Sergio Mattarella e il suo ultimo ‘’Ventaglio’’: le origini della cerimonia ed il discorso sulla pandemia

Si è svolta nella serata di ieri, mercoledì 28 luglio, la tradizionale cerimonia di consegna del ‘’Ventaglio’’ – l’ultimo del suo settennato – al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da parte del Presidente dell’Associazione Stampa Parlamentare, Marco Di Fonzo, alla presenza dei componenti del Consiglio direttivo, degli aderenti all’Associazione e di personalità del mondo del giornalismo.

Il presidente Mattarella alla cerimonia del Ventaglio. Fonte: Interris.it

Durante l’evento – che si tiene annualmente tra la fine di luglio e i primi giorni di agosto presso Palazzo del Quirinale, Palazzo Montecitorio e Palazzo Madama in vista della chiusura per la pausa estiva dei lavori parlamentari – il Presidente Mattarella ha pronunciato un discorso di rimando al tema pandemia intriso di messaggi politici, rimarcando l’importanza della vaccinazione in quanto dovere civico-morale. Successivamente, la consegna del Ventaglio realizzato da Virginia Lorenzetti, studentessa dell’Accademia di Belle Arti di Roma.

Alle origini del ‘’Ventaglio’’ ed il concorso

7 luglio 1893: il Presidente della Camera Giuseppe Zanardelli ricevette dai giornalisti un ventaglio con le loro firme, un regalo pensato per combattere il caldo afoso dell’aula. Un momento che nei decenni è divenuto una cerimonia ufficiale a tutti gli effetti, con il coinvolgimento delle tre massime cariche dello Stato e l’Associazione Stampa Parlamentare.

Se il dono ricevuto da Zanardelli si limitò ad essere un semplice ventaglio di carta, dal 2007 in poi un concorso riservato agli studenti delle Accademie di Belle Arti consente ogni anno di selezionare il migliore design e realizzazione di tre oggetti. Una delle vincitrici di quest’anno è Virginia Lorenzetti, realizzatrice del ventaglio per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dall’Accademia di Roma:

“È emozionante vedere un mio lavoro in un contesto così importante. Ho partecipato spesso a mostre, perché amo confrontarmi con altri artisti, collaborare agli allestimenti, ma questo era uno dei miei primi concorsi davvero importanti”, ha confessato la studentessa ventitreenne all’HuffPost.

Il doppio binario per fronteggiare la crisi

Nel messaggio rivolto al Paese, il Presidente Mattarella ha avvisato circa la prepotente attualità dell’emergenza Covid, definendola come un incubo «che non è ancora alle nostre spalle» e contro il quale, «con uno sforzo straordinario di collaborazione globale», sono stati individuati «due filoni» per incamminarci verso l’uscita dalla crisi.
Il doppio binario di cui parla il Presidente si riferisce alla campagna di vaccinazione ed alla «scelta di mettere in campo ingenti sostegni pubblici per contenere le conseguenze delle chiusure e dei distanziamenti a livello economico, produttivo e occupazionale», sostenendo così gli sforzi di Draghi ed i temi del suo incarico come premier.

Mattarella ricorda che il virus è mutato, rivelandosi ancora più contagioso:

“Più si prolunga il tempo della sua ampia circolazione più frequenti e pericolose possono essere le sue mutazioni. Soltanto grazie ai vaccini siamo in grado di contenerlo. Il vaccino non ci rende invulnerabili ma riduce grandemente la possibilità di contrarre il virus, la sua circolazione e la sua pericolosità. Per queste ragioni la vaccinazione è un dovere morale e civico“, ha detto durante il suo discorso.

 La priorità ad una vita scolastica regolare

In uno scenario disastroso sotto numerosi punti di vista e oramai ben conosciuto dagli italiani, Mattarella ha deciso di evidenziare in particolar modo le conseguenze pagate dal mondo scolastico:

La pandemia ha imposto grandi sacrifici in tanti ambiti. Ovunque gravi. Sottolineo quelli del mondo della scuola. Ne abbiamo registrato danni culturali e umani, sofferenze psicologiche diffuse che impongono di reagire con prontezza e con determinazione. Occorre tornare a una vita scolastica ordinata e colmare le lacune che si sono formate. Il regolare andamento del prossimo anno scolastico deve essere un’assoluta priorità“.

Fonte: ANSA.it

E sempre sul tema del pesante impatto della pandemia, continua dicendo:

“Nessuna società è in grado di sopportare un numero di contagi molto elevato, anche nel caso in cui gli effetti su molta parte dei colpiti non fossero letali. Senza attenzione e senso di responsabilità rischiamo una nuova paralisi della vita sociale ed economica; nuove, diffuse chiusure; ulteriori, pesanti conseguenze per le famiglie e per le imprese”.

Prima di tutto, il ”bene comune del Paese”

Nel corso dell’incontro con la stampa parlamentare, Mattarella ha anche manifestato l’auspicio di una ritrovata consapevolezza e responsabilità collettiva in nome del bene comune della nazione e a difesa dell’autentico senso di libertà:

“Conto che le forze politiche, di fronte a un tempo che sembra volgersi verso prospettive migliori, continuino a lavorare nella doverosa considerazione del bene comune del Paese. Conto che non si smarrisca la consapevolezza della emergenza che tuttora l’Italia sta attraversando, dei gravi pericoli sui versanti sanitario, economico e sociale. Che non si pensi di averli alle spalle. Che non si rivolga attenzione prevalente a questioni non altrettanto pressanti.”

“Auspico fortemente che prevalga il senso di comunità, un senso di responsabilità collettiva. La libertà è condizione irrinunziabile ma chi limita oggi la nostra libertà è il virus non gli strumenti e le regole per sconfiggerlo. Se la legge non dispone diversamente si può dire:” In casa mia il vaccino non entra”. Ma questo non si può dire per ambienti comuni, non si può dire per gli spazi condivisi, dove le altre persone hanno il diritto che nessuno vi porti un alto pericolo di contagio; perché preferiscono dire:” in casa mia non entra il virus”.

Un invito al rispetto degli impegni di spesa

Sul versante degli impegni di spesa il Presidente ha ricordato che:

“Dall’Unione Europea, sono in procinto di giungere le prime risorse del programma Next Generation. Gli interventi e le riforme programmate devono adesso diventare realtà. Non possiamo fallire: è una prova che riguarda tutto il Paese, senza distinzioni. Quando si pongono in essere interventi di così ampia portata, destinati a incidere in profondità e con effetti duraturi, occorre praticare una grande capacità di ascolto e di mediazione. Ma poi bisogna essere in grado di assumere decisioni chiare ed efficaci, rispettando gli impegni assunti“.

Fonte: DiarodelWeb.it

L’appello alla professionalità dei giornalisti

Rivolgendo poi l’attenzione ai giornalisti, Il capo dello Stato augura infine a sé stesso che nel semestre bianco (il periodo di tempo corrispondente agli ultimi sei mesi del mandato del Presidente della Repubblica Italiana), politica e mass-media evitino di chiamarlo «fantasiosamente» in causa, costringendolo a smentire le fake news sul Quirinale, come la notizia di una sua ricandidatura:

Nel “giornalismo affiora, talvolta, l’assioma che un’affermazione non smentita va intesa come confermata”. “Ad esempio, vista la diffusa abitudine di trincerarsi fantasiosamente dietro il Quirinale quando si vuole opporre un rifiuto o di evocarlo quando si avanza qualche richiesta, il Presidente della Repubblica sarebbe costretto a un esercizio davvero arduo e preminente: smentire tutte le fake news, fabbricate, sovente, con esercizi particolarmente acrobatici. Faccio appello, dunque, alla professionalità dei giornalisti e alla loro etica professionale“.

