Facebook diventa ‘Meta’ e punta alla realtà virtuale. Grandi novità per il colosso dei social

(fonte: ilpost.it)

 

Facebook ha cambiato nome, da oggi è ‘Meta’. L’annuncio è arrivato nella giornata di ieri, 28 Ottobre, durante la conferenza annuale “Connect”. “C’è un’altra cosa di cui voglio parlare con voi oggi” ha esordito Mark Zuckerberg. “In questo momento, il nostro brand è così strettamente legato a un prodotto che non può assolutamente rappresentare tutto ciò che stiamo facendo oggi, figuriamoci in futuro. La nostra mission rimane la stessa, ma ora abbiamo una nuova stella polare: portare in vita il Metaverso”.

Ma attenzione perché a cambiare nome è la società Facebook Inc. e non il social network che con il rebrand diventa quindi uno dei prodotti controllati dalla società.

 

“Il metaverso sarà il successore di Internet mobile”

 

Mark Zuckerberg (fonte: Forbes Italia)

 

Il cambio del nome arriva in un momento difficile per la galassia Zuckerberg, dopo il blackout costato oltre 6 miliardi e le accuse lanciate dalla ex dipendente France Haugen riguardo i presunti rischi per i più giovani e per la democrazia. “Oggi siamo visti come una società di social media” ha spiegato Zuckerberg nel corso della conferenza, “ma nel nostro Dna siamo un’azienda che costruisce tecnologia per connettere le persone e il metaverso è la prossima frontiera proprio come lo era il social networking quando abbiamo iniziato”.

 

Mark Zuckerberg (Fonte: Wired)

 

 

Il metaverso spiegato da Zuckerberg

“Lo chiamiamo metaverso e toccherà ogni prodotto che costruiamo” scrive Zuckerberg in un lungo post pubblicato proprio su Facebook. “In futuro saremo in grado di trasportarci istantaneamente come un ologramma per essere in ufficio senza fare il pendolare o ad un concerto con gli amici”.

Nel metaverso saremo quindi in grado di fare quasi tutto ciò che finora ci limitiamo ad immaginare; potremo vivere esperienze che trascendono la realtà. Il metaverso consentirà agli utenti di sentirsi in presenza di qualcun altro, come se realmente si trovasse in sua compagnia. “Sentirsi veramente presenti con un’altra persona è l’ultimo sogno della tecnologia sociale. Ecco perché ci concentriamo sulla concezione di questo”.

L’obiettivo del fondatore e CEO di Facebook è che il metaverso nei prossimi 10 anni raggiunga 1 miliardo di persone, ospiti centinaia di miliardi di dollari di eCommerce e supporti posti di lavoro per milioni di creatori e sviluppatori.

“Si tratta di rendere migliore il tempo che già trascorriamo”

 

Nuovo ticker dal 1° dicembre

Facebook dal 1° dicembre sarà scambiata a Wall Street con il nuovo ticker ‘MVRS’. Il nuovo ticker, codice utilizzato per identificare in modo univoco le azioni di un determinata azienda quotata in borsa, risponde al cambio di nome della società in ‘Meta’ per riflettere il ruolo centrale del metaverso. Intanto l’annuncio come primo effetto ha avuto quello di mettere le ali ai titoli della società di Zuckerberg in Borsa, dove è arrivata a guadagnare il 4,3%.

“Non costruiamo servizi per fare soldi; facciamo soldi per costruire servizi migliori”

Facebook sulle orme di Google

Facebook non è la prima grande azienda a cambiare nome. Già nel 2015 Google si era svincolata dal solo motore di ricerca, riorganizzandosi in Alphanet, una holding nella quale ricadono tutte le varie attività aziendali. A seguire anche Snapchat aveva cambiato nome in Snap Inc. nel 2016. E ora Facebook Inc che con il nome ‘Meta’ inaugura una nuova stagione per portare in vita il Metaverso.

 

Elidia Trifirò

 

 

 

 

 

Colpo di Stato in Sudan: l’esercito arresta il primo ministro e spara alla folla

È stato messo in atto, lunedì 25 ottobre, un colpo di Stato in Sudan. Artefici del golpe alcuni generali militari che hanno arrestato il primo ministro sudanese, Abdalla Hamdok, il ministro dell’Industria, Ibrahim al Sheikh, il ministro dell’informazione, Hamza Baloul e uno dei consiglieri del primo ministro, Faisal Mohammed Saleh. Successivamente al loro arresto, il generale a capo dell’operazione, Abdel Fattah al-Burhan, ha affermato che la presa di potere da parte dei militari è la conseguenza di una seria crisi che ha portato a una continua instabilità politica. Al-Burhan ha, inoltre, dichiarato lo scioglimento del Consiglio Sovrano e degli organi locali, insieme allo scioglimento del governo. Al loro posto, un consiglio militare che governerà nel Paese fino all’estate del 2023. Il Consiglio Sovrano del Sudan è l’organo collettivo civile e militare che ha sostituito, nel 2019, il Consiglio Militare di Transizione, ponendo fine al governo trentennale del dittatore Omar al-Bashir (che si trova attualmente in prigione). A capo del Consiglio Sovrano c’era proprio il generale al-Burhan ed era stato il Consiglio stesso a scegliere Hamdok come primo ministro. Al-Burhan continua il suo intervento affermando che i militari “continueranno la transizione democratica del paese”.

Il generale al-Burhan, al centro (fonte Ilpost.it)

La democratizzazione mancata

Il principale obiettivo della rivoluzione sudanese del 2019, che ha rovesciato la dittatura di al-Bashir, era quello di avviare e portare a compimento un delicato processo di democratizzazione nel paese africano. Alla base del processo c’era un’alleanza tra civili rivoluzionari e militari dell’ex regime. I rapporti tra le due parti erano molto instabili: da un lato i civili rivoluzionari, desiderosi di democrazia, dall’altro i carnefici a capo dell’ex dittatura. In merito alla questione era intervenuto anche il primo ministro, Hamdok, che l’aveva definita “alleanza paradossale”. Con l’arresto di quest’ultimo, i militari hanno posto fine al paradosso.

Come succede per ogni colpo di Stato, anche in Sudan gli attentatori hanno cercato di rendere impossibile qualsiasi forma di comunicazione, interrompendo le trasmissioni televisive e bloccando l’accesso a Internet. Le uniche emittenti attive erano quelle musicali che trasmettevano canzoni popolari nazionaliste. Il popolo sudanese non è però rimasto a guardare. Le ultime parole pubbliche di Hamdok sono state:

“Andate in piazza, non permettete ai nemici della democrazia di uccidere la rivoluzione del popolo”

In migliaia hanno seguito le sue parole, occupando le strade delle città sudanesi di Karthoum e Omdurman per arrivare al quartier generale dell’esercito e manifestare contro i militari. L’esercito ha però risposto sparando contro la folla che invocava la democrazia e la libertà, causando sette vittime e circa 140 feriti.

La manifestazione in Sudan (fonte globalist.it)

Il popolo diviso e le parole del ministro Yusif

La manifestazione del 25 non è stata la sola e unica. Nei giorni precedenti, migliaia di persone avevano protestato, a Khartoum, invocando l’istaurazione di un regime militare che secondo loro avrebbe posto fine alla crisi politica e economica nella quale il Paese si trova da anni. La situazione si è aggravata, appunto, proprio nel 2019, in seguito alla fine della dittatura di Bashir. I civili che avevano guidato le proteste contro Bashir, due anni fa, arrivarono a un accordo con i militari. L’accordo prevedeva la formazione di un nuovo governo, composto da civili e militari, e presieduto da Hamdok. Nonostante i buoni propositi, però, l’alleanza non ha dato i risultati sperati e la situazione di crisi è degenerata ancor di più.

