“I giovani e le istituzioni”: l’incontro con il sottosegretario all’istruzione Floridia. Da Messina il suo impegno in politica: “Avete un sottosegretario a vostra disposizione”

Si è svolto oggi, giovedì 15 aprile, l’incontro con il sottosegretario all’istruzione Barbara Floridia, in occasione del webinar ‘’I giovani e le istituzioni’’ promosso da Società Editrice Sud nell’ambito del progetto “Gazzetta del Sud in classe con Noi Magazine”. L’evento si è svolto su Google Meet – e andato tra l’altro in diretta web dalle ore 11 alle 12 sul canale YouTube di Gazzetta del Sud – che ha permesso, nonostante la distanza fisica, a numerosi studenti e studentesse di Sicilia e Calabria di intervenire su prospettive e curiosità circa il futuro dei giovani.
Obiettivo principale dell’incontro, coordinato da Natalia La Rosa (responsabile dell’inserto Noi Magazine), quello di rendere protagoniste università e scuole, che in questo particolare momento di pandemia stanno facendo tutto il possibile per affrontare le difficoltà del caso, cercando di sopperire alle mancanze dovute al distanziamento. È stata un’opportunità per interrogarsi circa la struttura della scuola in cambiamento, per entrare nel vivo della politica in ambito formativo e sapere cosa si fa e cosa si potrà fare per migliorare nei prossimi anni, a partire da adesso.
A tal proposito, dopo i saluti in apertura del presidente di SES Lino Morgante e della dirigente scolastica del Liceo Maurolico Giovanna De Francesco, il confronto diretto degli studenti con il sottosegretario Barbara Floridia ha rappresentato una vera e propria testimonianza di politica attiva, di una voce straordinaria del nostro territorio meridionale.


Nata a Messina il 5 febbraio 1977, Floridia ricopre dal 1° marzo 2021 la carica di sottosegretario di Stato al Ministero dell’istruzione nel governo Draghi ed è vicepresidente del gruppo M5S dal 31 ottobre 2019. Durante l’incontro è stato sottolineato il rapporto affettivo che il sottosegretario possiede con il Liceo Classico F. Maurolico di Messina, presso il quale si è diplomata e collaboratore dell’evento di oggi.

Barbara Floridia, sottosegretario all’istruzione. Fonte: Orizzonte Scuola.

Universome ha colto l’occasione per rivolgere all’ospite qualche domanda sul mondo dei giovani italiani in relazione con le scelte di natura politica, che pone sfide e problemi di lunga data e – in particolare – la condizione dei giovani al sud all’interno di un quadro sociale ed economico spesso drammatico.

La riflessione di UniVersoMe nasce dalla generale sfiducia tra i giovani italiani nei confronti del proprio Paese che troppo spesso si concretizza nella cosiddetta “fuga di cervelli”.

A questo si aggiungono dati preoccupanti per il Sud Italia sull’abbandono scolastico, che – secondo uno studio pubblicato da Il sole 24 ore – si attesta al 20% rispetto ad una media nazionale del 13,5%. La disoccupazione invece raggiunge una percentuale del 35,3% rispetto ad una media italiana del 21,7%.

Su tale tema, il sottosegretario ha esaltato i concetti di responsabilità sociale e politica:

“La responsabilità è tanta ed è di chi ci ha amministrato e di chi vi sta amministrando, quindi mi assumo anche io la responsabilità. Non mi deresponsabilizzo ma dobbiamo anche fare i conti con un passato difficile che evidentemente ci ha portato a questa situazione. Del resto, non avrei fatto politica se il mondo fosse stato perfetto e avessi vissuto in un contesto felice e prezioso”.

In virtù delle origini meridionali ammette di essere consapevole, a maggior ragione, del carico che l’impegno richiede nei confronti di giovani studenti che, come lei, sono andati via dalla propria terra o quelli che vivono quotidianamente la preoccupazione per un futuro incerto nella città che ha dato loro i natali.

A tal proposito annuncia un piano nazionale dal nome:

Resilienza e Resistenza” (PNRR), che prevede “risorse cospicue dell’Unione Europea in grado di agevolare il percorso dei giovani che vogliono trovare soddisfazione formativa e lavorativa. Stiamo mettendo i soldi poi anche per implementare il tempo pieno al Sud, che aiuta tanto nel rimediare all’abbandono scolastico quanto ad aiutare le giovani donne a poter lavorare, cosa che c’è nei paesi del Nord e che noi non abbiamo” continua poi “abbiamo previsto poi tante agevolazioni fiscali affinché le aziende possano avere interesse ad assumere persone che siano giovani e del sud, quindi con caratteristiche specifiche, senza tuttavia focalizzare un finanziamento verso una categoria o un’azione.”

Fondamentale, aggiunge, è l’avvicinamento dei giovani a nuovi lavori che la tecnologia impone ai giorni nostri:

“I soldi per la formazione sono destinati a coloro che dovranno formarvi in virtù di nuovi lavori di cui si conosce ancora poco. Vi sono mestieri che esistono ma che non hanno utenza perché o non è pronta o non è formata, e questo perché tendiamo a fare i lavori dei nostri genitori, ma ve ne sono innumerevoli all’insegna dell’innovazione”.

In seguito, il sottosegretario ha sottolineato l’ importanza di due infrastrutture base: quelle di strade e autostrade e le infrastrutture digitali. Sono proprio quest’ultime, infatti, a garantire un internet libero e gratuito per sviluppare e agevolare la formazione di nuovi mestieri, figli di una modernità che i giovani – in quanto neo-digitali – captano forse ancor prima degli adulti.

Per questo ha raccomandato:

Guardate oltre, che spesso voi vedete prima di noi

Il confronto con gli studenti di superiori e medie


Ad arricchire il dibattito anche gli interventi degli studenti di scuole medie e superiori della provincia di Messina e di varie città della Calabria che, fin dalla prima domanda, hanno mostrato vivo interesse per tematiche estremamente attuali.
Per iniziare tuttavia, non si sono fatte attendere curiosità che riguardavano anche il percorso personale e formativo che ha portato la sottosegretaria Floridia a raggiungere un’importante carica politica, partendo da un piccolo comune di Messina, Venetico.

Tenacia, studio e libertà sono le parole chiave della risposta, che continua così:

“Non mollare di fronte alla difficoltà, non accontentarsi mai senza essere saccente e infine la libertà di non dover dire grazie a nessuno, questi sono le componenti essenziali per arrivare sereni ovunque”.

La parola passa poi al Rappresentante della Consulta studentesca calabrese che pone un interrogativo sul futuro della scuola, quasi interamente vissuta durante la pandemia in DAD. Sul timore che quest’ultima possa essere uno strumento sostitutivo alle lezioni frontali, il sottosegretario assicura sui fondi stanziati affinché il tempo perduto per le ore scolastiche siano recuperate, ma spiega come da questa esperienza “debba essere ricavata una preziosa formazione”.
Sono parole di incoraggiamento che, insieme all’impegno sulla presenza di supporti psicologici adeguati all’interno delle scuole, sembrano risuonare parole ricche di significato per i giovani particolarmente colpiti dalla pandemia.

Un estratto dal webinar disponibile sul canale Youtube di Gazzetta del Sud al link: https://www.youtube.com/watch?v=pp_bsI6F8kI

Gli stessi che, pur da diverse zone e istituti, hanno espresso unitamente il desiderio di maggiore attenzione all’istituzione scolastica: dal problema dell’aziendalismo applicato come unico modello, le classi “pollaio” composte da un numero considerevole di alunni, fino all’avvicendamento annuale di insegnanti e la scarsa innovazione tecnologica.

Tutti problemi a cui Floridia risponde concretamente, con risorse stanziate appositamente e promesse di cambiamenti in sinergia con governo e cittadini.

“Vorrei diventare un riferimento istituzionale per studenti e studentesse. Avete un sottosegretario a vostra disposizione. Spesso si parla di giovani ma si parla sempre poco con i giovani” concludendo “Tutto è interconnesso. Servono i gesti quotidiani e continui per risolvere i grandi problemi. Noi ci facciamo carico come istituzioni, ma è fondamentale partire dalla quotidianità”.

Alessia Vaccarella 

Gaia Cautela

Inghilterra ed Israele, le prime riaperture. Italia alla rincorsa del modello inglese

Dopo ben 99 giorni di lockdown invernale, la Gran Bretagna ha potuto finalmente festeggiare lo scorso lunedì 12 aprile l’avvio della fase due della ‘’road map’’, stabilita dalle autorità britanniche per una graduale riapertura della nazione.

L’Inghilterra riapre pub, negozi e palestre. Fonte: AGI

Si tratta del primo Paese europeo a stare dimostrando già da ora i risultati di un’efficiente campagna vaccinale, così come lo Stato di Israele sta facendo in territorio extra-europeo. L’Italia ha invece annunciato, per voce del sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, di puntare al mese di giugno per una riapertura all’inglese. A trovarsi in grandi difficoltà è piuttosto il Cile che, nonostante l’ampia campagna vaccinale, pare essere ancora in piena crisi di trasmissione.

