Continuano le ricerche per il Titan, ma con scarsa la probabilità di successo

Da domenica scorsa si sono perse le tracce di un sommergibile: “Titan“. Appartenente all’azienda “Ocean Expeditions“, durante una spedizione turistica super esclusiva, messa in atto nell’oceano atlantico, l’obiettivo era quello di osservare da vicino i relitti del Titanic.
Il Titan è un batiscafo privato lungo 7 metri e largo 2,5 costruito con fibra di carbonio e titanio, capace di ospitare al massimo 5 persone. Costruito per essere pilotato da remoto, dalla nave MV POLAR prince, per mezzo di messaggi testuali inviati tramite un controller ( un G-F710 della Logitech modificato).

Domenica scorsa, il sommergibile è salpato dalla città di St. John, in Canada, alle 8 del mattino, per poi perdere tutti i contatti con la nave, circa 1 ora e 45 minuti dopo.

Come procedono le ricerche?

Le ricerche sono iniziate alle 17.45 di domenica e proseguono da ormai da quattro giorni. Nonostante il notevole dispiegamento di mezzi per trovarlo, non si sono registrati grandi progressi. Le probabilità di trovare il sommergibile si riducono sempre di più. Secondo la guardia costiera statunitense, che coordina le attività di ricerca, l’ossigeno all’interno del sommergibile potrebbe terminare alle ore 13 (italiane) di oggi.

Vista la possibilità che l’ossigeno termini oggi stesso – sempre, però, che il Titan possa contare sui sistemi di riciclo dell’aria funzionanti – sono aumentati i mezzi a disposizione per la ricerca, con l’arrivo di una decina di navi e di sottomarini guidati a distanza, per le perlustrazioni.
Inoltre, l’aria di ricerca è stata allargata fino a 28700 chilometri quadrati (circa l’area della Sicilia), dopo che nelle ultime 24 ore sono stati captati dei suoni che possono essere ricondotti a dei “colpi umani”. Anche se non è possibile stabilire con certezza l’origine di quei rumori, appare evidente che gli strumenti più potenti e utili sono i sonar, fondamentali per captare suoni tra i 4000 metri che distanziano il fondale e la superficie.
Il capitano della guardia costiera americana, James Frederick, è stato molto cauto sull’andamento delle ricerche, ammettendo che: “A essere onesti con voi, non sappiamo dove si trovino“.

Sono molti gli aspetti da tenere in considerazione, per quanto riguarda le condizioni di vita all’interno del sommergibile. La presenza di cinque individui, all’interno di un sommergibile di ridotte dimensioni, potrebbe portare ad un consumo accelerato di ossigeno e ad un aumento di anidride carbonica che, se non rimossa, può portare ad asfissia e rivelarsi mortale. Inoltre, la possibilità che si sia verificato un guasto al sistema di riscaldamento potrebbe avere come conseguenza l’ipotermia per i passeggeri, viste le temperature che le acque oceaniche possono raggiungere a profondità elevate

L’OceanGate non ha mai certificato il “Titan”

L’azienda americana che ha prodotto il sommergibile andato disperso, non ha mai certificato quest’ultimo, poiché troppo all’avanguardia e diverso da tutti gli altri.
È emerso che l’azienda fosse a conoscenza dei rischi connessi alle immersioni, e avesse deciso di ignorarli per concentrarsi su scelte che riducevano i costi di trasporto, con l’obiettivo di rendere il sommergibile l’opzione più economica per chi desidera immergersi in profondità. È necessario sottolineare che negli Stati Uniti , non è obbligatorio certificare le imbarcazioni private, ma è fortemente consigliato soprattutto se compiono immersioni sottomarine.
Esemplare dell’attitudine approssimativa per ciò che riguarda la sicurezza, è la vicenda che ha coinvolto David Lochridge, ex direttore delle operazioni marittime dell’OceanGate, che è stato licenziato dopo aver sollevato dubbi per ciò che riguarda la sicurezza del progetto sperimentale del “Titan”.

Giuseppe Calì

Messina, traguardi nella smart mobility! Presto noleggiabile una flotta di mezzi elettrici

Messina ha raggiunto un importante traguardo nel campo della smart mobility! Cioè della mobilità sostenibile e flessibile.
Presto, già nei prossimi giorni o al principio del prossimo mese, la città verrà disseminata da bici e monopattini elettrici, noleggiabili da chiunque a costi esigui.

L’obiettivo dell’amministrazione comunale è mettere Messina al passo di altri grandi centri cittadini d’Italia, creando alternative “futuribili” ai classici mezzi di trasporto. Scopriremo se il progetto sarà all’altezza! Intanto, di seguito, ulteriori informazioni per capirne di più e convincersi, magari, che i monopattini non sono così difficili da guidare.

Messina: più di ottocento mezzi per un piano in grande

Riporta le informazioni LetteraEmme. La mobilità messinese diventerà “smart” grazie all’influsso di ben nove società che, insieme, metteranno a disposizione più di ottocento mezzi (suddivisi in circa seicento monopattini e duecento e-bike). 

L’unica società messinese coinvolta è la “Verde Mercurio”, che è nata due mesi fa proprio allo scopo di introdurre il bike sharing locale e renderà attivi 50 mezzi (36 monopattini e 14 E-Bike) con il marchio “Elerent”.

Rappresentiamo una società messinese che si occupa di micromobilità sostenibile. La nostra azienda offre un servizio di noleggio monopattini a propulsione prevalentemente elettrica e biciclette a pedalata assistita con sistema free floating, modalità adottata nei principali comuni italiani.
Opereremo in tutto il comune messinese. Inoltre nella stagione estiva abbiamo già previsto un integrazione di altri mezzi nei comuni limitrofi.

Ha fatto sapere tramite una nota.

Le altre società coinvolte sono invece: la Ridemovi di Milano, Drivio di Pettoranello del Molise e la Bit Mobility di Bussolengo (operatore attivo a Reggio Calabria) per un totale di 182 monopattini e 139 bici elettriche; la Voi Technology di Milano per 182 monopattini e 14 bici, la Emtransit di Milano per 91 monopattini e 14 bici, Toogo di Patti per 36 monopattini e 14 bici, Lime  per le stesse risorse e Vento per 73 monopattini e 14 bici.

Messina
Monopattini elettrici. Fonte, Pixabay

Ma come funzionerà il nuovo servizio?

