Dimissioni De Luca: o me o La Paglia. E denuncia un commerciante

(fonte: messinatoday.it)

Si apre un nuovo capitolo della lotta tra Cateno De Luca e l’ASP di Messina, il servizio locale adibito alla lotta contro il Coronavirus.

Infatti, già settimane fa il sindaco metropolitano aveva richiesto la rimozione del direttore generale dell’ASP Paolo La Paglia “a fonte di gravi e reiterate omissioni” che avrebbero comportato la cattiva gestione dell’emergenza.

De Luca ha così annunciato, tramite una diretta Facebook avvenuta nel pomeriggio del 14 gennaio, di volersi dimettere. Lo fa leggendo il testo integrale della lettera da lui redatta, ma avvisa: saranno valide tra 20 giorni. Tre settimane per ritirarle, a patto che La Paglia venga rimosso dal proprio incarico e l’ordinanza (ritirata alcuni giorni fa) rientri in vigore.

È questo l’ultimatum offerto dal sindaco alla fine di una battaglia che egli dichiara come persa. Sulla pagina Facebook del primo cittadino, su uno sfondo con immagine del generale Che Guevara, si legge:

Ho lottato ed ho perso! Ma chi ha vinto?

(fonte: facebook.com, Cateno De Luca Sindaco di Messina)

Una diretta piena di contenuti

Tuttavia, il sindaco non si è limitato a rassegnare le dimissioni. Nelle quasi due ore di trasmissione, ha trattato alcuni post di Facebook dell’ex deputato regionale Pd Franco De Domenico e del sindacalista della Uil Michele Barresi, indicandoli come propri avversari.

Poi l’attacco a Ferdinando Croce, sostenitore dell’ex avversario Dino Bramanti, e che secondo il sindaco potrebbe candidarsi per il centro destra. “A Croce non consento di fare il depistatore. Domenica ci ha depistato sull’apertura dei barbieri e parrucchieri. Oggi si dice fiducioso sulla gestione dei rifiuti da parte del Comune. Peccato che Messina servizi ha avuto ieri l’elenco dei soggetti in isolamento A1, mentre ancora aspettiamo dall’ASP quelli della categoria A” (Tempostretto)

Da pochi giorni, il servizio di raccolta dei rifiuti Covid è passato nelle mani di Messinaservizi. L’avv. Croce ha dichiarato che l’ASP non riesce a gestire la situazione rifiuti per via dell’aumento dei contagi, ma garantirà un rimborso al Comune e la vaccinazione dei suoi dipendenti, secondo quanto disposto dall’Ufficio straordinario per l’emergenza Covid diretto dalla Dott.ssa Marzia Furnari.

Il primo cittadino lamenta la mancanza dei dati delle utenze dei rifiuti Covid, dei contagiati e dei vaccini che dovrebbero giungere direttamente dall’ASP.

Non manca, infine, l’attacco al Consiglio Comunale diretto dal presidente Cardile:

Hanno concordato una riunione contro di me, ma non mi sottraggo al confronto

(il sindaco De Luca e Ferdinando Croce – fonte: messinatoday.it, vocedipopolo.it)

La denuncia al commerciante di Facebook

Nella medesima diretta, De Luca ha dichiarato di essere intenzionato a denunciare il commerciante Campanella, reo di aver pubblicato su Facebook un proprio sfogo contro le restrizioni imposte dall’ordinanza del sindaco.

Ho dato mandato di denunciare chiunque mi minacci o attacchi me.

Dichiara il sindaco, giustificando la propria denuncia in base all’odio nei suoi confronti che quel video avrebbe suscitato: il commerciante avrebbe invitato chi come lui a scendere in piazza per protestare contro le misure di restrizione.

Ma non indietreggia di un solo passo: infatti la sua ordinanza rientrerà in vigore con misure ancor più drastiche, tra cui la chiusura totale.

“Io chiuderò il mio mandato prendendomi la responsabilità d’interrompere questa catena di contagi. Io non ho paura e farò l’ordinanza e farò di tutto per farla rispettare. Lego il mio destino al risultato del provvedimento. Se la mia ordinanza fallirà io tolgo il disturbo”. (Tempostretto)

I due volti di Messina

Intanto, l’intera città è divisa in due grandi schieramenti: chi offre la totale fiducia al sindaco e chi si ritiene molto più scettico al riguardo. I commenti alle sue dirette, ma anche ad altri tipi di post, evidenziano due atteggiamenti totalmente polarizzati. In tutto ciò, il sindaco sembra fare particolare affidamento sui propri sostenitori.

Lo «scarica barile» tra ASP Messina ed il sindaco De Luca è tutt’altro che concluso e rimane senza esclusione di colpi, lasciando aperto un grande interrogativo: in quali mani giace il futuro dei messinesi? 

Valeria Bonaccorso

Renzi ha detto no: è crisi. Attesa la mossa di Conte

Renzi, annuncia le dimissioni delle due ministre e il sottosegretario Scalfarotto, durante la conferenza stampa (fonte: ansa.it)

Conte aveva promesso la massima apertura possibile, ma Renzi alla fine l’ha fatto: è crisi – ma per ora “solo” – politica. Sarebbe la 66esima di governo, su 66 esecutivi nella storia della repubblica. Si attendono le prossime ore per capire se a questa possa seguirne o meno una di governo e gli scenari possibili sono diversi.

Nelle ore precedenti

(fonte: fanpage.it)

Ieri, all’ora di pranzo, il presidente Mattarella ha ricevuto il premier, chiedendogli di far in modo di uscire al più presto dall’incertezza politica, di cui quest’ultimo lo ha informato dopo infruttuosi contatti telefonici. Ogni trattativa con il leader di Italia Viva, con i renziani, rinominati ora “Responsabili”, non riesce. Neanche l’offerta di un “patto di legislatura” da scrivere in breve tempo viene accettata. Il premier, all’uscita del Quirinale, dichiara di poter andare avanti solo con il sostegno di tutta la maggioranza, una maggioranza soprattutto solida, che non può “prendere un voto qua e là”, alla quale dice di voler, in ogni caso, lavorare fino all’ultimo.

Il primo strappo sembra quello avvenuto nel Consiglio dei ministri, sul Recovery Fund, a causa delle ministre renziane, ma già da mesi il governo traballava.

In serata, Renzi esordisce, in conferenza stampa iniziata alle ore 18, con le dimissioni delle ministre Teresa Bellanova e Elena Bonetti e il sottosegretario Ivan Scalfarotto. Pd e M5s si dicono contrari.

Renzi e le ministre Bellanova e Bonetti (fonte: corriere.it)

“Lasciare un incarico di governo richiede lunghissime, dolorose e assai profonde considerazioni. Abbiamo deciso di rimettere il nostro mandato in nome della dignità e della nobiltà della politica e della nostra libertà e responsabilità individuale.” avevano scritto in una lettera al presidente del Consiglio, motivo del ritardo di un’ora per l’inizio della diretta.

Renzi dichiara di non aver aperto lui la crisi, ma che ve ne era una già in atto da mesi: il punto su cui non ci sta è la convinzione che la democrazia è stata messa da parte con la scusa della pandemia.