Gaia Cautela

La Sardegna brucia: fiamme che hanno corso per 50 chilometri

Un’immagine da una delle zone devastate dell’incendio che sta bruciando gran parte della Sardegna (fonte: ansa.it)

«Uno dei più gravi disastri naturali mai accaduto in Sardegna». Così commenta il governatore della Regione, Christina Solinas, il mega incendio che sta devastando la Sardegna, nello specifico, le zone dell’Oristanese. Nessuna vittima, ma tantissimi gli sfollati, 1500 circa, che hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni e molti gli animali che, purtroppo, sono stati presi dalle fiamme.

Solo nelle ultimissime ore molti hanno potuto far ritorno nelle proprie case, ma i danni ambientali sono impressionanti.

Il presidente Solinas, comprendendo sin dalle prime ore la portata dell’emergenza, ha lanciato un primo appello al governo nazionale, perché si cerchi di inviare subito fondi del Pnrr per attuare al più presto un progetto di riforestazione delle zone colpite. In effetti, sono tanti, troppi gli ettari di terra bruciata in maniera devastante, ben 20mila. Gli incendi hanno distrutto boschi, oliveti, campi coltivati, aziende e case, e i Vigili del fuoco sono a lavoro da ormai da più di 60 ore.

 

Gli interventi, il lavoro di migliaia di soccorritori

Sul posto, sono a lavoro da sabato 7.500 persone per prestare soccorso e spegnere le fiamme, e 20 mezzi aerei, 7 canadair e 13 elicotteri. Nelle ore più critiche sono stati dirottati in Sardegna 5 canadair dalla Liguria e dal Lazio, in supporto ai tre stanziali a Olbia e ai 14 elicotteri di Regione, Vigili del fuoco ed esercito, le cui unità è stato difficile dislocare, per le tante zone in fiamme. Intervenuta anche la Croce Rossa con tanti suoi volontari che hanno prestato soccorso alle persone sfollate.

I Vigili del fuoco a lavoro da oltre 60 ore (fonte: ansa.it)

Secondo gli ultimi dati di stamattina, i soccorsi messi in campo dal Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, conta dieci squadre a terra, supportate da 5 canadair, che dalle ore 6:15 di stamane, 26 luglio, sono concentrati a Scano di Montiferro e a Tresnuraghes. Per una maggiore rapidità di risoluzione dell’emergenza, il Dipartimento della Protezione Civile ha attivato un modulo internazionale di cooperazione: due canadair dalla Francia e altri due provenienti dalla Grecia sono già atterrati ad Alghero alle ore 4:30 di stamattina, pronti ad operare sul territorio sardo.

Al momento stanno già operando, in tutto, 57 unità operative a terra, di cui 28 provenienti dai Comandi di Nuoro, Sassari e Cagliari e 29 del locale Comando di Oristano. A Tresnuraghes tre squadre hanno operato per tutta la notte nel contrasto al fronte del fuoco, e la loro attività ha permesso di salvaguardare due attività ricettive. A Scano di Montiferro il lavoro notturno delle squadre ha permesso di mettere sotto controllo il fronte del fuoco, che nella giornata di ieri aveva causato l’evacuazione di oltre 400 persone.

 

Il percorso delle fiamme lungo cinquanta chilometri

Tutto è partito, tra venerdì sera e sabato mattina, in una zona boscosa del massiccio del Montiferru. Ad alimentare le fiamme così tanto sono colpevoli vento e alte temperature, che hanno spinto queste fino ai centri abitati di Santu Lussurgiu e di Cuglieri, e, successivamente, a quello Sennariolo.

(fonte: ansa.it)

A dividere quest’ultimi due comuni pochi chilometri di distanza, quindi, inizialmente, gli abitanti di Cuglieri si erano rifugiati a Sennariolo per allontanarsi dai roghi, ma poche ore dopo avevano dovuto spostarsi di nuovo. L’incendio aveva infine raggiunto anche Porto Alabe, località turistica di mare dove circa 200 persone hanno dovuto lasciare le proprie case. Le fiamme hanno distrutto anche l’olivastro millenario “Sa Tanca Manna”, simbolo della città di Cuglieri.

Devastato il Montiferru, le fiamme si sono spostate dall’Oristanese all’Ogliastra, allungandosi per quasi 50 chilometri, soprattutto nella zona del Marghine e Planargia è arrivata la pioggia che potrebbe essere un decisivo aiuto ai soccorsi.

Purtroppo, nell’agosto del 1994, la zona del Montiferru era stata già colpita da un gravissimo incendio, risultato poi doloso, che aveva in gran parte distrutto i boschi di Seneghe, Bonarcado, Cuglieri, Santu Lussurgiu e Scano Montiferro.

Tra sabato e domenica, sono scoppiati altri incendi, ma di minore intensità, in altre zone della Sardegna, sia a Nord che a Sud, alimentati sempre dal forte vento degli ultimi giorni. In particolare a Ittiri, in provincia di Sassari, il fuoco ha distrutto oltre 150 ettari di campagna, ma non ha riguardato il centro abitato.

 

Le indagini sull’origine della catastrofe e gli ultimi aggiornamenti

(fonte: ansa.it)

Nelle prossime ore, si dovrebbe ufficialmente stabilire quale sia stata l’origine della catastrofe, soprattutto capire se di natura dolosa. Difficilissimo per chi si sta occupando dei sopralluoghi per l’ispezione avere una risposta in tempi più brevi.

Attualmente, l’ipotesi ritenuta più probabile dalla Regione è quella del ritrovare la causa di tutto in un incidente a Bonarcado: il 23 luglio un’automobile ha preso fuoco a causa di un incidente stradale e, poi il forte vento prima, Scirocco e successivamente Libeccio, avrebbe spinto le fiamme fino al vicino bosco. Questo primo rogo è stato spento, ma poco dopo, nella stessa zona, le fiamme sarebbero divampate di nuovo, sempre a causa delle correnti.

Oggi, 26 luglio, la Protezione Civile regionale della Sardegna ha pubblicato un nuovo bollettino di previsione, sul pericolo incendio. Le stime di pericolosità riguardano tutta la zona dell’Oristanese, il Montiferru, la Planargia. Parte del Nuorese, dove sono ancora attive le fiamme, è classificata come alta ed è scattato il “preallarme”. Codice arancione, ma con attenzione rinforzata, dalla Gallura al Campidano di Cagliari sino al Sulcis.

Intanto, si fanno i conti anche con il timore che l’origine dell’incendio possa essere davvero dolosa. Spesso, in estate, soprattutto le regioni del Sud sono vessate da incendi  in questo caso, sarebbe davvero dura metabolizzare l’idea che qualche sardo possa esser stato così incosciente da appiccare un incendio, poi sfuggito di mano, o che diverse persone possano aver sin dall’inizio pensato di appiccare più roghi contemporaneamente.

 

Rita Bonaccurso

Cyber spionaggio globale: un’inchiesta svela come i governi di tutto il mondo sorvegliano giornalisti, politici e dissidenti

Fonte: Huffington Post

Un’inchiesta giornalistica internazionale condotta da 17 grandi giornali – fra cui Washington Post (Stati Uniti), Guardian (Gran Bretagna) e Le Monde (Francia) – ha rivelato migliaia di spionaggi illegali di cellulari ai danni di giornalisti, attivisti, dirigenti d’azienda e oppositori politici in tutto il mondo.

Le rilevazioni sarebbero state effettuate mediante il software Pegasus di NSO, un’azienda israeliana in grado di vendere legittimamente a istituzioni internazionali riconosciute e governi (anche autoritari) sistemi per spiare le attività sugli smartphone di terroristi e altri criminali, tuttavia finendo col minare la privacy di soggetti che non rientravano nemmeno in indagini di polizia. Tra i Paesi che hanno fatto ricorso al software figurano l’Ungheria, Azerbaijan, Bahrain, India, Kazakistan, Messico, Marocco, Ruanda, Emirati Arabi. La società israeliana respinge le accuse.