Ad esprimersi in merito alla situazione è stato anche il ministro per gli Affari, Khalid Omer Yusif, che si trova, per il momento, agli arresti domiciliari. Yusif ha così commentato l’arresto di Hamdok:

“Hamdok non rassegnerà mai le dimissioni per lasciare la guida del Paese ai generali. Il suo è un atto di coraggio che non può rimanere inascoltato”.

Yusif  ha inoltre aggiunto che:

“Solo pochi giorni fa il golpe in corso era previsto, le avvisaglie erano chiare. I militari stanno utilizzando la profonda crisi economica e il malcontento di una parte della popolazione sofferente per creare il caos e soffocare la transizione democratica civile”.

Beatrice Galati

Tragedia sul set di ‘’Rust’’: Alec Baldwin spara ed uccide una donna. Nuovi dettagli sull’incidente

Giovedì 21 ottobre, Santa Fe, New Mexico: si consuma la tragedia sul set del film western ‘’Rust’’ – nel bel mezzo di prove con una pistola scenica – che ha visto coinvolto l’attore americano Alec Baldwin in un incidente fatale, costato la vita alla direttrice della fotografia del film e alcune ferite al regista.

Fonte: Sky TG24

Sono già passati diversi giorni dal tragico evento, ma dopo una prima ricostruzione della polizia locale – che suggerisce l’ipotesi di un mero incidente – nelle ultime ore, sono giunte nuove informazioni, che potrebbero dare un risvolto all’inchiesta. Dietro la tragedia si nasconderebbe, infatti, una catena di errori e tensioni, oltre al passato controverso di un membro della troupe.

Sospese le riprese del film (che sarebbero dovute terminare a novembre) almeno fino alla fine delle indagini.

Una prima ricostruzione della tragedia

Secondo le prime ricostruzioni, l’incidente è avvenuto verso le due del pomeriggio al Bonanza Creek Ranch, durante le riprese di alcune scene del film western “Rust”, di cui Baldwin è protagonista e co-produttore, insieme al regista Joel Souza.

Baldwin si stava esercitando prima di un ciak ad estrarre un’arma dalla fondina, quando, inaspettatamente, parte il colpo di un vero proiettile, mentre la pistola veniva puntata sulla telecamera. Nelle immediate vicinanze si trovavano la direttrice della fotografia 42enne Halyna Hutchins e Joel Souza, appena dietro di lei.

La direttrice della fotografia Halyna Hutchins e Joel Souza. Fonte: Ck12 Giornale

Il regista, rimasto ferito alla spalla dal colpo di pistola, è stato portato in ospedale e dimesso quella sera stessa. Tuttavia, non c’è stato niente da fare per Halyna Hutchins, ferita gravemente al petto e morta poco dopo in ospedale.

Souza ha raccontato di aver sentito “come il rumore di una frusta” e quindi “un forte colpo”, secondo quanto riportato da Reuters. Continua poi dicendo di ricordare la Hutchins cominciare alamentarsi di un dolore al petto e allo stomaco, oltre a dire di non sentire più le sue gambe.

Baldwin rammaricato e le dinamiche del colpo d’arma

“È stato un incidente, è stato un incidente”, alcune immagini del quotidiano locale mostrano un Baldwin sotto shock e in lacrime sul ciglio della strada all’uscita dell’ufficio dello sceriffo, poco dopo l’accaduto.
L’attore 68enne si era recato spontaneamente dalla polizia per rispondere a domande e fornire chiarimenti:

“Il mio cuore è spezzato – scrive l’attore sui social – Non ho parole per esprimere il mio shock e la mia tristezza per il tragico incidente che ha tolto la vita a Halyna Hutchins, moglie, madre e nostra collega profondamente ammirata”.

Alec Baldwin interrogato dopo la tragedia. Fonte: Tag43

Baldwin non era a conoscenza del fatto di stare utilizzando un’arma caricata con proiettili veri, nessuno è stato infatti accusato o arrestato fino a questo momento, anche se la polizia ha ritenuto necessarie indagini più approfondite sui fatti.

Baldwin avrebbe utilizzato un’arma che gli era stata consegnata dall’assistente alla regia David Halls, il quale aveva urlato ‘’cold gun’’ (letteralmente ‘’pistola fredda’’, termine molto utilizzato nel gergo cinematografico) per segnalare che la pistola potesse essere maneggiata in modo sicuro essendo scarica. Ma poco dopo l’incidente avrebbe rivelato tutto il contrario.

Accuse di negligenza contro l’aiuto regista

La società di produzione non si capacita di come un’arma che doveva essere caricata a salve (le cartucce a salve contengono polvere da sparo che produce una fiammata ma il proiettile vero è sostituito da cera o ovatta) abbia potuto uccidere.

Ci sono ancora diversi elementi da chiarire sull’incidente, come il tipo di proiettile contenuto nella pistola, chi l’avesse caricata e chi avesse le responsabilità di verificarne le condizioni. L’indagine è dunque ora concentrata sui proiettili partititi e, soprattutto, su chi avesse maneggiato l’arma prima dello sparo. Si devono inoltre verificare le responsabilità di David Halls, specie dopo quanto emerso da alcune testimonianze raccolte nei giorni scorsi sul suo passato cinematografico.

L’assistente alla regia, che ha, per ultimo, maneggiato la pistola prima dello sparo per mano di Baldwin sarebbe già stato due volte oggetto di reclami in passato, per via di gravi negligenze nel rispetto dei protocolli di sicurezza sull’uso di armi ed esplosivi. Lo racconta a CNN una pirotecnica e addetta agli oggetti di scena che nel 2019 aveva lavorato con lui in una serie di film horror, Into the Dark.

Altre ipotesi di responsabilità 

La responsabile armi, Hannah Gutierrez-Reed. Fonte: Corriere

Per molti la responsabilità risale direttamente alla società di produzione, accusata di assumere «persone non pienamente qualificate per un lavoro complicato e pericoloso» come quello del capo armaiolo «in una produzione che deve contenere molte scene di combattimento con armi da fuoco», ha scritto con rabbia Serge Svetnoy, riferendosi alla presunta inesperienza di Hannah Gutierrez-Reed, un’armaiola cinematografica di soli 24 anni. Era lei ad aver preparato la rivoltella e ad averla messa su un carrello con altre due armi.

Secondo una fonte citata dal sito ‘’The Wrap’’, la pistola era stata fra l’altro usata poche ore prima da alcuni membri della troupe con munizioni vere per fare “plinking“, termine utilizzato per indicare l’atto di sparare a lattine di birra o altri bersagli con pallottole vere.

16 ottobre, protocolli di sicurezza e proteste

Nelle ultime ore, è stato anche reso noto che sul set si era già verificato almeno un altro incidente con le armi, avvenuto il 16 ottobre scorso: la controfigura di Baldwin avrebbe sparato accidentalmente due colpi di pistola che gli avevano detto essere scarica, mentre che diversi membri della troupe, tra cui Hutchins, si trovavano all’interno di un edificio usato per le riprese. Questi avevano poi immediatamente presentato un reclamo al responsabile della sicurezza sul set, che però in quel momento non era presente.

Per questo e per via delle pessime condizioni di lavoro durante le riprese, diversi membri della troupe hanno deciso di licenziarsi poche ore prima della morte di Hutchins.

Il dramma di Santa Fe ha rilanciato un dibattito sulla sicurezza delle troupe e l’uso delle armi sui set tanto che una petizione sul sito change.org ha già raccolto più di 27.000 firme richiedendo il divieto delle armi da fuoco durante le riprese, al giorno d’oggi non più necessarie.