Il sistema di gestione dei dispositivi elettrici a noleggio sarà completamente informatizzato. Tramite apposita app, l’utente potrà visualizzare il numero e la locazione dei mezzi, poi eventualmente prenotare, pagare, sbloccare e, al termine dell’utilizzo, ribloccare un mezzo.

Non è previsto un limite temporale di fruizione e il limite spaziale corrisponde al perimetro della città. Il sistema è “free floating” , cioè senza dotazione di attrezzature per custodia, il che permette di lasciare il dispositivo elettrico anche in un punto diverso da quello di prelievo. 

I gestori dovranno garantire un call-center in lingua italiana e inglese a supporto dell’utenza. A loro carico sono anche le spese di ricarica delle batterie. Monopattini e biciclette potranno sostare solo negli stalli riservati a ciclomotori e motocicli.

Non sono ancora state rese note le tariffe di noleggio. In altre parti del Paese comunque si paga un euro per sbloccare un monopattino più una cifra a tempo compresa tra i 15 e i 29 centesimi al minuto. 

Un progetto innovativo… l’attenzione di UniMe 

Sul progetto ci vede lungo anche UniMe! Che ad esso ha voluto dedicare una parte dell’informazione accademica della sua “Scuola Di Eccellenza”. 

La Scuola di Eccellenza promossa dalla nostra Università, giunta nel 2023 alla sua sesta edizione, consiste in una serie di sei percorsi formativi che gli studenti presentanti particolari requisiti di merito possono scegliere di seguire.

Ed è proprio uno di questi percorsi formativi che analizza da vicino il tema della smart mobility, il suo nome è “ICT e sistemi di trasporto innovativi: concept, organizzazione, responsabilità” ed è tenuto dai professori Ingratoci e Villari.

Gabriele Nostro

Torneranno le province! Già sul tavolo la riforma: ecco quando si voterebbe

Tornerà l’elezione diretta dei presidenti delle Province e dei sindaci metropolitani! Tornerà anche l’elezione dei consiglieri e la nomina degli assessori provinciali! Almeno, questa sembra essere la volontà della maggioranza di governo, che già da qualche mese sta tracciando la direttiva per concretizzare il cambiamento. Intanto gli animi dei candidabili si scaldano; secondo il decreto in uscita: quali organi potrebbero votare i cittadini? E quando?

Province, la bozza della legge elettorale

Riporta le informazioni La Gazzetta del Sud. Nel corso degli ultimi mesi sono stati depositati ben nove disegni di legge riguardo la riforma sulle province, ma è nei giorni appena passati che l’indirizzo governativo è stato completamente esplicito per l’elaborazione di una bozza a opera del Comitato ristretto della Commissione Affari costituzionali al Senato. 

Secondo il testo più recente, il presidente della Provincia verrebbe eletto, dai cittadini della Provincia, tra i candidati che ottengano il maggior numero di voti: entro il primo turno previo raggiungimento di almeno il 40% delle preferenze o tramite ballottaggio ai turni successivi.

I consiglieri provinciali sarebbero sempre a elezione cittadina. Verrebbero votati nelle varie circoscrizioni elettorali, ovvero nei vari territori provinciali, ripartiti in collegi plurinominali con un numero di seggi compreso fra tre e otto (secondo l’estensione territoriale).

La soglia di sbarramento è attualmente fissata al 3% e non è prevista la possibilità di esprimere un voto disgiunto. 

Elezioni in primavera: perché sarebbe vantaggioso

Le province sarebbero chiamate ad agire principalmente nei seguenti ambiti: valorizzazione dei beni culturali; gestione della viabilità e dei trasporti; protezione della flora e della fauna; garanzia servizi sanitari; organizzazione dello smaltimento di rifiuti; tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche; promozione, coordinamento e organizzazione delle attività economiche e produttive di interesse locale; etc.
Di fronte a tutto questo, l’opposizione in primis pone il dubbio della necessità in rapporto ai costi. Vale la pena ricreare e rifinanziare le istituzioni provinciali? Conviene, nell’ottica di un investimento, oppure sarebbe solo uno spreco di denaro pubblico?
Non è semplice farsi un’idea a proposito, si discute pure dell’imprevedibile. Neanche guardare al passato può essere sufficiente: molto può cambiare nei tempi e nei tempi.  
Gabriele Nostro

Padova, medici “rivitalizzano” un cuore e lo trapiantano. Operazione unica nella storia

Lo scorso giovedì, un’equipe di medici padovani ha ricordato al mondo quanto bravi possano essere i professionisti sanitari nostrani. Compiendo un’operazione che ha dell’incredibile, unica nella storia per le sue modalità, l’equipe è riuscita a trapiantare un cuore “morto” da 20 minuti nel corpo di un cardiopatico. Ma andiamo per ordine…

Padova: in attesa da tre anni, poi il miracolo!

Riporta le informazioni Skytg24. Un uomo cardiopatico, oggi 46enne, nel 2020 aveva fatto richiesta, presso la struttura ospedaliera di Padova, per un cuore sano. Suo malgrado però, come spesso accade per penuria di “risorse anatomiche”, il suo desiderio era rimasto per tanto tempo inesaudito.

Per un lungo periodo ha sofferto ansioso in lista d’attesa, fino a quando, qualche giorno fa, è giunta  un’opportunità. È arrivato il bramatissimo bene, da mettere a frutto con un’operazione difficilissima.

Un altro uomo, colpito da “morte cardiaca”, ha lasciato in dono il suo cuore all’azienda ospedaliera di Padova: un cuore di tipo compatibile con quello del 46enne. 

L’operazione:  un cuore “vivo” da corpo a corpo

Così, senza perdere un attimo di tempo, i medici hanno messo le mani sul cuore del donatore. L’hanno riperfuso e, dopo averne valutato lo stato, l’hanno trapiantato con successo!

Hanno partecipato all’intervento, accompagnati dai rispettivi entourage: Gino Gerosa, direttore del reparto di cardiochirurgia dell’azienda ospedaliera di Padova e Paolo Zanatta, direttore del reparto di Anestesia e Rianimazione di Treviso.

A onor del vero, non è la prima volta che un cuore viene “rivitalizzato” in un altro corpo. Ma è la prima volta che ciò accade dopo ben venti minuti di “stop”. 

D’altronde, in Italia nessuno avrebbe potuto agire diversamente: una legge prescrive che il prelievo da cadavere possa avvenire solo dopo che un medico ha certificato la morte attraverso l’esecuzione di un elettro-cardiogramma protratto per una durata di almeno venti minuti, trascorsi i quali si considera vi sia una irreversibile perdita delle funzioni dell’encefalo e dunque la morte dell’individuo.

