 indagati chiave (di cui 3 italiani), mentre dopo una prima convalida del mandato di arresto europeo anche la moglie e la figlia dell’ex eurodeputato Panzeri verranno estradate in Belgio. Una vicenda ignobile che ha sin da subito spinto ai ripari una democrazia europea sotto attacco.

Il piano di riforma non è stato ancora annunciato pubblicamente, ma alcuni suoi punti sono stati resi noti dai siti di testate quali Politico, Euractiv ed EuObserver.

I principali punti del piano di riforma

La proposta principe di Metsola è quella di estendere a tutti i parlamentari europei l’obbligo di registrazione dei loro incontri con i lobbisti in un portale pubblico. A dire il vero possono già farlo, ma l’uso del portale – fino a questo momento – è di fatto obbligatorio solo per i parlamentari con incarichi rilevanti, come i presidenti di commissione o i relatori di un certo provvedimento; tutti gli altri sono invece liberi di scegliere su base volontaria. Inoltre, il piano della Presidente richiede a tutti i membri del Parlamento di dichiarare propri eventuali conflitti di interessi nel momento in cui diventano relatori di un certo provvedimento.

Altri punti del piano includono l’obbligo di registrare i lobbisti che rappresentano gli interessi dei paesi extraeuropei nell’apposito Registro per la trasparenza, un database dell’Unione europea in cui figurano tutti i principali organismi di lobbying (attualmente coloro che rappresentano un paese terzo riescono a schivare la registrazione grazie a diverse scappatoie). Questo funziona più o meno allo stesso modo al Congresso degli Stati Uniti, mentre tanti altri parlamenti, come quello italiano, non consentono attività di lobbying nelle sedi delle istituzioni (con conseguente maggiore opacità).

Sarà inoltre vietato ricoprire incarichi formali all’interno di una ONG agli assistenti parlamentari e ai funzionari del Parlamento: una norma che sembra scritta per evitare casi come quello di Francesco Giorgi, assistente storico di Antonio Panzeri, l’ex parlamentare che secondo la Procura federale belga ha contribuito alla messa in piedi di una rete di corruzione interna a favore del Qatar.

Tuttavia, il piano non prevede una norma aggiornata sul lavoro extra-parlamentare degli attuali parlamentari europei, nonostante circa un quarto di essi abbiano mansioni da liberi professionisti che creano conflitto di interessi permanente con il loro mandato politico.

Cosa non va nell’attività di lobbying del Parlamento UE?

Nelle istituzioni europee il lobbismo è un’attività legale e regolamentata, svolta da gruppi di interesse di varia natura che desiderano contribuire al processo democratico. Sia le ONG che gli esperti di trasparenza temono però da tempo che il Parlamento europeo sia eccessivamente vulnerabile alle influenze esterne. Ad esempio, da parte di Paesi non democratici o ostili ai progetti di integrazione europea che vogliono condizionarne le decisioni a proprio vantaggio, come secondo la Procura belga avrebbe fatto negli ultimi mesi il Qatar.

Le campagne di influenza straniera, in particolare, rappresentano una delle forme meno regolamentate di lobbying all’interno dell’Unione Europea e pertanto una delle più problematiche. Non è un caso se gli ex eurodeputati sono sempre particolarmente richiesti come lobbisti: per via dei loro ruoli precedenti, come l’italiano Antonio Panzeri, arrestato in seguito all’inchiesta del Qatar, possono entrare in Parlamento in qualsiasi momento senza doversi registrare come lobbisti.

Fonte: Euronews

«Il diritto internazionale prevede che i paesi possano influenzare i rispettivi processi decisionali», spiega Alberto Alemanno, esperto di trasparenza e fondatore dell’organizzazione The Good Lobby , «ma a livello europeo manca un regime che renda trasparente questa attività».

Nelle istituzioni europee il lavoro di lobbying è disciplinato da un codice di condotta abbastanza generico, e sebbene ogni istituzione europea si sia dotata nel tempo di un proprio codice etico e di trasparenza, storicamente il Parlamento europeo resta quello con le regole «decisamente più ridotte», spiega Alemanno:

«I parlamentari non hanno l’obbligo di dare conto di chi incontrano, né esiste un divieto di avere lavori paralleli: circa un quarto dei parlamentari europei mantiene incarichi da libero professionista, e questo crea un conflitto di interessi permanente».

Anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, è sembrata riferirsi a questo problema quando lunedì 12 dicembre, durante una conferenza stampa, ha detto:

«Per noi è importante non solo avere delle regole nette ma che le stesse regole coprano tutte le istituzioni europee, e che non esistano eccezioni».

L’estradizione di Silvia Panzeri

Sempre nell’ambito dell’inchiesta Qatargate, la Corte d’appello di Brescia ha deciso che Silvia Panzeri, figlia dell’ex eurodeputato Antonio, dovrà essere estradata in Belgio, dando così il via libera alla consegna della donna alle autorità del Paese, in attesa della decisione definitiva della Cassazione. La donna si trovava già ai domiciliari, come sua madre – Maria Colleoni, per la quale è arrivata anche l’autorizzazione all’estradizione – la procura di Bruxelles aveva chiesto l’estradizione dopo essere stata destinataria di un mandato di arresto europeo. Le due donne sono state accusate di associazione a delinquere, corruzione e riciclaggio di denaro.

Qatargate, ok all’estradizione di Silvia Panzeri. Fonte: tgcom24

Intanto su richiesta dell’autorità giudiziaria di Bruxelles all’Eurocamera è partita la procedura per la revoca dell’immunità di Marc Tarabella, eurodeputato eletto in Belgio, e Andrea Cozzolino, suo collega italiano. Toccherà alla commissione Juri (aiuta il Parlamento a elaborare una posizione informata sulle questioni giuridiche) prendersi carico del dossier nei prossimi giorni, mentre il Parlamento europeo continua a pensare a come evitare casi simili in futuro.

Fonte: Transparency.org

Fra l’altro il gruppo parlamentare dei Socialisti e Democratici, il più colpito dallo scandalo, sta già pensando a regole più severe, sicché non è nemmeno certo che il piano presentato da Metsola venga approvato così com’è. Anche la ONG Transparency International ha diffuso un commento alla proposta alquanto critico:

«Il piano continua a basarsi interamente sull’auto-imposizione. Sappiamo che questa dinamica non funziona: serve un coinvolgimento di enti esterni e indipendenti a tutti i livelli del processo di riforma», a riprova del fatto che il confine fra diplomazia e influenza è sottile, e a volte non così chiaro da tracciare.

Gaia Cautela

Il buco dell’ozono si sta chiudendo: un successo per la scienza e la politica internazionale

Nel corso degli ultimi anni l’attenzione mediatica sui temi ambientali è aumentata esponenzialmente. Grazie all’azione di numerose organizzazioni di attivisti e all’apporto della comunità scientifica anche una dimensione spesso sorda ai temi più sensibili come quella politica è scesa a patti con la realtà. Da anni i governi di (quasi) tutto il mondo collaborano stringendo accordi e operando secondo una linea comune per affrontare quelle che sono divenute problematiche non più delle singole nazioni ma di tutta l’umanità.

E il buco dell’ozono, simbolo e spesso primo argomento nelle discussioni sul cambiamento climatico, è stato il primo fenomeno ad essere oggetto di una mobilitazione serie e concreta. Un’azione che ora sembra avere portato i suoi frutti.

 

L’assottigliamento degli strati di ozono

Risalgono al 1982 i primi studi sul fenomeno del buco nell’ozono ma è del 1985, ad opera di Joseph Charles Farman e dei suoi collaboratori, la scoperta del progressivo assottigliamento degli strati di ozono sopra le regioni polari. Una deteriorazione, in particolare nella regione antartica, causata dalla produzione e dal consumo dei clorofluorocarburi (CFC), gas emessi dalle attività quotidiane dell’uomo, soprattutto nei paesi più industrializzati. e presenti all’interno dei circuiti frigoriferi, nelle bombolette spray, ecc.