Fonte: Corriere

Gaia Cautela

Lunedì da codice rosso per il maltempo. Si tratta di un “uragano del Mediterraneo”

Una sferzata di maltempo ha colpito, nella notte e nella serata di ieri, Calabria e Sicilia. Negli scorsi giorni, l’allerta da parte degli esperti, i quali avevano notato una concentrazione di bassa pressione formarsi nelle isole Baleari, per poi incrementare lungo il tragitto attraverso il Mar di Sicilia e trasformarsi in un cosiddetto “uragano del Mediterraneo”.

Un’immagine satellitare di ieri sera, 24 ottobre, che registra il passaggio del ciclone (fonte: ANSA)

Il ciclone influenzerà il tempo al Sud per tutta la settimana. Da giovedì verrà investita anche la Puglia meridionale. Al Nord, invece, il tempo migliorerà con più sole, anche se l’ingresso di venti quali Bora e Grecale farà diminuire le temperature notturne. Questa ondata di maltempo sembra pregiudicare gli spostamenti di molti italiani per il ponte festivo dell’1 e 2 novembre.

Nella giornata di ieri, l’annuncio della protezione civile di allerta meteo, alzata al massimo grado per le fasce ioniche di Calabria e Sicilia.

Scuole chiuse nelle province di Reggio Calabria, Messina, Catania, Siracusa ed Enna, ma poi anche nell’agrigentino. Sospensione didattica anche per la nostra università.

 

La Sicilia è la regione più colpita

“È allarme rosso.” – ha dichiarato Salvatore Cocina, direttore della protezione civile regionale siciliana – “È in atto una perturbazione molto forte sulla Sicilia, una cellula temporalesca che si è già abbattuta su Pantelleria e che si appresta a raggiungere le zone dell’agrigentino e il nisseno. Un’altra cellula temporalesca ha già scaricato una grande quantità di pioggia tra Palagonia, Scordia, Militello, Francofonte, provocando frane e allagamenti e danni alle cose ma fortunatamente senza alcun ferito. Un’altra cella investe la zona di Giarre. La situazione è in evoluzione e ci attendiamo ulteriori fenomeni. Siamo in allarme rosso e sono aperti oltre cento centri operativi comunali che stanno monitorando la situazione.”.

Il maltempo, come previsto, è arrivato da Sud, colpendo prima Pantelleria, in provincia di Trapani, dove è ancora forte lo choc per la tromba d’aria di settembre che ha causato due morti e nove feriti. Poi, il coinvolgimento di tutta la parte orientale e ionica della Sicilia. Strade trasformate in torrenti.

Siracusa (fonte: www.3bmeteo.com)

 

Il Catanese, finora, registra i danni più ingenti. Le previsioni annunciavano la caduta, in circa 48 ore, di una quantità di pioggia pari a quella che, in generale, cade in 6 mesi nella zona. Il sindaco di Catania, Salvo Pogliese, ha disposto la chiusura delle scuole pubbliche e private, di ogni ordine e grado, per la giornata di oggi, con decorrenza immediata dei parchi e dei cimiteri comunali.

Tantissime chiamate ai Vigili del Fuoco del Comando Provinciale di Catania a causa della pioggia e del forte vento. Per ora, si pensa a mantenere le stesse chiusure, anche per agevolare il pronto intervento dei soccorsi e della Protezione Civile.

Intanto, ripercussioni anche sul traffico aereo: a Catania decine di voli cancellati o dirottati (alcuni anche sullo scalo di Lamezia Terme, in Calabria), mentre consistenti sono stati i ritardi accumulati da molti altri voli. Stesse problematiche hanno coinvolto anche l’aeroporto di Palermo.

Tragedia sempre nel catanese, a Scordia, dove le strade sono state travolte da fango. Da ieri sera, una coppia risulta dispersa, marito e moglie, lui 67 anni e lei 54. A dare l’allarme un automobilista rimasto bloccato dentro la sua auto per la presenza di un fiume di acqua e fango in strada. Una volta messo in salvo dai Vigili del fuoco, ha detto loro di avere visto la coppia scendere dalla loro Ford Fiesta e poi essere travolta dalla furia dell’acqua.

Sempre a Scordia, la Protezione civile ha dovuto soccorrere cinque turisti stranieri, che viaggiavano su un pulmino che è stato investito dalla furia dell’acqua lungo la strada statale 385, che collega con Catania. I turisti sono stati fatti scendere dal mezzo e portati in un luogo sicuro.

In diverse abitazioni del centro abitato, si è interrotta l’erogazione dell’energia elettrica e sono stati segnalati nuclei familiari rimasti isolati.

Le strade di Scordia diventano fiumi di fango (fonte: www.tgcom24.mediaset.it)

 

Ieri, nella tarda serata, il nucleo Saf (speleo alpino fluviale) dei Vigili del fuoco di Trapani e la squadra di Alcamo hanno salvato quattro uomini rimasti improvvisamente intrappolati a causa del rigonfiamento del fiume caldo che attraversa le Terme Segestane sul versante del Comune di Castellammare del Golfo (Trapani).

Le Isole Eolie sono da due giorni spazzate dal vento e mareggiate, che hanno allagato porti e strade. Lipari, Salina e Vulcano senza collegamenti da 48 ore, i traghetti non viaggiano, mentre pendolari e merci sono stati bloccati a Milazzo. Poi, ieri mattina, riuscita la partenza di alcune corse.

Nella città di Messina ieri sera il sindaco Cateno De Luca ha diramato l’allerta meteo, poichè anche la città rientrava tra le zone d’ombra sotto l’area della perturbazione, ma  al netto di piogge continue e abbondanti – fortunatamente -non si registrano danni.

In Calabria meno danni, nonostante i forti temporali

Ad essere maggiormente colpita dalla pioggia, la provincia di Reggio, come preannunciato. Il sindaco, Giuseppe Falcomatà, aveva disposto la chiusura al transito veicolare e pedonale del lungomare della città. In varie zone, numerosi interventi dei vigili del fuoco per la caduta di alberi e rami sulle strade, ma non sembrano essersi verificati danni davvero importanti, come nel resto della regione.

Eccezione fatta a Cosenza, dove si è verificato un blackout elettrico all’acquedotto Abatemarco, a causa della caduta di un albero, che ha tranciato una delle linee elettriche. I tecnici sono subito accorsi per cercare di riparare il danno, ma non si riescono a capire i tempi di ripristino.

A Crotone, evacuate una ventina di famiglie, ma in via precauzionale, poiché le rispettive abitazioni sorgono lungo un torrente. Queste persone, circa un’ottantina, hanno passato la notte nella palestra di una scuola.

L’attenzione rimane altissima per le prossime ore. Intanto, ci si chiede, come accade sempre più spesso, se il principale problema sia la natura di questi fenomeni metereologici, brevi e molto intensi, o l’inadeguatezza delle condizioni di molti nostri territori, in cui servirebbero, forse, più interventi di manutenzione e prevenzione.

 

Rita Bonaccurso

Sì al voto dei 18enni per il Senato: Mattarella promulga la legge di revisione costituzionale

Il presidente Sergio Mattarella ha promulgato ieri, 19 ottobre, la legge di riforma costituzionale che estende il diritto di voto per il Senato ai diciottenni. La legge entrerà ufficialmente in vigore dalle prossime elezioni politiche, andando così a rafforzare il principio di bicameralismo perfetto vigente in Italia, che equipara Camera dei Deputati e Senato della Repubblica. Saranno quasi quattro milioni i giovani, tra i 18 e i 24 anni, interessati dalla riforma.