Cuore
Ospedale. Fonte: Italia Informa

Il Presidente Zaia: “Una nuova pagina sul fronte del trapianto di cuore”

Il direttore Gerasa ha commentato così la buona riuscita dell’operazione:

Per primi al mondo abbiamo dimostrato che si può utilizzare per un trapianto cardiaco un cuore che ha cessato ogni attività elettrica da 20 minuti. Questo risultato straordinario potrebbe portare ad un incremento del 30% nel numero dei trapianti, in un arco di tempo relativamente breve.

Ci sono Paesi in cui l’attesa dopo lo stop del cuore è di 2, massimo 5 minuti, qui in Italia ne sono previsti 20. Quindi abbiamo studiato e lavorato intensamente per superare questo ostacolo e abbiamo dimostrato che anche in Italia si può fare questo tipo di trapianto

E anche Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, ha voluto dire la sua sulla vicenda, dimostrando enorme soddisfazione:

Si tratta di una notizia emozionante, si apre una nuova pagina di storia sul fronte del trapianto di cuore, risultato di un lavoro di squadra eccezionale portato avanti dalla sanità veneta e da questi medici professionisti di grandissimo spessore.

 

Gabriele Nostro

 

 

 

Geoffrey Hinton lascia Google. Una scelta “per poter parlare dei pericoli” dell’IA

Non conosciamo ancora i limiti d’azione dell’intelligenza artificiale. Meglio, ne conosciamo quelli attuali, ma dovremmo preoccuparci che non siano definitivi. Torniamo sull’argomento dopo qualche settimana per approfondirlo in seguito a un’importante notizia.

Geoffrey Hinton, il “padrino dell’IA”, ha scelto di lasciare le fila di Google. Il motivo? «Per poter parlare liberamente dei pericoli» dell’intelligenza artificiale. Pericoli che lui stesso si è pentito di aver creato.

Chi è Geoffrey Hinton? Perché sarebbe il “Padrino dell’IA”?

Geoffrey Hilton, 75 anni, è un informatico britannico naturalizzato canadese. È noto per i suoi contributi di ricerca sullo sviluppo dell’apprendimento profondo, per cui nel 2018, insieme a Yoshua Bengio e Yann LeCu, ha ricevuto il Premio Turing.

Grazie al suo lavoro pionieristico sulle reti neurali ha modellato i sistemi di intelligenza artificiale che alimentano molti dei prodotti odierni. Insegna all’Università di Toronto e ha lavorato part-time presso Google per un decennio, operando particolarmente nell’elaborazione dell’IA del grande motore di ricerca.

Oggi, come già scritto, ha scelto di ritirarsi da quest’ultima mansione, nutrendo preoccupazione per la tecnologia e per il suo progresso.

Geoffrey Hinton
Geoffrey Hinton. Fonte: Wikimedia Commons

La nuova missione di Hinton: informare, prevenire, proteggere

Il potenziale umano è finito, lo impongono la nostra anatomia e la nostra fisiologia. Per questo l’uomo, bramando maggiori facoltà (matematiche, logiche, etc.), sfrutta le macchine, e i sistemi informatici, come prolungamenti del proprio corpo. Così in qualche modo vivifica la parte aggiunta, dotandola di una propria “umanità”, maturando il rischio che diventi autonoma, unica, incontrollabile. E qui si schiude il dubbio etico-pragmatico: c’è un punto in cui dovremmo accontentarci e fermarci?

Secondo Hinton sì. E il punto sarebbe solo da identificare, dopo che lui, e gli altri esperti del tema come lui, avranno chiarito cosa già si può chiarire. In ciò consisterebbe la sua nuova missione: costruire una nuova consapevolezza sulle minacce dell’IA per riadattarci nel mondo.

Il futuro della tecnologia: l’entità più spaventosa e i rischi peggiori

Riportano le informazioni Il Corriere della Sera e l’Ansa.

L’informatico, dopo la notizia del suo addio a Google, ha subito fatto scudo sull’azienda. Ha discolpato il colosso da ogni possibile colpa scrivendo su Twitter che «Google ha agito in modo responsabile».

Diversamente, per sé stesso ha deciso di fare una parziale mea culpa. Ai microfoni del New York Times, parlando del progresso tecnologico a lui accreditato, ha infatti dichiarato: «Se non l’avessi fatto io, l’avrebbe fatto qualcun altro». Salvo poi aggiungere:

Se siete diventati dipendenti dai like è colpa mia: sappiate che ho contribuito a crearli. Se mentre navigate in rete e parlate di un oggetto venite bombardati dalla pubblicità su quella cosa, prendetevela con me: vorrei non aver sviluppato quelle tecniche di microtargeting.

In un altro momento, alla Bbc ha spiegato qual è oggi l’entità informatica più spaventosa e perché dovremmo temere questa e altre del suo tipo:

In questo momento, quello che stiamo vedendo è che cose come GPT-4 oscurano una persona nella quantità di conoscenza generale che ha e la oscura di gran lunga. In termini di ragionamento, non è così buono, ma fa già un semplice ragionamento. E dato il ritmo dei progressi, ci aspettiamo che le cose migliorino abbastanza velocemente. Quindi dobbiamo preoccuparcene.

Infine, ragionando sui valori negativi dell’intelligenza artificiale ha identificato i due rischi peggiori da essa provenienti:

È quasi impossibile individuare e neutralizzare gli “attori maligni” che la useranno. E potrebbe prendere decisioni non previste.

Gabriele Nostro

Energie rinnovabili, l’UE ridefinisce il prossimo traguardo

Nel 2009, i leader dell’UE avevano fissato un obiettivo: il consumo energetico dei Paesi comunitari, entro il 2020, avrebbe dovuto essere coperto per almeno il 20% dalle fonti energetiche rinnovabili (energia solare, eolica, geotermica, idroelettrica, da biomassa). Un obbiettivo che è stato raggiunto, ora da riscrivere per il futuro 2030. I responsabili dell’Unione si sono consultati più volte a proposito e, saltando una prima definizione del traguardo formulata nel 2018, hanno fatto quadra su una nuova quota: si dimostrerà pareggiabile o troppo ambiziosa?