L’inchiesta e i dati raccolti

L’inchiesta – soprannominata ‘’Pegasus Project’’ – è stata condotta grazie ad una collaborazione tra Amnesty International, un’organizzazione per la tutela dei diritti umani e Forbidden Stories, un’iniziativa giornalistica senza scopo di lucro con sede a Parigi.

Nei mesi scorsi le due organizzazioni sono infatti entrate in possesso di una lista di 50 mila numeri di telefono, individuati in paesi “noti per impegnarsi nella sorveglianza dei cittadini e noti anche per essere stati clienti dell’azienda israeliana NSO Group”, scrive il Washington Post.

I dati finora raccolti dagli esperti di sicurezza informatica del ‘’Security Lab’’ di Amnesty International hanno consentito di risalire a 67 smartphone sui quali fu tentata l’installazione dei sistemi di sorveglianza (spyware) di NSO. Si ritiene che gli attacchi siano andati a buon fine in 23 casi, mentre in altri 14 sono state trovate prove sul tentato inserimento di spyware. Per quel che riguarda i restanti 30 smartphone, invece, i test del laboratorio non hanno consentito di ottenere risultati affidabili, in parte perché, rispetto alla lista risalente al 2016, i dispositivi sono stati sostituiti nel corso degli anni.

Che cos’è il software Pegasus

Pegasus è un software militare le cui prime versioni furono sviluppate già diverse decine di anni fa da alcuni ex componenti dei sistemi di intelligence israeliani, attirando presto l’attenzione dei servizi segreti di vari paesi, interessati allo spionaggio di criminali e terroristi che tale sistema di spyware avrebbe consentito. Si tratta infatti di un malware in grado di infettare IPhone e smartphone Android, aggirando facilmente le difese e lasciando pochissime tracce degli attacchi.

Fonte: Il Post

Pegasus permette a chi lo usa di insinuarsi estraendo foto, registrazioni, e-mail, messaggi, dati relativi alla localizzazione, telefonate, password, post pubblicati sui social. Come se non bastasse, a rendere ulteriormente pericoloso e potenzialmente dannoso il programma è anche la possibilità di attivare telecamera e microfono degli smartphone, consentendo così anche rilevazioni ambientali.

Tale invasività spiegherebbe dunque il motivo per cui le attività di NSO e le capacità di Pegasus erano già state, negli anni scorsi, al centro di diverse altre inchieste giornalistiche, svelando come tali sistemi siano stati spesso utilizzati per scopi ben diversi dallo spionaggio contro il terrorismo e la criminalità.

La lista degli spiati

L’inchiesta ha permesso finora di risalire tramite i numeri di telefono presenti nella lista a un migliaio di persone in 50 paesi diversi: ad essere vittime di spionaggio 65 dirigenti di azienda, 85 attivisti per i diritti umani, 189 giornalisti e oltre 600 politici e funzionari governativi. Tra i giornalisti, nomi riconducibili ad alcune delle più grandi testate al mondo come New York Times, Wall Street Journal, Bloomberg News, Financial Times, Al Jazeera, CNN e Associated Press.

Nella lista figurerebbero tra l’altro anche i numeri di primi ministri e capi di stato, oltre che quelli di alcuni membri della famiglia reale saudita. Questi ultimi, in particolare, comparirebbero nell’elenco insieme ad altri 37 soggetti legati a titolo diverso all’omicidio del giornalista saudita del Washington Post Jamal Khashoggi, il quale condusse inchieste e scrisse editoriali molto duri nei confronti della stessa famiglia reale.

Al momento non si hanno molte informazioni circa la provenienza della lista (per tutelarne le fonti), né sono chiare le ragioni specifiche per cui tali soggetti siano stati spiati.

L’Ungheria nega le presunte attività di spionaggio

Stringendo lo sguardo all’Europa, dalle indagini emerge che il governo ungherese di Viktor Orbán potrebbe aver utilizzato la tecnologia di NSO nell’ambito della sua ‘’guerra ai media’’, prendendo di mira diversi giornalisti investigativi nel proprio Paese.

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán. Fonte: il Fatto Quotidiano

Ma la replica al Washington Post da parte dello staff del presidente è secca:

“In Ungheria gli organi statali autorizzati all’uso di strumenti sotto copertura sono monitorati regolarmente dalle istituzioni governative e non governative. Avete fatto la stessa domanda ai governi degli Stati Uniti, del Regno Unito, della Germania o della Francia?”.

L’intervento di Ursula von der Leyen

Durante una conferenza stampa a Praga, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen interviene con un commento sulla vicenda di spionaggio e l’uso improprio che sarebbe stato fatto del software Pegasus da alcuni Paesi, inclusa l’Ungheria:

“Deve essere verificato, ma se è così è completamente inaccettabile. Sarebbe contro qualsiasi regola: la libertà della stampa è uno dei valori fondamentali dell’Ue. Sarebbe assolutamente inaccettabile se fosse così”, ha detto.

Ursula von der Leyen. Fonte: La Repubblica

L’azienda israeliana respinge le accuse

La compagnia NSO «smentisce in pieno le accuse mosse nei suoi confronti» – si legge nel WP – giudicando come esagerati e privi di fondamento i risultati dell’inchiesta, e sottolineando che una volta consegnati i software ai clienti che ne fanno richiesta NSO ha un limitato controllo su scopi e modalità di utilizzo.

La società ha negato ogni coinvolgimento in attività contro Khashoggi e ha aggiunto che “continuerà a indagare” sulla base di tutte “le segnalazioni credibili di abuso” di Pegasus e “adotterà le azioni appropriate sulla base dei risultati di tali indagini“. Tali azioni comprendono anche “la chiusura del sistema di clienti” che abbiano agito in modo scorretto: NSO ha dimostrato di avere la capacità e la volontà di farlo, lo ha fatto più volte in passato e non esiterà a farlo ancora se una situazione lo richiede, la posizione dell’azienda riportata dal WP.

Gaia Cautela

In Francia è boom di prenotazioni per il vaccino dopo l’annuncio delle restrizioni per i non vaccinati: quasi un milione in poche ore

In Francia è subito corsa al vaccino: dopo il discorso in diretta tv, a reti unificate di Macron, quasi un milione di persone ha prenotato un appuntamento per vaccinarsi contro il coronavirus, nella notte fra lunedì e martedì.

Fonte: Il Messaggero

Nel messaggio di lunedì sera, rivolto alla nazione, il presidente francese ha infatti annunciato nuove restrizioni ai movimenti che riguarderanno soprattutto le persone non vaccinate, estendendo, a partire dal 21 luglio il green pass per accedere a luoghi pubblici, come ristoranti, centri commerciali, caffè e trasporti, e introducendo l’obbligo vaccinale per il personale sanitario. La decisione della Francia ha fatto nascere un dibattito sul tema in diversi Paesi, tra cui l’Italia e la Germania.

Green Pass e obbligo vaccinale

Da mercoledì 21 luglio, l’ingresso in diversi luoghi pubblici e privati come bar, musei, ristoranti e centri commerciali, sarà consentito esclusivamente a coloro che possiedono un certificato ‘’COVID-19’’, vale a dire a tutte quelle persone che saranno completamente vaccinate o risultate negative al virus tramite tampone antigenico o molecolare.
Macron ha spiegato che le misure restrittive si sono rese necessarie in seguito alla progressiva diffusione della variante Delta nel Paese:

“Al momento in cui vi parlo”, c’è una “forte ripresa” dell’epidemia legata al coronavirus che riguarda “tutte le nostre regioni”, ha spiegato il capo dell’Eliseo nel tanto atteso annuncio nazionale. ‘’Quando la scienza ci offre i mezzi per proteggerci, dobbiamo usarli con fiducia nella ragione e nel progresso’’, ha continuato, ‘’dobbiamo muoverci verso la vaccinazione di tutti i francesi, perché è l’unico modo per tornare alla vita normale’’.