 

Il buco dell’ozono, fonte: wired.it

 

Perché la presenza dell’ozono nell’atmosfera è così importante

L’ozono funziona come un filtro che protegge la superfice terrestre dalle radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole. Nello strato dell’atmosfera in cui è maggiormente presente, e denominato per l’appunto Ozonosfera, assorbe il 100% dei raggi uvc, il 90% dei raggi uvb e le radiazioni ultraviolette più cariche di energia nonché più pericolose per la nostra vita. Lascia invece passare le radiazioni uva a bassa energia indispensabili per il funzionamento dell’ecosistema. Con la riduzione dello strato dell’Ozonosfera anche le radiazioni con maggiore quantità di energia possono raggiungere la crosta terrestre nuocendo gravemente alla salute di chi rimane esposto (piante, animali o umani). Un’esposizione continuata a queste radiazioni può causare alterazioni al DNA e RNA, danni a livello oculare e un aumento di melanomi e tumori della pelle.

 

L’azione politica a difesa dello strato di ozono

Sollecitati dalla comunità scientifica e allertati dalla gravità di una non immediata risposta gli Stati hanno firmato il protocollo di Montreal nel settembre 1987: un trattato internazionale volto a ridurre la produzione e l’uso di quelle sostanze che minacciano lo strato di ozono (i gas CFC o clorofluorocarburi) e monitorare la produzione e il consumo di circa 100 sostanze chimiche artificiali. La loro graduale riduzione ha comportato un notevole recupero dello strato protettivo di ozono e la diminuzione dell’esposizione terrestre ai dannosi raggi ultravioletti del sole principalmente nella zona antartica.

 

 

Il successo del Protocollo di Montreal e la richiusura del buco

Tornando quindi ai giorni nostri una delle prime notizie del 2023 è quindi che il buco dell’ozono si sta definitivamente richiudendo e si stima che entro il 2040 sarà totalmente chiuso. E’ quanto emerge in un nuovo rapporto dell’Onu, riportato dal quotidiano britannico The Guardian.

Possiamo dichiarare di essere su una buona strada,

fanno presente le Nazioni Unite nel report pubblicato dal Segretariato del programma ambientale che si concentra proprio sull’ozono.

“L’impatto del Protocollo di Montreal sulla mitigazione dei cambiamenti climatici non può essere sottolineato oltre” ha dichiarato Meg Seki, segretario esecutivo del Segretariato per l’ozono del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP).

“L’azione sull’ozono costituisce un precedente per l’azione sul clima. Il nostro successo nell’eliminare gradualmente le sostanze chimiche che danneggiano l’ozono ci mostra cosa si può e si deve fare – con urgenza – per abbandonare i combustibili fossili, ridurre i gas serra e quindi limitare l’aumento della temperatura” è quanto dichiarato dal Segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale Petteri Taalas.

L’ennesimo commento positivo è stato fatto anche da Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, sul suo profilo Twitter:

Per quanto riguarda lo strato sull’Antartide bisognerà attendere il 2066.

Gli aspetti positivi. Quali insegnamenti trarre dalla richiusura del buco nell’ozono

Mario Tozzi, geologo e divulgatore scientifico, interrogato su quali sono gli aspetti positivi dell’intera vicenda si esprime così: “Ce ne sono due, uno concreto e l’altro simbolico. Quello concreto è che avremo una diminuzione dei casi di tumore della pelle, che erano aumentati moltissimo soprattutto nell’emisfero australe, e registreremo meno estinzioni di anfibi, che sono gli animali con l’epidermide più delicata. Un’altra conseguenza simbolica ma importante è che questo è stato un problema transnazionale determinato dalle nostre attività produttive che non ha avuto confini per definizione, esattamente come il clima, su cui c’è una grande resistenza a fare cambiamenti. È stato confermato da scienziati che nel 1995 vinsero il Premio Nobel proprio per aver scoperto il meccanismo dell’impoverimento dello stato dell’ozono e che ha trovato soluzione in un accordo internazionale però coatto, cioè obbligato, in cui ci sono controlli. E qui c’è la differenza col cambiamento climatico perché nel 2015 si è deciso a Parigi di fare un accordo internazionale su base volontaria in cui nessuno controlla niente”.

Federica Lizzio

Santanché sulle concessioni balneari: «Le spiagge vanno privatizzate»

Secondo la ministra del Turismo Daniela Santanché le spiagge italiane andrebbero privatizzate, in quanto luogo scelto spesso da tossicodipendenti e riempite da rifiuti abbandonati. Di questo ne soffrirebbe il turismo, intaccando l’aspetto economico. Pertanto – sostiene la ministra -, si dovrebbe intervenire.