Energie rinnovabili: gli ottimi risultati

Un rapporto nominato “Trends and Projections in Europe 2020” dell’European Environment Agency (EEA) ha proclamato i successi dell’Ue in confronto ai suoi tre principali obiettivi climatici ed energetici da raggiugere entro il 2020. In particolare, l’Ue ha ridotto le emissioni di gas serra del 20% rispetto ai livelli del 1990, aumentato al 20% la quota di utilizzo di energia rinnovabile e migliorato del 20%  l’efficienza energetica.

E anche la nostra Italia ha ben operato sulle energie rinnovabili, utilizzandole come valore di oltre un quinto dei consumi complessivi di energia (20,4%). Efficientamento onorevole, anche considerato che la percentuale da rispettare per il Belpaese, decisa dalla direttiva del 2009, era pari al 17%.

Risultati ottimi e…mire ottimistiche!

Fatti i conti con gli ottimi risultati del passato, le istituzioni Ue hanno rimodulato le mire comuni in un’ottica più ottimistica. Nel 2018, infatti, era stato concordato l’obiettivo di una quota del 32 % del consumo energetico da fonti rinnovabili entro il 2030. Ma ieri, come riportato da RaiNews, tale percentuale è stata innalzata a 42,5%.

La Commissaria europea all’energia Kadri Simson ha così commentato i termini dell’accordo:

Accolgo con favore l’accordo provvisorio con il Parlamento e il Consiglio su una serie rafforzata di norme sulle energie rinnovabili. Abbiamo raggiunto un compromesso ambizioso. La nuova direttiva rinnovabili è un passo importante nella realizzazione del Green Deal e del RePower Eu.

L’Europarlamento e il Consiglio Ue dovranno ratificare l’intesa per renderla efficace. La direttiva, in quanto tale, obbliga gli Stati membri a pervenire un determinato risultato senza lineare i mezzi utili a ciò, comunque presentando alcuni vincoli più specifici…

Energie rinnovabili: i parametri stringenti della direttiva

Entro il 2030 le energie rinnovabili dovrebbero contribuire al 49% dell’energia utilizzata dagli edifici. Gli Stati membri dovranno scegliere se usare le rinnovabili come quota del 29% nel consumo di energia nel settore dei trasporti, o se ridurre del 14,5% dell’intensità di gas a effetto serra nei trasporti grazie all’uso di fonti rinnovabili.

Inoltre, le rinnovabili dovranno contribuire ai consumi del settore con almeno il 5,5% di biocarburanti avanzati (cioè provenienti da materie prime non alimentari) e carburanti rinnovabili di origine non biologica (idrogeno rinnovabile e carburanti sintetici a base di idrogeno).

Energie rinnovabili
Pale eoliche. Fonte: Startmag

L’impegno “green” dell’Unione, le ultime novità

Gli impegni “green” dell’Unione non si limitano certo alla questione delle energie rinnovabili. Recentemente, altri due temi hanno generato anche più clamore, soprattutto per i loro contingenti fattori di svantaggio economico.

L‘Unione Europea ha deciso che dal 2035 non si potranno più vendere nuove auto con motori benzina o diesel. Un duro colpo per le molteplici aziende vicine alla produzione di un genere di auto che potrà diventare presto obsoleto.

Non meno spinosa è la faccenda della direttiva sulle “case verdi”. Essa prevede l’ottimizzazione energetica degli edifici con l’ambizioso obiettivo di arrivare ad emissioni zero entro il 2050. Sulla sua legittimità si pongono i dubbi di chi crede che il mercato immobiliare subirà una scossa: per la svalutazione degli immobili non energicamente ottimizzati, per le spese di efficientamento energetico necessarie e per la ristrutturazione di edifici storici non considerati tali dalla direttiva.

Gabriele Nostro

Giornata delle donne: dalle origini alle rivendicazioni odierne

In tutto il mondo, in occasione dell’8 marzo si celebra la Giornata internazionale dei diritti delle donne. Molto spesso definita solamente “Festa della donna”, è bene ricordare che si tratta di una commemorazione delle lotte da parte delle donne per il riconoscimento dei propri diritti in ambito economico, politico e culturali.

Dalle origini alle rivendicazioni femministe

Gli eventi storici che hanno segnato le origini della ricorrenza sono del tutto incerti: si è pensato per anni che il punto di partenza risalisse all’ipotetico incendio della fabbrica di camicie Cotton a New York nel 1908, dove il padrone, un uomo di nome Johnson, avrebbe chiuso le serrature delle porte della fabbrica dove lavoravano 129 operaie cui non rimase scampo dalle fiamme. La ricostruzione storica, però, smentisce del tutto questo avvenimento. A quanto pare, non è mai esistita una fabbrica di nome Cotton (o Cottons), e nel 1908 non è mai stato registrato nessun incendio.

Probabilmente, questa vicenda prese spunto da un incendio analogo accaduto realmente il 25 marzo 1911 della fabbrica Triangle Shirt Waist Company a Manhattan, considerato il disastro industriale più grande nella storia di New York City, causando 146 vittime (di cui 123 donne, la maggior parte immigrate italiane e ebree). L’evento di per sé ebbe un eco sociale e politico talmente forte da rappresentare l’inizio delle riforme americane sulle leggi inerenti la sicurezza sul posto di lavoro.

A sostegno di questa ricostruzione, il Museum of the City of New York (che si trova nell’Upper East Side della Metropoli) ricorda tutti gli incendi che purtroppo devastarono la città, incluse le immagini che ritraggono il grave incidente della fabbrica Triangle.

Donne
La fabbrica Triangle in fiamme durante le operazioni di spegnimento. Fonte: trianglefire.ilr.cornell.edu

Perché proprio l’8 Marzo?

In realtà, le origini della festa hanno una connotazione per lo più politica. La ricorrenza nasce con la protesta delle donne russe dell’8 marzo 1917, che chiesero a gran voce nelle strade “pane e pace” e il loro diritto di voto. Tale evento segnò l’inizio della Rivoluzione Russa di Febbraio, preludio alla Rivoluzione d’Ottobre. Ma facciamo qualche passo indietro.