Il discorso di Macron in diretta. Fonte: ANSA.it

La linea della Francia risulta essere molto chiara anche in merito al personale sanitario: il ministro della Salute francese, Olivier Véran, ha spiegato che chi non si sarà completamente vaccinato entro il 15 settembre non potrà più lavorare né verrà pagato. “Non è un ricatto”, ma una misura necessaria per evitare di “chiudere il Paese”, ha detto il ministro a Bfm-Tv.

La Francia è scettica sulle vaccinazioni

Nonostante l’indiscusso pericolo della sua contagiosità, la variante Delta non è l’unica ragione che motiverebbe la mossa di Macron, dal momento che quest’ultima ben si coniugherebbe con il basso tasso di persone vaccinate, inferiore a molti altri Paesi. La Francia sarebbe infatti considerata uno dei Paesi più scettici al mondo circa l’efficacia dei vaccini.

Una stima del ministero della Salute citata dal quotidiano francese Le Monde indica che al momento sono stati completamente vaccinati 27,3 milioni di francesi, quindi circa il 40% della popolazione complessiva; mentre il 53% ha ricevuto una singola dose del vaccino.
Dati decisamente migliori rispetto a quelli francesi sono riscontrabili in Germania, Spagna, Belgio ed anche in Italia, dove ad essere state completamente vaccinate sono il 45,01% delle persone e circa il 60% ad aver ricevuto almeno una dose.

Il boom di prenotazioni su Doctolib

Nonostante il forte scetticismo, il cosiddetto ‘’effetto Macron’’ ha sortito gli effetti sperati: dopo l’annuncio del presidente sono state registrate circa 20mila prenotazioni al minuto, tanto che Doctolib, la principale piattaforma per la prenotazione degli appuntamenti in autonomia, è andata ad un certo punto offline.

È stato il giorno in cui la Francia ha toccato il record assoluto di richieste di vaccinazioni dall’inizio della campagna, con un totale di 926 mila persone che si sono prenotate in quelle ore per il vaccino anti-Covid, di cui il 65% sotto i 35 anni, giovani che hanno positivamente accolto l’appello presidenziale con il timore di essere tagliati fuori dalla vita sociale.

La curva delle prenotazioni dei vaccini in Francia. Fonte: Huffpost

Secondo il capo di Doctolib, il numero di appuntamenti presi l’altro ieri sono:

“il doppio della giornata record dell′11 maggio e 5 volte in più rispetto a lunedì scorso. Abbiamo registrato sette milioni di connessioni in qualche minuto durante il discorso del presidente”. Il trend “proseguito durante la notte e che continua stamani. Ci sono ancora 100.000 appuntamenti disponibili questa mattina, in particolare, in alcuni grandi centri” della Francia. Per lui, “si crescerà presto a quattro, cinque milioni di iniezioni a settimana”. “In media – ha concluso – ci sono undici giorni tra la prenotazione e l’appuntamento, in questo modo, i francesi che hanno preso appuntamento ieri saranno integralmente vaccinati entro metà agosto o fine agosto”.

Le posizioni di Ue e Germania

Anche l’Ue è intervenuta sul tema obbligo vaccinale, la quale ha ribadito tramite portavoce:

le campagne vaccinali sono competenze nazionali, quindi se siano obbligatorie o meno è una decisione che spetta agli Stati membri”, ricordando in ogni caso l’importanza della vaccinazione come “via d’uscita dalla pandemia” e l’obiettivo dell’immunizzazione del “70% degli adulti”.

Per quel che riguarda invece la Germania, la cancelliera Angela Merkel ha ribadito di non stare programmando la resa obbligatoria della vaccinazione anti-Covid:

Non abbiamo intenzione di procedere sulla strada proposta dalla Francia. Abbiamo detto che non ci sarà un obbligo di vaccino”. La cancelliera ha poi però sottolineato che esiste la possibilità che vi siano nuove mutazioni anche più pericolose, ”già contro la variante Delta l’efficacia dei vaccini è un po’ più bassa”. Bisogna ”continuare a osservare la situazione” anche a livello globale – ha concluso- ricordando che ”finora le varianti sono arrivate in Germania da altri Paesi del mondo”.

Il ”modello Macron”: si accende il dibattito anche in Italia

Le strette francesi contro la variante hanno fatto accendere un dibattito tra favorevoli e contrari anche in Italia. Il modello Macron piace al commissario straordinario per l’emergenza coronavirus, generale Francesco Paolo Figliuolo, mentre incontra la forte opposizione del leader leghista Matteo Salvini.

Concordo con Macron sul fatto che la vaccinazione è una delle chiavi per il ritorno alla normalità. Per convincere gli ultimi irriducibili utilizzare il green pass per questo tipo di eventi potrebbe essere una buona soluzione. Potrebbe essere anche una spinta per la vaccinazione”, ha spiegato Figliuolo lunedì al Tg2 Post su RaiDue.

Il generale Figliuolo. Fonte: YouTG.NET

Continua poi dicendo:

“Dobbiamo raggiungere l’80% della popolazione vaccinata per la fine di settembre”, sottolineando “una serie di iniziative, pensiamo alle notte magiche, agli open day, open night, per avere vaccino senza prenotazioni”. “Siamo a 58 milioni di inoculazioni, intorno al 45% della popolazione – ha evidenziato – lo ritengo un dato importante, chiaramente non basta. Dobbiamo intercettare i cosiddetti indecisi, a livello europeo li chiamano esitanti“.

Gaia Cautela

Dalle prossime Politiche, i 18enni potranno votare per eleggere i senatori: arriva l’ok definitivo alla riforma

Fonte: Open

Scende da 25 a 18 anni l’età minima per partecipare al voto per l’elezione dei membri del Senato: a Palazzo Madama è stata approvata ieri, giovedì 8 luglio, la riforma costituzionale che attribuisce il voto ai 18enni, così soppiattando il vecchio vincolo stabilito dall’articolo 58 della Costituzione, che riservava questo diritto soltanto alle persone con più di 25 anni di età.

A partire dalle prossime elezioni politiche saranno, dunque, 4 milioni i giovani elettori che potranno votare anche per eleggere i senatori, oltre che per i rappresentanti della Camera.
Saltata, invece, l’ipotesi di abbassare l’età per essere eletti senatori, cosicché resta invariata la regola per la quale è richiesta un’età minima di 40 anni per essere candidati ed eventualmente eletti.

Prevista la modifica della Costituzione

Al primo comma dell’articolo 58 della Costituzione, le parole “dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età” sono soppresse.

E’ con questo breve testo che viene modificato l’articolo 58.

Il provvedimento per la modifica è stato approvato con 178 voti favorevoli, 15 contrari e 30 astensioni. Si è trattata della quarta lettura del provvedimento, conforme con le due precedenti della Camera, del 31 luglio 2019 e 9 giugno 2021, e con la prima del Senato del 9 settembre 2020.

L’entrata in vigore del provvedimento

Dal momento che il disegno di legge non aveva ottenuto il quorum di due terzi nella seconda votazione alla Camera, bisognerà attendere tre mesi prima dell’entrata in vigore, in modo tale da lasciare spazio ad un eventuale referendum confermativo.

In base all’articolo 138 della Costituzione, il referendum potrà essere richiesto da un quinto dei membri di una Camera o 500mila elettori o 5 consigli regionali. Nel caso in cui tale richiesta non verrà avanzata, la riforma entrerà comunque in vigore una volta trascorso l’arco di tempo stabilito.

Tutto è cominciato da una polemica in Commissione

A detta di Giuseppe Brescia del M5S, presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera e primo firmatario della proposta di legge costituzionale per il voto ai 18enni al Senato, tutto è nato da una polemica del 2019 con il Partito Democratico (Pd) – che ai tempi si trovava all’opposizione – sul taglio del numero dei parlamentari.