Il Presidente Sergio Mattarella (Fonte it.sputniknews.com)

La modifica dell’articolo 58 della Costituzione

Secondo, l’ormai obsoleto, testo dell’articolo 58 della Costituzione, facevano parte dell’elettorato attivo della Camera dei Deputati coloro che avessero compiuto i 18 anni di età. Per far parte dell’elettorato attivo del Senato della Repubblica, era necessario aver compiuto i 25 anni di età. Il Senato ha approvato, a luglio 2021, la riforma di legge costituzionale che va a ridurre l’età minima necessaria per la votazione dei senatori. 178 i senatori a favore, 15 contrari e 30 astenuti. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, ha così commentato questo risultato:

“Si favorisce così la partecipazione delle nuove generazioni alla vita politica e ci si allinea agli altri Paesi europei”.

La legge si compone di un unico articolo che prevede la modifica del primo comma dell’articolo 58, sopprimendo le parole “dagli elettori che hanno superato il 25esimo anno di età” in favore di “i senatori sono eletti a suffragio universale e diretto”. L’articolo 58 si avvicina così al già esistente articolo 56, che riguarda invece l’elettorato attivo per l’elezione dei deputati della Camera. Anche in questo caso, il primo comma prevede che “La Camera è eletta a suffragio universale e diretto”. Una modifica che ha come obiettivi: svecchiare il Senato, avvicinare i giovani al mondo della politica e riconoscere egual peso politico e decisionale alle due Camere.

La proposta di riforma: le quattro sedute dal 2019 al 2021

L’iniziativa parlamentare è dell’Onorevole Vincenza Bruno Bossio e risale al 17 gennaio 2019. I relatori sono Stefano Ceccanti (PD) e Valentina Corneli (M5S). La discussione del testo è avvenuta, come previsto dalla Costituzione, in quattro sedute: la prima a luglio del 2019, la seconda a settembre del 2020, la terza a giugno del 2021 e, infine, la quarta a luglio del 2021. Il PD aveva presentato un emendamento con il quale veniva richiesta anche la riduzione dell’età necessaria per far parte dell’elettorato passivo. Questo emendamento avrebbe permesso, a coloro che hanno raggiunto il 25esimo anno di età, di candidarsi per l’elezione al Senato. L’emendamento è stato però ritirato e l’età minima rimane ferma a 40 anni.

Il Senato riunito (fonte ilsole24ore.com)

L’iter per la revisione di legge costituzionale

Una delle qualità della nostra Costituzione è la rigidità. Questa è volta a far valere il principio di superiorità della Carta rispetto alle leggi ordinarie. In virtù della superiorità riconosciuta al documento, ogni qual volta si vuole modificare un articolo o una legge costituzionale, il procedimento di revisione risulta più complicato rispetto di previsto per la legge ordinaria. L’articolo 138 della Costituzione afferma che:

“Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”.

La legge ha ottenuto l’approvazione da entrambe le Camere a luglio. Non è stata, però, raggiunta la maggioranza dei due terzi dei componenti, necessaria per evitare i tre mesi di attesa. Il 13 ottobre è scaduto il termine entro il quale poter presentare richiesta di referendum popolare e la legge è stata approvata definitivamente. Così commenta, su Facebook, D’Incà:

“L’estensione del voto ai 18enni anche per eleggere i rappresentanti del Senato è ormai una realtà. Un provvedimento che i nostri giovani meritano”.

 

Beatrice Galati

La Gran Bretagna è in allarme per l’omicidio di David Amess, il deputato conservatore inglese

Venerdì 15, la Gran Bretagna assiste ad un nuovo tragico fatto di sangue : il parlamentare conservatore inglese David Amess viene accoltellato ripetute volte e ucciso durante un incontro con gli elettori, tenutosi presso una chiesa metodista di Leigh-on-Sea, in Essex, nel sud-est dell’Inghilterra. Secondo la polizia britannica, si è trattato di un attentato terroristico, forse legato all’estremismo islamico.

Fonte: Rai News

L’accaduto – l’ultimo di una serie di attacchi contro i politici britannici – ha confermato una crescente aggressività nei confronti della democrazia inglese e rafforzato il dibattito sul tema della sicurezza dei parlamentari, oramai all’ordine del giorno nel Paese.

Le dinamiche dell’attacco

Secondo le dinamiche emerse in questi giorni, l’uomo che ha ucciso Amess si trovava allinterno della chiesa, ad aspettare l’arrivo del deputato per l’incontro periodico con i suoi elettori del luogo.

Per partecipare, era sufficiente lasciare nome e cognome agli addetti, venendo così a mancare la protezione armata della polizia presente, invece, in Parlamento: «Qui sono tutti benvenuti», recitava il cartello scritto fuori dalla porta della chiesa.

Fonte: remocontro.it

Una volta prenotatosi per l’incontro, l’uomo avrebbe dunque atteso pazientemente il suo turno prima di assalire Sir David, nel mentre che questi si stava trattenendo con i concittadini, accompagnato da suoi due assistenti. Il parlamentare è stato assalito e pugnalato ben 17 volte e a nulla sono serviti i benché immediati soccorsi: Amess è morto prima che potesse essere trasportato in ospedale.

“Mi hanno detto che dopo aver colpito sir David ha semplicemente atteso l’arrivo della polizia nella sala parrocchiale” della chiesa metodista dove si teneva l’incontro , ha raccontato al Telegraph il Vicepresidente dell’associazione di circoscrizione Kevin Buck.

L’attentatore, giovane figlio di un ex consigliere somalo

L’uomo arrestato per l’assassinio del deputato Amess è un cittadino britannico venticinquenne di origini somale, del quale è stata prolungata la custodia cautelare – almeno fino al 22 ottobre – su autorizzazione del giudice, per violazione della legge sul terrorismo (Terrorism Act). Il provvedimento è stato reso noto dalla polizia: secondo le prime indagini l’uomo avrebbe avuto «un possibile movente legato all’estremismo islamico».

Ali Harbi Ali, l’attentatore. Fonte: The Mirror

Il giovane in questione è Ali Harbi Ali, figlio di un ex consigliere della comunicazione del primo ministro della Somalia. Il ragazzo avrebbe pianificato l’omicidio con oltre una settimana di anticipo. Il padre Harbi Ali Kullane si dicetraumatizzatoai microfoni della Bbc: “Non è qualcosa che mi aspettavo o avrei mai sognato e immaginato”.

Il legame con il jihadismo

Ali avrebbe vissuto, in passato, nel collegio elettorale di Sir David, Southend West, nell’Essex, per poi trasferirsi, più di recente, in un quartiere residenziale di Londra.

Nella mattinata di sabato, la polizia ha fatto delle perquisizioni in due abitazioni di Londra, ma per gli inquirenti è da accantonare l’ipotesi che abbia collaborato con altri soggetti; più probabile che si tratti di un lupo solitario che lo scorso venerdì avrebbe agito da solo, ispirato dai jihadisti di al-Shabaab (gruppo terroristico che opera tra Somalia e Kenya, nato da una costola di al-Qaeda e radicalizzatosi online durante il lockdown).

Stando ad alcune fonti del Guardian, il ragazzo era già in qualche misura noto alle forze dell’ordine, considerato che il suo nome potrebbe essere contenuto nel database del Prevent scheme, un programma che raccoglie informazioni su soggetti a rischio radicalizzazione.

Chi era David Amess

Amess, parlamentare dal 1983, era un fervente cattolico di 69 anni, sposato e padre di 5 figli. Aveva buone possibilità di diventare il “padre della Camera dei Comuni”, vale a dire il membro più longevo.