L’istituzionalizzazione nel mondo e in Italia

Secondo alcuni storici, la conferenza di Copenaghen segnò il punto di partenza nel lungo tragitto sull’istituzionalizzazione della Giornata Internazionale dei diritti delle donne. Durante il VII Congresso della II Internazionale socialista, tenutosi a Stoccarda dal 18 al 24 agosto 1907 (e nel quale erano presenti tra i maggiori dirigenti marxisti del tempo, come i tedeschi Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, August Bebel, i russi Lenin e Martov, il francese Jean Jaurès) vennero discusse tesi riguardanti il colonialismo, la questione femminile e la rivendicazione del voto alle donne.
Su quest’ultimo argomento il Congresso votò una risoluzione nella quale  i partiti socialisti si impegnavano a «lottare per l’introduzione del suffragio universale delle donne, senza doversi alleare con le femministe borghesi che reclamavano il diritto di suffragio, ma con i partiti socialisti che lottano per il suffragio delle donne».

A questo evento se ne aggiunse un altro: nel 1917, nel periodo della Russia Socialista, presero vita una serie di manifestazioni da parte delle donne di San Pietroburgo che protestavano contro la violenza della guerra in corso. In ricordo di questa prima manifestazione operaia contro lo zarismo e forti del periodo storico e culturale di particolare formento sulla questione di genere, durante la Seconda conferenza delle donne comuniste del 1921 si decise di rendere ufficiale la data dell’8 marzo come Giornata Internazionale dell’Operaia.

Il Woman’s Day statunitense

Negli Stati uniti, la conferenza del Partito Socialista americano del 3 maggio 1908, presieduto da Corrine Stubbs Brown a Chicago, nel Garrick Theater, venne ricordata come il “Woman’s Day“: la discussione verteva sullo sfruttamento operato dai datori di lavoro ai danni delle operaie, soprattutto per quanto riguarda l’orario lavorativo disumano e il basso salario, senza contare le discriminazioni sessuali e il diritto di voto alle donne. Nel febbraio dell’anno successivo, alla Carnegie Hall si celebrò il primo Woman’s Day negli USA.

Il dopoguerra e la nascita dell’UDI in Italia

La prima volta che l’Italia introdusse la Giornata Internazionale della donna fu il 12 marzo 1922, per iniziativa del Partito Comunista Italiano, ma prese maggiormente piede nel 1944, dopo la caduta della dittatura fascista, dove le donne appartenenti al PCI, al PSI, al Partito d’Azione, alla Sinistra Cristiana e alla Democrazia del Lavoro crearono a Roma l’UDI (Unione Donne in Italia). Fu proprio l’UDI a prendere l’iniziativa di celebrare, l’8 marzo 1945, la prima giornata della donna nelle zone dell’Italia libera.

Per la sua istituzionalizzazione a carattere mondiale come “Giornata Internazionale dei diritti delle donne” dovremo aspettare il 1977 con il riconoscimento formale dell’ONU, nella risoluzione 32/142.

Donne
Manifestazione delle donne per la giornata delle donne nel 1980. Fonte: CGIL Bologna

I diritti delle donne nel Mondo…

È innegabile che le lotte delle donne femministe nel corso del secolo scorso siano state fondamentali nello sviluppo della nostra società civile, adesso volta al perseguimento di valori etici basati sulla parità di genere, pari trattamento e pari opportunità. Tuttavia, è ancora fortemente sentito in diversi ambiti del sociale il fenomeno della discriminazione di genere. Ad esempio, benché le donne lavorino per i due terzi del totale delle ore lavorative mondiali, a loro spetta solo il dieci per cento del reddito mondiale.

È anche vero che tale processo di riconoscimento non è stato omogeneo in tutto il mondo, ma esistono ad oggi diversi livelli di liberalizzazione della donna.

La rivoluzione in Iran

In Iran, per esempio, le donne continuano a lottare per la propria libertà, nonché per la vita. Dall’omicidio di Mahsa Amini da parte delle autorità morali del Paese, non si arrestano più le proteste delle donne iraniane, che al grido di «Donne, vita, libertà», stanno mettendo in atto una vera e propria rivoluzione, potente, inclusiva e trasversale. Non solo si stanno battendo contro la gestione patriarcale del loro corpo e degli spazi pubblici, ma chiedono a gran voce un diverso sistema di governo. Senza dimenticare, però, che in questa rivoluzione non sono sole: il loro punto di forza risiede nell’unione con giovani uomini che combattono al loro fianco.

La battaglia non si esaurisce in strada. Infatti, le ragazze iraniane puntano sull’istruzione per emanciparsi, unico strumento per sopperire alla schiacciante censura che in questi mesi il governo iraniano sta mettendo in atto per mettere fine alle proteste.

Donne
Una donna iraniana reagisce durante una protesta davanti al consolato iraniano a Istanbul, in Turchia, il 21 settembre 2022. Fonte: Rainews

L’oppressione in Afghanistan

In Afghanistan, il colpo di stato messo in atto dai Talebani ha portato il paese indietro di vent’anni, causando al processo di emancipazione della donna maggiori difficoltà rispetto a prima della caduta del governo filoamericano.

Infatti, l’Afghanistan è l’unico paese al mondo dove alle donne non è permesso studiare, frequentare le scuole superiori, né l’Università. È loro vietato, poi, lavorare fuori casa, spostarsi in autonomia senza la presenza di un parente di sesso maschile, ed hanno l’obbligo di indossare il burqa in pubblico. Naturalmente, anche il precedente Ministero delle donne è stato abrogato per fare spazio al Ministero della Prevenzione della Virtù e contro la Promozione del Vizio.

… e in Italia?

La condizione femminile in Italia ha avuto il suo massimo sviluppo a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dalla caduta del regime fascista, quando le donne hanno visto finalmente riconoscersi sempre più diritti, i quali in precedenza erano prerogativa esclusiva degli uomini, fino ad arrivare alla completa parità giuridica.

Eppure, siamo ancora molto lontani da un’effettiva attuazione dell’articolo 3 della Costituzione Italiana, che postula che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

Donne e lavoro, ancora lontani dalla parità

Secondo un sondaggio IPSOS, in Italia, quasi sette persone su dieci (67%) ritengono che nel nostro Paese vi sia attualmente una disuguaglianza tra donne e uomini in termini di diritti sociali, politici e economici, e sono soprattutto le donne ad essere d’accordo con questa affermazione (73% contro il 61% degli uomini). La questione del gender gap non è mai stata affrontata in maniera completa dai governi che si sono susseguiti in Italia, e il tasso di occupazione parla chiaro. Infatti, pur avendo toccato quota 60,5% lo scorso ottobre, il valore più alto dal 1977, i tassi di occupazione di uomini e donne continuano a restare distanti (rispettivamente 69,5% e 51,4%), con un gap di genere del 18%.