Sottolineando di nutrire ancora piena fiducia nei confronti di Mattarella, poi dichiara:

“La democrazia ha delle forme e se le forme non vengono rispettate, allora qualcuno deve avere il coraggio anche per gli altri per dire che il Re è nudo.” per poi continuare con l’accusa di populismo, per un utilizzo ridondante delle dirette tv e sui social e su quello della delega ai servizi. “Non consentiremo a nessuno di avere pieni poteri. Questo significa che l’abitudine di governare con i decreti legge che si trasformano in altri decreti legge, l’utilizzo dei messaggi a reti unificate, la spettacolarizzazione della liberazione dei nostri connazionali, rappresentano per noi un vulnus alle regole del gioco. Chiediamo di rispettare le regole democratiche”.

Tre le questioni poste, tra cui appunto quella sul metodo.

Il destino dell’esecutivo nelle mani di Conte

Si attende la risposta di Conte (fonte: ilpost.it)

Renzi passa la palla a Conte e dice di non avere alcuna pregiudiziale né su formule né su nomi, un Conte-ter è possibile. Contesta il mancato uso del Mes, rivendica i cambiamenti sul Recovery fund e dichiara di esser pronto a discutere su tutto, ma, precisa, nelle forme della politica previste dalla Costituzione perché sottolinea che con Conte “si è creato un vulnus alle regole del gioco”.

Il premier, ora, può assumere l’interim o andare al Quirinale e aprire la crisi. Quattro possibili scenari. Poco prima dell’intervento di Renzi, Conte sulla possibile mancanza di appoggio di Iv, aveva dichiarato di volersi dimostrare aperto a discutere solo in caso di critiche costruttive.

Gli scenari che si aprono

In ogni caso, Il ritiro di due ministri non comporterebbe tecnicamente la fine dell’esecutivo. Conte potrebbe chiedere la verifica della fiducia nei suoi riguardi, dopo aver congelato le sue dimissioni. Un rischio, poiché in caso della mancanza di questa, non avrebbe la possibilità di tornare a Palazzo Chigi. Solo in caso di verifica andata a buon fine, quindi, se Iv trovasse un compromesso con la maggioranza e il premier, l’esecutivo Conte II continuerebbe.

Altrimenti un governo istituzionale, con una maggioranza allargata, per cui è stato ventilato il nome di Romano Prodi – tessitore delle relazioni con l’Europa – sarebbe una dei quattro possibili scenari.

Un Conte-ter dopo le dimissioni formali del premier, con una riconferma da parte da parte delle forze politiche consenzienti a formare la nuova maggioranza e un nuovo patto programmatico.

Oppure, un nuovo governo con la stessa maggioranza, ma nuovo premier – espresso da Pd, M5s, Leu e Iv – che sia del Pd o anche Di Maio un premier appoggiato dal centrodestra e Iv all’opposizione.

Se le consultazioni si trascinassero senza riuscire a individuare un nuovo governo, allora si andrebbe – nonostante Renzi l’abbia giudicato impossibile – a elezioni anticipate.

Rita Bonaccurso

Silicon Valley: come la pandemia sta cambiando la culla della tecnologia. Hp e Tesla verso il Texas

Quartier generale di Google. Fonte: https://www.viaggi-usa.it/silicon-valley-california/

La Silicon Valley californiana, culla della tecnologia per eccellenza, si è negli ultimi mesi collocata al centro di un dibattito molto noto e altrettanto antico tra gli esperti di industria tecnologica negli Stati Uniti, circa il suo futuro: riuscirà a rendere la minaccia della pandemia una sfida stimolante? Non sarebbe infatti la prima volta che la regione più innovativa al mondo esce rafforzata da una crisi. Ciononostante, tra gli osservatori c’è chi ritiene che stiamo assistendo al preludio della sua fine.

A consolidare simili previsioni sarebbe un fenomeno di più lungo periodo, riguardante l’inizio di una preoccupante migrazione di note aziende e grandi imprenditori (tra cui Elon Musk) dal polo tecnologico verso il Texas, che sta da tempo emergendo come allettante alternativa.

Il valore della prossimità fisica messo a rischio dalla pandemia

È certamente diffusa la consapevolezza di come l’economia mondiale sia stata messa in ginocchio da un nemico invisibile universalmente riconosciuto sotto il nome di Covid-19 e la Silicon Valley – sede di numerose start-up (imprese emergenti) e società internazionali specializzate in tecnologia – non è rimasta esente da ciò.

La pandemia ha portato con sé la necessità di una riorganizzazione del lavoro, svuotando gli uffici e privilegiando il lavoro dei dipendenti da casa e questo, a detta dei più pessimisti, si traduce in una messa in discussione del modello innovativo propriamente caratteristico di tali aziende. Le preoccupazioni nascono dall’idea che la prossimità fisica tra persone con un certo tipo di conoscenza ed esperienza (imprenditori, programmatori e investitori) rappresenti un valore aggiuntivo in termini di innovazione e produttività, che rischierebbero altrimenti di venir meno.

Politica e opinione pubblica in accordo sulla limitazione della libertà imprenditoriale

Come evidenzia un articolo del ‘’Post’’ risalente a due giorni fa, dall’ultimo studio trimestrale delle società di consulenze NVCA Venture Monitor e PitchBook è stato rilevato un leggero calo nel tasso di investimento del venture capital, vale a dire una forma di investimento ad alto rischio in start-up potenzialmente di successo. Pare inoltre che il modello di sviluppo della Silicon Valley sia minacciato anche sul fronte della politica da Stati Uniti ed Europa, che si mostrano sempre più decisi a ridurre quella grande libertà imprenditoriale che nel ventesimo secolo ha consentito la fortuna della Silicon Valley. Si sta ad esempio pensando ad un’eventuale eliminazione o riscrittura della Sezione 230 del Communications Decency Act, una legge americana che esenta i proprietari dei siti web dalla responsabilità editoriale:

“Nessun fornitore o utente di un servizio informatico interattivo dovrà essere trattato come l’editore o il responsabile di qualunque tipo di informazione pubblicata da un altro soggetto”, recita il testo. 

L’opinione pubblica nei confronti dell’industria tecnologica è altrettanto severa e ritiene che essa abbia <<troppo potere>>.

Dove si trova la Silicon Valley e perché è così famosa?

Silicon Valley è il soprannome che viene geograficamente attribuito alla parte meridionale della regione della baia di San Francisco, in California. L’espressione veniva inizialmente usata per le sole contee di San Mateo e Santa Clara ma, in seguito all’espansione dell’industria in tutta la regione, ha finito oggi con il ricomprendere un’area ben più ampia, città di San Francisco inclusa.

Geografia della Silicon Valley. Fonte: Expedition Earth

Essa deve principalmente la sua fama ai garage, veri e propri rifugi per giovani studenti-ingegneri dalle cui menti scaturirono brillanti idee, le stesse che in poco tempo sarebbero divenute il punto di partenza di tecnologie di cui oggi non sapremmo fare a meno. È in questo modo che nascono infatti le più importanti multinazionali high-tech del pianeta, come Apple e Google. Non deve quindi sorprendere se quest’area della California è continuamente protagonista di film e libri, oltre che meta ambita da imprenditori, come pure da turisti semplicemente curiosi, provenienti da tutto il mondo.