La fede e la fedeltà alla dottrina sociale della chiesa sono state le principali fonti del suo agire politico, fa notare in un suo intervento un caro amico di Amess, Chris Whitehouse, ex parlamentare e cofondatore del network dei parlamentari cattolici assieme a lui.

Fonte: SkyTG24

Nonostante non avesse mai avuto ruoli di governo, Amess è stato un volto familiare della politica britannica, sostenitore della Brexit e dei diritti degli animali, antiabortista. Per Sir David era molto importante l’incontro periodico dei suoi elettori:

«A volte la gente andava per parlare di politica, ma la maggior parte delle volte le persone chiedevano aiuto per trovare una casa adeguata o per capire le complesse regole del welfare oppure per far entrare un figlio con bisogni speciali in una scuola adeguata alle sue esigenze. È per questi incontri che Amess era così popolare, migliaia di persone possono testimoniare quanto fosse attento e amorevole», evidenziano le parole dell’amico.

La sua morte ha rappresentato una dura perdita per tutti: per il Parlamento, la Chiesa, la vita pubblica, il partito Conservatore, per la società inglese e per la vita democratica nel suo complesso. Quanto accaduto non può essere derubricato a un attacco a un individuo, poiché si tratta di molto di più: è un attentato allo stile di vita democratico e aperto.

Il Dibattito sulla ”costituency surgery”

L’assassinio di Amess non è un caso isolato: nel 2016 venne uccisa la deputata laburista Jo Cox, mentre si dirigeva verso un incontro pubblico, e 6 anni prima il suo collega conservatore Stephen Timms venne accoltellato, sempre durante un incontro pubblico.

La sequenzialità delle aggressioni comincia pertanto a preoccupare il Regno Unito, in lutto per un omicidio che, nel suo significato, riunisce maggioranza e opposizione: a rischio è la secolare tradizione della politica britannica, basata su stretti contatti tra elettori e politici.

Il primo ministro Boris Johnson (destra) e il leader dell’opposizione Keir Starmer (sinistra). Fonte: La Repubblica

Il dibattito sulla sicurezza dei parlamentari dilaga nel Paese: l’interrogativo riguarda la possibilità o meno di continuare a esercitare, in un clima del genere, la cosiddetta attività di costituency surgery, ovvero i periodici incontri faccia a faccia con i cittadini del proprio collegio elettorale.

In tanti sono i parlamentari che nonostante tutto desiderano portare avanti il tradizionale modo di fare politica britannico, come i deputati conservatori Robert Largan e Alec Shelbrooke. Quest’ultimo ha, infatti, twittato:

“Non possiamo lasciare che eventi come questo riducano la profonda relazione che abbiamo con i nostri elettori. È una relazione veramente importante e desidero che i miei concittadini, che mi abbiano votato o meno, possano avvicinarmi per le strade, nei pub, al supermercato o in una delle mie surgery”.

Gaia Cautela

Obbligo di Green pass sul posto di lavoro: si accende la protesta nel porto di Trieste

L’allerta era alta da giorni, sin dall’attacco alla sede romana della Cgil. Il 15 ottobre, giorno dell’entrata in vigore dell’obbligo di Green Pass sul luogo di lavoro, a Trieste, sin dalle prime ore del mattino, in molti si sono radunati nei pressi del porto, davanti al Varco 4 del molo 7. Quello il luogo di ritrovo della manifestazione annunciata e organizzata da Stefano Puzzer, leader del sindacato autonomo del Cltp, Coordinamento dei lavoratori portuali di Trieste. Tra i manifestanti, non solo operatori dello scalo, riconoscibili dai giubbottini gialli indossati, ma anche persone esterne contrarie alla certificazione verde.

Qualche fumogeno e qualche coro durante la prima notte di protesta al varco 4 del porto di Trieste, ma il clima non è teso (fonte: open.online.it)

L’annuncio del blocco al porto

Lunedì 11 ottobre, un grande corteo contro il Green pass, il giorno dopo, un incontro tra le aziende del settore marittimo, il prefetto Valerio Valenti e il segretario generale dell’Autorità portuale del Mare Adriatico Orientale, Vittorio Torbianelli. L‘intesa non viene raggiunta, quindi, il sindacato del Cltp, nel pomeriggio, pubblica un comunicato che conferma un blocco totale delle attività nello scalo marittimo per il 15.

Il presidente del porto, Zeno D’Agostino, in seguito all’accaduto, fa un annuncio shock, dichiarando di essere intenzionato a rassegnare le dimissioni in caso di un blocco a oltranza dello scalo.

Successivamente, iniziano a circolare varie voci, su un presunto compromesso con le aziende operanti nel porto di Trieste, le quali sembra abbiano proposto di provvedere di tasca propria a pagare i tamponi ai lavoratori fino al 31 dicembre.

Non tarda ad arrivare una risposta dai portuali alle voci: “Nulla di tutto ciò ci farà scendere a patti. Non solo noi, ma tutte le categorie di lavoratori”.

 

Il giorno tanto atteso

All’alba del 15, mentre Trieste ancora dorme, già alle ore 6 circa, si vede in giro qualche attivista No Green pass. Due giorni prima, Puzzer aveva dichiarato di aspettarsi circa 30mila adesioni alla manifestazione, considerando anche il resto della città; mentre D’Agostino, aveva fatto un pronostico meno cauto, immaginando che i manifestanti potessero crescere fino al numero di 50mila.

All’ultima assemblea della sera prima, il Cltp aveva riunito le adesioni di poche centinaia di lavoratori, circa 300: non abbastanza, dunque, per bloccare uno scalo in cui lavorano oltre 1.500 persone.

Mentre ci si prepara a situazioni molto impegnative, durante le prime ore di venerdì, l’accesso allo scalo portuale era consentito.

«Chi vuole lavorare, può entrare. Noi non fermiamo nessuno» dichiaravano dal Cltp.

Però i camionisti, provenienti anche da oltre confine, preferiscono non inoltrarsi dentro la folla che inizia a crescere.

Intanto arrivano troupe di giornalisti e i primi attivisti No Green pass esterni al gruppo dei portuali, per dare sostegno alla protesta. L’incremento del numero di partecipanti inizia a preoccupare: «Stanno continuando ad arrivare persone. Il problema non sono i portuali, è quando inizieranno ad arrivare tutte le persone per la manifestazione. Qui la gente entra ma non sa quando riuscirà ad uscire». Intanto 230 unità delle forze dell’ordine vengono fatti schierare in tutta la città. La tensione è alta, per la preoccupazione di poter assistere a scene simili a quelle verificatesi a Roma la settimana prima.

In migliaia intanto sfilano dentro Trieste (fonte: triestecafe.it)

Intanto, si guarda alla situazione nei maggiori scali portuali del Paese, avanzando l’ipotesi di una possibile reazione a catena.

A Genova, la protesta, effettivamente, si accende nello stesso momento, mentre a Gioia Tauro il primo turno della giornata di venerdì inizia senza problematiche: i lavoratori hanno organizzato un sit-in con un legale per le ore 10, ma poi svolgono normalmente la loro giornata lavorativa; assenti i non vaccinati, ma perché non è stato possibile, per questione di organizzazione, far arrivare i primi tamponi comunque messi a disposizione gratuitamente da Med Center Container terminal, che ha ne ha assicurato la disponibilità per tutto il prossimo periodo.