Le parole di Santanché: «Non svendiamo il nostro patrimonio»

La ministra ha rilasciato le suddette dichiarazioni durante l’Assemblea annuale di Confesercenti, rispondendo ad un quesito sulle concessioni balneari:

Lancio una provocazione, credo che prima bisogna assegnare le spiagge che non sono assolutamente servite, spiagge libere lasciate ai tossicodipendenti e invase dai rifiuti, che nessuno mette in ordine.

Ha proseguito: «Non dobbiamo aprire la strada alle multinazionali, non dobbiamo svendere il nostro patrimonio».

Dunque, Santanché ha precisato anche di non ritenere l’affidarsi ad investitori esteri la soluzione migliore; la sua preoccupazione sarebbe quella di «consegnare pezzi del nostro litorale alle multinazionali, che toglierebbero quelle che sono le nostre peculiarità»:

Nei nostri stabilimenti balneari, a seconda della regione, c’è un tipo di ospitalità, di cibo, di accoglienza. Mi fa sentire male l’idea: pensate se non potessimo più mangiare i nostri spaghetti alle vongole o la nostra parmigiana di melanzane, cose che fanno parte della nostra identità.

(fonte: odanisalves @ pixnio.com)

Il tema è molto controverso, i vari governi rimandano da ormai diversi anni le gare per le concessioni balneari. Santanché, rispondendo ad altre domande, ha chiarito un po’ la questione, specificando che per fare le gare ci vorrà del tempo, non meno di un anno, approssimativamente.

L’aspetto più importante, secondo la ministra, sarebbe cambiare i patti in corso, dando più stabilità alle imprese. Inoltre, ha ribadito più volte che l’esigenza delle spiagge italiane è quella di essere adeguatamente attrezzate, soggette ad una intensa pulizia dai rifiuti che risultano essere uno dei tanti aspetti caratterizzanti di questa complessa questione, ma soprattutto devono essere sottoposte ad un rigido controllo.

Le critiche dell’opposizione

(Daniela Santanché. Fonte: Immortanjoe96 @ commoms.wikimedia.org)

A causa delle sue dichiarazioni, la ministra del Turismo è stata oggetto di discussione circa la sua attività imprenditoriale. Difatti, subito dopo essere stata designata come figura guida per il Ministero del Turismo, è stata accusata dall’opposizione di non poter ricoprire una carica così importante in maniera del tutto trasparente.

Il motivo per cui la Santanchè si trova al centro di numerose polemiche si ricollega al famoso caso del Twiga Beach Club, locale esclusivo sul mare di Flavio Briatore a Forte dei Marmi, di cui la ministra risulta essere socia e di cui detiene una quota di proprietà.
A seguito delle numerose accuse di conflitto di interessi, ha stabilito di cedere per 2,8 milioni di euro il 22 % della sua quota, di cui una metà è stata destinata ad una società del Lussemburgo, controllata da Briatore, e l’altra parte a due società controllate dal compagno. Tra i soggetti che hanno duramente criticato Daniela Santanché riscontriamo il co-portavoce di Europa Verde, Angelo Bonelli, il quale ha affermato:

Associare chi ha problemi di tossicodipendenza con i rifiuti per giustificare la privatizzazione e cementificazione delle ultime spiagge libere è indecente. La ministra Santanchè, proprietaria del Lido Twiga, ha ceduto le sue quote al suo compagno, propone di consegnare le spiagge libere, che per legge dovrebbero essere pulite dai comuni, ai privati sapendo che le nostre coste sono cementificate e occupate per oltre il 60% , un dato record in Europa. È l’espressione vivente del conflitto d’interessi che vuole regalare le spiagge, perché con esse si fanno profitti elevati grazie ai bassi canoni: per un metro quadro di spiaggia si paga allo stato 1,20 euro l’anno. Mentre lo Stato incassa complessivamente dalle concessioni 107 milioni di euro anno, con un’evasione erariale del 50%, gli stabilimenti balneari fatturano oltre 7 miliardi di euro anno. Un regalo fatto ai privati con il demanio marittimo, un patrimonio dello Stato, quindi noi cittadini.