Giuseppe Brescia. Fonte: il Manifesto

Quando allora si discusse in prima lettura il testo sulla riduzione dei parlamentari, si riuscì infatti a trasformare gli scontri in azione costruttiva, concordando la presentazione di proposte di legge da affrontare separatamente in tempi veloci e con un doppio relatore, uno di maggioranza ed uno di opposizione al Governo, superando così quella linea di frattura impeditiva maggioranza-opposizione.

Le opinioni politiche a favore

L’approvazione della riforma ha immediatamente suscitato le varie reazioni politiche: il relatore Dario Parrini, presidente della Commissione degli Affari costituzionali del Senato, ha dichiarato che con la riforma le due Camere avranno la stessa base elettorale e, quindi, le stesse maggioranze politiche.

Il ministro M5s per i Rapporti con il Parlamento, Federico d’Incà, ha  commentato su Facebook che in questo modo si «favorisce la partecipazione delle nuove generazioni alla vita politica». Ha poi continuato scrivendo:

«Il voto di oggi testimonia anche che il metodo delle riforme puntuali, che ha già portato alla riduzione del numero dei parlamentari lo scorso settembre, non solo è efficace ma è anche utile ad approvare le riforme necessarie con larga maggioranza, come testimonia il voto di oggi del Senato».

Fonte: Cosmopolitan

Un commento è arrivato anche dalla Senatrice del Partito democratico, Valeria Fedeli:

«Con il via libera definitivo al ddl costituzionale che abbassare da 25 a 18 anni l’età dell’elettorato attivo per il Senato si compie un’importante passo, atteso da anni: finalmente le ragazze e i ragazzi che diventano maggiorenni saranno pienamente e attivamente coinvolti, attraverso il diritto di voto anche per il Senato, nella partecipazione alla vita democratica del nostro Paese».

L’astensione di Forza Italia

Su una linea opposta si trova invece Forza Italia che si è astenuta dal voto, come annunciato dal vicepresidente vicario dei senatori Lucio Malan:

«Forza Italia non si assocerà al coro pressoché unanime in favore di questa riforma. Noi abbiamo grande rispetto per i giovani ma anche per la serietà e i giovani non ci chiedono di votare per il Senato, chiedono invece serietà, più opportunità e meglio di altri respingono la politica dei like, di cui questa riforma è chiara espressione».

Il senatore, quindi, ha proseguito:

«Vorrei evidenziare che dopo la riduzione dei parlamentari, che noi abbiamo contrastato, bisognava porre subito mano ad una serie di riforme per far fronte agli squilibri che quella sbagliata riforma produrrà dalla prossima legislatura. Fu Zingaretti, allora segretario del Pd, tra i primi a dire che si sarebbe subito passati agli atti conseguenti. Nulla, non è accaduto nulla, se non questa legge che di fatto peggiora le cose».

Le parole del vicepresidente Malan troverebbero giustificazione in un’attenta analisi dei numeri della rappresentanza politica in seguito al taglio dei parlamentari, approvato con il referendum costituzionale del 20 e 21 settembre 2020: se con la riduzione del numero di parlamentari avremo un senatore ogni 233 mila elettori, con il voto ai 18enni il numero salirà ancor di più, arrivando a 260 mila e rendendo la proporzione meno favorevole. In questo modo, i giovani avranno molto meno potere nella scelta dei loro rappresentanti.

Gaia Cautela

Variante Delta: quarta ondata alle porte?

La variante Delta, anche conosciuta come B.1.617.2, è una delle varianti emergenti di Sars-Cov-2 ed appartiene ad un ceppo virale apparso per la prima volta in India.
Il virus ha causato oltre 400.000 casi al giorno, mostrando una moderata resistenza ai vaccini.
Due mesi dopo la comparsa, ha indetto una vera e propria terza ondata nel Regno Unito, costringendo il Governo a ritardare la riapertura.

  1. Le altre varianti
  2. Cosa caratterizza la variante Delta
  3. Diffusione globale
  4. Previsioni

Le altre varianti

La variante Alpha è stata identificata per la prima volta alla fine del 2020 nel Regno Unito. Essa mostrava una rapidità di diffusione che poi paradossalmente non si è rivelata tale negli altri Paesi. La variante Beta, di origine Sudafricana, e la variante Gamma, brasiliana.
A destare maggior preoccupazione sono le varianti Alpha e Delta.

Cosa la caratterizza?

E’ stato difficile per i ricercatori individuare le caratteristiche proprie della variante.
Attualmente la variante Delta sembra essere il 60% più trasmissibile rispetto alla Alpha, con il doppio della probabilità di essere ospedalizzati.
Risulta “moderatamente” resistente ai vaccini nelle persone che hanno ricevuto una singola dose del vaccino.
Uno studio, pubblicato il 22 maggio da “Public Health England”, mette in evidenza che una singola dose del vaccino AstraZeneca o Pfizer riduce del 33% il rischio di sviluppare sintomi COVID-19, mentre una seconda dose di AstraZeneca aumenta la protezione al 60%. Di contro, due dosi di vaccino Pfizer coprono al 90%, analoghi risultati con J&J e Moderna.

Da qualche tempo si parla del “mix di vaccini”. Ad oggi, sono presenti tre studi (uno inglese, uno tedesco ed uno spagnolo) che sostengono una migliore risposta anticorpale e secondo cui, con grande probabilità, permetterà di arginare l’impennata della variante nei prossimi mesi.

COVID: VARIANTE DELTA, CONTAGI in AUMENTO. Rischia anche l'ITALIA? Gli AGGIORNAMENTI » ILMETEO.it
Fonte: https://www.ilmeteo.it/

Diffusione globale

Un aumento crescente dei casi si registra negli Stati Uniti, in modo particolare nel Midwest e nel Sud-Est, tanto da essere definita “una variante di preoccupazione”. Utilizzando test di genotipizzazione rapida (che identifica sequenze geniche caratteristiche della variante) si è osservato che la percentuale di Alpha è scesa dal 70% al 42% cedendo il posto alla più temibile variante Delta.

Il rischio maggiore resta in Africa, dove il limitato accesso ai vaccini fa fatica a rallentare la forte impennata del virus. Diverse sequenze della variante sono state segnalate nella Repubblica Democratica del Congo traboccando negli ospedali della capitale. La medesima variante ha già raggiunto altri Paesi, soprattutto dell’Africa orientale, nonchè quelli che hanno stretto rapporti economici con l’India. La variante Delta in alcune zone, a seguito della fusione del ceppo indiano e sudafricano, si è trasformata nella variante Delta Plus ancora più virulenta.

Vede un aumento dei casi anche il Brasile, già impegnato a fronteggiare la variante gamma (brasiliana). In Italia, due sono le regioni in cui si è registrato il maggior numero di casi: Molise e Campania. In realtà, i dati suggeriscono che il 90% dei soggetti colpiti non sono vaccinati, mentre il 10% ha ricevuto solo la prima dose. Ad oggi la Sicilia conta una trentina di casi.

Ci si aspetta che la variante Delta diventi dominante, ma in qualche modo attenuata dalla vaccinazione.

ReggioTV - News - Variante Delta Italia, Iss: "Gran parte contagi tra non vaccinati"
Fonte: https://www.reggiotv.it/

Previsioni 

Ad oggi a preoccupare gli esperti è una possibile “quarta ondata” al termine dell’estate, così come quella a cui abbiamo assistito lo scorso settembre. In più, l’aggravante è data dalla estrema rapidità di diffusione della variante e dalla tendenza a prediligere adolescenti e giovani adulti. Non a caso ai ragazzi, parte viva della stagione estiva, non può che essere fortemente consigliata la vaccinazione.