I motivi dei trasferimenti: da Packard a Musk

La pandemia da coronavirus, insieme con i devastanti incendi che ogni anno martoriano la California, stanno contribuendo al peggioramento della qualità di vita californiana e alla conseguente perdita di fascino della Silicon Valley. Non è un caso, quindi, se giganti del settore tecnologico quali Oracle e Hewlett Packard Enterprise hanno di recente lasciato la California per spostare in Texas, più precisamente ad Austin, le loro sedi principali. Ad incidere sulle scelte dei big dell’industria tecnologica il minor costo della vita e politiche fiscali più favorevoli, ragion per cui è possibile supporre che il cambiamento in atto sia stato semplicemente accelerato – e non causato primariamente – dal massiccio uso dello smart working, che rende sempre meno necessarie mastodontiche sedi fisiche.

Anche Elon Musk, il CEO (amministratore delegato) di Tesla e uno degli esponenti più importanti del settore tecnologico americano, si è da poche settimane trasferito nel grande stato meridionale degli Stati Uniti, annunciandolo durante una conferenza organizzata dal quotidiano internazionale ‘’Wall Street Journal’’ , tenutasi lo scorso 9 dicembre.

Elon Musk. Fonte: ilsole24ore.com

Le previsioni negative potrebbero essere azzardate

Malgrado tutto ciò, è bene tenere presente che autorevoli aziende come Google e Apple sono ben radicate nella Silicon Valley con i loro enormi campus e non hanno alcuna intenzione di trasferirsi; così come il presunto fallimento della regione potrebbe essere frutto di un’esagerazione, che non tiene in alcun modo conto della cultura positiva del fallimento come esperienza educativa di un territorio che per ben due volte – nel 2000 e nel 2008 – è riuscito a superare i propri limiti in tempi di crisi. 

Gaia Cautela

Il buco dell’Ozono 2020 si è chiuso, è stato il più lungo dal 1980

Dopo 40 anni gli scienziati della World Meteorological organization hanno dichiarato la chiusura del buco dell’ozono. L’organizzazione intergovernativa, di carattere tecnico e che si occupa di meteorologia, comprendente i 191 Stati membri, non ha mancato di definirlo il più duraturo di sempre.

Le variazioni di dimensione

Dopo la crescita inaspettata a partire dallo scorso agosto 2020, e che ha avuto il suo momento di maggiore estensione il 20 settembre 2020 (24.8 km quadrati) interessando la maggior parte del continente antartico, il buco alla fine di dicembre si è richiuso. Per gli scienziati il buco nell’ozono 2020 si guadagna il primato per dimensioni e durata dall’inizio dei monitoraggi, a partire dal 1985.

Bisogna precisare che la chiusura del buco si presenta a intervalli regolari. Solitamente quest’ultimo tende a chiudersi alla fine della stagione primaverile, che nell’emisfero Sud dura in media da agosto ad ottobre. Mentre nel 2020 la durata è andata oltre raggiungendo appunto il record nella permanenza fino a dicembre.

Le cause che portano alla nascita questo evento riguardano sia eventi atmosferici naturali che altri fenomeni dovuti all’uomo, come l’inquinamento. A tal proposito Oksana Tarasova, capo della divisione di ricerca sull’ambiente atmosferico dell’Omm precisa:

«Proprio le ultime due annate dimostrano l’eccezionale variabilità del fenomeno aiutandoci a capire le cause che lo determinano».

Fonte: corriere della sera- chiusura buco nell'ozono
Chiusura buco nell’ozono – fonte: Corriere della Sera

 

Tutela dello strato di ozono

Fonte: inNaturale-Il buco nell'ozono chiuso entro il 2060
Il buco nell’ozono chiuso entro il 2050 – fonte: inNaturale

La distruzione dell’ozono è direttamente collegata alla temperatura della stratosfera che è lo strato atmosferico tra i 10 e i 50 chilometri di altezza. In questo strato le nubi stratosferiche, di vitale importanza nella distribuzione dell’ozono, non riescono a formarsi a temperature che superano i -78 gradi. Per tutelare lo strato di ozono dai nemici naturali, quali l’azoto e il cloro, nel 1987 è stato siglato il Protocollo di Montreal. Il Protoccolo è volto alla riduzione dell’utilizzo di quei gas che, secondo la scienza, sono responsabili della distruzione dell’ozono. L’immissione di cloro nella stratosfera avviene tramite i cosiddetti clorofluorocarburi (CFC composti da cloro, fluoro e carbonio), considerati i responsabili dell’assottigliamento della fascia di ozono. Fascia che contribuisce a proteggere il nostro pianeta dai raggi solare UV. I CFC vengono scomposti solamente dalla radiazione solare. I ricercatori hanno osservato come in seguito alla stipulazione del protocollo di Montreal il buco sia sceso ai minimi storici.

Il vortice polare

Alla chiusura del buco nell’ozono ha contribuito un vortice polare che ha causato una diminuzione progressiva delle temperature alle altitudini in cui si trova lo strato di ozono. Bisogna precisare come, rispetto gli altri anni, nel 2020 il vortice polare freddo è rimasto più stabile della norma mantenendo le temperature nello strato di ozono sopra l’Antartide più basse. Il vortice ha così impedito l’arrivo di aria più calda e il conseguente ritardo nella chiusura del buco. Sono 100 le sostanze individuate dal Protocollo di Montreal, che negli anni hanno avuto un effetto benefico sulla ripresa dello strato di ozono che protegge la Terra. Anche se la situazione è in via di miglioramento i tempi restano lunghi: la WMO prevede un ritorno ai valori considerati positivi (quelli precedenti al 1980) solo per il 2050.

Eleonora Genovese

 

 

 

 

 

La Sicilia potrebbe ospitare depositi dei rifiuti nucleari. Sindaci e Nello Musumeci in protesta. Ecco cosa sta succedendo

Accanto alla proposta del Cts, arrivata nelle ultime ore, di fare della Sicilia zona rossa per tre settimane, a preoccupare la nostra isola è la Cnapi, la carta pubblicata da Sogin, dopo il nullaosta del Governo, nella notte tra il 4 e il 5 gennaio, che indica le 67 aree idonee ad ospitare infrastrutture per lo smaltimento dei rifiuti nucleari. Tra queste, 4 sono siciliane: Calatafimi-Segesta, Castellana Sicula, Petralia Sottana e Butera.

Mappa dei luoghi selezionati da Sogin – Fonte: www.blitzquotidiano.it

Il “no” dei sindaci e di Musumeci

La notizia è stata accolta con dissensi e proteste dei sindaci e del presidente della regione Nello Musumeci. Ha affermato il sindaco di Petralia-Sottana, Leonardo Neglia:

Sono rimasto di stucco e anche un po’ contrariato apprendendo la notizia. Ci lascia sgomenti: noi siamo anche sede dell’ente parco delle Madonie, da un lato si vuole la protezione della zona, dall’altro si vogliono seppellire scorie nucleari”.