Il sostegno di Confimprese

D’altra parte, la neo-ministra del Turismo afferma di non essere in conflitto di interessi, in quanto non ricopre cariche direttive in seno al Twiga.
Inoltre, sostiene che la questione non spetterebbe al Ministero del Turismo in quanto il governo sembrerebbe essere intenzionato a delegare a Nello Musumeci, ministro per la Protezione Civile e le Politiche del Mare, la questione dei balneari.
Nonostante le varie posizioni contrarie, il presidente di Confimprese demaniali Mauro Della Valle appoggia quanto affermato fino ad oggi dalla ministra, dichiarando:

Apprezziamo l’intervento del ministro Daniela Santanchè circa le numerose spiagge libere che, anziché essere lasciate abbandonate dai Comuni costieri, potrebbero essere oggetto di assegnazione e tutela a giovani e capaci imprenditori balneari. Siamo certi che la Corte di giustizia europea entro febbraio 2023 contestualizzerà quanto richiesto dal Tar di Lecce, e cioè che in Italia la risorsa demaniale non è scarsa e che per un’evidenza pubblica è necessario ci sia un interesse transfrontaliero certo. Siamo in piena sintonia con l’attenta analisi del presidente di Fiba Maurizio Rustignoli, che auspica un incontro con le associazioni di categoria e ricorda l’importanza della mappatura della costa italiana ad oggi obiettivamente mai rilevata da nessun governo.

Federica Lizzio

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Polemica emendamento su Bonus cultura. Annunciate delle novità: nessuna abolizione

Da diversi giorni ormai è in corso una polemica che gravita sui social e non solo: lo scorso 9 dicembre i deputati del centrodestra Federico Mollicone (Fratelli d’Italia), Rossano Sasso (Lega) e Rita Dalla Chiesa (Forza Italia), hanno presentato un emendamento alla legge di Bilancio 2023, per cancellare il bonus cultura e usare il costo annuo di 230 milioni per sostenere in altri modi il mondo della cultura e dello spettacolo. I giovani, uniti a tutto il mondo del libro italiano – autori, editori, librai, cartolibrai, bibliotecari – hanno immediatamente chiesto a gran voce al parlamento e al governo di ritirare la proposta di cancellazione della 18App.

Fonte: Key4biz

In effetti, le proteste sembrano essere andate a segno: la nuova Carta della Cultura si farà, prevedendo addirittura un incremento dei fondi, e rispondendo finalmente alla reale richiesta di conoscenza dei giovani e alle necessità degli operatori del settore. La misura terrà inoltre conto dell’ISEE e includerà meccanismi antifrode. In ogni caso, l’opposizione ha colto l’occasione per parlare di “frettolosa retromarcia”.

 

18App e Carta Cultura, le differenze

Il Bonus Cultura, noto anche come Bonus Cultura 18app, è un’iniziativa per promuovere la cultura tra i giovani: un buono di 500€ da spendere in cinema, musica e concerti, eventi culturali, libri, musei, visite a monumenti e parchi archeologici, teatro e danza, prodotti dell’editoria audiovisiva, corsi di musica, corsi di teatro e corsi di lingua straniera, nonché abbonamenti a quotidiani anche in formato digitale (come si legge sul sito ufficiale 18app.italia.it).

In seguito alla registrazione sull’app, vengono generati dei buoni di spesa elettronici, con codice identificativo, associati all’acquisto di uno dei beni o servizi consentiti. Ciascun buono è individuale e nominativo e può essere speso esclusivamente dal beneficiario registrato.

Tale bonus difficilmente verrà abolito: l’emendamento che sembrava abrogarlo, a firma Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, dovrebbe essere infatti riformulato. A tal proposito il neoministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, assicura l’arrivo di un nuovo provvedimento che possa sostituire adeguatamente la 18App.

Dire che vogliamo abolire la 18App è una fake news, contesta Sangiuliano, esprimendo la volontà di introdurre una soglia ISEE che escluda persone appartenenti a famiglie con redditi elevati”, per poi appoggiare l’emendamento alla Manovra che è stato firmato da tutto il Centrodestra:

“L’emendamento è del Parlamento – afferma il ministro – ma reputo si debba fare una riflessione. È necessario ridefinirla e rinominarla (la 18App, ndr), affinché questo strumento diventi realmente una modalità di consumi culturali per i giovani orientandoli alla lettura di libri, alla visita di mostre, ai corsi di lingua e alla musica”.