Gli inglesi tornano alla normalità

Lunghissime file davanti a pub e negozi, tra assembramenti vari e pinte di birra in mano: questo lo scenario in diverse città del Regno Unito già nelle prime ore di un lieto lunedì inglese, che è stato pronto ad accogliere il piano di allentamento delle restrizioni per la pandemia, deciso in precedenza dal governo. Esso prevede la riapertura di negozi non essenziali, edifici pubblici, palestre, piscine – e ancora – bar, pub e ristoranti (con possibilità di fare servizio solo all’aperto ma senza limiti di orario).

Ma il primo ministro inglese Boris Johnson ha tenuto comunque a precisare, in un intervento su Bbc, che il graduale percorso di uscita dalle restrizioni anti Covid – protrattesi per oltre 3 mesi – comporterà in modo inevitabile una ripresa di casi di contagio e conseguenti decessi. Durante l’intervento, Boris ha inoltre evidenziato il merito del rigido lockdown imposto a fine gennaio (che vietava di uscire di casa se non per motivi di salute o necessità) e dell’ottimo andamento della campagna vaccinale nel rendere possibili delle simili riaperture:

«È molto molto importante che tutti capiscano che la riduzione dei ricoveri, delle vittime e dei contagi non è stato ottenuto dal piano vaccinale. Penso che la gente non capisca che è stato il lockdown ad essere incredibilmente importante nell’ottenere questi miglioramenti. Naturalmente i vaccini hanno aiutato ma il grosso del lavoro è stato fatto dal lockdown», ha detto il premier inglese.

Il Regno Unito non deve abbassare la guardia

Il Regno Unito è al momento il paese con la più alta percentuale di abitanti vaccinati dopo Israele, trascurando ovviamente i dati delle piccole nazioni.

Il motivo di tale successo deriva senz’altro dalla negoziazione in autonomia dei vaccini e da un’aggressiva strategia vaccinale, con la quale si è cercato di somministrare la prima dose a più persone possibili, senza badare molto alla conservazione di scorte per i richiami: il 47% delle persone ha ricevuto la prima dose del vaccino, ma il ciclo vaccinale è stato completato soltanto dall’11%. Dalla combinazione tra protezione della prima dose di vaccino e rigide misure restrittive è derivato quindi un sostanziale calo di contagi e terapie intensive.

Secondo uno studio condotto dall’Imperial College di Londra, il Regno Unito dovrebbe essere diventato dal 12 aprile scorso ‘’territorio dell’immunità di gregge’’, dal momento che i tre quarti della sua popolazione possiede gli anticorpi contro il Covid, grazie alle avvenute guarigioni e agli oltre 40 milioni di dosi vaccinali fino ad ora somministrati.

Lunga coda di persone davanti al pub di Coventry. Fonte: BBC

Non bastano tuttavia tali numeri per abbassare la guardia. Per questo, già nei giorni scorsi, sono scattate le prime indagini di polizia e minacce di multe per via dell’eccessivo entusiasmo segnalato in diverse zone del Paese per la ripresa del servizio dei pub, tradizionali luoghi di ritrovo per moltissimi inglesi.

Tra i casi limite, spicca quello del pub ‘’Oak Inn’’ di Coventry, finito sotto investigazione a causa di un assembramento di persone che fin dalla mezzanotte si erano radunate in fila, con pochissimo distanziamento tra loro.

L’Israele riapre grazie alle vaccinazioni

In Israele tutto sta gradualmente tornando alla normalità, dimostrando al resto del mondo che non per forza è necessaria l’immunità di gregge per sconfiggere la pandemia e far ripartire l’economia: vaccinare il 55% dei cittadini è stato sufficiente. Tale percentuale (più alta ove la popolazione fosse più anziana) sarebbe infatti sufficiente per bloccare la trasmissione del virus e proteggere i soggetti a rischio mediante una ‘’protezione indiretta’’, fatta di vaccinazioni e restrizioni.

Ad intervenire sul tema il noto divulgatore scientifico italiano Roberto Burioni, che ha mostrato attraverso una serie di tweet la curva dei contagi in Israele, per dimostrare l’importanza dell’immunizzazione con i sieri anti-covid.

Covid Israele. Fonte: Quotidiano.net

Dalla task force anti Covid di Gerusalemme sono poi arrivati degli incoraggiamenti rivolti all’Italia:
“Ce la farete, come ce l’abbiamo fatta noi”, ha dichiarato Arnon Shahar, capo della task force israeliana.
Il medico, intervistato da Sky Tg24, ha poi continuato dicendo:

«non abbiamo ancora una vita normale, ma ci stiamo arrivando. La nostra è stata una Pasqua diversa. Siamo stati a casa e in famiglia», ma ora «possiamo sperare di poter togliere la mascherina all’aperto entro la fine di aprile».

E ancora:

«Le scuole sono aperte, anche se non totalmente. Le elementari sono tutte aperte, le medie ‘’in capsule’’, e stiamo valutando se fare tornare anche loro alla normalità». Infine, Shahar ha rivelato di essere stato anche a un concerto «con quasi mille persone, tutte con il patentino verde che dimostra che sono state vaccinate o guarite da Covid, e tutte con la mascherina».

L’Italia spera nel mese di maggio

Per quanto riguarda l’Italia, la decisione sulle riaperture verrà molto probabilmente presa la prossima settimana dal Consiglio dei ministri. Non è possibile fissare con certezza una data, anche se si prospetta già un mese di maggio fatto di progressive aperture.

‘’Riaprire in sicurezza ristoranti a pranzo e a cena sfruttando gli spazi all’aperto’’, questa l’ipotesi contenuta nella bozza delle linee guida sulle riaperture che le Regioni sottoporranno al Governo alla Conferenza Stato-Regioni, confermando inoltre le misure di protezione già in atto.
Il sottosegretario alla Salute Sileri ha detto la sua intervenendo nel programma ‘’Agorà‘’ su Rai 3, confermando di essere a favore delle riaperture ma con giudizio:

«Abbiamo dei dati in miglioramento – osserva Sileri – L’Rt è sceso e verosimilmente continuerà a scendere», quindi «io immagino che consolidando i dati, scendendo largamente sotto un’incidenza di 180 casi ogni 100mila abitanti, a quel punto dal 1 di maggio si può tornare a una colorazione più tenue delle Regioni: le Regioni gialle ovviamente riaprono e qualcuna potrebbe essere bianca», anche se ora «questo non posso saperlo». Anche «riaprire la sera i ristoranti potrebbe essere fattibile. Non dal 1° maggio», precisa il sottosegretario, «ma progressivamente di settimana in settimana nel mese di maggio, fino ad arrivare ai primi di giugno con una riapertura modello inglese».

Sileri parla di possibili aperture. Fonte: LaNotiziaGiornale.it

Il perché della crisi cilena spiegato da Crisanti

Il caso del Cile è alquanto singolare, ritrovandosi quest’ultimo con un continuo aumento di contagi nonostante l’ampia campagna vaccinale: solo pochi giorni fa il paese sudamericano ha registrato un nuovo record di casi giornalieri, con 9.171 positivi rilevati in quelle ultime 24 ore.
A parere del virologo italiano Crisanti la crisi cilena:

«si spiega con le varianti. Sicuramente in questo Paese è stato usato in maniera massiccia un vaccino cinese che non è proprio uno dei migliori al mondo, Sinovac, ed evidentemente non si è rivelato abbastanza efficace. Ma non è solo questo. Loro sono pieni di varianti e la trasmissione è continuata in maniera sostenuta, alimentata dal liberi tutti, dall’allentamento delle restrizioni».

Gaia Cautela

La polemica conferenza stampa di Draghi e le ultime novità sui vaccini

Ogni giorno sentiamo discutere molto sull’avanzamento della campagna vaccinale, costellata da rallentamenti, differenze tra regioni e malumori tra i politici.

Draghi contro i “furbetti” e intanto scoppiano le proteste contro l’obbligo vaccinale

La prima notizia tra le più recenti risale a giovedì 8 aprile. Durante la conferenza stampa svoltasi quel giorno, il premier Mario Draghi ha attaccato la categoria degli psicologi, anzi, più nello specifico i più giovani tra questi, incolpandoli di scarso buon senso per essersi vaccinati prima di anziani e altre persone fragili:

“Con che coscienza la gente salta la lista sapendo che lascia esposto a rischio concreto di morte persone over 75 o persone fragili?” – ha dichiarato – “Smettetela di vaccinare chi ha meno di 60 anni, i giovani, i ragazzi, gli psicologi di 35 anni, queste platee di operatori sanitari che si allargano”.

Il premier Draghi durante la conferenza (fonte: quifinanza.it)

La questione ha innescato un’immediata reazione dalla categoria degli psicologi.

“Nessuno di noi ha chiesto di avere priorità, è stato il Governo a decidere le priorità vaccinali, ed in queste sono state incluse tutte le professioni sanitarie. Addirittura, l’ultimo Decreto trasforma la facoltà in obbligo, esteso a tutti gli iscritti agli Ordini sanitari. Perché queste priorità e questi obblighi non sono determinati dal fine di proteggere i sanitari, ma le persone, bambini e adulti, da loro seguiti”.