Il portavoce dei portuali si dimette dopo le tensioni di sabato notte

Delle migliaia di persone arrivate, nel primo giorno di protesta, dal resto d’Italia per sostenere i lavoratori del porto di Trieste ne sono rimaste qualche centinaia in questi giorni. Il clima generale è rimasto sereno, nessuna complicazione. Durante la prima notte, la protesta si affievolisce, si dà inizio a un vero e proprio party, si balla, ogni tanto si accende un fumogeno e i cori contro il Green pass o contro il premier Draghi iniziano a sparire.

D’Agostino dichiara che serve trovare una soluzione al più presto, pur se il porto ha continuato a funzionare sopperendo alla mancanza di funzionalità del molo 7 e perché i manifestanti hanno continuato a non interferire particolarmente sul traffico di mezzi. Questi sono, infatti, passati dal paventare un possibile blocco di tutto il porto a mantenere un presidio e assumere una linea soft.

Nella tarda serata di sabato, Stefano Puzzer annuncia, provocando una forte sorpresa in tutti, la fine della protesta. Secondo delle fonti, pare che già nel pomeriggio l’idea abbia sfiorato quello che era diventato volto della manifestazione. Il motivo? Un gruppo di No Vax, accampatosi per la notte lì vicino preoccupava i portuali.

Puzzer continua la protesta, ma non come portavoce dei portuali (fonte: lastampa.it)

Quando molti di questi iniziano a far ritorno a casa, dopo aver concordato il comunicato che chiudeva la vicenda, Puzzer inizia a chiamare le agenzie stampa per smentire, sotto forte pressione dei No Vax, indispettiti dalla piega presa dalla situazione.

Il telefono di Puzzer inizia ad esser tempestato di chiamate, mentre lui cerca di tenere a bada sia i suoi colleghi che il fronte opposto, ma la mattina dopo si dimette dal ruolo di portavoce del Clpt, pur dichiarando di voler, personalmente, continuare il presidio fino al 21 ottobre, come dichiarato inizialmente dai portuali.

Uno dei leader del comitato di Coordinamento, colui che per conto di tutti ha gestito la trattativa con l’autorità portuale e la Digos, era andato a dormire senza sapere del dietrofront fatto da Puzzer. Il suo commento a ciò è stato un colorito «Abbiamo fatto una enorme figura di m…».

 

Lo sgombero del varco 4, ma la manifestazione continua dentro Trieste

Stamane, presso il porto di Trieste, dove le proteste sono andate e tra gli occupanti del varco 4, ormai solo semi-bloccato, è iniziato lo sgombero da parte della polizia. Tra loro ancora un triste Puzzer, rimasto comunque convinto di voler continuare il presidio.

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Dopo circa un’ora e mezza, con l’utilizzo lievi cariche di idranti, il varco è stato liberato. La situazione degenera in una guerriglia.

I manifestanti vengono prima spostati e il presidio al varco 4, spostato nel parcheggio in fondo alla zona presidiata da venerdì scorso, permettendo al porto di riprendere normalmente le attività.

«Non siamo violenti» gridavano intanto i manifestanti agli agenti schierati con gli scudi, per ribadire la presa di distanza da soggetti violenti, estranei alla protesta pacifica organizzata dai portuali. «Vogliamo evitare vi facciate male» ha risposto un dirigente della Polizia.

Durante l’operazione si è arrivati allo scontro solo con un gruppo di manifestanti e un agente è rimasto ferito. Le persone, attualmente 2 mila, si sono poi spostate in piazza Unità d’Italia, dentro Trieste. La protesta ora ha cambiato volto, è stata presa in mano dai No green pass. Tutti si sarebbero seduti in piazza una volta arrivati.

«Vediamo se hanno il coraggio di caricarci anche in piazza Unità d’Italia» ha detto Puzzer, ancora nella protesta.

Mentre si attendono novità, dalla politica arriva la solidarietà di Salvini e Meloni, contrari alle misure prese contro quelli che definiscono «lavoratori pacifici».

 

Rita Bonaccurso

La Polonia mette in dubbio il primato del diritto europeo sulla Costituzione. Ecco cosa potrebbe succedere

Polonia, migliaia di sovranisti scendono in piazza con lo slogan ”Io resto Ue”. Fonte: Sky TG24

Varsavia, Cracovia, Poznań: l’intera Polonia pullula di manifestanti nelle piazze dopo che la Corte costituzionale polacca ha emesso una sentenza che mette fortemente in dubbio il primato del diritto europeo sulle leggi nazionali, minando di fatto uno dei principi fondanti dell’Unione e sollevando interrogativi circa la stessa adesione della Polonia all’Ue.

Manifestazioni pro-Ue in tutto il Paese

Le iniziative pro-Ue si sono svolte tra sabato e domenica in 120 località del Paese con cento cortei e la partecipazione di migliaia di cittadini, ma resta il rischio legato ai focolai nazionalisti che potrebbero essere alimentati in Italia così come in altri Paesi esteri che contestano l’ingerenza di Bruxelles.

A sostenere la protesta di domenica 10 ottobre c’erano diversi partiti e organizzazioni, fra cui Piattaforma civica, guidata dall’ex presidente del Consiglio europeo e maggiore leader dell’opposizione Donald Tusk, in nome di una Polonia ”indipendente, europea, democratica, che si attiene alle leggi e onesta”.

https://youtu.be/0n5eIixfexs

La Corte di Varsavia rigetta i trattati Ue

Tutto è cominciato alla fine della scorsa settimana quando la più alta corte polacca, capeggiata dalla giudice Julia Przylebska, ha decretato che alcuni articoli del Trattato sull’Unione europea sono incompatibili con la Costituzione dello Stato polacco e che le istituzioni dell’Unione “agiscono oltre l’ambito delle loro competenze”.

Al centro del contenzioso vi si colloca nello specifico la riforma sulla magistratura voluta dal partito al governo Diritto e giustizia (Psi), conservatore ed euroscettico, del leader Jaroslaw Kaczynski. Tale riforma prevede un nuovo sistema di disciplina dei giudici che secondo l’Ue mina l’indipendenza del sistema giudiziario stesso.

Lo Stato polacco e il primato del diritto costituzionale

Mentre le preoccupazioni dell’Unione Europea sono alte, a Varsavia il governo del Primo ministro Mateusz Morawiecki ha accolto favorevolmente la decisione della Corte che conferma “il primato del diritto costituzionale sulle altre fonti del diritto”: secondo il portavoce Piotr Muller, la sentenza si riferisce alle competenze dello Stato polacco non trasferite agli organi Ue.

Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki. Fonte: Formiche.net

Ma l’Unione Europea non è chiaramente d’accordo, e infatti la vicepresidente della Commissione europea, Vera Jourova, ha oggi dichiarato nel suo intervento al Forum 2000:

“Il principio dello stato di diritto è che nessuno è sopra la legge, per questo noi siamo ferrei su questo. Lo stato di diritto – ha spiegato – è anche la limitazione dei poteri, principio alla base degli Stati membri. Ora, dopo la decisione della Corte costituzionale polacca, devo dire che se non confermiamo il principio nell’Ue che regole uguali sono rispettate allo stesso modo in ogni parte dell’Europa, tutta l’Europa comincerà a collassare”.

Alle origini dell’Unione europea, i principi

25 marzo 1957: a Roma nasce la Comunità economica europea. Fonte: Secolo d’Italia

Dal 1957, la costruzione europea si basa sul principio del primato del diritto europeo, il cui ordine giuridico comunitario è stato riconosciuto nel 1963 e 1964 dalla Corte di giustizia.