Le riaperture economica e sociale non equivalgono al concetto di “virus scomparso”, ma sono solo un tentativo disperato di ri-sollevamento delle Regioni, di ripresa in mano della tanto agognata vita di tutti i giorni. La pandemia ha dato importanti implicazioni psicologiche nei soggetti più vulnerabili e non, in primis ragazzi, ma questo non implica l’essere autorizzati ad un comportamento sregolato.
Il virus non scompare, non segue l’alternanza di colori tra regioni, ma è sempre presente in misura più o meno maggiore. Il “non obbligo di mascherina nei luoghi aperti” non è sinonimo di metterla definitivamente da parte, ma si auspica il suo utilizzo in presenza di affollamenti.

Ecco che l’aumento delle temperature e le vaccinazioni tentano disperatamente di contenere l’incessante dilagare del virus, ma sta in primis all’uomo tenere le redini di questo cavallo in preda alla corsa!

Alessandra Nastasi

 

Fonti: https://www.medimagazine.it

Corte Suprema messicana: il consumo di marijuana sarà depenalizzato

Lunedì 28 giugno la Corte Suprema messicana ha ufficialmente depenalizzato il consumo di marijuana a scopo ricreativo. La decisione è arrivata dopo che otto degli undici membri del tribunale hanno giudicato incostituzionale una serie di articoli della legge messicana sulla marijuana che ne vietavano in precedenza il consumo.

Fonte: Il Primato Nazionale

La sentenza della Corte rappresenta un importante passo in avanti nella lotta al vasto impero del narcotraffico in territorio messicano, tanto che il presidente della Corte Arturo Zaldivar ha definito quella di ieri «una giornata storica per la libertà».

La Corte Suprema non mette fine al dibattito politico

Già da mesi si era aperto in Messico un ampio dibattito politico sul tema marijuana, dopo che una più ampia legge sulla depenalizzazione della vendita e del consumo della sostanza era rimasta bloccata in Senato: il 10 marzo la Camera dei Deputati aveva approvato il disegno di legge, allora in attesa di votazione al Senato, la quale maggioranza aveva tuttavia manifestato l’intenzione di rinviare la discussione finale a settembre. Questo perché la legge emanata dalla Camera dei Deputati ‘’conteneva incongruenze’’, come dichiarato dal coordinatore parlamentare del partito Morena al potere.

Diverse organizzazioni civili e studiosi hanno fatto notare che la decisione della Corte Suprema, seppur plaudita, non chiuderà definitivamente il dibattito, dal momento che la sentenza autorizza solamente alla coltivazione e al consumo di piccole quantità, senza dire niente in merito al possesso e al trasporto della marijuana.

“La decisione [della Corte Suprema] non pregiudica il quadro della giustizia penale e lascia un vuoto giuridico per quanto riguarda il consumo, la coltivazione e la distribuzione della cannabis”, ha dichiarato su Twitter l’ong (organizzazione non governativa) Mexico United Against Crime.

Anche Jorge Hernandez Tinajero – attivista per la regolamentazione della cannabis in Messico dagli anni ’90 – si esprime a riguardo, criticando l’incapacità dei legislatori nel ‘’regolare realtà’’ come il possesso e la commercializzazione della marijuana.

La sentenza del più alto organo legale del Paese farebbe dunque del Messico il paese più popolato al mondo a legalizzare il commercio e l’uso a scopo ricreativo della marijuana (fino a 28 grammi consentiti anziché i 5 attuali, secondo il testo di legge), solo se opportunamente integrata da una riforma come quella approvata dalla Camera bassa del Parlamento messicano lo scorso marzo – ha fatto notare il New York Times.

I cartelli della droga e la repressione dell’esercito messicano

Il principale motivo per cui quello della marijuana viene considerato uno dei maggiori temi caldi in Messico è legato alle implicazioni dei potentissimi cartelli della droga nella spirale di violenza nella quale è precipitato il Paese dal 2006, anno in cui era stata lanciata una controversa operazione militare antidroga dall’allora governo federale con a capo il presidente Felipe Calderon.

Secondo un’analisi condotta nel 2020 dall’Agenzia del Congresso degli Stati Uniti per le ricerche, la guerra dell’esercito messicano contro i cartelli della droga ha causato circa 150 mila morti dall’anno in cui ha avuto inizio la repressione e circa 72 mila messicani scomparsi. Cosicché nel 2020 sono ben 35.484 gli omicidi che è stato possibile ricondurre ai cartelli della droga.

Guerra messicana della droga. Fonte: Wikipedia

Un percorso di legalizzazione senza precedenti

Il potenziale della legalizzazione della cannabis contro lo strapotere dei narcos (narcotrafficanti dell’America latina) è dimostrato dal calo fino al 30% degli introiti dei cartelli messicani – secondo quanto stimato dalla Rand Corporation – così come anche dalla diminuzione di sequestri di marijuana al confine tra Messico e Stati Uniti, in seguito alla graduale autorizzazione negli ultimi decenni del commercio e dell’uso della canapa, anche a scopo ricreativo, in 15 Stati degli Stati Uniti.

Fonte: BBC

Il percorso nella legalizzazione delle droghe leggere in Messico rappresenta un precedente nel mondo anche grazie ad un inedito a livello costituzionale: una sentenza della Corte Suprema del 2015, confermata nel 2018, ha accolto il ricorso sul “diritto al libero sviluppo della personalità in base alla dottrina costituzionale” della Sociedad Mexicana de Autoconsumo Responsable y Tolerante. In tal modo, i giudici messicani hanno riconosciuto il diritto fondamentale alla libertà personale nell’uso della cannabis come primaria argomentazione rispetto al dibattito sulla salute pubblica e sulle ripercussioni sociali del divieto.

Effetti della stretta sulla droga in Italia

Le reti del traffico di droga vanno ben oltre l’America Latina, con un potere e un mercato delle mafie esteso pressoché in tutto il mondo e con importanti ripercussioni sullo sviluppo delle società e delle loro economie legali.

In Italia, ad esempio, gli affari delle mafie si intrecciano con quelli dei narcos che, contrariamente a tutti i buoni propositi che si intenderebbe promuovere con la stretta sulla droga, finiscono invece con l’essere sempre più rafforzati da quest’ultima.

Emblematico a riguardo, l’applicazione della legge Fini-Giovanardi con la quale, tra il 2006 e il 2014, era stata abolita la distinzione tra droghe leggere e pesanti, provocando un aumento di carcerati tossicodipendenti e di spacciatori che vendevano in strada eroina e droghe sintetiche. Motivo per cui il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho avrebbe in più occasioni dichiarato che la legalizzazione delle droghe leggere “sottrarrebbe terreno al traffico internazionale” permettendo alla magistratura italiana di “concentrarsi sul livello alto delle organizzazioni criminali”.

Gaia Cautela

La variante Delta fa scoppiare rilevanti focolai nel mondo. Le ultime notizie dal mondo

La variante Delta fa salire i contagi in tutto il mondo. Da settimane è al centro dell’attenzione per la sua maggiore contagiosità. Identificata per la prima volta negli Stati Uniti a marzo, è attualmente la più diffusa in India e nel Regno Unito ( con oltre il 90% dei contagi), ma se ne conosce la presenza in almeno 80 Paesi del Mondo. In queste ultime ore sono stati rilevati dei focolai, per i quali le autorità stanno pensando alle misure più idonee per tener sotto controllo la situazione generale.

 

L’Australia sceglie di nuovo la linea più rigida

(fonte: globalist.it)

Al momento è l’Australia a procedere con l’imposizione di misure più stringenti. A Sydney, 128 i casi di coronavirus legati alla variante.  Per questo motivo sono state subito introdotte due settimane di lockdown, in un primo momento solo per quattro distretti, poi per tutta la città. Le nuove regole per i 5 milioni di cittadini saranno in vigore fino al 9 luglio.