Per il governatore della regione la selezione delle aree siciliane è da mettere in discussione:

Abbiamo elementi tecnici inoppugnabili per contestare questa scelta, in contrasto con tutti gli indicatori fisici, sociali, economici e culturali dell’Isola e lo faremo anche con il coinvolgimento dei Comuni interessati, che condividono le nostre preoccupazioni. La Sicilia, anche per la sua alta vulnerabilità sismica e per la disastrosa condizione della viabilità interna, su cui la Regione non ha competenza diretta, non può permettersi né di ospitare né di trasportare rifiuti nucleari”.

L’associazione di Calatafimi-Segesta “Amunì Calatafimi” ha lanciato una petizione contro il deposito delle scorie nucleari che ha già raccolto circa 600 firme. Scrive l’Associazione:

Con questa petizione miriamo, sin da subito, a bloccare questa possibile follia. Chiediamo a tutte le realtà territoriali di unirsi a noi prima della scadenza della consultazione pubblica. Anche solo l’aver inserito queste zone nella lista dei siti idonei a ospitare un deposito nazionale dei rifiuti radioattivi italiani, è pura follia. Territori ad alto rischio sismico, con risorse agricole, paesaggistiche, turistiche ed archeologiche. Territori logisticamente remoti, come possono essere valutati idonei a tal fine?

I criteri di selezione dei luoghi

Le critiche fanno sembrare la scelta delle aree in Sicilia totalmente in contraddizione con i criteri di selezione stabiliti dall’Ispra nel 2014. Secondo l’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, i luoghi atti ad ospitare depositi nucleari sarebbero quelli con pochi abitanti, non a quote troppo elevate, non su pendenze eccessive, non troppo vicini al mare, con una sismicità modesta, senza vulcani né rischi di frane e alluvioni. Criteri che certamente generano dei dubbi intorno all’idoneità della Sicilia, territorio a rischio idrogeologico, noto per l’attività sismica e vulcanica, votato all’agricoltura e al turismo.

Perplessità relative alla scelta delle aree sono sorte anche in altre regioni selezionate per accogliere i depositi. Forti critiche sono giunte in particolare dalla Sardegna e dalla Puglia. Alessio Valente, sindaco di Gravina in Puglia, scrive: “La vocazione di queste nostre aree è agricola e turistica, e non permetteremo che ci trasformino in un cimitero di scorie nucleari. Mai”.

Una questione rimandata da molto tempo

D’altronde, se si pensa all’intero territorio italiano, sembra difficile trovare delle zone idonee al 100%, capaci di rispecchiare tutti i criteri stabiliti. Eppure, la questione dei rifiuti nucleari, rimandata già da troppo tempo, necessitava di una soluzione.

Era la stessa Unione Europea a reclamarlo. Infatti, secondo l’articolo 4 della Direttiva 2011/70 la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi deve avvenire nello Stato membro in cui sono stati generati. Al momento, in Italia sono presenti una ventina di siti provvisori, non idonei allo smaltimento definitivo. La Cnapi, scritta nel 2010, rinviata di anno in anno, doveva essere pubblicata già nel 2015. Il ritardo, dovuto sia ad accertamenti tecnici della Sogin e dell’Ispra sia a vicissitudini politiche, dalle regionali del 2015 al referendum costituzionale del 2016, fino alle elezioni del 2018, è costato all’Italia una procedura di infrazione aperta dall’UE nell’ottobre del 2019.

Insomma, si tratta di una questione non più rimandabile. L’ha detto anche il sottosegretario all’ambiente Roberto Morassut, il quale ha garantito trasparenza e collaborazione con le associazioni ambientaliste:

“È un provvedimento da tempo atteso e sollecitato anche dalle associazioni ambientaliste, che consentirà di dare avvio ad un processo partecipativo pubblico e trasparente al termine del quale sarà definita la localizzazione dell’opera. Un impegno che questo Governo assume anche in ottemperanza agli indirizzi comunitari e nel rispetto della piena partecipazione delle comunità alle decisioni”.

Roberto Morassut – Fonte: www.italiaincammino.it

Il progetto

Il progetto del deposito nazionale per lo smaltimento dei rifiuti nucleari non riguarda, per fortuna, le scorie più pericolose, ma quelle con media e bassa attività radioattiva, in totale circa 78000 metri cubi di rifiuti che si producono ogni giorno: reagenti farmaceutici, mezzi radiodiagnostici degli ospedali, guanti e le tute dei tecnici ospedalieri, il torio luminescente dei vecchi quadranti degli orologi, i marker biochimici e i biomarcatori, i parafulmini e i rilevatori di fumo. 33000 metri cubi di rifiuti sono già stati prodotti, i restanti 45000 metri cubi si prevede che verranno prodotti nei prossimi 50 anni.

Cosa accadrà adesso?

Dopo il nulla osta alla pubblicazione della Cnapi, arrivato il 30 dicembre da parte dei ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, si è aperta una fase di 60 giorni durante la quale le Regioni e gli enti locali sono tenuti ad avanzare critiche e proposte. Allo scadere di questo periodo, si terrà un seminario nazionale di 4 mesi che farà del deposito di rifiuti nucleari l’oggetto di un dibattito tra sindacati, università, enti locali, enti di ricerca. In base a quanto emergerà nel seminario nazionale, la Cnapi verrà rivista, modificata e poi sottoposta ai ministeri dello Sviluppo economico, dell’Ambiente e delle Infrastrutture e dei Trasporti che dovranno convalidarla.

Chiara Vita

 

 

Cosa c’è da sapere sull’attacco a Washington e sui motivi dell’assalto al Congresso dei sostenitori di Trump

(fonte: rollingstone.com, inquirer.net)

Tra la sera del 6 e la notte del 7 gennaio (orario italiano), mentre l’Italia si preparava a terminare il periodo di vacanze natalizie, dall’altra parte del mondo – e precisamente negli Stati Uniti – migliaia di persone hanno fatto irruzione a Capitol Hill, sede del Congresso, per interrompere la seduta del Senato che dovrebbe confermare l’elezione di Joe Biden.

Si tratta di un evento che ha scosso gli animi di tutto il mondo, tenendo milioni di persone attaccate ai giornali di cronaca: un vero tentativo di colpo di stato mosso dai sostenitori di destra, repubblicani, che non hanno ancora accettato la sconfitta del presidente uscente Donald Trump.

Diversi sono gli esponenti mediatici – compreso il New York Times – che accusano quest’ultimo di aver infiammato, per lunghi mesi, l’animo degli assaltatori.

Ma cosa è successo? E soprattutto, perché?

Un passo indietro

Novembre 2020. Arrivano i primi risultati delle elezioni presidenziali che vedono un ribaltamento della situazione, con Trump che passa in svantaggio rispetto a Biden in vari stati. Col senno di poi arrivano i primi tweet allarmanti del Presidente: essi accusano i democratici di frode elettorale e vengono prontamente censurati dal creatore di Twitter.

Dopo giorni di estenuante attesa, si ottiene un vincitore. È Joe Biden, il quale passa da un margine sottile di distacco ad una vittoria schiacciante. Ma tale realtà non verrà mai accettata dal presidente uscente, che dichiarerà in più occasioni di non voler concedere al neo-eletto la vittoria. I nervi sembrano tendersi incredibilmente all’interno degli States, con divisioni che appaiono inconciliabili.