Il tasso di disoccupazione femminile è al 9,2% contro il 6,8% degli uomini, divario che aumenta per i giovani fra i 15 e i 24 anni con tassi del 32,8% per le ragazze e il 27,7% per i ragazzi.

I dati relativi al primo semestre del 2022 confermano la specificità femminile del part time come forma di ingresso al lavoro. Su tutti i contratti attivati a donne, il 49% è a tempo parziale, contro il 26,2% maschile. In particolare, è a part time oltre la metà (51,3%) dei contratti a tempo indeterminato delle donne.

Questo perchè, sul genere femminile cade una condizione lavorativa definita di “debolezza rafforzata”, ossia la presenza di due fattori di criticità associati: la forma contrattuale precaria e il tempo parziale. Se consideriamo solo il lavoro a tempo determinato, che occupa il 38% dei contratti delle donne e il 43% di quelli degli uomini, si nota che della prima quota il 64% è part time e della seconda lo è il 32%. Un’incidenza superiore rispetto a quella maschile di più di 22 punti percentuali.

Sul diritto d’aborto

Gender gap a parte, anche il diritto d’aborto in Italia è sancito dalla legge 194/1978, ma nella pratica la questione è più complessa. Nelle strutture ospedaliere situate nel territorio italiano, in media si stima che 7 ginecologi su 10 sono obiettori di coscienza, e che quindi si rifiutano di applicare il diritto d’aborto alle donne che hanno espresso la volontà dell’interruzione volontaria di gravidanza.

Victoria Calvo

Addio al vecchio Reddito di cittadinanza. Arriva “Mia”, la nuova “Misura di inclusione attiva”

Quello che noi tutti conosciamo come reddito di cittadinanza, cambierà nome dalla fine di quest’estate. La nuova manovra finanziaria 2023 aveva preannunciato degli importanti cambiamenti in tal senso. Il nuovo sistema cambia anche sulla base di differenti criteri di accesso.

Il nuovo strumento partirà da settembre con una nuova denominazione, Mia: Misura di inclusione attiva”. La nuova legge di Bilancio ha fatto scattare sette mesi di proroga ai beneficiari del Reddito di Cittadinanza. I nuclei percettori, secondo l’Osservatorio Statistico, sono 1.160.714 per un totale di 2.468.895 persone coinvolte.

Che cos’è il “Mia”?

Mia è un sussidio più leggero e di minore durata. Ideato per due tipologie di fruitori, occupabili o meno, con un assegno massimo di 500 euro al mese. Attualmente sono circa 1,1 milioni di famiglie a percepire il Reddito, con un importo medio di 549 euro.

La Mia potrebbe prevedere un sussidio di massimo 500 euro, per coloro che sono considerati non occupabili. Mentre si opterà per una riduzione a 375 euro, in caso di persone adatte a lavorare. In questa seconda categoria rientrerebbero anche i percettori di redditi da lavoro molto bassi, fino a 3mila euro annui. La durata dell’assegno sarebbe inferiore a quella attuale, circa 12 mesi al posto di 18.

Il tutto verrà confermato nelle prossime settimane. Si attende che la ministra del Lavoro, Elvira Calderone, presenti in Consiglio dei Ministri il decreto legge per la riforma del Reddito di cittadinanza.

Chi potrà richiederlo?

La divisione fondamentale sarà tra famiglie di occupabili e non. I beneficiari della Mia dovrebbero essere divisi in due gruppi: 

  • Da una parte le famiglie con persone “occupabili” al loro interno, cioè i cui membri hanno tra i 18 e i 60 anni e non hanno disabilità.
  • Dall’altra le famiglie con persone “non occupabili”, cioè quelle in cui almeno una persona ha meno di 18 anni, più di 60 anni o ha una disabilità.

Il requisito reddituale per entrare nel sostegno, quindi l’ISEE, dovrebbe essere tagliato di oltre 2mila euro per arrivare a 7.200 euro. Tra le famiglie di occupabili e non, cambieranno i  tempi del sostegno e il valore dell’assegno. Per gli occupabili – che al momento hanno assicurato il Reddito di cittadinanza solo per sette mesi del 2023 – l’assegno di base (per un single) va verso una riduzione a 375 euro e una durata massima di circa 12 mesi. Come afferma il sottosegretario all’Economia, Federico Freni

“Il Mia nasce dalla volontà di risolvere il tema delle politiche attive, per spostare quello che oggi è un sussidio sul tema della politica attiva. Quindi, ovviamente, non è una retromarcia. Si era detto che si sarebbe cambiato il Reddito di cittadinanza”

Mia come funzionerà?

“Si era detto che si sarebbe immaginata una misura che avrebbe consentito a chi non può lavorare di essere sostenuto e a chi non vuole lavorare di dover lavorare per forza, se la vuole. E questo si sta facendo. Con il Mia ci sarà, entro certi limiti, la concorrenza tra lavoro e Reddito di cittadinanza”.

Questo è quanto aggiunge il sottosegretario Freni, ma vediamo insieme come funzionerà la nuova misura. Lo scopo di ‘Mia’ è quello di inserire nel mondo lavorativo coloro che ne sono rimasti fuori. Al fine di migliorare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, il Ministero del Lavoro dovrebbe dirigere i lavori utili e dare luogo ad una piattaforma online nazionale, a cui gli occupabili dovrebbero obbligatoriamente iscriversi. 

In quest’ottica verrà sviluppata una piattaforma online apposita per la misura. In base alla categoria del nucleo familiare si prevedono due direzioni:

  • i nuclei in cui non sono presenti persone occupabili verranno destinati ai singoli Comuni, per percorsi di inserimento sociale specifici;
  • i nuclei in cui sono presenti persone occupabili verranno destinati ai Centri per l’Impiego. Dove dovranno sottoscrivere un patto di inserimento al lavoro per ottenere la MIA e iniziare un apposito percorso.

Federica Lizzio

In Iran centinaia di bambine sono state avvelenate per far chiudere le scuole femminili

Nelle ultime settimane sono stati segnalati oltre duecento casi di studentesse di circa 10 anni, e di 14 scuole diverse, con sintomi di avvelenamento da agenti chimici, a pochi mesi dallo scoppio delle proteste in Iran legate alla morte della giovane Mahsa Amini.