Queste le parole di David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi.

Il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi (fonte: ilmessaggero.it)

Proprio il governo ha delineato nuove misure negli scorsi giorni, tra le quali quella dell’obbligo vaccinale, da subito tanto discusso. Tale obbligo è previsto per tutti coloro che svolgono il proprio lavoro presso enti sanitari, sociosanitari e socio-assistenziali, pubblici e privati, farmacie, parafarmacie e studi professionali. Gli unici casi in cui è prevista una deroga, senza rischiare di essere assegnati ad altre mansioni o essere sospesi, sono quelli viene identificato un rischio per la salute, a causa di specifiche condizioni cliniche, da documentare e certificare tramite il medico di base per poter rimandare o non effettuare la vaccinazione. Per questo motivo, inoltre, in alcune città, ma soprattutto a Roma, ieri, si sono svolte delle manifestazioni di infermieri contrari a tale disposizione. “Non sono una cavia” è uno degli slogan che compare maggiormente compare striscioni e magliette. Molti si sono detti “si vax”, ma non disposti a sottomettersi alle condizioni previste dal dpcm, soprattutto per le “veloci” tempistiche con le quali i vaccini disponibili sono stati prodotti.

Alcuni manifestanti a Roma contro l’obbligo vaccinale (fonte: ANSA)

Tornando alla questione tra il premier e la categoria degli psicologi, ricordiamo che quest’ultimi stanno svolgendo un lavoro molto importante, ma che, come spesso accade, viene interpretato come secondario. Questo non sarà stato ciò che il premier avrebbe voluto intendere, ma apparentemente vi sono delle incompatibilità tra ciò che è previsto dall’ultimo dpcm emanato proprio dal governo Draghi e quanto da lui rimproverato durante la conferenza stampa.

In ogni caso, sottolineiamo anche che gli psicologi, le migliaia di psicologi, stanno operando durante la pandemia, lavorando sul disagio causato da un anno di chiusura delle scuole, supportano persone fragili, bambini disabili e le loro famiglie; poi, ci sono coloro che lavorano con gli anziani, nelle Rsa, con i malati oncologici, le persone con malattie croniche e quelle in fin di vita, ma anche con coloro che non ricevono risposta dal pubblico e si affidano al privato. Dunque, si tratta di persone spesso a contatto con il pubblico. Senz’altro, durante queste lente fasi della vaccinazione dovrebbero esser prima coinvolti i soggetti con le patologie più importanti, a scarsità di dosi, cioè coloro i quali aspettano da fin troppo tempo ormai. Qualcosa è andato storto, ma rimproverare dei professionisti definendoli “furbetti” quando lo sono stati per rispettare delle norme appare senz’altro inutile.

In arrivo le dosi di Johnson&Johnson

Dopo Pfizer, AstraZeneca e Moderna, arriva in Italia anche il vaccino monodose Johnson & Johnson. 184mila, le prime dosi che arriveranno nell’hub dell’aeroporto militare di Pratica di Mare, nei pressi di Roma, fra martedì e mercoledì. Entro la fine di aprile sono attese altre 300mila fiale, mentre le dosi previste per il secondo trimestre sono complessivamente di 7,3 milioni.

(fonte: ANSA)

Quello che sembra una buona notizia, potrebbe esserlo solo in parte. Dagli Usa arrivano le prime incognite, poiché, dopo quattro casi di trombosi, decretate non legate al vaccino, le autorità stanno comunque tenendo maggiormente sotto controllo il vaccino. Così, anche l’Ema sta già monitorando il farmaco per prevenire eventuali problematiche.

Una buona notizia, dicevamo, soprattutto dopo le tante di ogni giorno sui ritardi e le tensioni tra il governo centrale e le Regioni che non riescono a rispettare i programmi per arrivare all’immunizzazione di tutti gli italiani entro la fine dell’estate. Il commissario Figliuolo, intanto, continua a rassicurare sull’arrivo di somministrazione di 500mila dosi al giorno, entro la fine di aprile. Ha invitato le Regioni a rinunciare al tentativo di scatti in avanti, poiché i picchi contano poco e l’importante è la media delle somministrazioni. Inoltre, alle Regioni è stato chiesto di gestire le dosi ricevute, accantonando le scorte non solo per i richiami, ma anche per fronteggiare eventuali ritardi nelle consegne, che parrebbero sempre più probabili, secondo alcuni: “Il grosso problema lo avremo da maggio, perché a oggi non abbiamo la programmazione di vaccini” ha dichiarato l’assessore al Welfare e vice presidente della Lombardia, Letizia Moratti.

Intanto, sempre più attenzione dalle singole amministrazioni regionali viene rivolta al vaccino Sputnik e molti spingono già per firmare pre-accordi con la Russia, per trovarsi già in caso arrivasse il via libera dall’Ema.

AstraZeneca e lo stop alla vaccinazione di insegnanti

Dubbi e ritardi hanno creato grosse problematiche al vaccino di AstraZeneca, di cui il nuovo nome è Vaxzevria. In alcun Paesi europei è stato sospeso, mentre in Italia adesso è previsto per gli over 60, come raccomandato dall’Ema, dopo i nuovi casi di sospette trombosi collegate alle inoculazioni.

Intanto, la nuova ordinanza del commissario Figliuolo prevede uno stop alla vaccinazione delle categorie, a cominciare da insegnanti e personale sanitario non in prima linea, per accelerare sugli anziani.

Mentre l’Inghilterra si prepara a massicce riaperture e gli Stati Uniti procedono con circa 3 milioni di vaccinazioni al giorno, l’Italia si sta affannando. Ciò è dovuto, probabilmente, soprattutto per motivi di organizzazione, come ogni giorno viene ribadito da molti, ma, secondo il virologo consigliere del presidente americano Biden, Anthony Fauci, anche in Europa sarebbe probabile che, la causa dell’aumento dei contagi sia la capacità della variante inglese di cancellare gli effetti dei lockdown è l’aumento di trasmissibilità del virus.

Non ci resta che sperare, innanzitutto, che non vi siano altri episodi di tensione tra il governo e le Regioni, perché solo così potremo sostenere un miglioramento della campagna vaccinale, senza indugi e dubbi non realmente proficui.

 

Rita Bonaccurso

 

Muore il principe Filippo, una figura controversa, ma fondamentale per la storia del Regno Unito

(fonte: ilpost.it)

Ci lascia una delle figure più in vista del nostro tempo, il principe Filippo, duca di Edimburgo. Classe 1921, a giugno avrebbe compiuto 100 anni. Una vita al fianco della regina Elisabetta II, accanto alla quale si è spento nel castello di Windsor, dal quale è stata data la notizia alla nazione.

Otto giorni di lutto per il Regno Unito. Il principe è venuto a mancare dopo un lungo ricovero al King Edward VII Hospital, ospedale di Londra, iniziato il 17 febbraio per la cura di un’infezione. Il primo marzo poi era stato trasferito al St. Bartholomew’s Hospital, sempre della capitale inglese, dove i medici hanno continuato a curare l’infezione, ma hanno anche effettuato dei controlli per una patologia cardiaca preesistente. Dopo un intervento al cuore, il duca era stato dimesso a metà marzo.

Un’infanzia itinerante

Nato a Corfù nel 1921, lasciò l’isola con tutta la sua famiglia, quando aveva ancora solo 18 mesi, perché nipote del re greco Costantino I, costretto ad abdicare dopo una rivolta delle forze militari. Prima Parigi, poi nel 1928 l’arrivo in Inghilterra. Ha svolto i suoi studi spostandosi dal Regno Unito alla Francia, alla Germania. Fu un ufficiale della Marina Militare inglese, ha ricevuto dei riconoscimenti per il suo servizio durante la seconda guerra mondiale.

Una foto da bambino del principe

Circa il 1935 (fonte: Hulton Archive/Getty Images)

Alla conclusione della guerra, riprese l’amicizia precedentemente avviata con Elisabetta, che presto si trasformò in una storia d’amore pubblica.

Non solo un consorte fedele

Ben settantaquattro gli anni di matrimonio con Elisabetta. Per sposarsi, il duca rinunciò al suo titolo greco, divenne suddito britannico naturalizzato e prese il cognome Mountbatten, derivato dalla parte materna della famiglia di origine tedesca. Sulla sua fedeltà molti hanno discusso, ma lui alla fine ha sempre dimostrato di saper stare accanto alla regina, mantenendosi un passo indietro e dando sempre il suo supporto come marito e come principe.