Ricordiamo che tutto il Paese ha adottato una linea rigida fin dall’inizio della pandemia, rapide chiusure e distanziamento sociale. Questa scelta si è dimostrata vincente e migliore rispetto a quella adottata in altre parti del mondo: in Australia ci sono, infatti, stati solo 910 decessi e meno di 30 mila casi su una popolazione di 25 milioni di persone.

Ora, la rapida crescita dei numeri ha convinto anche le autorità del Nuovo Galles a procedere con le massime restrizioni possibili.

Uno dei focolai più grandi sarebbe stato individuato in un salone di parrucchiere, frequentato da circa 900 clienti mentre alcuni dipendenti erano infetti. A tutti è stato chiesto di sottoporsi a tampone.

Tra questi «superdiffusori», positivi con un alta carica virale, ci sarebbe anche chi è andato una festa di compleanno di un bambino nello scorso fine settimana, dalla quale sono stati almeno 17 i partecipanti risultati positivi, giovedì sera.

«Anche se non vogliamo imporre oneri a meno che non sia assolutamente necessario, purtroppo questa è una situazione in cui dobbiamo», ha affermato il governatore dello stato del Nuovo Galles Gladys Berejiklian.

A dare la notizia del dilagare della variante Delta nel continente australiano è stata la BBC, dalla quale apprendiamo che i contagi sono cresciuti anche nei Territori del Nord, nel Queensland e nell’Australia occidentale.

Brisbane, Darwin e Perth irrigidiscono le misure. A Darwin, capitale del Territorio del Nord dell’Australia, da ieri è scattato un lockdown di 48 ore, poi prorogato fino a venerdì per il rilevamento di un focolaio in una miniera d’oro, di cui per ora si sa essere 7 i contagi, mentre a Brisbane sono stati imposti dei limiti agli assembramenti nei luoghi pubblici.  

Nella giornata di oggi si terrà un incontro tra i leader dei vari Stati australiani e il premier Scott Morrison per capire meglio cosa fare per tenere sotto controllo la situazione.

In seguito a ciò che sta avvenendo, la Nuova Zelanda ha sospeso la “bolla di viaggio” per l’Australia: dal 19 aprile scorso i viaggiatori provenienti dall’Australia potevano visitare la Nuova Zelanda senza doversi sottoporre a un periodo di quarantena.

Un maxi focolaio per festeggiare la maturità

Esploso un maxi focolaio a Maiorca, a causa di un grosso numero di ragazzi lì sbarcati per festeggiare la maturità. Ben 850 i giovani positivi. Tutti i casi legati sono lievi e per nessuno è stato necessario il ricovero in ospedale. Non è stato rilevato alcun contagiato tra i lavoratori degli alberghi dove hanno soggiornato i giovani risultati positivi. 

Un’immagine degli assembramenti tra i giovani studenti (fonte: ilcorriere.it)

Per questa galeotta settimana dal 12 al 20 giugno, per altri 3mila ragazzi è scattata la quarantena sull’isola. Inoltre, altri 268 studenti spagnoli possono aver avuto contatti diretti o indiretti con i loro coetanei già rincasati e risultati positivi. In 175 sono stati portati al Covid hotel di Maiorca.

Il maggior numero di positivi, dovuti al caso dell’isola, è stato registrato a Madrid, dove il Ministero della Salute ha segnalato circa 250 casi confermati e più di 450 contatti isolati tra partner di giovani risultati positivi.

Nei Paesi Baschi sono stati rilevati circa 50 positivi tra gli studenti. Il bilancio della città di Valencia è di 32 studenti contagiati.

Secondo El Pais, sebbene le Isole Baleari richiedano test molecolari o test antigenici negativi all’ingresso delle isole per i viaggiatori provenienti dalla maggior parte delle regioni autonome, lo stesso non vale per i turisti che provengono da Comunidad Valenciana, Murcia, Galicia, Extremadura, Ceuta e Melilla, esonerati dai controlli. In queste aree i bollettini medici segnalano meno di 50 casi ogni 100.000 abitanti negli ultimi 15 giorni.

(fonte: ilmessagero.it)

Probabilmente tutto ciò si sarebbe potuto evitare. Responsabile del maxi focolaio i mancati controlli. Gli organizzatori degli eventi in programma per i giovani in arrivo sono accusati per mancato rispetto delle misure anti-Covid, pattuite in accordi con le autorità dell’isola, prima dell’arrivo dei giovani, i quali era previsto che stessero seduti, distanziati e con la mascherina durante gli eventi. Ma i video di quei giorni, postati sui social, hanno ritratto una storia diversa: i ragazzi erano accalcati sotto il palco, in piedi, e quasi nessuno indossava la mascherina.

 

Rita Bonaccurso

Processo Floyd: condannato a 22 anni e mezzo di carcere l’ex agente Chauvin. Biden: «Sentenza appropriata»

Condannato a 22 anni e mezzo di carcere Derek Chauvin, l’ex agente di polizia 45enne ritenuto responsabile dell’uccisione dell’afroamericano George Floyd, durante l’arresto, il 25 maggio del 2020 , a Minneapolis, in Minnesota. L’avvenimento provocò l’esplosione su scala globale del movimento antirazzista “Black Lives Matter’’.

Fonte: Huffington Post

La decisione è arrivata dopo che lo scorso 20 aprile, Chauvin era stato ritenuto colpevole dalla giuria popolare per tutti e tre i capi di accusa: «omicidio di 2° grado», cioè colposo, ma con il presupposto di un’aggressione o un assalto contro la persona; «omicidio di 3° grado», per condotta pericolosa e negligente; «omicidio preterintenzionale». Il giudice aveva allora annunciato 8 settimane di attesa per stabilire la pena.

La sentenza del giudice

«Sono solidale con il dolore della famiglia Floyd, ma la mia decisione non si basa sulle emozioni e non intende mandare un messaggio di tipo politico»,

precisa il giudice Peter Cahill in un’insolita premessa alla lettura della sentenza e spiegando inoltre che alla decisione è allegato un memorandum di 22 pagine con le motivazioni.

L’ex agente Derek Chavin. Fonte: Il Fatto Quotidiano

Cahill ha richiamato le linee guida del codice penale del Minnesota, per le quali sono previsti tra i 12 e i 15 anni di reclusione per l’omicidio di secondo grado, il reato più grave (le pene non sono cumulabili). Il magistrato ha poi aggiunto il carico di quattro aggravanti, tra le quali l’«abuso dell’autorità», arrivando al risultato finale di 22 anni e 6 mesi.

La sentenza del giudice della Contea di Hennepin ha incontrato la delusione dei parenti di Floyd e del mondo dell’attivismo per i diritti, in quanto l’accusa aveva chiesto 30 anni di carcere per Derek Chauvin.
Il pubblico ministero Matthew Frank spiega perché:

«Non è stato uno sparo momentaneo, un pugno in faccia. Sono stati 9 minuti di crudeltà verso un uomo che era impotente e stava solo implorando per la sua vita».

Gli interventi della famiglia Floyd e dell’imputato

Durante l’udienza di ieri non è mancato lo spazio agli interventi delle parti, prima che venisse comunicata la sentenza: sono stati ascoltati i cari di Floyd e lo stesso imputato Chauvin, che con voce tremante e palesemente scosso ha espresso le condoglianze alla famiglia Floyd.

Questo il commento rilasciato dalla sorella di George, Bridgett Floyd:

«La sentenza emessa oggi nei confronti dell’ufficiale di polizia di Minneapolis che ha ucciso mio fratello George Floyd mostra che le questioni relative alla brutalità della polizia vengono finalmente prese sul serio. Tuttavia, abbiamo una lunga strada da percorrere e molti cambiamenti da apportare prima che i neri si sentano finalmente trattati in modo equo e umano dalle forze dell’ordine in questo Paese».