Il ministro Sangiuliano. Fonte: Il Giornale d’Italia

Carta Cultura” – così è stata soprannominata la nuova agevolazione – avrà dunque due importanti differenze riguardanti il sostegno, anche in questo caso, ai consumi culturali dei giovani, che però terrà conto dell’Isee e conterrà un «meccanismo anti-truffa». In altre parole, mira a garantire benefici per i redditi medio-bassi, e ad impedire frodi da un valore complessivo che, a detta del presidente della commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone, si aggirerebbe attorno ai 9 milioni di euro.

 

Le proteste dell’opposizione

L’emendamento in questione non ha suscitato disapprovazione solo nell’opposizione: all’indignazione del Terzo Polo e del Pd e all’appello firmato da otto sigle (dall’Associazione Italiana Editori alla Siae), si erano infatti aggiunte le critiche di alcune frange della maggioranza. Ad esempio, i capigruppo di Forza Italia, Licia Ronzulli e Alessandro Cattaneo, si sono augurati una «riformulazione dell’emendamento» nella salvaguardia dell’obiettivo ultimo, vale a dire finanziare i consumi culturali dei più giovani.

Maria Chiara Gadda, deputata di Italia Viva, è intervenuta nella trasmissione “L’imprenditore e gli altri”, condotta da Stefano Bandecchi, su Cusano Italia Tv:

“Vedremo nelle prossime ore cosa vuole fare il governo. Dal punto di vista comunicativo c’è una retromarcia rispetto a quanto detto nei giorni scorsi. Ma il tema qui non è togliere un provvedimento fatto dal governo Renzi, è una cattiva abitudine che quando cambia un governo si prova a cancellare i provvedimenti. Io credo che questo sia uno strumento importante, i numeri dicono che ha funzionato per i giovani ma anche per il settore. In queste ore di dibattito non è emerso che, se il tema fosse davvero aiutare le famiglie più deboli, si sarebbe dovuto finanziare con la legge di bilancio il Family Act nella sua legge delega rispetto al contributo delle spese educative delle famiglie che è basato sull’Isee”.

 

La risposta alle polemiche della Meloni

La premier Giorgia Meloni fa chiarezza sul bonus e sull’importanza attribuita dal governo all’avvicinamento dei giovani alla cultura, spiegando che l’intenzione del governo è di rivedere la misura e di limitarla, al momento, ai redditi più bassi, rendendola così più impattante:

“Questi 500 euro al compimento dei 18 anni vengono riconosciuti a tutti, indipendentemente dal reddito. Io penso che non ci sia ragione per la quale i figli di un milionario, di un parlamentare, mia figlia se domani compisse 18 anni, non potrebbero rinunciare ai 500 euro per comprare dei libri o dei contenuti culturali. Credo che la stessa misura, concentrata su chi ha i redditi più bassi possa essere molto più impattante“, ha detto la Meloni nel corso di una diretta Facebook. “Credo che vada introdotto un limite al reddito – ha aggiunto – di chi accede a questa misura e che occorra lavorare un po’ sulle truffe, perché se ne sono viste diverse. Confermiamo di voler apportare modifiche alla norma senza però levare risorse da questa destinazione“.

 

Scoperte frodi da milioni di euro

Nel contesto di una polemica dell’opposizione alquanto superficiale il deputato di Fratelli d’Italia, Federico Mollicone, ritiene piuttosto assurdo che i governi precedenti non abbiano mai vigilato sulle numerose frodi legate alla 18app, motivo per cui non esisterà più (senza che questo influisca sugli esercenti legali del servizio).

Pochi mesi fa, la Guardia di Finanza ha scoperto una frode che ha portato a pagamenti fraudolenti di quasi 1 milione di euro nella provincia di Lecce. Un fenomeno distorto che ha interessato l’intero Paese, arricchendo esercenti disonesti e i loro complici, che reclutavano i diciottenni sui social e offrivano loro la possibilità di monetizzare il 70% del voucher o di acquistare prodotti come computer, tablet, smartphone e televisori, esclusi per legge dal beneficio.