Una foto del matrimonio (fonte: CNN)

La cerimonia del matrimonio si tenne presso l’Abbazia di Westminster nel 1947. Quattro i figli avuti con Elisabetta: Charles, Anne, Andrew ed Edward. Filippo accompagnato la regina e l’Inghilterra attraverso sette decenni di storia, attraverso gli intensi eventi che hanno costellato il Novecento, fino ad arrivare al tempo della pandemia da coronavirus. Di lui, sicuramente, si è messo spesso in risalto più il suo ruolo di “marito della regina” e meno si conosce di lui come uomo. Chi lo ha conosciuto sapeva dei suoi commenti imprevedibili e del suo spirito pungente. Una figura “particolare”, a tratti controversa, ma pur sempre fondamentale per la monarchia inglese.

Il principe Filippo con due dei suoi figli (fonte: CNN)

Intensa la sua attività da filantropo, è stato associato a circa 800 organizzazioni. Ha fondato il “Duke of Edinburgh Awards Scheme”, un programma di sviluppo giovanile che opera in più di 130 paesi e territori in tutto il mondo. Ha incontrato diversi personalità importanti e continuato a svolgere al meglio il suo ruolo di principe fino al 2017, quando si ritirò a vita privata nella tenuta rurale di Sandringham, comparendo solo in occasione di eventi familiari privati.

Più di mezzo secolo al fianco di una delle figure più importanti della storia, rivelandosi un perfetto compagno di viaggio per quest’ultima, la quale non ha mai nascosto tutta la sua riconoscenza per il supporto ricevuto.

Gli ultimi anni

La sua salute è stata spesso al centro della curiosità della stampa inglese, negli ultimi anni. Numerose le fake news messe in circolo, diversi coloro che ritenevano che il principe fosse già venuto a mancare tempo fa.

Un episodio che è rimbalzato tra le cronache di tutto il mondo e che ha suscitato anche sorpresa, è stato l’incidente, fortunatamente conclusosi senza particolari complicazioni, del 2019: Filippo, novantasettenne, guidava una Land Rover quando è stato coinvolto in un tamponamento, dal quale uscì indenne, mentre la donna nell’altra auto si ruppe un polso. Quella fu per lui il momento di accantonare una sua grande passione, quella della guida.

Subito dopo la diffusione della sua scomparsa, il primo ministro Boris Johnson ha dichiarato da Downing Street:

“Ricorderemo il duca di Edimburgo per il suo contributo alla nazione e per il suo solido supporto alla regina. Come nazione e come regno ringraziamo la straordinaria figura e lavoro del principe Filippo, un amorevole marito, un padre e un nonno affettuoso.”.

Della regina ancora non abbiamo alcuna apparizione in pubblico. Non possiamo che immaginare quanto grande sia il dolore nel dover salutare l’uomo che l’ha accompagnata durante la maggior parte della sua vita e senza il quale, forse, non sarebbe stato lo stesso.

 

Rita Bonaccurso

 

 

 

“Lavoratori costretti a urinare nelle bottiglie”, Amazon nega ma poi ritratta

Uno scandalo inizialmente smentito, ma poi ammesso. Il colosso dell’e-commerce è stato costretto ad arretrare di fronte a un tweet che lo accusa di offrire ai suoi impiegati politiche poco dignitose sul posto di lavoro. Innumerevoli le testimonianze da parte di utenti ed ex lavoratori di Amazon che confermano quanto sostenuto anche dal democratico Mark Pocan.

La denuncia

La disputa sul social ha avuto inizio proprio da un tweet di quest’ultimo: “Pagare 15 euro l’ora i tuoi dipendenti non fa di te un posto di lavoro all’avanguardia, dal momento che li costringi a urinare nelle bottiglie.

La replica di Amazon non si è fatta attendere: “Se fosse così nessuno lavorerebbe per noi”, ribadendo poi che coloro che lavorano per l’azienda godano di assicurazione sanitaria e condizioni di lavoro ottimali. Ma è davvero così?

Fabbrica Amazon negli Stati Uniti. Fonte: AGI.

La realtà dei fatti è molto più triste di quanto non si immagini. A metterla in luce, non solo dichiarazioni ma anche documenti interni che erano stati esposti ai dirigenti dell’azienda, messi al corrente di questa “pratica” da lungo tempo. Difficile immaginarsi un dietrofront più clamoroso da parte di Amazon, che è stato costretto alle scuse nei confronti di Pocan, aggiungendo, però, che la polemica si era concentrata “erroneamente sui centri di distribuzione, dove invece i dipendenti possono allontanarsi dalle loro postazioni di lavoro in qualsiasi momento”.

Dunque, se da un lato Amazon tiene a fare le dovute precisazioni, dall’altro ammette la poca preoccupazione riguardo i suoi driver, privati di servizi igienici soprattutto durante la pandemia, quando tutto era chiuso. Vorremmo risolvere il problema. Non sappiamo come, ma cercheremo delle soluzioni” ha infine promesso.

La situazione degli Stati Uniti: il caso Alabama

“Sigh” – è il commento di Pocan alla vicenda, che ribadisce – “Non si tratta di me ma dei vostri impiegati, che non trattate con sufficiente rispetto e dignità. Iniziate a riconoscere le condizioni di lavoro inappropriate che avete creato per tutti i vostri dipendenti”.

Parole in linea con le recenti contestazioni avvenute in una piccola cittadina dell’Alabama, Bessemer, dove 6mila dipendenti Amazon stanno lottando per la creazione di una sezione sindacale per la tutela di diritti sul lavoro. Un granello di sabbia che potrebbe tuttavia inceppare un intero meccanismo, forte di un impero che conta 800 fabbriche negli Stati Uniti. La minaccia è stata avvertita dallo stesso Jeff Bezos che, per scongiurarla, ha invitato i suoi manager a monitorare attentamente la situazione.

 

Strike the Giant! è l’organizzazione trasnazionale che ha unito i lavoratori Amazon in Europa e America. Fonte: Into the Black Box

La voce meccanica all’ingresso della toilette che ricorda ai lavoratori che la loro paga ammonta a 15 euro l’ora – circa il doppio della paga media in Alabama – sarà sufficiente? Il sito creato appositamente dal colosso, DoItWithoutDues.com, per diffondere le ragioni anti-protesta, è il segno più evidente di un conflitto che ha dimensioni più ampia di quelle locali. Il Wall Street Journal scrive: “Amazon ha trattato e combattuto con le organizzazioni sindacali in Europa per anni e continua a farlo. Ma si è sempre opposta per principio all’avvio di un rapporto organico con le Union negli Stati Uniti”.

Joe Biden con i lavoratori Amazon: “Fate sentire la vostra voce”

L’immagine di un business che conta 1,3 milioni di lavoratori in tutto il mondo -960mila solo negli Stati Uniti- preoccupato del benessere di ciascuno di loro sembra cadere innanzi alla voce che si leva da chi, in questo meccanismo, non è stato altro finora che soggetto di un algoritmo. Dalla loro parte anche il presidente Joe Biden, il quale ha espresso solidarietà ai lavoratori Amazon. 

Alessia Vaccarella

Giornata Mondiale sull’Autismo e monumenti illuminati di blu: appelli, esperti e testimonianze sul tema

Il 2 aprile di ogni anno viene celebrata la Giornata internazionale per la consapevolezza sull’autismo (in inglese WAAD, ovvero ‘’World Autism Awarness Day’’), istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’ONU, al fine di riportare l’attenzione di tutti sui diritti delle persone con sindromi dello spettro autistico.

Fonte: Ministero della Salute

Protagonisti del richiamo di ieri, la Federazione dei Logopedisti italiani (Fli) – di fondamentale importanza per l’aiuto nella stimolazione delle abilità fondamentali per la crescita dei soggetti affetti da questo tipo di disturbo – e diverse figure pubbliche, come il presidente della Camera Roberto Fico e Maria Elena Boschi, deputato della Repubblica. Non sono tra l’altro mancati i riferimenti al dolente tasto del Covid-19 e dei suoi effetti negativi sui disturbi legati all’autismo, così come alcune testimonianze inerenti al tema.

Il mondo si illumina di blu

Ieri, per la ricorrenza, si sono illuminati di blu i principali monumenti di tutto il mondo. Le Nazioni unite, promotrici della giornata, spiegarono ai tempi che la scelta del colore blu non è stata casuale: definita come una ‘’tinta enigmatica’’, il blu è capace di rimandare ad un senso di sicurezza e richiamare il bisogno di conoscenza. Una sicurezza riferita alla possibilità di vivere un’esistenza libera – e al tempo stesso protetta – sia nel presente che nel futuro degli autistici e dei loro familiari. Una conoscenza che, invece, rimanda alla necessità di informare adeguatamente i cittadini sul disturbo (in modo tale che sappiano come regolarsi nelle interazioni con gli autistici), ma anche alla ricerca scientifica delle sue cause, ancora in buona parte sconosciute.

I monumenti di tutto il mondo illuminati di blu. Fonte: MediaWeb

 

Fico e Boschi parlano di autismo

Nella Giornata della consapevolezza sull’autismo, sono state queste le parole del presidente della Camera Roberto Fico:

“Il palazzo di Montecitorio si illumina di blu anche quest’anno per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla realtà dell’autismo. Un segno di partecipazione ancora più importante in questa fase storica, in cui la crisi sanitaria continua a pesare in modo ancora più evidente sui soggetti più fragili della società”.