Al 6 gennaio è fissata la votazione del Senato che necessita di confermare i 270 elettori di Biden per concedergli la Casa Bianca. S’inizia a nutrire il sospetto che le elezioni possano venire sabotate, ma nessuno sembra apprestare ulteriori misure di sicurezza.

Nel frattempo, le elezioni senatoriali in Georgia consegnano ai dem altri due seggi: si tratta di Jon Ossoff e Raphael Warnock. Così, il bilancio dei senatori raggiunge un perfetto 50-50 tra democratici e repubblicani. In tali condizioni, la legge americana prevede che voti anche il vicepresidente degli Stati Uniti (in tal caso, la neo-eletta Kamala Harris).

Si verifica la conquista da parte dei democratici dei tre punti politici essenziali: Casa Bianca, Senato, Camera (con elezioni che si sono verificate contestualmente a quelle presidenziali).

La simpatia per i suprematisti bianchi

Tutto questo cumulo di eventi ha condotto a quello che molti stanno definendo come “la naturale evoluzione della supremazia bianca“.

Il binomio Trump-Supremazia bianca ha sempre avuto senso dal punto di vista degli oppositori, ma a partire dagli eventi di giugno che hanno visto la sanguinolenta repressione del movimento Black Lives Matter molte più persone si sono convinte della correlazione esistente tra i due soggetti. Specie dopo l’esplicito appoggio di Trump ai Proud Boys, gruppo dichiaratamente suprematista.

(fonte: euractiv.com)

 

Uno sguardo su Capitol Hill

I rivoltosi che questa notte hanno fatto irruzione al Congresso sono riusciti a travolgere le esigue forze di polizia stanziate, costringendo chiunque si trovasse all’interno a barricarsi nei locali per sfuggire alla furia repubblicana. Una donna ha perso la vita durante uno scontro con le forze armate per via di una grave ferita da arma da fuoco.

Dopo essere riusciti a penetrare nella sede, il vicepresidente Mike Pence ha da solo disposto che intervenisse la Guardia Nazionale (la stessa che contribuì a sedare gli eventi di giugno) dopo un iniziale rifiuto di dispiegare tale forza.

La situazione si è attenuata attorno alle due di notte (ora italiana) con l’evacuazione dei civili e la ripresa della seduta di conferma elettorale. Al momento, sono stati certificati 306 voti al collegio elettorale di Joe Biden e la sua vittoria alle elezioni presidenziali. L’insediamento avverrà il 20 gennaio 2021.

(le guardie difendono l’entrata barricata dell’aula del Congresso, fonte: mercurynews.com)

La reazione del web e le critiche alle forze armate

Hanno commentato la vicenda in diretta milioni di utenti che hanno espresso il proprio ripudio nei confronti di un tale gesto, da Joe Biden allo stesso Mike Pence.

La violenza e la distruzione che stanno avendo luogo al Congresso Devono Fermarsi e devono fermarsi Ora. Chiunque sia coinvolto deve rispettare le forze dell’ordine ed abbandonare il palazzo immediatamente.

Una delle critiche più aspre mosse nei confronti delle forze di polizia consisterebbe nel trattamento di favore ricevuto dai rivoltosi di gennaio rispetto a quelli di giugno, poiché non neri o comunque non a favore del movimento Black Lives Matter. La docilità delle forze armate nei confronti di tali soggetti ha insospettito gran parte dei seguaci della vicenda.

A ciò si aggiunga un video incriminante di due individui intenti a riprodurre, sulle scale del Congresso, l’orribile scena dell’omicidio di George Floyd avvenuta a giugno.

La reazione di Trump, benché non espressamente di approvazione, sarebbe stata invece molto più di supporto:

Si tratta di un livello di comprensione insolito per il presidente uscente, il quale a giugno non perse attimo per denunciare i manifestanti a favore del BLM come dei vandali e terroristi. Il social ha prontamente censurato i successivi messaggi ed ha anche espressamente disposto la sospensione dell’account del presidente uscente nel caso in cui non li cancelli tempestivamente.

Ma le rogne di Trump non terminano qui: nei giorni scorsi è stato infatti emesso un altro mandato di arresto da parte dell’Iran, ancora profondamente scosso per l’uccisione del generale Soleimani.

Infine, tra le tendenze mondiali spicca l’hashtag #25thAmendmentNow, un invito ad applicare il venticinquesimo emendamento della Costituzione statunitense che prevede la procedura d’impeachment.

Una prospettiva europea

A condannare un evento del genere si sono devoluti pure esponenti politici europei come il presidente Pedro Sánchez. Anche l’Italia ha reagito a tale evento, rinvenendo immediatamente una somiglianza di tali gesti con la Marcia su Roma compiuta dai fascisti il secolo scorso.

Intanto, le parole dei nostri politici non si sono fatte attendere. Tra i molti che sono intervenuti ricordiamo Nicola Zingaretti, Matteo Renzi ed il premier Giuseppe Conte.

 

Valeria Bonaccorso

A partire dall’1 gennaio 2021 in vigore il nuovo accordo su Brexit. Ecco cosa cambierà

Il 24 dicembre, a pochi i giorni dall’ 1 gennaio, è arrivato l’accordo sulla Brexit con Bruxelles.

Questo sancisce definitivamente che la Gran Bretagna si separerà dall’Unione Europea.

Facciamo un passo indietro. Come si è arrivati alla Brexit?

La storia del divorzio amichevole, così come è stato definito dal Financial Times, tra Regno Unito e Unione Europea ha avuto inizio il 23 giugno 2016 con il voto popolare del referendum che approvò l’uscita del Regno Unito dall’UE. In realtà, potremmo tornare più indietro nel tempo per rintracciare i primi segnali di questa separazione. Non è un mistero che la Gran Bretagna è sempre stata euroscettica. Lo prova il fatto che aderì alla CEE soltanto nel 1973, dopo la creazione nel ’60 di un’area di scambio alternativa; lo prova la mancata adozione dell’euro; lo prova la decisione di non aderire all’ area Schengen. La Brexit, dunque, non ha colto di sorpresa l’Europa.

All’euroscetticismo, negli anni 2000, si sono aggiunti il crollo finanziario, la preoccupazione dell’opinione pubblica sull’immigrazione e la minaccia politica del partito antieuropeista di destra guidato da Nigel Farage. Tutti fattori che hanno portato il conservatore David Cameron, nel 2015, a promettere, se avesse vinto le elezioni, un referendum sulla Brexit.

David Cameron – Fonte: www.independent.co.uk

Sono seguiti difficili anni di negoziati che hanno visto impegnata anche l’ex premier Theresa May e che si sono conclusi con la vittoria alle elezioni di Boris Johnson e il via libera del Parlamento britannico alla Brexit, la cui realizzazione è avvenuta il 31 gennaio del 2020.

Il difficile cammino verso l’accordo

A partire dall’ 1 febbraio 2020 si è aperta una fase di transizione di 11 mesi per cercare un accordo che regolasse la nuova relazione con l’UE. Mesi difficili, in cui le due parti coinvolte hanno dovuto mediare tra la difesa dei propri interessi e la necessità di scendere a compromessi.

