Tutto quello che devi sapere sull’essere un “Terrapiattista Doc”

E’ ormai sulla bocca di tutti: “Il pianeta terra non è una sfera, la terra non è tonda, ma è piatta.” Ecco quindi il principale fondamento su cui si basa il credo dei Terrapiattisti. Chi sono questi sconosciuti? Una setta, clan, gruppo, che conta continui nuovi adepti da parte di tutto il mondo; che ha il solo scopo di dimostrare che tutto quello che sappiamo, che ci hanno insegnato, dimostrato, verificato, sin dalla scuola dell’infanzia, è errato. La Terra non è come l’abbiamo sempre pensata, la Terra è piatta!

In poche parole, i più grandi pensatori, scienziati e studiosi, che lottarono per affermare teoria di sfericità della terra, avrebbero sbagliato. I Terrapiattisti sono convinti di questo, e sono pronti a dimostrarlo con una serie di studiatissime ed esilaranti teorie.

Il Polo Nord, non è altro che il centro del mondo; e il Polo Sud gli si sviluppa tutto intorno creando una linea di confine che circonda e delimita terre ancora sconosciute.

Lo sbarco sulla Luna non è mai avvenuto, e così le missioni spaziali: mai effettuate; tutta una messinscena da parte di non si sa esattamente quali “poteri forti” per riempirci la testa di falsità e renderci tutti schiavi. Le foto satellitari dallo Spazio, così come i mappamondi, i libri e gli atlanti, sono degli strumenti studiati e costruiti a tavolino per convincerci di queste assurdità. A guidare questi poteri forti ci sarebbe, nientepopodimeno che Satana in persona, la NASA stessa sarebbe un prodotto demoniaco, frutto del gioco di parole che Satan lo fa diventare subito NASA o anche ANSA.

Inizialmente la terra non era popolata da dinosauri, che in realtà non sono mai esistiti, ma da Giganti; che avrebbero, causa probabilmente la loro stazza, costruito i più grandi monumenti megalitici, e non solo, anche le grandi cattedrali come la Basilica di San Pietro e il Duomo di Milano.

E ancora, dimenticatevi dell’Australia, perché non esiste, è solo frutto di questo grande complotto contro di noi; ricordatevi invece che sulla Terra c’è la possibilità di usufruire dell’effetto Pac-Man, grazie al quale, quando si esce da un lato della Terra si può tranquillamente rientrare dall’altro.

Persino la figura di Einstein è stata screditata, poiché, la forza di gravità sulla Terra non esiste. Esistono invece le scie chimiche che servirebbero a lobotomizzarci .

Le teorie di cui si avvalgono questi signori, sono disparate e fantasiose, eppure il pensiero della Flat Earth Society, che vede le sue origini in Inghilterra, sta accomunando moltissime persone e il movimento sta espandendosi sempre di più. Numerosi anche in Italia, infatti, il numero di adepti di questa nuova “setta”. Come agiscono? Organizzano eventi, congressi, dove radunano gente per sciorinare loro tali assurde teorie.

Il fatto che tutto questo stia riuscendo a trovare piede è preoccupante, ma fortunatamente è più ingente il numero di coloro che in nessun modo riescono a prendere sul serio l’assurdità di queste teorie; sul web infatti è esploso un vero e proprio boom di  meme, vignette e commenti irrisori che prendono di mira i fantasiosi Terrapiattisti.

Benedetta Sisinni

 

La Torre di Pisa non è più così pendente

La celebre Torre Pendente che svetta imperiosa su Piazza dei Miracoli nella città di Pisa, sta bene, così bene che la sua stabilità nel corso degli anni va ad aumentare, portandola addirittura ad avere un raddrizzamento di 4cm nell’arco di “soli” 17 anni.

Questa è la conclusione a cui sono giunti i membri del Gruppo di Sorveglianza Istituito dall’Opera della Primaziale Pisana, che hanno certificato il buon stato di salute e la stabilità  della struttura, che secondo le analisi condotte sarebbe migliore rispetto alle previsioni iniziali.

Infatti era stato inizialmente preventivato, da parte del Comitato Internazionale per la Salvaguardia della Torre di Pisa, un lavoro di consolidamento per arginare il pericolo di crollo della Torre. Denominato “sottoescavazione del terreno“, tale lavoro prevede l’eliminazione di una parte del terreno sottostante nella direzione opposta a quella della pendenza, e il Campanile ha reagito a questi “movimenti” con un lieve raddrizzamento.