Iran, bambine avvelenate per non farle andare a scuola. Fonte: Vanity Fair

Dopo un’iniziale reticenza, domenica scorsa sul caso si è espresso il viceministro dell’Istruzione iraniano Younes Panahi, secondo cui l’avvelenamento seriale di studentesse nella città religiosa di Qom e in altre città sarebbe “intenzionale”, nel tentativo di provocare la chiusura delle scuole femminili. Numerosi i genitori scesi in strada per chiedere più tutele da parte delle autorità locali e nazionali.

Qom, la città dell’Iran dove tutto è cominciato

La recente segnalazione rappresenta in realtà soltanto l’ultimo episodio di una serie di avvelenamenti “intenzionali” nei confronti di almeno 400 ragazze, con l’obiettivo di impedire l’istruzione femminile.

Il primo avvelenamento risale al 30 novembre, quando diciotto studenti della scuola tecnica Nour della città religiosa di Qom giungono in ospedale con sintomi di intossicazione grave. Da allora, più di dieci le scuole femminili nel mirino: sono almeno 194 gli avvelenamenti della scorsa settimana in una scuola femminile nella città di Borujerd, così come a Teheran e Ardebil.

Centinaia le famiglie spaventate che, vedendo da novembre figlie bambine o adolescenti rientrare da scuola con nausea, mal di testa, tosse, respiro difficile, palpitazioni, letargia, hanno messo in atto un passaparola che ha fatto chiudere le scuole per due giorni la settimana scorsa. Già il 14 febbraio, un gruppo di genitori protestava davanti al governatorato della città per chiedere spiegazioni.

Ad aggravare l’accaduto le ultime notizie sui social, secondo cui una delle studentesse di Qom avvelenate da sostanze chimiche non ancora certificate, sarebbe morta. Si chiama Fatemeh Rezaei e appare su centinaia di hashtag su Twitter. La famiglia dell’undicenne, allieva della più prestigiosa scuola religiosa della Repubblica islamica, è stata minacciata di non divulgare la notizia, poi rilanciata dagli amici della vittima.

Non è un caso che gli avvelenamenti siano cominciati proprio a Qom, città da 1,2 milioni di abitanti. Una città “santa”, sede di molte istituzioni del clero iraniano e che ha ospitato la maggior parte dei leader del paese.

Le dichiarazioni sul movente

Sebbene Panahi non abbia indicato i possibili responsabili nelle sue dichiarazioni, alcuni media locali riferiscono che le ragazze sarebbero state avvelenate proprio da movimenti di estremisti religiosi, probabilmente ispirati dalle politiche dei talebani afghani di vietare l’accesso alle scuole a bambine e ragazze.

Alla luce dei primi elementi emersi con le indagini del ministero dell’Istruzione e l’intelligence iraniana, il viceministro iraniano alla Salute ha affermato:

«Si è scoperto che alcune persone volevano che tutte le scuole, in particolare le scuole femminili, fossero chiuse», aggiungendo tuttavia che «i composti chimici usati per avvelenare gli studenti non sono prodotti chimici di guerra, gli studenti avvelenati non hanno bisogno di trattamenti aggressivi, e una grande percentuale degli agenti chimici usati sono curabili».

Anche Homayoun Sameh Najafabadi, membro del comitato parlamentare per la Salute, ha confermato in un’intervista al sito “Didbaniran” che l’avvelenamento delle studentesse nelle scuole di Qom e Borujerd è intenzionale. Le dichiarazioni giungono dopo che il ministro dell’Istruzione, Youssef Nouri, aveva definito come mere “voci” le notizie sull’avvelenamento.

Un evidente cambio di posizione da parte del regime, che appena dieci giorni fa definiva come “non confermate” le notizie degli avvelenamenti.

La condanna dell’Italia

Dinnanzi ai fatti di un Paese che continua ad essere dilaniato da forti instabilità politiche, la Lega ha deciso di presentare un’interrogazione parlamentare:

«Ennesimo episodio sconcertante che non può lasciarci in silenzio […] L’accanimento terribile e violento contro le donne iraniane continua a sconvolgerci e a indignarci. Come Lega, domani presenteremo un’interrogazione al ministro degli Esteri Tajani, perché su fatti drammatici del genere urgono risposte celeri», si legge in una nota dei senatori della Lega nelle commissioni Esteri e Difesa: Marco Dreosto, Andrea Paganella e Stefania Pucciarelli.

Severe anche le considerazioni di Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa verde e deputato di Verdi e Sinistra:

«I fatti gravissimi accaduti in Iran sono una dolorosa evidenza del fatto che ci troviamo di fronte a pratiche che ricordano l’orrore di quelle di sterminio naziste. Una situazione davanti a cui il Governo, insieme all’Unione europea, deve stabilire subito cosa intende fare per garantire il rispetto dei diritti umani»

Il ruolo delle donne nelle proteste

Parte dei movimenti di opposizione al regime iraniano ha accusato le autorità del paese per gli avvelenamenti, collegandoli al ruolo di riferimento che le giovani iraniane ricoprono nel movimento di rivolta nato con la morte di Mahsa Amini. Ad oggi, sui social circolano foto e video in cui le iraniane si tagliano i capelli e bruciano il velo islamico in segno di protesta.

Fonte: Agenzia Nova

Intanto, nelle ultime ore è stata rilasciata una cittadina 24enne spagnola, Ana Baneira, detenuta dallo scorso novembre. Le circostanze dell’arresto non sono mai state precisate, ma la durata della sua detenzione ha coinciso con il culmine delle proteste in Iran.

Gaia Cautela

Dahl, Walt Disney, Lovecraft: le censure ai libri per bambini che fanno discutere

Eliminare parole come “grasso” e “nano” per non offendere nessuno e insegnare ai più piccoli ad essere inclusivi. Così la casa editrice Puffin Books – appartenente al colosso editoriale Penguin Books – ha giustificato la scelta di censurare i libri per bambini dell’autore di fama mondiale Roald Dahl. La decisione fa parte di una rivisitazione più generale delle opere letterarie di cui detiene i diritti, il cui obiettivo sarebbe far sì che i suoi classici «possano essere fruiti ancora oggi da tutti».

I libri di Roald Dahl. Fonte: Agenzia Dire

Si tratterebbe di uno dei primi casi di cancel culture editoriale che provoca immediato allarme: l’iniziativa, infatti, non è piaciuta a molti, e ha portato persino all’intervento del primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak. A parlare per primo è stato venerdì scorso il Telegraph, che nell’inchiesta “The rewriting of Roald Dahl” ha raccolto un centinaio di modifiche mirate a rendere più inclusivi i testi su tematiche come aspetto fisico, etnia e questioni di genere.