Fonte: AGI

Come si legge su Agi, i meccanismi più usati per le truffe sono stati i seguenti:

• Compravendita su internet attraverso piattaforme come Instagram, Facebook, Telegram;
• Conversione del bonus cultura in voucher da spendere in un periodo temporale successivo alla scadenza del periodo di validità:
• Acquisto di apparecchiature elettroniche non consentite dalla normativa, come smartphone, tablet, e console;
• Simulazione dell’acquisto di un bene consentito, poi restituito in cambio di un altro bene;
• Furto di identità digitale Spid per accedere alla piattaforma 18 App e generare il codice del buono da spendere.

Sempre stando ai dati della Guardia di Finanza, nel triennio considerato, le truffe hanno rappresentato il 3,85% della spesa complessiva del bonus cultura: su 639 persone controllate, in 501 casi sono emerse irregolarità mentre sono state 299 le persone segnalate alla magistratura.

 

Che ne sarà dei 2004?

Sulla base dei dati raccolti in 6 anni di applicazione del finanziamento 18app, con una spesa totale di circa 1 miliardo di euro, sia i ragazzi che le ragazze preferiscono particolarmente acquistare i libri, soprattutto quelli cartacei, a cui va per l’appunto la parte più rilevante delle risorse spese, nonostante l’ampia gamma di possibilità di scelta.

Fonte: AGI

Ad esempio, i nati nel 2003 (i diciottenni del 2021) hanno finora speso 37 milioni di euro in acquisti in libreria e altri 56 milioni in acquisti online, ma comunque in favore delle pubblicazioni cartacee. Sempre in base ai dati dell’ultimo anno, non vanno male nemmeno gli ebook, a cui sono andati circa 2 milioni dal 2021 fino ad oggi. A questi si aggiungono anche circa 300 mila euro in audiolibri. Più in generale i ragazzi da sempre spendono circa l’80% del loro bonus cultura nei prodotti della filiera del libro. Al secondo posto viene la musica con il 15% circa e il restante 5% suddiviso tra cinema, teatro, danza ed abbonamenti ai quotidiani.

Emendamento e dati a parte, non si sa, però, ancora quale sarà il destino del bonus per i nati nel 2004. Questo perché il regolamento non è mai stato attivato sul sito del ministero della Cultura come avveniva normalmente negli anni precedenti, nonostante la pubblicazione in Gazzetta ufficiale.

Gaia Cautela

Parlamento UE sotto accusa: mazzette da parte del Qatar. In manette la vice Kaili e tre italiani a capo di ONG

Domenica quattro persone affiliate al Parlamento Europeo sono state arrestate con l’accusa di corruzione e riciclaggio di denaro a seguito di un’inchiesta della procura belga riguardante un’attività di lobbying condotta, come si presume, da parte del Qatar, paese che sta ospitando i Mondiali di calcio 2022 e che si trova già sotto pesanti accuse per violazione dei diritti umani.

I soggetti che si trovano sotto arresto sono Eva Kaili, politica greca e vicepresidente del Parlamento Europeo (adesso sospesa); Pier Antonio Panzeri, ex europarlamentare dei Socialisti e Democratici tra il 2004 e il 2019; Francesco Giorgi, compagno di Kaili, assistente parlamentare e fondatore della ong Fight Impunity; Niccolò Figà-Talamanca, a capo della ong No Peace Without Justice. Sottoposte al mandato di arresto europeo anche la moglie e la figlia di Panzeri, col vincolo di associazione a delinquere.

(La vicepresidente dell’Europarlamento Eva Kaili / fonte: euranet_plus @ Flickr.com)

L’inchiesta

Lo scorso 9 dicembre due giornali belgi, Le Soir e Knack, hanno scritto che la procura federale belga stesse mandando avanti già da luglio un’indagine su un giro di corruzione e riciclaggio che si sarebbe svolto proprio dentro il Parlamento Europeo, con vari protagonisti tra cui «quattro italiani». Il procuratore federale Eric Van Duyse, a Knack, avrebbe poi parlato genericamente di «uno Stato del Golfo» senza volerne rivelare l’identità, ma tutti i sospetti sono inevitabilmente caduti sul Qatar.

L’accusa a questo Paese sarebbe di aver tentato per mesi di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento UE tramite il versamento di ingenti somme o regali a terze parti con un grande ascendente sul Parlamento.