“La Torre  da quando è iniziata la cura ha ridotto la sua pendenza di circa 2 mila arcosecondi, più o meno mezzo grado che corrisponde a circa 45v centimetri. Le ‘oscillazioni’ ora variano alla media di 1/2 millimetri l’anno ma quel che più conta è la stabilità del campanile che è migliore delle previsioni iniziali.”

Si è espresso così sulla questione, Nunziante Squeglia, docente di Geotecnica dell’università di Pisa e collaboratore del Gruppo di sorveglianza.

Benedetta Sisinni

 

L’8 dicembre tutti in piazza (Cairoli)

Nonostante il ritiro dell’associazione Piazza Cairoli il Natale a Messina si farà. Finalmente la proposta per la gestione degli eventi natalizi dell’associazione Messina Incentro è stata approvata dal consiglio comunale.

L’8 dicembre a Piazza Cairoli vi sarà la cerimonia dell’accensione dell’albero di Natale, un abete vero alto 18 metri, che illuminerà tutta la piazza, addobbata a festa grazie alle varie imprese e commercianti che hanno deciso di finanziare interamente l’evento. Tra le varie iniziative verrà riproposta la ruota panoramica che però quest’anno avrà un diametro di 32 metri, quasi il doppio di quella dell’anno scorso, sponsorizzata da Caffè Barbera, riproposto anche il villaggio di Babbo Natale e un palco, dove talentuosi artisti messinesi e non potranno esibirsi, nella fattispecie è prevista anche una serata condotta da Salvo La Rosa.

Insieme al presidente della neoassociazione Messina Incentro, Lino Santoro Amante, l’imprenditore Francesco Barbera è riuscito a coinvolgere nell’organizzazione dell’evento sponsor del calibro di Gazzetta del sud, Caselli, Fontalba, Mollura (con Mohd), CelerTrasporti, Orazio Gugliandolo petroli, Deutsche Bank. 

Dall’8 dicembre fino al 2 gennaio sono previste tante iniziative per tutte le fasce di età dai concerti alle serate danzanti.

Via libera anche agli eventi a Piazza Duomo che saranno incentrati sull’isola dei sapori e dei mestieri e inoltre verrà allestita una pista di ghiaccio e si terrà il concerto di capodanno.

Ancora 24 ore per sapere di più sulle querele sulle isole pedonali.

Paola Puleio

Perché abbiamo paura dell’olio di palma? Sappiamo davvero tutta la verità?

Siamo nell’epoca in cui “non c’è più il cibo di una volta“, nell’epoca in cui il cibo non ci fa soltanto sopravvivere ma ci fa anche morire, l’epoca in cui il cibo è il bene e il male allo stesso tempo, quella in cui “questo fa bene, quello fa male“. Questa è l’epoca che io definirei post- industriale del cibo. Ovvero, quel momento in cui qualcuno ha cominciato a mettere la testa fuori dalla realtà industriale che ormai ci pervade e ci opprime, al punto da non averci lasciato scelta che scegliere l’unica opzione (forse) possibile. Cercando di capire quali siano gli ingranaggi della macchina industriale, cercando di combatterla.

Siamo nell’era dell’informazione auto -prodotta, dove la pubblicità non è “monopolio” delle grandi aziende, ma siamo nell’era dei profeti digitali, dove tutti hanno da dire su tutto.

E’ in questa congerie di informazioni e disinformazioni che generando un overload cognitivo non ci permette di scegliere lucidamente, e sorgono tematiche sulle quali non si sa mai da che parte stare.
Nella fattispecie, siamo nel preciso momento in cui se qualcuno dice “olio di palma“, gli altri rispondono “vade retro“.


Ma partiamo dall’inizio: cos’è l’olio di palma?
L’olio di palma è ottenuto da frutti simili alle olive di diverse varietà di palme. Dopo il raccolto i frutti sono trattati con il vapore per essere sterilizzati, snocciolati, cotti e messi sotto una pressa per estrarne l’olio, che in seguito diventa giallo biancastro dopo essere stato raffinato. Viene ampiamente utilizzato nell’industria alimentare, per mantenere la consistenza morbida delle torte, merendine, altri prodotti da forno e creme spalmabili.