In fase conclusiva del suo discorso ha poi aggiunto:

‘’Non basta ribadire l’importanza, in una democrazia, di non lasciare mai indietro le persone più vulnerabili. Occorre anche porre in essere, come ci chiede espressamente la nostra Costituzione, misure effettive di integrazione e solidarietà. Questa Giornata ci richiama dunque a rinnovare l’impegno delle Istituzioni a garantire un concreto sostegno alle persone affette da autismo e ai loro familiari destinando risorse adeguate all’assistenza e alla piena integrazione nella vita sociale di tutte le persone disabili. Un Paese sempre più inclusivo e solidale deve offrire un nuovo panorama di certezze, diritti e dignità a chi soffre di fragilità e non raramente di solitudine”.

Un altro importante appello è stato inoltre lanciato in un video su Twitter da Maria Elena Boschi, membro della Camera dei Deputati italiana dal 2018. Nel video, la Boschi invita le istituzioni a restare accanto a quelle persone e famiglie con bisogni speciali, i quali – ora più che mai – sono inevitabilmente aumentati.

Che cos’è l’autismo?

L’autismo rappresenta solamente una singola categoria di disturbo su un ampio spettro, per questo si parla più correttamente di disturbi dello spettro autistico (Autism Spectrum Disorders, ASD). Essi comprendono un insieme eterogeneo di disturbi del neurosviluppo, caratterizzati dall’incapacità di comunicare e sviluppare relazioni sociali, e da modelli stereotipati e ripetitivi di comportamento, attività ed interessi. La severità dei relativi sintomi può variare da persona a persona e mutare nel tempo, cosicché anche i bisogni specifici e la necessità di sostegno siano altrettanto variabili.

L’autismo è una condizione che in Italia colpisce all’incirca 80.000 persone, alle quali se ne aggiungono altre 270 mila con diagnosi di disturbi dello spettro autistico. Tra questi si stima che, nella fascia di età 7-9 anni, la sindrome interessi 1 bambino su 77.

La pandemia e i casi di regressione

È difficile pensare che l’isolamento domiciliare, la mancanza di fisicità, l’impossibilità di vedere le espressioni facciali dell’interlocutore – e ancora – lo stravolgimento della routine quotidiana, in seguito alla pandemia, non abbiano decretato un significativo peggioramento nella vita e nella serenità di coloro che soffrono di autismo.

“A causa della pandemia la persona con autismo si è trovata catapultata in un mondo in cui sono cambiate le modalità interattive. Pensiamo solo alla mancanza di contatto fisico, o alla necessità di interagire con le mascherine, privando il paziente di un importante canale comunicativo come quello della lettura delle espressioni. Inoltre, si sono modificate routine quotidiane: apertura e chiusura di scuole; spazi resi inaccessibili; interruzioni delle terapie e degli sport; lunghi periodi di isolamento a casa”, ha spiegato Sara Isoli, docente di logopedia all’Università di Padova e Verona.

Nastro blu di autismo. Fonte: Giornale di Brescia

Per questi e altri motivi si sono perciò verificati diversi casi di regressione, specialmente nei periodi di lockdown: ad esempio, sono aumentati i disturbi legati alla selettività alimentare (molto frequente nei bambini affetti da autismo), con conseguente rifiuto di alcuni tipi di cibi per via della loro forma, gusto, odore, consistenza o persino colore.

Fronteggiare una simile perdita di competenze da parte dei bambini autistici ha certamente richiesto ai logopedisti – e continua a richiedere tutt’ora – un lavoro impegnativo e paziente nell’adattare il proprio intervento alle restrizioni della pandemia, tramite attivazione di forme di tele-riabilitazione in équipe multidisciplinare.

Le novità annunciate dall’Iss

L’Istituto Superiore di Sanità (Iss) ha annunciato che dal 6 aprile 2021 prenderà avvio ‘’la mappatura dei servizi nazionali dedicati alla diagnosi e presa in carico delle persone nello spettro autistico in tutte le età della vita’’. L’obiettivo del sito sarà quello di garantire una consultazione scientifica a tutti i cittadini e, al tempo stesso, fungere da bussola per i professionisti della rete sanitaria, sociale ed educativa, che avranno così modo di ‘’accedere a programmi formativi dedicati e condivisi con tutti gli enti coinvolti nel percorso di riconoscimento precoce, diagnosi e intervento delle persone nello spettro autistico’’. Le novità del portale istituzionale dell’Osservatorio Nazionale Autismo (OssNA) dell’Istituto Superiore di Sanità saranno presto accessibili al seguente indirizzo: https://osservatorionazionaleautismo.iss.it.

La storia di Salvo al centro ‘’Autos’’

La giornata dedicata all’autismo ha regalato, oltretutto, delle belle notizie: Salvatore “Salvo” Merendino, ventenne di Alcamo (Tp), ha approfittato dell’occorrenza per festeggiare l’assunzione nel centro ‘’Autos’’ della sua città, dove aveva avuto l’esperienza di utente dal 2017 ad oggi.

La storia di Salvo da utente a dipendente. Fonte: Ansa

L’esperienza vissuta in questi anni a fianco di operatori e altri utenti ha notevolmente migliorato le capacità comunicative e relazionali del ragazzo, consentendogli di ottimizzare la qualità della vita, e di essere conseguentemente coinvolto in laboratori di formazione e lavoro, monitorati dai professionisti del centro. La storia di Salvo è la dimostrazione che esiste per tutti una possibilità di riscatto, inclusione e indipendenza.

Gaia Cautela

La bozza del nuovo decreto e il punto sull’obbligo a vaccinarsi per gli operatori sanitari

Continua la stretta per contenere i contagi da coronavirus, ma vi saranno delle novità rispetto alle scorse settimane. Pochi giorni fa, il premier Draghi ha presentato la bozza del nuovo Decreto Legge, contenente le misure proposte per il periodo dal 7 al 30 aprile.

Il premier Draghi presenta la bozza del nuovo DL (fonte: orizzontescuola.it)

Nessuna zona gialla

Nelle prossime settimane, la Penisola non vedrà zone gialle, ma solo arancioni o rosse. In base dell’andamento dell’epidemia e in relazione allo stato di attuazione del Piano strategico nazionale dei vaccini, sarà possibile prevedere deroghe alle misure di contenimento del coronavirus.

Nelle regioni e province autonome di Trento e Bolzano i cui territori si collocano in zona gialla, verranno applicate le misure stabilite per la zona arancione. Secondo l’andamento, queste misure, anche qui, potranno esser modificate. I Presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano potranno disporre l’applicazione delle misure stabilite per la zona rossa, nonché ulteriori, motivate, misure più restrittive, qualora: l’incidenza cumulativa settimanale dei contagi sarebbe superiore a 250 casi ogni 100.000 abitanti, sulla base dei dati validati dell’ultimo monitoraggio disponibile; nelle aree in cui la circolazione di varianti di SARS-CoV-2 determinerebbe alto rischio di diffusività o induce malattia grave.

In tutta Italia, i Presidenti delle Regioni non potranno più chiudere le scuole dal nido fino alla prima media. Consentite deroghe solo in casi di eccezionale e straordinaria necessità dovuta alla presenza di focolai o al rischio estremamente elevato di diffusione del virus o di sue varianti nella popolazione scolastica, una volta ascoltato il parere delle autorità sanitarie competenti e “nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità”, con la possibilità di circoscrivere l’applicazione a specifiche aree del territorio.

Didattica a distanza per gli studenti del secondo e terzo anno della scuola secondaria di primo grado, nonché della scuola secondaria di secondo grado. Nei casi in cui sia possibile, scuole secondarie superiori in presenza, al 50% e fino ad un massimo del 75%.

Spostamenti

Saranno vietati gli spostamenti tra le 22 e le 5 del mattino, quelli fuori dal proprio Comune e tra regioni. Resteranno sempre ammesse le eccezioni per motivi di necessità, salute o comprovate esigenze lavorative. Saranno permesse deroghe per ritornare ai luoghi di residenza, domicilio o abitazione.

Consentito, una sola volta al giorno, spostarsi verso un’altra abitazione privata abitata che si trovi, però, nello stesso Comune, tra le ore 5 e le ore 22, a un massimo di due persone oltre a quelle già conviventi nell’abitazione di destinazione. La persona o le due persone che si spostano potranno comunque portare con sé i figli minori di 14 anni e le persone disabili o non autosufficienti che con loro convivono.

Per gli abitanti dei Comuni con massimo 5milla abitanti saranno consentiti spostamenti in un raggio di 30km con divieto di spostamento nei capoluoghi di provincia.

Bar e ristorazione

Sono sospese le attività dei servizi di ristorazione (bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie), ma nessuna restrizione per la consegna a domicilio. L’asporto resterà consentito – comunque con divieto di consumazione sul posto – fino alle 22. Per i soggetti che svolgono come attività prevalente una di quelle identificate dai codici Ateco 56.3 (bar e altri esercizi simili, senza cucina) l’asporto sarà consentito, invece, fino alle 18.