Bridgett Floyd. Fonte: Audacy

Non ha avuto «nessun riguardo per la vita umana, per la vita di mia fratello», ha detto, invece, il fratello, Philonise Floyd, chiedendo al giudice di assicurarsi che Chauvin non possa uscire dal carcere prima di aver scontato tutta la sua pena.

Ma il momento più toccante è stato senz’altro quando Gianna, la figlia di 7 anni di George Floyd, è intervenuta tramite collegamento video con l’aula del tribunale: «Gli direi che mi manca e che gli voglio bene». A chi le chiedeva cosa farebbe se potesse vedere di nuovo suo padre ha risposto: «Voglio giocare con lui».

Il commento di Biden

Mentre stava parlando con i giornalisti alla Casa Bianca – in attesa dell’incontro con il presidente dell’Afghanistan – anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha espresso la sua opinione in merito alla condanna dell’ex poliziotto, dichiarando che «la sentenza sembra appropriata», pur comunque aggiungendo di non conoscere tutti i dettagli.

Un mondo unito in protesta

L’ingiustizia razziale è un problema mondiale (e non solo americano) che esiste da tempo, cosicché l’uccisione di Floyd ha rappresentato un solo sintomo di un problema più grande che sottende alle morti di tanti altri neri, dei quali gli ultimi minuti di vita non sono stati però ripresi da un video, a differenza di Floyd: dai 164 neri uccisi dalla polizia statunitense nei primi otto mesi del 2020 all’omicidio dell’infermiera di 26 anni Breonna Taylor, uccisa in casa il 13 marzo 2020 con un colpo d’arma da fuoco.

Fonte: Il Post

Nel Regno Unito le proteste hanno dilagato in tutto il Paese, con manifestazioni che hanno innalzato cartelli con i nomi di Joy Gardner, Sean Rigg o Mark Duggan, tutte vittime di razzismo. In Francia il movimento per la giustizia razziale trova espressione nel volto di Assa Traoré, il cui fratello è morto in circostanze simili a quelle di Floyd.

Vedere riconosciuta l’esistenza del razzismo e la possibilità di esprimere liberamente il proprio sostegno alla protesta – senza preoccuparsi di conseguenze quali la perdita di lavoro o la manipolazione – sono fonte di profondo sollievo per i neri: agli US Open di settembre la tennista nera giapponese Naomi Osaka ha indossato mascherine con stampati i nomi delle vittime della polizia. E come lei, tante altre celebrità si sono unite alle voci della protesta quali l’attore di Star Wars John Boyega e il quarterback di football americano Colin Kaepernick.
Ma la strada per lo smantellamento delle strutture oppressive e per il raggiungimento di una società scevra di ingiustizie e pregiudizi è ancora molto lunga.

Atteso il processo degli altri tre poliziotti coinvolti

La sentenza per Chauvin non chiuderà il caso Floyd, mancando ancora da processare gli altri tre ex agenti – Thomas Lane, J. Alexander Kueng e Tou Thao, incriminati per la morte di Floyd con l’accusa di averne facilitato l’omicidio. Lane e Kueng avevano infatti aiutato Chauvin a tenere Floyd a terra, mentre Thao aveva assistito senza far nulla per fermarli. Il loro processo dovrebbe iniziare ad agosto.

Gaia Cautela

Carcere ai giornalisti: la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità della pena detentiva

Durante la seduta del 22 giugno, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 13 della legge n.47 del 1948, la cosiddetta “Legge sulla stampa”. Il disposto prevedeva l’obbligo di pena detentiva da uno a sei anni ed il pagamento di una multa per i giornalisti condannati per diffamazione commessa a mezzo stampa. Ad affermarlo, il comunicato stampa rilasciato da Palazzo della Consulta subito dopo la fine della seduta del 22 giugno.

Le questioni sottoposte al vaglio Costituzionale

La Corte Costituzionale ha discusso sulle questioni di legittimità sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari circa l’art.13 della suddetta legge e circa l’art.595, comma tre, del Codice Penale, che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa.

(fonte: giornalismocostruttivo.com)

I Tribunali avevano sollevato le questioni di legittimità sulla base degli artt. 3212527 Cost. e art. 117, c. 1 Cost. in relazione all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Sono poi stati addotti ulteriori profili:

  • per violazione degli artt. 3 e 21 Cost., in quanto «manifestamente irragionevole e totalmente sproporzionata rispetto alla libertà di manifestazione di pensiero, anche nella forma del diritto di cronaca giornalistica, fondamentale diritto costituzionalmente garantito dall’art. 21 Cost., la cui tutela, in assenza di contrari interessi giuridici interni prevalenti, non può che essere favorevolmente estesa nelle forme stabilite dalla giurisprudenza della Corte EDU, eliminando così, salvi i “casi eccezionali”, anche la mera comminazione di qualunque pena detentiva»;
  • per violazione del principio di offensività, desumibile dall’art. 25 Cost., «in quanto totalmente sproporzionata, irragionevole e non necessaria rispetto al bene giuridico tutelato dalle norme incriminatrici in questione, ovvero il rispetto della reputazione personale»;
  • per contrasto con la funzione rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., perché la sanzione detentiva sarebbe inidonea a garantire il pieno rispetto della funzione generalpreventiva e specialpreventiva della pena stessa»; essendo sproporzionata ai principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU, risulterebbe in concreto inapplicabile e, perciò, inidonea a orientare la condotta sia della generalità dei consociati, sia del singolo giornalista.

La sentenza della Corte ed il suo iter

Quanto alla decisione, i giudici hanno dichiarato l’incostituzionalità dell’art.13 della L. 47/1948 facendo salvo, invece, l’art. 595, comma tre, del Codice Penale, affermando che «quest’ultima norma consente infatti al giudice di sanzionare con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità».

Ma le questioni erano state discusse dalla Corte ancor prima della giornata di ieri e, più precisamente nella seduta del 9 giugno 2020. Dal comunicato stampa di allora risaltava un esempio di «incostituzionalità prospettata», espediente utilizzato in precedenza nel processo Cappato. In particolare, con questo espediente la Corte lascia intendere l’incostituzionalità della norma in questione concedendo però al Parlamento un certo margine di tempo per ovviarvi.

(fonte: stamparomana.it)

Anche in questo caso, l’ordinanza successiva alla seduta del giugno 2020 aveva sancito la necessità di un intervento legislativo che introducesse una «complessa operazione di bilanciamento tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione della persona, diritti entrambi di importanza centrale nell’ordinamento costituzionale». Ribadendo, poi, l’orientamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha condannato l’Italia ben quattro volte negli ultimi quindici anni per l’incompatibilità delle pene detentive per i reati di diffamazione a mezzo stampa con la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

L’art.10 della Convenzione fa salvo il disposto dell’art.13 della legge del ’48 soltanto in casi eccezionali, vale a dire quelli di grave lesione di altri diritti fondamentali, come ad esempio nel caso di diffusione di discorsi d’odio o di istigazione alla violenza. E secondo questo orientamento si è pronunciata anche la nostra Corte Costituzionale.

Legge di riforma sulla stampa, ma quando?

Dall’ordinanza della Corte Costituzionale di giugno 2020, il Parlamento non ha ancora emanato una legge di riforma. Il ddl Caliendo in materia di diffamazione a mezzo stampa – tra l’altro aspramente criticato dall’Ordine dei Giornalisti così come da FNSI e FIEG (federazioni legate all’Ordine dei Giornalisti) – ha iniziato il suo iter nel 2018 e giace presso la Commissione permanente di Giustizia da luglio 2020. In sostanza, l’iter rimane lento e travagliato nonostante le numerose sollecitazioni della Corte Costituzionale sia nell’ordinanza 2020 che in quella del 2021.

 

Valeria Bonaccorso