Alla luce di ciò, cosa c’è nell’olio di palma che fa davvero male? E perchè lo si ritiene migliore rispetto ad altri prodotti utilizzati in casa?
Tutto è cominciato quando su molte confezioni di generi alimentari è comparsa la scritta “senza olio di palma” una mossa che le aziende hanno messo in campo per tranquillizzare i propri consumatori sempre più spaventati da questo olio vegetale molto usato nell’industria alimentare dei prodotti più noti ed usati al mondo.
Ma sugli effetti dell’olio di palma gli esperti si sonno spesso divisi. Nel maggio del 2016 l’Istituto Superiore di Sanità ha emanato una nota nella quale chiariva che molti dei rischi propagandati sull’olio di palma non corrisponde alla realtà, o quanto meno non ben rappresentati in quanto non erano molto diversi da quelli di tanti altri alimenti grassi. Successivamente si è fatta avanti l’Efsa, Agenzia europea per la sicurezza alimentare, che ha pubblicato un documento di 159 pagine, secondo il quale il problema dell’olio di palma son o i derivati del glicerolo prodotti durante la raffinazione. Un fenomeno comune a tutti gli oli di semi. Questi derivati consumati in maniera eccessiva possono provocare danni alla salute. In poche parole l’olio di palma è un grasso satura, proprio come burro o margarina(prodotta proprio con olio di palma), e va consumato con moderazione. Un eccesso di grassi saturi nell’alimentazione può portare a vari problemi di salute, come malattie cardiovascolari o aumento del diabete o colesterolo, insomma, il problema sembra essere la dose.
Ma allora cosa lo rende peggiore rispetto, per esempio, al classico burro che utilizziamo per fare dolci in casa, mettendoci al riparo da nocive produzione industriali? Anche il burro è, di fatti, un grasso saturo che permette di ottenere una consistenza migliore rispetto invece a oli vegetali, che sono invece insaturi. L’olio di palma anche se proviene da un vegetale è un grasso saturo ed ha più cose in comune col burro di quanto crediamo. Ma cosa spinge le aziende a scegliere l’olio di palma rispetto ad un altro olio vegetale?The money” è la risposta. Il prezzo decisamente più basso è uno dei motivi principali, insieme alla sua capacità di lunga conservazione.
Ma se questo può farci desistere dalla demonizzazione dell’olio di palma, vi è un’altro aspetto che non va trascurato. L’olio di palma, che seppur nocivo se preso in quantità elevate, e paragonabile ad altri prodotti di uso comune, rivela comunque un’altro aspetto negativo legato alla sostenibilità ambientale e all’aspetto etico, che hanno a che fare con foreste desertificate, terreni impoveriti, lavoratori sfruttati, violazione dei diritti umani, lavoro minorile, In Indonesia vengono impiegati nella produzione dell’olio bambini sotto i dieci anni, come denunciato da Amnesty International.

Il “problema olio di palma” quindi, ha implicazioni che vanno oltre al di là della nocività fisica, ma sembra proprio che sia nocivo per l’intero pianeta e non solo per chi lo consuma, ma in modo laterale anche per chi lo produce.

 

Giusi Villa

Addio a Bernardo Bertolucci, maestro del cinema italiano

Ci ha lasciati oggi, a Roma, Bernardo Bertolucci, all’età di 77 anni dopo una lunga malattia.

Uno dei più grandi maestri del cinema italiano. Sceneggiatore, produttore, regista conosciuto e affermato a livello internazionale.

Primo e tuttora unico italiano ad aver vinto l’Oscar come miglior regia, nel 1988, con il film “L’ultimo imperatore“, che di “statuette” ne vinse nove in totale.

All’Oscar si susseguirono 9 David di Donatello, 4 Golden Globe, 4 Nastri d’Argento e 3 premi Bafta.

 

Figlio del poeta e critico Attilio Bertolucci, respirò aria di cinema in casa fin da piccolo e comincia a realizzare, con una 16mm, i suoi primi cortometraggi.

Fondamentale per la sua “nascita” cinematografica, fu l’amicizia e la collaborazione con Pier Paolo Pasolini; di cui fu assistente alla regia per il film “Accattone“. In seguito realizzò, sulla base di un soggetto pasoliniano, il suo primo lungometraggio: “La commare secca“.