Più volte si è prospettato lo scenario del “no deal”, cioè la possibilità di arrivare all’1 gennaio 2021 senza aver raggiunto un’intesa. Il mancato accordo, prima di tutto, avrebbe messo in pericolo l’economia sia dei paesi dell’Unione sia della Gran Bretagna. L’immediata conseguenza sarebbe stata l’introduzione di dazi e tariffe nello scambio delle merci, il che avrebbe implicato un aumento del loro prezzo per i consumatori. Mark Carney, il governatore della banca d’Inghilterra, aveva affermato che l’ipotesi del no deal avrebbe causato “uno shock istantaneo” all’economia britannica, facendo schizzare i prezzi alle stelle e diminuendo il potere d’acquisto delle famiglie. Ma sarebbero stati in pericolo anche i paesi esportatori, come l’Italia.

Theresa May – Fonte: www.independent.co.uk

A livello politico, il no deal avrebbe compromesso la carriera di Boris Johnson, salito al potere, dopo il fallimento di Theresa May, con l’impegno di realizzare la Brexit ad ogni costo e già messo in cattiva luce dalla gestione della pandemia. Non è un caso, forse, che l’accordo sia arrivato pochi giorni dopo la diffusione della notizia della nuova variante del Covid, che in Gran Bretagna ha fatto salire alle stelle il numero di vittime e ha provocato la sospensione dei voli aerei da più di 40 paesi.

Cosa prevede l’accordo

Cerchiamo adesso di capire come cambierà, in base all’accordo, la relazione tra Gran Bretagna e Unione Europea.

Il patto prevede la liberalizzazione degli scambi commerciali, grazie alla rimozione di dazi e quote. Questo, tuttavia, non implica la caduta di ogni barriera: sono previsti alla dogana controlli di merci e di persone. Gli scambi saranno più difficili e più lunghi.

Per visitare il Regno Unito sarà necessario il passaporto. Se si permane per turismo e per meno di sei mesi non sarà obbligatorio il visto, indispensabile invece se ci si trasferisce nel Paese per motivo di lavoro o per più di sei mesi.

Con l’accordo, arriva anche una nota dolente per gli studenti universitari: il governo britannico non prenderà più parte al progetto Erasmus, aderendo invece al Turing Scheme, programma che permetterà agli studenti britannici di studiare non solo nelle università europee ma anche nelle migliori del mondo.

Il patto regolamenta anche la pesca, una questione controversa che più volte ha rischiato di far precipitare i negoziati. Fino al giugno 2026, i pescherecci UE potranno accedere alle acque territoriali britanniche ma dovranno ridurre il pescato del 25%. Dopo questa data, l’accesso e le quote saranno ristabilite ogni anno.

Un’altra questione disciplinata è quella della concorrenza sleale tra aziende europee e aziende britanniche: è stato stabilito un minimo standard ambientale, sociale e dei diritti dei lavoratori al di sotto del quale nessuno potrà scendere, con la possibilità di intervenire nel caso in cui si ritenga che l’altra parte stia facendo concorrenza sleale.

Una vittoria importante per Johnson riguarda la Corte di Giustizia, che cesserà di avere potere giuridico sul Regno Unito e sarà sostituita da un arbitrato indipendente.

Una conquista importante per l’UE è stata invece l’introduzione di una clausola per regolare l’eventuale violazione del patto, che prevede l’imposizione di dazi su alcuni beni.

Non è presente, invece, nessuna norma relativa al settore dei servizi finanziari. Una grave perdita per la Gran Bretagna, la cui economia attinge enormemente dall’esportazione dei servizi verso l’UE. La City di Londra, l’importante centro finanziario che comprende la Banca d’Inghilterra, la Borsa, le Corti di Giustizia e molte banche e società assicurative internazionali, cesserà di far parte del mercato finanziario unico europeo.

L’entusiasmo per l’accordo

L’accordo è stato accolto con entusiasmo da Boris Johnson:

“Per la prima volta dal 1973 il Regno Unito sarà uno stato costiero indipendente con il pieno controllo delle nostre acque di pesca”.

Rassicuranti le parole di Ursula von der Leyen che precisa come si tratti di un accordo bilanciato che rispetta gli interessi di entrambe le parti.

Soddisfatto dell’intesa anche il premier Conte, sicuro che l’accordo garantisca gli interessi e i diritti di imprese e cittadini europei. Si dimostra entusiasta anche il ministro per gli affari europei Enzo Amendola:

“Deal, accordo raggiunto in extremis tra Ue e Uk. Un buon compromesso che tutela innanzitutto gli interessi di cittadini e aziende europee. Da oggi la Brexit è il passato, il futuro è l’Europa”.

Il ministro Enzo Amendola – Fonte: www.statoquotidiano.it

Sentiremo ancora parlare di Brexit?

Non possiamo, però, come il ministro Amendola essere certi che la Brexit appartenga ormai al passato. Si pensi, ad esempio, alla questione della pesca che dal 2026 riaprirà nuove trattative. Per non parlare del fatto che l’applicazione dell’accordo aprirà, di certo, in futuro delle controversie che faranno riemergere l’argomento Brexit.

Non è un capitolo chiuso né per la Gran Bretagna che sarà impegnata nei prossimi mesi ad affrontare le difficoltà implicate nell’applicazione dell’accordo né per l’Unione Europea che ne esce moralmente sconfitta. Ne è consapevole la stessa Ursula Von der Leyen:

“Questo, fino ad oggi, era il gruppo a cui tutti volevano unirsi, non andarsene”.

Chiara Vita

Vaccine day: da oggi si va verso la vittoria nella lotta contro il Covid-19. I numeri, i nomi e le proiezioni di questa giornata

Vaccine Day in tutta Europa, 27 dicembre 2020. Inizio vaccinazioni contro il Covid (fonte: ilfriuli.it)

E’ arrivato l’attesissimo “Vaccine Day” detto anche “V-Day” per tutta l’Europa e l’Italia. Un giorno di svolta, che segna l’inizio della rimonta contro la pandemia. Per inaugurare simbolicamente la distribuzione vera e propria che, in realtà, inizierà da domani, sono state destinate all’Italia 9.750 dosi del vaccino Pfizer-Biontech contro il Covid-19.

“Partiamo dagli operatori sanitari e dalle fasce più fragili per poi estendere a tutta la popolazione la possibilità di conseguire l’immunità e sconfiggere definitivamente questo virus.”. Così il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha scritto oggi su Twitter.

I primi tre italiani ad esser vaccinati

Vaccinazioni allo Spallanzani (fonte: Ministero della Salute)

La direttrice del laboratorio di virologia dell’Istituto nazionale malattie infettive (Inmi) Maria Rosaria Capobianchi, l’infermiera Claudia Alivernini e l’operatore sociosanitario Omar Altobelli dell’ospedale simbolo nella lotta al virus, lo Spallanzani di Roma, sono stati i primi in tutta Italia ad essere vaccinati, alle 7.20 di questa mattina. Poi altri due del personale dell’Inmi. Presenti il commissario Domenico Arcuri, il ministro della Salute, Roberto Speranza, il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio d’Amato e il direttore sanitario dello Spallanzani, Francesco Vaia. Zingaretti ha commentato:

 “Oggi è una giornata di speranza, una giornata simbolica. Ma non dobbiamo abbassare la guardia, ci aspettano mesi di dura battaglia in una fase nuova”.