Attività commerciali al dettaglio e centri commerciali

Esercizi commerciali tutti aperti, con i consueti orari, nel rispetto dei protocolli e delle misure anti contagio. Nelle giornate festive e prefestive sono chiusi gli esercizi commerciali presenti all’interno dei mercati e dei centri commerciali, gallerie commerciali, parchi commerciali, ad eccezione delle farmacie, parafarmacie, presidi sanitari, punti vendita di generi alimentari, di prodotti agricoli e florovivaistici, tabacchi, edicole e librerie.

Attività motoria e sportiva

Sono sospese tutte le competizioni sportive, tranne quelle a cui è riconosciuto interesse nazionale dal CONI e dal CIP. Sospese le attività nei centri sportivi. Resterà possibile svolgere attività motoria all’aperto solo nei pressi della propria abitazione e solo in forma individuale.

Concorsi pubblici: lo sblocco

Dal 3 maggio 2021 potrà riprendere lo svolgimento delle procedure selettive dei concorsi banditi dalle pubbliche amministrazioni, in presenza. Lo svolgimento delle prove deve avvenire nel rispetto delle linee guida validate dal Comitato tecnico scientifico nazionale.

Potranno essere adottate misure semplificate. Per i concorsi per il reclutamento di personale non dirigenziale, si potrà prevedere una sola prova scritta e una sola prova orale.

Sarà consentito l’utilizzo di strumenti informatici e digitali e, facoltativamente, lo svolgimento in videoconferenza della prova orale, garantendo comunque l’adozione di soluzioni tecniche che ne assicurino la pubblicità, l’identificazione dei partecipanti, la sicurezza delle comunicazioni e la loro tracciabilità, nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali. In caso di necessità, l’amministrazione che si occupa dell’organizzazione di un concorso potrà, in ragione del numero di partecipanti, disporre dell’utilizzo di sedi decentrate.

Nella bozza del DL compaiono tutte le informazioni relative a tutti gli altri tipi di concorsi pubblici, tra cui quelle relative alle prove scritte del concorso per magistrato ordinario, indetto il 29 ottobre 2019.

 

Obbligo a vaccinarsi per gli operatori sanitari: il punto più dibattuto

Un tema molto caldo e dibattuto sin dagli inizi, forse anche prima della campagna vaccinale, è l’obbligo di vaccino. Con la bozza del nuovo DL, l’obbligo sarà previsto per: gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, farmacie, parafarmacie e studi professionali.

(fonte: corriere.it)

Nella bozza si legge: “La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati”. Dunque, solo in caso di accertato pericolo per la salute, a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, vaccinarsi non sarà obbligatorio per le suddette categorie, con la possibilità di rifiutarsi o rimandare la decisione.

Entro cinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ciascun Ordine professionale territoriale competente dovrà trasmettere l’elenco degli iscritti. Chi risulterà non vaccinato o chi non avesse prodotto richiesta di vaccinazione entro i 10 giorni successivi, avrà 5 giorni per sottoporsi alla vaccinazione o fornire la documentazione comprovante l’avvenuta somministrazione del vaccino non prima pervenuta o la documentazione che giustifichi l’omissione o il differimento della stessa per i motivi ammessi.

Per chi si rifiuterà sarà determinata, dall’azienda sanitaria locale, la sospensione del proprio impiego, l’impossibilità di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio. Tutto ciò verrà poi trasmesso all’Ordine professionale di appartenenza. Il datore di lavoro, se possibile, potrà affidare al lavoratore non vaccinato altre mansioni anche inferiori, che non implichino rischi di diffusione del virus. In caso non vi fosse alcuna possibilità, è prevista la sospensione del lavoratore a cui non spetterà la retribuzione, fino alla vaccinazione o, nel caso in cui si rifiutasse ancora, fino al 31 dicembre 2021, data in cui è previsto il completamento del piano vaccinale.

 

Rita Bonaccurso

Il discorso di Draghi in Parlamento: ecco cosa ha detto sulle vaccinazioni e sulle riaperture dopo Pasqua

Ieri, mercoledì 24 marzo, è stata una giornata di interventi parlamentari per il Presidente del Consiglio Mario Draghi: ascoltato prima al Senato e poi alla Camera, il premier ha reso note le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 25 e 26 marzo.

Mario Draghi in Senato. Fonte: La Nazione

Fulcro del suo intervento sono stati il tema sull’accelerazione della campagna vaccinale – dopo i ritardi di questi mesi – e il severo richiamo alle Regioni per l’osservazione delle priorità indicate dal ministero della Salute. Tra gli applausi ricevuti in Aula, Draghi ha anche annunciato la necessità di programmare le prime riaperture subito dopo Pasqua, per poi spostare la discussione sul caso dei milioni di dosi AstraZeneca giacenti ad Anagni.

Intensificazione della campagna vaccinale

Draghi ricorda davanti ai parlamentari che «vaccinare più persone possibili nel più breve tempo possibile» è la giusta soluzione per combattere con efficacia la pandemia, e per poter finalmente ritornare alla normalità. Attualmente – e a partire dalle prime tre settimane di marzo – si procede ad un ritmo medio di 170 mila dosi al giorno, ma l’obiettivo resta sempre quello: 500 mila dosi giornaliere.

Fonte: Castelfranco Piandiscò

Il governo è già all’opera per compensare i ritardi vaccinali degli ultimi mesi, cosicché cominciano ad essere visibili i primi dati sull’intensificazione della campagna vaccinale italiana. L’Italia è infatti la seconda (dopo la Spagna) in Ue per somministrazione, ma va comunque guardato come esempio – a detta del premier – l’operato di Paesi come la Gran Bretagna, che nel giro di poco tempo ha moltiplicato siti e operatori sanitari per eseguire i vaccini.

Avere un coordinamento europeo sui vaccini è importante e, durante la sua replica al Senato, Draghi ribadisce che l’Italia pretenderà «il rispetto dei contratti» da parte delle case farmaceutiche. Se il coordinamento non funziona «occorre anche trovare delle risposte da soli».

«La nostra azione è fondata su tre pilastri: pretendere il rigoroso rispetto; sanzionare o bloccare le esportazioni; pronta sostituzione dei vaccini mancanti», ha detto il primo ministro.

Richiamo alle Regioni e riaperture dopo Pasqua

Il Presidente del Consiglio non resta indifferente alle differenze tra regioni nella somministrazione delle dosi fra gli over 80, ribadendo la priorità delle vaccinazioni per le fasce più deboli e fragili della società:

«Abbiamo quattro vaccini sicuri ed efficaci. Sono la chiave per superare la crisi. Prima gli anziani e i fragili. Mentre alcune Regioni seguono le disposizioni del ministero della Salute, altre trascurano i loro anziani in favore di gruppi che vantano priorità probabilmente in base a qualche loro forza contrattuale. Dobbiamo essere uniti nell’uscita dalla pandemia come lo siamo stati soffrendo, insieme, nei mesi precedenti».

È per questo che il governo assicurerà, d’ora in avanti, la massima trasparenza sui vaccini, fornendo tutti i dati entro la settimana sul sito della presidenza del Consiglio.
E mentre si procede con i vaccini, Draghi conferma un messaggio di fiducia sulle prossime aperture, che dovrà arrivare al prossimo Consiglio europeo:

Riapertura delle scuole. Fonte: ilMeteo

«È bene pensare e pianificare le riaperture. Se la situazione epidemiologica migliorerà cominceremo a riaprire la scuola in primis, almeno le scuole primarie e l’infanzia anche nelle zone rosse già subito dopo Pasqua».

Accolto positivamente l’intervento di Mario Draghi al Senato dal segretario leghista Matteo Salvini, il quale scrive su Twitter:

I 29 milioni di dosi ‘’nascoste’’ AstraZeneca

Tra i tanti temi toccati dal discorso di Draghi vi è stato anche il caso dosi di Anagni: i carabinieri dei NAS (Nuclei Antisofisticazione e Sanità) hanno trovato, tra sabato e domenica, ben 29 milioni di dosi del vaccino AstraZeneca nella fabbrica laziale, che è una delle diverse sedi dell’azienda statunitense Catalent. Il ritrovamento delle dosi è avvenuto dopo un’ispezione richiesta dall’Unione Europea e disposta dallo stesso Presidente del Consiglio italiano.

In una prima versione della Stampa sulla destinazione delle dosi si era ipotizzato che i 29 milioni di fiale sarebbero stati destinati al Regno Unito, con il quale l’azienda biofarmaceutica ha puntualmente rispettato i suoi impegni contrattuali di fornitura (a differenza di quelli con l’Unione Europea). Tuttavia, la versione è stata in seguito rettificata da fonti ufficiali: una nota della presidenza del Consiglio italiana ha fatto sapere che «dall’ispezione è risultato che i lotti erano destinati in Belgio», senza però specificare quanti fossero.
AstraZeneca ha invece sostenuto che dei 29 milioni di dosi 16 fossero destinati al mercato europeo, mentre i restanti 13 milioni fossero da esportare verso paesi a basso reddito, sulla base dell’iniziativa promossa dall’Organizzazione mondiale della sanità e soprannominata COVAX.