Per questa ragione, il 9 dicembre (giorno in cui, quasi paradossalmente, si festeggia la Giornata Internazionale contro la Corruzione), la procura belga ha operato sedici perquisizioni nelle case degli assistenti dei vari membri del Parlamento indagati, dove sono stati sequestrati computer e smartphone ed, in un caso, anche seicentomila euro in banconote.

Il Qatar nel mirino

Le ragioni per cui, tra tutti i Paesi del Golfo, i sospetti siano caduti proprio sul Qatar sono intuibili: questo Paese negli anni scorsi è infatti riuscito ad ottenere l’assegnazione dei Mondiali di Calcio 2022, ma non senza importanti polemiche. Perplessità si sono trasformate in vere proteste quando è stato fatto presente il poco riguardo che questa nazione avrebbe dei diritti umani, in particolare delle categorie più deboli come quelle rappresentate dalla comunità LGBTQ+.

Non meno importante, un grande scandalo ha riguardato la costruzione dei vari stadi dove oggi vengono ospitate le partite di calcio. Migliaia di morti sul lavoro sarebbero avvenute durante questa fase, per non parlare delle esimie condizioni in cui la manodopera era costretta a lavorare.

(fonte: carlosmorejon.net)

In sostanza, il Qatar avrebbe tutto l’interesse a dare una “rinfrescata” alla propria immagine, facendosi promuovere proprio da soggetti vicinissimi alle cause per i diritti umani e mostrarsi come uno Stato – addirittura – democratico. Ed infatti, numerose personalità coinvolte nell’inchiesta avevano rilasciato dichiarazioni pubbliche a sostegno del Qatar che destavano non poco sospetto. La stessa vice Eva Kaili, dopo un incontro col Ministro qatariota del Lavoro, aveva detto che «Il Qatar sarebbe stato in prima linea per i diritti dei lavoratori».

Ad ogni modo, un esponente ufficiale del Qatar ha negato qualsiasi coinvolgimento del suo governo nella vicenda, affermando di aver sempre agito secondo i dettami delle norme internazionali.

L’importante ruolo delle ONG

Ciò che rende ancor più complessa la vicenda sarebbe l’utilizzo, per gli scopi illeciti degli indagati, delle rispettive posizioni di forza e di garanzia di cui godevano, nonché delle due ONG No Peace Without Justice, capitanata da Niccolò Figà-Talamanca, e Fight Impunity, presieduta da Antonio Panzeri. La sede di quest’ultima è stata oggetto di perquisizione da parte della polizia belga.

In particolare, Fight Impunity è un’organizzazione che si propone l’obiettivo di «promuovere la lotta contro l’impunità per gravi violazioni dei diritti umani e crimini contro l’umanità avendo il principio di responsabilità come pilastro centrale dell’architettura della giustizia internazionale». Molti sono i nomi che hanno deciso di abbandonare a seguito dello scandalo: da Federica Mogherini, ex Alta Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, all’ex primo ministro francese Bernard Cazeneuve, all’ex Commissario Europeo per le Migrazioni Dimitris Avramopoulos, fino alle eurodeputate Cecilia Wikström ed Isabel Santos.

(Logo di Fight Impunity / fonte: fightimpunity.com)

Molti di questi soggetti erano esclusivamente membri onorari dell’organizzazione, non avendo al suo interno alcun ruolo effettivo.

Quanto a No Peace Without Justice, membro di spicco (e fondatrice) è la politica italiana Emma Bonino, a sua volta membro onorario di Fight Impunity, che però non si è espressa sull’accaduto.

Lo sconforto della politica

Fino a prova contraria, per tutti i soggetti sotto arresto vige la presunzione d’innocenza. Eppure, la vicenda si presta già ad essere «il più grande caso di presunta corruzione interna al Parlamento UE degli ultimi decenni», come affermato dal Direttore della Trasparenza Internazionale dell’Unione Michiel van Hulten. E rivela a Politico:

Il Parlamento ha creato una cultura dell’impunità, con una combinazione di regole finanziarie e controlli lassisti ed una totale mancanza di supervisione etica indipendente.

Infine, la Presidente del Parlamento Roberta Metsola ha affermato che «l’Assemblea si schiera fermamente contro la corruzione e sta attivamente cooperando con le forze dell’ordine e le autorità giudiziarie per favorire il corso della giustizia».

Valeria Bonaccorso