E’ arrivato attraverso la frontiera del Brennero, proveniente dal Belgio, il furgone con le 9.750 dosi per l’Italia, portate prima tutte allo Spallanzani. Da qui, l’esercito le ha poi prelevate per distribuirle in tutte le altre regioni del Paese.

 

Le successive dosi – come previsto dal “Piano Vaccini” – saranno consegnate direttamente dalla casa farmaceutica Pfizer ai 300 “siti di somministrazione”, individuati dalla Struttura commissariale in accordo con le stesse Regioni, che diventeranno 1.500 in primavera, quando le vaccinazioni dovranno essere di massa. A questi si aggiungeranno le unità mobili.

Infermiera Lucia Premoli riceve il vaccino nel V-Day (fonte: ansa.it)

Primi vaccini anche a Codogno, città del paziente 1

Giornata particolarmente sentita a Codogno, città colpita duramente all’inizio della pandemia, la prima zona rossa d’Italia. Lucia Premoli, infermiera della Rianimazione dell’ospedale della città, tra gli operatori che hanno assistito ilpaziente 1“, è la prima ad essere stata vaccinata nel presidio ospedaliero del Lodigiano simbolo della pandemia. Annalisa Malara, l’anestesista dello stesso ospedale che per prima scoprì la presenza del Covid in Italia che ha commentato gli avvenimenti di oggi dicendo che “con la giornata di oggi si chiude finalmente un cerchio”. La dottoressa non ha potuto vaccinarsi subito perché da poco sottopostasi al vaccino antinfluenzale, ma ha dichiarato di farlo appena possibile perché il vaccino “un’arma fondamentale”.

 

Il trasporto delle dosi per le regioni “più lontane”

Cinque aerei militari, dall’hub nazionale di Pratica di Mare, hanno trasportato le dosi nelle regioni più periferiche per permettere di far partire le vaccinazioni simultaneamente in tutta Italia, mentre per le altre è bastato il trasferimento via terra. Il primo aereo è atterrato in Sardegna pochi minuti prima delle 22 di ieri, 26 dicembre, poi gli altri a Bari e Palermo.

Qualche minuto prima delle 23.30 è atterrato nel capoluogo siciliano, il C27J dell’Aeronautica militare con a bordo le 685 dosi destinate alla Sicilia, delle quasi diecimila per tutto il Paese. Il carico è stato preso in consegna dal Reggimento logistico “Brigata Aosta” e, con due furgoni scortati dai carabinieri, trasferito alla Caserma “Scianna”. Poi la consegna all’ospedale Civico di Palermo. Alla prima somministrazione – effettuata alle 11.30 nel padiglione 24 presenti il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, e l’assessore alla Salute, Ruggero Razza. Vaccinati 9 rappresentanti dell’Ordine dei medici, uno per ogni provincia, cinque medici di medicina generale, 5 pediatri di libera scelta, 5 medici di continuità assistenziale e 10 operatori del 118, tra medici, infermieri e autisti soccorritori.

“Questo giorno lo dedico a tutte le famiglie e ai defunti che abbiamo avuto in questi mesi. Il pensiero in questo momento va a loro. Dopo quello che ho visto non si può pensare di non vaccinarsi.” ha detto Rosalba Setticasi, coordinatore infermieristico della Rianimazione Covid che ha vissuto in prima linea l’emergenza in Sicilia.

Dal 28 al il 30 dicembre delle delegazioni delle Aziende sanitarie delle altre province siciliane giungeranno nel capoluogo, per essere anch’esse vaccinate.

V-Day a Palermo (fonte: blogsicilia.it)

L’obiettivo per la Sicilia

La Sicilia è la seconda regione d’Italia, dopo la Toscana, ad avere attivato un form di registrazione per la “Fase 1” della vaccinazione, che avrà luogo dal 4 gennaio fino a marzo 2021, lanciata sul portale “siciliacoronavirus.it”.

L’assessore Razza ha illustrato in conferenza stampa alcuni dettagli, indicando come obiettivo il numero di 141.084 persone per questa fase secondo quanto stabilito nel Piano nazionale. Il target previsto è così suddiviso: 79.385 professionisti della sanità e personale che opera in ambito ospedaliero; 21.551 ospiti e 10.463 operatori delle 1.465 RSA censite sul territorio regionale; 8.600 operatori della sanità privata; 3.092 operatori del 118; 4.721 tra medici di base e pediatri; 1.455 collaboratori degli studi dei medici di base e dei pediatri; 2.956 operatori di Medicina emergenza territoriale; 4.527 unità di personale assunto per l’emergenza Covid; 800 studenti dei corsi di medicina generale e 3.534 specializzandi.

A Messina arrivate le prime dosi destinate alle strutture Bonino Pulejo e Papardo.

Anche se oggi è stata una giornata importante, tutte le autorità invitano a non abbassare la guardia, perché ancora ci vorranno mesi prima di poterci considerare fuori pericolo. Però, oggi per gli italiani è, comunque, un giorno in cui la speranza si è riaccesa dopo mesi di buio.

 

Rita Bonaccurso

Enrico “Chico” Forti torna in Italia dopo vent’anni

Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio annuncia il ritorno, quasi inaspettato, di Chico Forti in Italia. Il governatore della Florida ha accolto l’istanza. L’ex imprenditore, campione di windsurf, detenuto da 20 anni in America, stava scontando l’ergastolo per il delitto di un giovane americano a Miami.

Il ministro degli esteri Luigi Di Maio e l'imprenditore Chico Forti
( Fonte: il fatto quotidiano )

Un uomo, molte vite

Prima della vicenda giudiziaria che l’ha bloccato in una cella, Chico Forti ha avuto molte vite: quella di pioniere del surf, praticato ai massimi livelli tanto da partecipare ad una coppa del mondo nel 1985; quella di campione di quiz televisivi, con una vincita milionaria a Telemike, grazie alla quale si è trasferito in America dove si è sposato e ha avuto tre figli;quella di produttore di documentari dedicati allo sport. Adesso, a 61 anni, potrà forse iniziarne un’altra in Italia.

L’arresto: l’inizio di tutto

Forti fu arrestato nel 1998 con l’accusa di omicidio premeditato. Gli investigatori erano convinti che lui avesse assassinato l’australiano Dale Pike, trovato il 16 febbraio dello stesso anno, su una spiaggia di Miami senza vestiti, ucciso dai colpi di una pistola calibro 22.

Dale era il figlio di Antony Pike, proprietario di un noto hotel di Ibiza, per il quale da diverso tempo, Forti stava trattando per la cessione.

Il 5 febbraio, Dale arrivò all’aeroporto di Fort Lauderdale, in Florida, dove proprio Forti lo stava aspettando.

L’accusa poi passò al vaglio le ultime ore Chico passò proprio insieme al padre del ragazzo, Anthony.