Entrando volontariamente nell’Unione Europea, qualsiasi Paese deve formulare e negoziare politiche e leggi con gli altri membri. La costruzione giuridica dell’Unione crollerebbe nel momento in cui uno Stato membro decidesse all’improvviso di rifiutare di rispettare e applicare una legge europea in nome di un principio interno o introducendo una legge nazionale.

In poche parole, l’individualismo nazionalista finirebbe col sovrastare quel patto politico fondamentale di fiducia reciproca alla base del successo europeo. In Polonia, membro dell’Ue dal 2004, è accaduto proprio questo.

Von der Leyen: ”Il diritto europeo prevale”

La presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, si dichiara

«profondamente preoccupata» per la sentenza della Corte costituzionale polacca e ha garantito che la Commissione userà «tutti i poteri che abbiamo in base ai trattati per assicurare» il primato del diritto Ue su quelli nazionali, incluse «le disposizioni costituzionali. È quello che tutti gli Stati membri dell’Ue hanno sottoscritto come membri dell’Unione».

Fonte: Europa Today

La presidente ha poi sottolineato: «L’Ue è una comunità di leggi e di valori: è questo che tiene l’Unione insieme e che ci rende forti». Conclude poi evidenziando l’impegno della Commissione nell’assicurare la protezione dei diritti cittadini polacchi e dei benefici derivanti dall’appartenenza Ue.

Le destre europee in difesa di Varsavia

In seguito alla sentenza, per i giudici polacchi ci sono tre opzioni: cambiare la costituzione, cambiare i Trattati o uscire dall’Unione europea.

Il premier polacco si è premurato di confermare la volontà di restare nell’Ue ma questo non è bastato a placare le formazioni politiche a sostegno di tale decisione: da tempo il premier ungherese Victor Orbán contesta le decisioni di Bruxelles, l’estrema destra francese di Marine Le Pen ha difeso la Polonia che «esercita il suo diritto legittimo e inalienabile alla sovranità» e in Italia Giorgia Meloni sostiene che «si può stare in Europa anche a testa alta, non solo in ginocchio come vorrebbe la sinistra».

Giorgia Meloni dalla parte della Polonia. Fonte: Il Fatto Quotidiano

Possibili sanzioni alla Polonia

In seguito alla decisione della Corte polacca, la Commissione europea – preoccupata sull’integrità dello stato di diritto polacco – è restia ad approvare i finanziamenti per il piano di risanamento. Il Recovery Fund per la Polonia è infatti vincolato al rispetto dello stato di diritto polacco, indebolito già da diverso tempo rispetto agli standard europei.

Le somme del Next Generation Ue ammonterebbero a 58,7 miliardi di euro fra prestiti e sussidi. Ma il via libera di Bruxelles non è stato ancora dato e, date le condizioni, ora più che mai è inimmaginabile:

“l’Ue e gli Stati membri devono intraprendere un’azione legale, politica e finanziaria urgente e chiarire che questi principi fondamentali non sono aperti a negoziati o al gioco”, sostiene Eve Geddie, direttrice della sede europea di Amnesty International.

Gaia Cautela

Una sommossa di presunta matrice neofascista a Roma: la protesta contro il Green pass come copertura?

«Giù le mani dal lavoro» gridavano ripetutamente le migliaia di persone scese in strada a Roma, sabato scorso, per protestare contro l’obbligo di Green pass sul posto di lavoro. Poco dopo, la situazione degenera. A causa di infiltrazioni di simpatizzanti di estrema destra, tra cui militanti del partito di Forza Nuova oltre che soggetti indipendenti, il corteo pacifico si trasforma in una vera e propria guerriglia.

 

Scontri con la Polizia (fonte: gazzettadelsud.it)

 

L’organizzazione della protesta generale, aveva come punto di partenza Piazza del Popolo. I manifestanti, avevano poi chiesto ai responsabili dell’ordine pubblico di poter proseguire pacificamente in corteo verso la sede della Cgil, considerata una delle organizzazioni sindacali italiane principali. Permesso negato.

Così, un gruppo di poche centinaia di persone, principalmente simpatizzanti di Forza Nuova, ha preso il sopravvento e trascinato il resto delle migliaia di manifestanti apparentemente pacifici.

Questa mossa, forse pianificata, da questi dimostranti più determinati e insinuatisi nel corteo generale, ha accesso i forti scontri contro gli agenti di polizia.

Decisiva, per i manifestanti di Forza Nuova la “copertura”, complice, di un movimento che, dall’aprile 2020 si è costituito dichiarandosi spontaneo e “di popolo”, apolitico o “politicamente eterogeneo”, ma solo a parole slegato da partiti politici.

“Si è concretizzato quel timore che avevamo comunicato alle istituzioni nelle scorse settimane e di cui il ministro (dell’Interno, ndr) Lamorgese aveva parlato” – dichiara una fonte qualificata dell’intelligence.

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Tra gli arrestati per l’attacco alla Cgil, esponenti di Forza Nuova e non solo

Arrivati di fronte la sede della Cgil, i manifestanti hanno pressato il cordone di agenti di polizia, fino ad entrare dentro, dove hanno devastato gli uffici.

Gli uffici devastati (fonte: Today.it)

L’obiettivo successivo, come anche dichiarato apertamente, sarebbe stato Palazzo Chigi. Volevano replicare le scene viste negli Stati Uniti, a Capital Hill.

Devastate le stanze del dipartimento comunicazione, divelti armadi, scrivanie, pc e una fotocopiatrice usata come ariete per sfondare delle porte. Trentotto gli agenti di polizia rimasti feriti.

Tra la massa, prima di entrare, si scorgono gli esponenti maggiori di Forza Nuova: il leader nazionale Roberto Fiore, appartenente associazioni sovversive nere degli anni Settanta, ricercato e condannato per questo, con pena mai scontata e prescritta, per la latitanza all’estero, poi ritornato in politica negli anni 2000; il leader romano, Giuliano Castellino; presente anche il fondatore di “IoApro” (movimento che raccoglie ristoratori di tutta Italia contrari alle restrizioni per il covid sin dagli inizi), proprietario di una catena di pizzerie, Biagio Passaro, il quale si è filmato una volta all’interno del sindacato.

Questi sono stati arrestati insieme ad altri, in flagranza e con arresto differito, tra cui anche Luigi Aronica, soprannominato “Er Pantera”, ex appartenente ai “Nuclei armati rivoluzionari” (Nar), cresciuto nella sede romana del Fuan (l’organizzazione universitaria del Msi), tornato all’attività politica dopo diversi anni trascorsi in carcere. Aronica, per ironia della sorte, era riuscito ad ottenere il green pass per poter andare a vedere allo stadio la sua amata Roma.

I leader di Forza Nuova, il fondatore di IoApro e un ex dei Nar (fonte: ilcorriere.it)

I fermati sono accusati a vario titolo, per danneggiamento aggravato, devastazione e saccheggio, violenza e resistenza a pubblico ufficiale. La Procura di Roma continua a indagare, i filmati ad essere vagliati.

I militanti del partito, che hanno rivendicato tramite i social l’attacco, non lasciando più alcun dubbio, molto agguerriti, sembra, dunque, che abbiano preso in mano la manifestazione principale, pacifica.

 

La matrice dell’attacco e la divisione della politica

Sottolineato quasi subito, l’eterogeneità della massa di manifestanti: c’è chi si è dichiarato d’accordo con la mossa degli estremisti che hanno attaccato la Cgil, chi non condivide l’uso della violenza, pur comprendendo le motivazioni dietro, e chi è convinto che se non fosse successo questo, sarebbe stato organizzato altro inevitabilmente.

I No vax sui social hanno ribadito “niente violenza”, ma c’è una parte di loro che, invece, ha commentato che “far paura serve”.