L’inclusività che divide

La riscrittura, come spiega il Guardian, comporterà ampi cambiamenti: Augustus Gloop in Charlie e La Fabbrica di cioccolato, ad esempio, sarà descritto come “enorme”, mentre La Miss Trunchbull di Matilde da «femmina formidabile» è ora «donna formidabile»; i piccoli Umpa-Lumpa operai della Fabbrica di cioccolato non saranno più «piccoli uomini» ma «piccole persone».

Un portavoce della Roald Dahl Story Company ha dichiarato a Variety quanto segue:

«Vogliamo assicurarci che le meravigliose storie e i personaggi di Roald Dahl continuino ad essere apprezzati da tutti i bambini di oggi. Quando si ripubblicano libri scritti anni fa, non è insolito rivedere il linguaggio utilizzato insieme all’aggiornamento di altri dettagli, tra cui la copertina e il layout. Il nostro principio guida è stato quello di mantenere le trame, i personaggi e l’irriverenza e lo spirito tagliente del testo originale. Eventuali modifiche apportate sono state piccole e attentamente considerate».

Ma la reazione è stata critica da parte di molte voci importanti che lanciano l’allarme su questioni di libertà di espressione. L’autore Salman Rushdie sul suo account Twitter ha scritto in merito: «Roald Dahl non era un angelo, ma questa è un’assurda censura. Puffin Books e la Dahl estate dovrebbero vergognarsi».
Sulla revisione delle opere di Dahl si è pronunciata anche Suzanne Nossel, Ceo di Pen America (una comunità di oltre 7.000 scrittori che sostengono la libertà di espressione), che ha twittato dicendo di essere «allarmata» dai cambiamenti segnalati e ha avvertito che il potere di riscrivere i libri potrebbe essere abusato.

Varie polemiche da Zio Paperone a Lovecraft

Il politically correct ha investito anche il colosso americano Disney, che nei giorni scorsi ha deciso di non ristampare due particolari storie della saga di Paperon De Paperoni di Don Rosa che includono un particolare personaggio, per via di una nuova policy più attenta all’inclusività:

«Come parte del suo costante impegno per la diversità e l’inclusione, The Walt Disney Company sta rivedendo la propria libreria di storie», si legge nel messaggio inviato a Don Rosa e da lui prontamente ripubblicato sui social.

Gongoro sarebbe infatti una sorta di mostro rappresentato come lo stereotipico uomo nero popolarizzato dal personaggio di Jim Crow, ormai considerato simbolo del razzismo nei confronti delle persone afrodiscendenti. L’autore dell’Oregon lo pensò come un uomo africano in abiti laceri e con tratti caricaturali, ed è possibile che a posizionare le storie fuori dalla nuova policy Disney sia proprio questa rappresentazione.

Disney censura Zio Paperone. Fonte: Ventenni Paperoni

Il dibattito non ha risparmiato neanche uno degli scrittori fantasy più famosi di tutti i tempi, Howard Phillips Lovecraft, il cui lavoro è ovunque e che è stato più volte accusato di essere razzista (inequivocabile e innegabile). Ampie tracce di ciò si possono vedere nei racconti — The Call of Cthulhu è pieno di considerazioni ostili su «sanguemisti» e umani «di specie bassa» — e il suo epistolario ci consegna molte invettive contro «gli italiani del Sud brachicefali & gli ebrei russi e polacchi mezzi mongoloidi coi musi da ratti & tutta quella feccia maledetta» e altre descrizioni del genere.

Con un’influenza culturale satura come quella di Lovecraft, l’unica soluzione è quella di diffondere la consapevolezza dell’eredità dell’autore insieme all’opera stessa. In altre parole, l’alternativa è educare su ciò che è esistito già per creare qualcosa di nuovo, passando al setaccio sia ciò che si ama da ciò che è oramai obsoleto, che tutti quegli elementi rimandanti invece ad un’universalità dei temi.

La cancel culture deve far riflettere

Il problema di quanto descritto finora è legato al rischio di confondere l’arte, il contesto storico e le peculiarità di un autore con la tutela delle sensibilità contemporanee. Ma il vero pericolo di manomettere l’integrità di un’opera letteraria è forse quello di alimentare un clima di dubbi e incertezze; perché se è vero che oggi siamo capaci di cambiare le opere del passato censurandole e descrivendole in altro modo, cosa impedirà in un futuro prossimo di farlo in altri contesti?
È forse questa la via del ritorno al pensiero unico tanto temuto ai tempi delle dittature novecentesche? Come ci insegna la teoria politologica del ferro di cavallo le due estremità non sono gli opposti, ma si avvicinano quasi a toccarsi.

Fonte: iodonna.it

Ad ogni modo bisogna fare i conti anche con l’altro piatto della bilancia, possibilmente ritenuto responsabile di contenere eccessivo buonismo: da genitori molto spesso ci si ritrova a leggere storie e a modificarne delle parti perché ci si rende conto che, essendo state scritte in altri momenti storici, tendono ad esprimere visioni della società non più condivise e che pertanto non si vuole trasmettere ai propri figli. Si pensi ad esempio al ruolo stereotipato della donna nelle fiabe che hanno accompagnato l’infanzia di quasi ogni bambino e bambina; è indiscutibilmente responsabilità dell’adulto evitare – attraverso una buona dose di consapevolezza – che i più piccoli subiscano certi imprinting. Da non sottovalutare poi la rilevanza della lingua come potente strumento di cambiamento sociale, in grado di vincere stereotipi e pregiudizi che distorcono e alterano la realtà.

Ciononostante, la questione che anima il dibattito rimane perché si continua a modificare pezzi scritti in altre epoche per adattarli ai nostri tempi, e comprensibilmente non tutti son d’accordo. Ma la domanda da porsi è principalmente una: meglio che un’opera sia modificata in modo da rimanere sostanzialmente la stessa ed immortale ma adattata alla nuova forma che vogliamo imprimere alla società o che per non fare un torto ai testi, frutto di persone di altre epoche, in generale ne aboliamo la fruizione, smettendo di stamparli e lasciando che il tempo li cancelli, così come si farà con le storie di Zio Paperone? La risposta più saggia da dare è che non esistono soluzioni univoche alle controverse questioni etiche, così che si deve accettare la convivenza di opinioni diverse e persino opposte, dalle quali comunque emergerà un’azione collettiva.

Gaia Cautela