Dosi di vaccino AstraZeneca. Fonte: la Repubblica

La versione sarebbe confermata dal commissario europeo per il Mercato interno e responsabile della strategia sui vaccini dell’Unione Thierry Breton, che ha detto:

«A parte le dosi destinate a COVAX, ai paesi poveri, il resto sarà distribuito esclusivamente tra i paesi dell’Unione Europea».

Breton ha poi ulteriormente specificato che si tratta di dosi prodotte principalmente nello stabilimento Halix di AstraZeneca, nei Paesi Bassi

«che necessita dell’autorizzazione dell’Agenzia Europea ma, come sappiamo, i dati sono già stati inviati all’Ema e ci aspettiamo una risposta nei prossimi giorni. Quando ottengono il visto come laboratorio di produzione, possono essere distribuiti tra i Ventisette».

Blocco delle esportazioni vaccinali: le nuove regole

La Commissione europea ha ieri annunciato le nuove regole per il controllo delle esportazioni dei vaccini per il coronavirus all’estero.

Le nuove limitazioni sono ancora più stringenti di quel «meccanismo di trasparenza» approvato alla fine di gennaio, e finora applicato dall’Italia una volta sola.

Vengono così ampliate di molto le possibilità di blocco delle esportazioni dei paesi membri, cosicché sia possibile che se i vaccini trovati ad Anagni dovessero risultare effettivamente destinati al Regno Unito, sarebbero subito bloccati. Questo, ovviamente, non varrebbe nel caso in cui le dosi siano invece destinate all’iniziativa COVAX, la quale è esclusa dal nuovo meccanismo di controllo basato su reciprocità e proporzionalità.

Gaia Cautela

Lotta alla violenza sulle donne: la Turchia si “ritira” dalla Convenzione di Istanbul

La Convenzione firmata proprio a Istanbul

Le proteste delle donne turche in seguito alla decisione sulla Convenzione di Istanbul (fonte: tg24.sky.it)

Il governo turco si dice “sinceramente” impegnato nel salvaguardare le donne come meritano. Questa la dichiarazione, via Twitter, del vicepresidente Fuat Oktay, in seguito a un evento sconvolgente per l’intera Europa: la Turchia esce dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne.

La decisione è arrivata nella notte tra il 19 e 20 marzo, resa pubblica con un comunicato del presidente Recep Tayyip Erdogan.

“Non è necessario cercare rimedi esterni o imitare gli altri per questo obiettivo fondamentale. La soluzione invece è nelle nostre tradizioni e costumi, in noi stessi” ha aggiunto il vicepresidente, per spiegare la scelta del governo

Ancor prima di analizzare gli eventi e le reazioni scatenatesi, positive e negative, bisogna sottolineare che ci troviamo di fronte a un doppio apparente paradosso: la Turchia è stato il primo Paese ad accettare il trattato del 2011, promosso dal Consiglio d’Europa, noto come Convenzione di Istanbul proprio perché ratificato nella metropoli turca; inoltre, fu proprio il presidente Erdogan a firmare. Negli anni successivi alla ratifica, il presidente aveva anche spesso citato tale scelta per dimostrare i progressi dello Stato nell’ambito della parità di genere.

Il testo firmato finora da 34 – ora 33 – Stati, prevede che i governi firmatari formulino una legislazione per la protezione delle donne da violenze, da tutti gli abusi, anche la violenza coniugale e le mutilazioni genitali femminili, oltre che la discriminazione di genere. Conosciuto anche come “trattato 210” del Consiglio d’Europa, prevenzione, protezione, azione giudiziaria e coordinamento delle politiche sono i punti fondamentali su cui si basa. Gli Stati che vi hanno preso parte si impegnano, dunque, in una serie di misure che assicurino una drastica riduzione dei fenomeni di abusi e la presa in carico delle vittime.

 

L’esultazione dei conservatori islamisti

Secondo alcuni esperti analisti, Erdogan avrebbe operato questo ulteriore strappo con l’Europa per il favore dell’ala conservatrice dell’elettorato e del suo stesso partito, l’Akp.

Il presidente Erdogan (fonte: ansa.it)

Per i conservatori islamisti, la Convenzione sarebbe contraria ad alcuni principi dell’Islam, minando al concetto di “famiglia tradizionale”, incoraggiando i divorzi, ma anche l’omosessualità, sostenendo e proteggendo i diritti della comunità lgbt+.

Già da alcuni anni, però, la linea politica del presidente ha virato verso un’ideologia e un’azione sempre più autoritaria e conservatrice, lontana da politiche di eguaglianza.

Il ministro della Famiglia, del Lavoro e dei Servizi sociali, Zehra Zumrut Selcuk, ha scritto su Twitter che la Costituzione turca prevede già delle norme sufficienti a garantire i diritti delle donne, che la Turchia continuerà a reprimere senza tolleranza la violenza sulle donne.

“La Convenzione di Istanbul è stata un’importante iniziativa”, ma “ha ormai perso la sua funzione originaria e si è trasformata in una ragione di tensioni sociali”, ha commentato l’associazione di donne islamicheKadem”, di cui vicepresidente è la figlia di Erdogan, Sumeyye.

In realtà, la Turchia non è stato il primo Paese ad uscire dalla Convenzione. Già la Polonia, nel luglio 2020, ha deciso di abbandonare gli accordi. Il partito conservatore di diritto e giustizia, il PiS, al vertice del governo, ha così scelto sostenendo che il testo contiene concetti ideologici da esso non condivisibili, tra cui la distinzione tra sesso “socio-culturale” e sesso “biologico”.

Inoltre, alcuni Paesi hanno sin dall’inizio deciso di non firmare, quali Russia e Azerbaigian, ma molti altri – Armenia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Moldavia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Regno Unito, Ucraina – non hanno ancora proceduto con la ratifica dell’accordo, nonostante la firma.

 

Le critiche dall’opposizione turca, dall’Europa e dall’Italia

L’opposizione non ha tardato a farsi sentire. Il Chp, tramite il suo numero due Gokce Gokcen, ha detto che abbandonare la Convenzione significa considerare “le donne cittadine di seconda classe e permettere che vengano uccise”.

(fonte: ansa.it)

In effetti, in Turchia la problematica è ancora più grave rispetto alle altre situazioni europee. Secondo le stime fornite dall’Organizzazione mondiale della Sanità, il 38% delle donne turche è stata vittima di violenze da parte del partner almeno una volta nella loro vita, percentuale che in Europa è del 25%. Secondo un’associazione che monitora i casi di violenza, nel Paese, ci sono stati almeno 300 femminicidi, 171 avvenuti in circostanze sospette; in questi primi mesi del 2021 ce ne sono stati 77.

Eppure, per il governo turco, il Paese non avrebbe bisogno di “spinte” dall’esterno.

Anche il segretario generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejcinovic Buric ha commentato la vicenda definendola un pericoloso passo indietro, avvenuto, tra l’altro, a pochi giorni dal decennale della Convenzione. Aveva ricordato gli importanti progressi registrati dal 2011, ma aveva anche lanciato un monito, sottolineando la necessità di continuare ad agire con determinazione, poiché questa piaga continua a mietere vittime ogni giorno.

“Il numero di telefonate ricevute dai centri specializzati nell’assistenza alle vittime della violenza domestica è aumentato durante l’applicazione delle misure anti-Covid” ha detto il segretario. Il coronavirus, infatti, ha spostato la violenza dalla strada in casa, dando a mariti e conviventi violenti più possibilità di colpire facilmente, rendendo più difficoltosa l’individuazione di situazioni pericolose e il conseguente soccorso, oltre che la richiesta di aiuto da parte delle stesse vittime di abusi.

Il segretario Pejcinovic Buric, inoltre, ha spiegato che in Turchia movimenti politici attaccano la Convenzione di Istanbul a causa di un’interpretazione sbagliata dei suoi obiettivi. Questo ha favorito il ritiro del Paese.

“La Convenzione del Consiglio d’Europa che ha riconosciuto la violenza contro le donne quale crimine contro l’umanità era stata approvata proprio nella capitale turca e la Turchia era stata il primo paese a firmarla: fu un doppio segno di speranza e un messaggio rivolto a quei Paesi che, per religione e tradizioni, sono ancora indietro nel riconoscimento dei diritti delle donne. Un pilastro della legislazione internazionale sui diritti e contro la violenza di genere.” ha detto la senatrice italiana Valeria Valente, presidente della Commissione di inchiesta del Senato sul Femminicidio e la violenza di genere.

“Il ritiro della Turchia conferma la preoccupazione sentita da tempo da tutte le donne impegnate contro la violenza alle donne” ha affermato Marcella Pirrone, avvocato di D.i.Re e presidente di WAVE, Women Against Violence Europe. L’avvocato ha ricordato che Ong, in particolare quelle specializzate nella lotta alla violenza contro le donne, avevano già lanciato assieme al Consiglio d’Europa e alla Commissione Europea un forte allarme rispetto ai movimenti politici di alcuni Paesi – Turchia, paesi del gruppo Visegrad4, Bulgaria – che avevano assunto posizioni di forte contrasto e opposizione ai principi sanciti dalla Convenzione, rappresentando un’assurdità nel 2021 e, soprattutto, ai tempi di una pandemia.