(fonte: larepubblica.it)

Questa commistione, potrebbe rivelarsi ancor più pericolosa, perché indefinita. Il malcontento, dovuto principalmente alla pandemia, potrebbe essere ancora sfruttata dagli estremisti per veicolare le piazze e dare nuova linfa a quello che sembra un movimento neofascista.

Sull’attacco e sulla matrice di esso si sono tempestivamente espressi, prima il segretario della Cgil, poi diversi politici, dalle opinioni in parte contrastanti che hanno acceso il dibattito.

Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha dichiarato:

“Quella di ieri è una ferita democratica, un atto di offesa alla Costituzione nata dalla Resistenza, che ha violentato il mondo del lavoro e i suoi diritti.”.

Per Landini, inoltre, l’azione contro il sindacato era premeditata da tempo, ma soprattutto, le motivazioni non riguarderebbero né il Green pass, né le principali motivazioni della protesta generale.

È così, che, nell’immediato, si è accesa la convinzione, largamente condivisa, che si sia trattato di un attacco di matrice neofascista. Il malcontento per le misure adottate per il Covid sarebbe solo la copertura, per riaccendere altri sentimenti.

Landini e i segretari delle altre due Confederazioni sindacali hanno così lanciato un appello al mondo della politica e tutte le forze democratiche del Paese, affinché si passi a provvedimenti decisivi, per rilevare e sciogliere organizzazioni neofasciste e neonaziste e lo stesso partito di Forza Nuova.

Appello ripreso dal leader del Pd, Enrico Letta. Forza Italia ha risposto negativamente: “Da parte di Forza Italia massima dissociazione e severità, al punto che Silvio Berlusconi ha chiamato di primo mattino il segretario della Cgil – è stato dichiarato dal partito – Tuttavia la presa di distanza e sostegno a qualunque iniziativa legale e politica contro chi assalta e picchia i poliziotti non si traduce in sostegno a iniziative e manifestazioni chiaramente strumentali in piena campagna elettorale.”.

Matteo Salvini la pensa allo stesso modo, riguardo l’organizzazione da parte dei sindacati di una manifestazione per il 16 ottobre: “Un corteo sabato? Ma non c’è la pausa elettorale? Noi sabato prossimo saremo nei gazebo della libertà, gazebo della Lega in tutta Italia, per la giustizia, con il sorriso.”.

La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ospite a Madrid, del partito di ultradestra “Vox”, ha dichiarato di non essere a conoscenza della natura della matrice dell’attacco al sindacato e, dunque, non esser d’accordo sullo scioglimento di Forza Nuova. Ciò ha generato clamore tra i suoi avversari politici, che hanno sottolineato l’esistenza di video che testimoniano la presenza dei leader del partito sulle scalinate della sede del sindacato.

L’episodio di sabato, rievoca tanto gli attacchi alle Camere del lavoro del 1920 e 21, da parte dei fascisti. Il passato sembra essersi ripetuto e ora l’allerta è massima. Ci si interroga anche sulle strategie da adottare, da parte delle forze dell’ordine. Si è molto preoccupati di aver sottovalutato la forza di certe correnti politiche e movimenti di estrema desta, forse capaci veramente di trascinare tanti italiani estranei a certe idee, ma deboli per lo sconforto generato dal perdurare della pandemia.

 

Rita Bonaccurso

Se cadono le montagne: un reportage a fumetti di Zerocalcare

 

Zerocalcare torna con il suo stile unico a raccontarci del suo viaggio nel nord dell’Iraq con incredibile sensibilità – Voto UVM:  5/5

 

Sulla copertina della recentissima uscita del settimanale Internazionale troviamo un disegno di Michele Rech in arte Zerocalcare, un assaggio del reportage a fumetti di 34 pagine, Etichette, che la rivista custodisce al suo interno. Ad accompagnare l’illustrazione in copertina c’è una frase: «Se cadono le montagne» e il sottotitolo Un reportage dal nord dell’Iraq, tra i curdi che vivono nel campo di Makhmour.

Il reportage è facilmente reperibile in edicola o con qualche click online sul sito del settimanale Internazionale; sempre online, sui social, si trova il racconto di  Zero circa la scelta di Alberto Madrigal per occuparsi della colorazione dell’illustrazione  in copertina e delle mezzetinte acquerellate all’interno del fumetto .

Zerocalcare, Con il cuore a Kobane; Internazionale. Fonte: ilbibliomane.wordpress.com

Se cadono le montagne?

Zerocalcare non è nuovo alla vicenda curda. Ci racconta infatti del suo viaggio tra il deserto e le montagne del Kurdistan qualche anno dopo l’uscita di Kobane Calling, un reportage a fumetti del viaggio di Michele in Turchia, Iraq e Siria in supporto ai combattenti curdi, un itinerario per comprendere le storie di un popolo in guerra per il proprio diritto ad esistere.

Ed è nell’introduzione del 2020 a Kobane Calling che ci scrive di un detto curdo che recita:

I curdi hanno un solo amico, le montagne.

In effetti nell’immaginario comune le montagne veicolano un significato di protezione e sicurezza. Il freddo e distaccato fascino del monte Fuji ne La grande onda di Kanagawa, qualcosa che è impossibile cada. E allora sembra che in gioco ci sia qualcosa di vitale, così la frase che leggiamo sulla copertina di Internazionale risuona in modo più decisivo e solenne, questa volta come una domanda: e se cadono le montagne?

La grande onda di Kanagawa, famosissima xilografia di Hokusai. Fonte: dueminutidiarte.com

Risposte                                    

La risposta la troviamo all’interno del fumetto: Se cadono le montagne cade tutto. Lapidaria, inscritta su uno sfondo malinconico, si vede una ragazza che siede su una roccia e regge un’arma mentre osserva i compagni che armi in spalla marciano tra le montagne.

Seguendo i dialoghi e le persone che Zerocalcare incontra nel viaggio verso il campo profughi di Makhmour, ci accorgiamo infatti che le montagne dei curdi non sono le montagne delle mappe o del nostro immaginario. Le montagne appiattite delle cartine. Sono le montagne del Pkk, dove si trovano i guerrieri curdi, considerati terroristi dai Turchi, le montagne del confederalismo democratico, le montagne da cui può arrivare l’aiuto.

Ci accorgiamo sfogliando che qualcosa non va nel nostro immaginario, che forse ci sono in gioco dinamiche più complesse a cui forse non abbiamo prestato ascolto. Dinamiche che è difficile districare e comprendere senza affidarsi ad etichette che altri hanno scelto per noi. E leggiamo ancora tra i disegni: “Le storie di guerra sono anche questo, portano con sé cose che non ci piace sentire, che ci fanno fare i conti con la realtà e la coscienza e con quello che siamo disposti ad accettare. Sono più complesse delle favole.”

 

“Se cadono le montagne”, Zerocalcare. Fonte: dalla rivista Internazionale.

Conclusioni

La complessità caratterizza le storie che Zero ci racconta con qualche battuta per alleggerire il carico emotivo.

Se cadono le montagne è una riflessione sulla complessità delle storie, 34 pagine ben riuscite che ci invitano all’ascolto e a superare i confini del – per dirla come farebbe Zero –  “così ho sentito di’ “, contro ogni riduzionismo o semplificazione. Un invito a disegni ad immaginare più da vicino i volti e i contesti, come quello dei campi profughi. Un aiuto a toccare con mano la realtà di chi abita quei luoghi e un modo per provare a prestare ascolto a voci che narrano storie diverse da quelle che siamo abituati a sentire, fuor da “etichette”.

Martina Violante