La vicenda iniziò a destare sospetti. L’arresto di Forti fu eseguito sulla base di indizi considerati labili dalla difesa. Il Pubblico ministero sigillò la requisitoria al processo con queste parole:

“Non è necessario stabilire che sia stato lui a sparare per concludere che è colpevole.”.

Da allora, Chico ha condotto una lunga battaglia giudiziaria per ottenere la riapertura del processo, mai concessa.

Un anno fa, la lettera invata a Di Maio:

Onorevole Di Maio, anzi Luigi, visto che già ti considero un amico, tu hai già diritto di richiedere la commutazione di sentenza perché l’Italia è a credito. Abbiamo rilasciato vari cittadini americani reclusi in Italia con sentenze equiparate alla mia. (…) Perché io non posso ricevere lo stesso trattamento? Ho passato vent’anni in catene per un delitto che non ho commesso. Voglio tornare in Italia e vivere il resto della mia vita da libero cittadino.

Tuttavia, negli anni i governi italiani hanno intensificato gli sforzi per chiedere che venisse graziato dai vari Presidenti americani. La svolta è arrivata solo negli ultimi mesi.

L’avvocato di Forti, Joe Tacopina, aveva presentato istanza al governatore della Florida per sollecitare l’applicazione della Convenzione di Strasburgo del 1983, la quale permette di scontare una pena nel proprio Paese.

Vent’anni senza smettere di proclamarsi innocente

Sono stati ben venti gli anni che Chico Forti ha trascorso nel carcere di massima sicurezza di Everglades in  Florida, Miami.

Forti da giovane
( Fonte: il fatto quotidiano )

Dichiaratosi vittima di un errore giudiziario, dopo la pena all’ergastolo nel 2000, ha iniziato una lunga battaglia legale per cercare di tornare nel suo Paese. Con il passare del tempo la sua battaglia è diventata anche una battaglia politica.

In suo favore si sono susseguiti appelli e messaggi di solidarietà di personaggi dello spettacolo, molte sono state le inchieste televisive volte a dimostrare la sua innocenza.

Il Governo italiano ha sempre portato la vicenda all’attenzione degli Stati Uniti, coinvolgendo anche il Segretario di Stato americano. Accanto a quello politico, il lavoro diplomatico è stato portato avanti negli ultimi anni dall’ambasciatore italiano Armando Varricchio a Washington.

Ora, grazie alla concessione tanto attesa per l’applicazione della convenzione di Strasburgo, ratificata dagli Stati Uniti, Forti potrà tornare in Italia, dove, la magistratura dovrebbe riaprire il dossier e decidere del futuro di questa vicenda. In ogni caso, nessuno pensa che l’ex velista potrebbe tornare dietro le sbarre.

Una notizia, questa, che il titolare della Farnesina ha immediatamente comunicato alla famiglia Forti, al presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio.

Si chiude, così, uno dei casi giudiziari e poi politico-diplomatici, più controversi nelle relazioni tra Italia e Stati Uniti.

Maria Cotugno

Rosario Livatino verso la beatificazione, la Chiesa: “È martirio”

(fonte: grandangoloagrigento.it, it.wikipedia.org)

Si apre la strada alla beatificazione del magistrato Rosario Livatino, ucciso dalla mafia nel 1990 ad Agrigento a soli 38 anni.

A confermarlo il decreto riguardante “il martirio del Servo di Dio Rosario Angelo Livatino”, approvato da Papa Francesco ed emanato in data 21 dicembre 2020. Tale decreto accerta che l’assassinio sia avvenuto in odium fidei, cioè per via di un disprezzo della forte fede del magistrato, e che per questo debba ritenersi un martirio.

Ciò, nel moderno processo di beatificazione, apre una seconda via rispetto al procedimento che prevede la dimostrazione di miracoli avvenuti in vita.

La vita e l’attività contro la mafia

Rosario Livatino nacque nel 1952 a Canicattì, provincia di Agrigento, e studiò Giurisprudenza laureandosi col massimo dei voti. Durante la giovinezza visse attivamente in parrocchia e neanche da adulto perse la propria dedizione, fermandosi ogni giorno a visitare il Santissimo Sacramento mentre si recava a lavoro.

La sua perspicacia, l’ingegno e la capacità di comprendere le sottili logiche della Stidda (organizzazione criminale in azione nel territorio agrigentino, in contrasto con Cosa Nostra) gli permisero di arrivare ben presto a ricoprire il ruolo di Giudice della sezione penale del Tribunale di Agrigento.

Durante questo incarico si occupò, con varie sentenze, di colpire la Stidda tramite restrizioni di libertà e confische dei beni. Per tali motivi divenne un elemento scomodo, ma risultò determinante alla sua eliminazione il fatto che fosse «inavvicinabile, irriducibile a tentativi di corruzione proprio a motivo del suo essere cattolico praticante». Difatti, la forte incorruttibilità dovuta alla fede cattolica rappresenta il movente dell’omicidio.

Ciò che si legge nel decreto da poco emanato trova conferma anche nelle testimonianze degli assassini, in particolare quella di Gaetano Puzzangaro, uno dei killer mafiosi. È stato confermato l’odium fidei anche in base alle ricostruzioni dell’originale piano, che prevedeva che Livatino venisse ucciso davanti alla chiesa in cui era praticante.

(fonte:sikelianews.it)

Il martirio e le parole del Papa

Livatino venne invece ucciso il 21 settembre 1990 sulla strada statale 640 mentre si recava a lavoro, ad Agrigento, del tutto consapevole di quale sarebbe stato il suo destino. Il decreto sopracitato afferma che il magistrato sia giunto all’accettazione del possibile martirio tramite un percorso di maturazione nella fede. Ciò lo indusse a rifiutare la scorta e, come sostiene il decreto, forse anche le nozze.

L’acquisizione del titolo di Martire, così come di quello di Servo di Dio, sono il frutto di un lavoro lungo quasi trent’anni; un processo diocesano iniziato pochi anni dopo la morte del magistrato, nel 1993, con la raccolta di testimonianze e documenti che ne garantissero le fondamenta, e terminato nel 2018.

Già il Papa Giovanni Paolo II, durante il suo celebre discorso di condanna alla mafia del 1993, lo definì «martire della giustizia e indirettamente della fede». Papa Francesco (che già nel 2014 aveva scomunicato i mafiosi) affermerà nel 2019 che

Livatino è un esempio non soltanto per i magistrati, ma per tutti coloro che operano nel campo del diritto: per la coerenza tra la sua fede e il suo impegno di lavoro, e per l’attualità delle sue riflessioni.

(fonte:pinterest.it, ansa.it, it.wikipedia.org)

Oggi possiamo dire con certezza che Livatino fu senz’altro diretto martire della giustizia e della fede, due elementi che provò per tutta la vita a coniugare e praticare assieme. Così recita una sua riflessione, quotata anche da Papa Francesco:

Decidere è scegliere; e scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto, per il tramite dell’amore verso la persona giudicata. E tale compito sarà tanto più lieve quanto più il magistrato avvertirà con umiltà le proprie debolezze, quanto più si ripresenterà ogni volta alla società disposto e proteso a comprendere l’uomo che ha di fronte e a giudicarlo senza atteggiamento da superuomo, ma anzi con costruttiva contrizione.

 

Valeria Bonaccorso