 

Numerose manifestazioni contro la decisione

Migliaia di donne turche sono scese in piazza. Le manifestazioni più corpose si sono svolte a Kadiköy, la roccaforte laica sulla sponda asiatica della metropoli sul Bosforo, dove si sono incontrati diversi movimenti femministi, Ong e partiti di opposizione.

(fonte: tg24.sky.it)

«Non potrete cancellare in una notte anni di nostre lotte. Ritira la decisione, applica la Convenzione» è lo slogan al sit-in, organizzato dalla piattaforma indipendente “Fermiamo i femminicidi”.

Manifestazioni più piccole si sono tenute anche nella capitale Ankara e nella città di Smirne. Non sono mancati momenti di tensione con la polizia, ma le turche non si vogliono fermare. Già nelle scorse settimane si sono verificate proteste contro il governo, accusato addirittura di favovire le violenze. Manifestazioni tutte sedate duramente dalle forze dell’ordine.

“Ecco il vero volto del governo turco: disprezzo totale per lo stato di diritto e regressione sui diritti umani.” ha dichiarato il relatore sulla Turchia al Parlamento europeo, Nacho Sanchez Amor.

Dunque, la protesta delle donne turche ci ricorda che, in realtà, ancora una volta, non si tratta di Paesi o religioni, ma di singoli uomini e, paradossalmente, singole donne, che decidono per altri. Un fatto – riprendendo le parole della senatrice Valente – “gravissimo”, “un precedente inaccettabile” e “un ulteriore passo verso l’isolamento dal consesso occidentale” per la Turchia.

 

Rita Bonaccurso

 

Oggi si celebra la Giornata nazionale in memoria delle vittime di Covid: l’omaggio di Draghi a Bergamo e le varie iniziative sul territorio nazionale

L’Italia ‘cullata’ da una dottoressa. Fonte: Tgcom24

Oggi, giovedì 18 marzo, viene per la prima volta celebrata la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia di Coronavirus. La decisione è stata presa dalla commissione Affari costituzionali del Senato nella mattinata di ieri, votando all’unanimità il disegno di legge (ddl) che ha creato proprio in questa data la giornata commemorativa. Per l’occasione, il presidente del Consiglio Mario Draghi si è recato nella città lombarda di Bergamo per ricordare le oltre 103 mila vittime italiane della pandemia.

Il provvedimento

L’ok definitivo al disegno di legge è arrivato (giusto in tempo) dopo il parere favorevole della commissione Bilancio su un emendamento tecnico e il passaggio alla sede deliberante, chiesto lo scorso martedì alla conferenza dei capigruppo per ‘bypassare’ l’esame in Aula, in modo da accelerare le procedure di approvazione. La calendarizzazione del provvedimento è stata realizzata molto in ritardo per via di problemi tecnici verificatisi dopo il passaggio alla Camera e la successiva assegnazione del provvedimento a Palazzo Madama, il 28 luglio scorso.

Nel documento – frutto dell’unificazione di due testi – si legge circa l’intenzione di ‘’conservare e rinnovare la memoria di tutte le persone decedute”. I primi firmatari sono stati il deputato di Forza Italia Giorgio Mulè e il senatore leghista Matteo Salvini.

Soddisfatti i diversi partiti: «E’ un bel segnale che tutti abbiano dato il loro contributo» ha sottolineato Dario Parrini (Pd), presidente della prima commissione. «Siamo molto soddisfatti – ha poi aggiunto – dell’approvazione di questa legge in via definitiva». Anche i componenti del Movimento 5 Stelle presenti in commissione hanno detto la loro: «Era un atto doveroso verso tutti gli italiani che hanno perso la vita per colpa di una pandemia che all’improvviso ha travolto tutto il mondo».

Sono state poi spostate in un ordine del giorno le iniziative di solidarietà e risarcimenti con le quali il governo si impegnerà ad aiutare le famiglie del personale sanitario, primo eroe indiscusso della battaglia contro il Coronavirus.

Perché il 18 marzo?

Un anno dopo i camion dell’esercito a Bergamo. Fonte: Avvenire

Esattamente un anno fa, i camion dell’esercito uscivano dalla città di Bergamo – uno dei luoghi più duramente colpiti durante la prima ondata – in un triste corteo per trasportare le centinaia di bare dei defunti verso i forni crematori di altre regioni, in assenza dei tanti posti liberi che la sepoltura avrebbe richiesto.

È impossibile dimenticare le impressionanti immagini di quella notte, che nel giro di qualche ora avrebbero pervaso l’intero sistema mediale e che per sempre sarebbero rimaste impresse negli occhi di chi ha vissuto in prima persona la pandemia. La scelta del 18 marzo, come data in cui far ricadere la ricorrenza, non è quindi una coincidenza: il ricordo di un momento di dolore che diviene oggi, ancora nel bel mezzo della battaglia, un monito per continuare a lottare e sperare. Lo si evince dalle parole di Giorgio Mulè:

«L’Italia ricorderà ogni anno chi non ce l’ha fatta nella ricorrenza di quell’immagine con i camion militari incolonnati sulle strade di Bergamo con i feretri. Sarà un giorno simbolico per il Paese che attraverserà i confini del tempo e della memoria».

Le cerimonie di oggi e il minuto di silenzio

A Bergamo sono state previste oggi due cerimonie: la deposizione di una corona di fiori al Cimitero monumentale della città alle ore 11:00 e l’inaugurazione del Bosco della Memoria al Parco Martin Lutero alla Trucca alle ore 11:15. È stata inoltre disposta dalla Presidenza del Consiglio l’esposizione a mezz’asta delle bandiere nazionale ed europea su tutti gli edifici pubblici del Paese.

Il primo ministro Draghi. Fonte: Governo Italiano Presidenza del Consiglio dei Ministri

Non è mancato l’invito anche ai sindaci di tutti i comuni italiani a cui è stato chiesto, dal presidente dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) Antonio Decaro, un minuto di silenzio davanti alla bandiera italiana da osservare alle ore undici, in concomitanza con l’arrivo a Bergamo del primo ministro Draghi.

Queste le parole d’invito di Decaro, sindaco di Bari:

«Caro collega, domani 18 marzo sarà la prima giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia da coronavirus. Così come avvenuto il 31 marzo dello scorso anno, sono convinto che anche i sindaci italiani promuoveranno occasioni e cerimonie commemorative per ricordare le tante vittime che piangono le nostre comunità e onorare il sacrificio e l’impegno degli operatori sanitari. Testimoniare il nostro essere uniti, il nostro stare insieme come sindaci, senza distinzione di appartenenze geografiche o politiche è un segnale importante di fiducia e di speranza da trasmettere alle nostre comunità ancora fortemente provate da questa triplice emergenza sanitaria, economica e sociale. Per questo vorrei chiedervi di condividere un gesto in comune. In concomitanza con l’arrivo a Bergamo del Presidente del Consiglio dei Ministri, prevista per le ore 11 di domani, ritroviamoci davanti ai nostri municipi, indossando la fascia tricolore, per osservare un minuto di silenzio al cospetto della bandiera italiana esposta a mezz’asta».

Antonio Decaro. Fonte: Il Quotidiano Italiano

Iniziative celebrative ed informative tra scuola e tv

Accanto al ricordo delle vittime, non manca di certo l’impegno concreto della legge. Sono qui di seguito riportati tre dei 6 articoli componenti il testo del provvedimento ieri approvato:

L’articolo 3 prevede che al fine di celebrare la giornata nazionale, venga attribuita allo Stato, alle regioni, alle province ed ai comuni, la facoltà di promuovere, nell’ambito della loro autonomia e delle rispettive competenze, anche in coordinamento con le associazioni interessate, iniziative specifiche, manifestazioni pubbliche, cerimonie, incontri e momenti comuni di ricordo, favorendo in particolare le attività e le iniziative rivolte alle giovani generazioni.

Ai sensi dell’articolo 4, nella Giornata nazionale, le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, nell’ambito della loro autonomia, possono promuovere iniziative didattiche, percorsi di studio ed eventi dedicati alla comprensione e all’apprendimento dei temi relativi alla diffusione dell’epidemia da Coronavirus e all’impegno nazionale ed internazionale profuso per il suo contenimento e per garantire assistenza alle comunità e alle persone colpite.

L’articolo 5 rimette alla società concessionaria del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, secondo le disposizioni del contratto di servizio, il compito di assicurare adeguati spazi a temi connessi alla Giornata nazionale, nell’ambito della programmazione televisiva pubblica nazionale e regionale. (Fonte: https://www.camera.it/leg17/522?tema=istituzione-della-giornata-nazionale-in-memoria-delle-vittime-dell-epidemia-da-coronavirus).

Gaia Cautela