 

 

L’anno del successo vero e proprio, fu però il 19972, quando con Ultimo tanto a Parigi, “scioccò” e divise il pubblico.

L’erotico dramma della storia tra un quarantenne ed una giovane donna, costò infatti al regista una condanna a 4 mesi per oscenità.

Un Nastro d’Argento e una candidatura all’Oscar consacrarono il successo del film, che aveva del tutto rivoluzionato la precedente concezione di cinema.

Il suo successo non si ferma qui. Nel 1976, insieme ad un cast mostruoso, Bertolucci torna alla ribalta con il grande Novecento. Un susseguirsi di film e successi continui fino ad arrivare a Cannes con il suo ultimo film, Io e Te, del 2012, tratto da un Romanzo di Niccolò Ammaniti.

Questo grande maestro oggi ci lascia un cinema che fu rivoluzionario e capolavori indimenticabili.

Benedetta Sisinni

Nucleo di valutazione: è Gaia Vizzini la nuova rappresentante

Giorno 21 Novembre, ha avuto luogo al Rettorato dell’Università di Messina, la votazione per il nuovo rappresentante degli studenti nel Nucleo di valutazione.

Tale organo, eletto dai rappresentanti degli organi superiori e della consulta relativa a ciascun dipartimento, ha il compito di verificare il buon andamento della didattica, della gestione delle risorse pubbliche, dell’attività amministrativa.

Ad essere stata eletta, all’unanimità con 14 voti su 14, è stata Gaia Vizzini; studentessa del Dipartimento di Giurisprudenza ed esponente dell’associazione Morgana.

L’associazione messinese è stata fondata da Alberto De Luca, ed è ora coordinata dal senatore accademico dell’Università di Messina, Francesco Armone e dal presidente Giuseppe Domenico Di Giorgio.

La nuova rappresentante ha espresso così la sua gratitudine per la fiducia datagli:

“Sono molto soddisfatta del risultato raggiunto e della grande responsabilità che ho ricevuto, per tale motivo ringrazio sentitamente tutti coloro che hanno creduto in me, in particolare i colleghi che mi hanno votato e l’associazione Morgana che mi ha incoraggiato e sostenuto.”

 

Benedetta Sisinni

 

 

 

Quando aiutare il prossimo diventa una colpa. Attaccata Silvia Romano

Silvia Romano, ha 23 anni, di Milano, e lavora come volontaria per la Africa Milele Onlus. E’ stata rapita in Kenya, dove si trovava in missione. Ancora non è chiaro chi siano i rapitori, ma sembra sia un’azione mirata nei confronti della cooperante italiana. I banditi, riferito dalle persone presenti durante l’aggressione, avrebbero urlato:

“Abbiamo bisogno di soldi, non ti faremo del male.”

L’ipotesi dell’azione premeditata è sostenuta dal responsabile della Onlus Orphans’s Dreams che spiega: “Sicuramente è stato un rapimento organizzato perchè fino a due giorni prima c’erano dei volontari lì e l’operazione è scattata proprio quando è rimasta sola, Chamaka è un villaggio poverissimo, non fanno attacchi per portare via soldi. Volevano rapirla”.

Non si tratta di un semplice furto e i rapitori potrebbero chiedere il riscatto.

Silvia si occupa di sostegno all’infanzia, aiuta le persone, i bambini “a casa loro” come vorrebbe la propaganda razzista che è esplosa in Italia, ma neanche questo è riuscito a fermare i commenti e le indignazioni verso questa ragazza.

“Oca giuliva, potevi stare a casa e aiutare gli italiani”, “te lo meriti”, “te la sei cercata”, “magari ora dobbiamo pure pagare per riaverla indietro”.

Commenti provenienti dal web che mostrano totalmente il bigottismo di alcuni elementi della popolazione italiana, che si ostina a dover commentare sempre tutto.

Ma ancora più grave è quando gli attacchi arrivano da una rubrica del corriere della sera, dove Massimo Gramellini scrive: “Ha ragione chi pensa, dice o scrive che la giovane cooperante milanese rapita in Kenya da una banda di somali avrebbe potuto soddisfare le sue smanie d’altruismo in qualche mensa nostrana della Caritas, invece di andare a rischiare la pelle in un villaggio sperduto nel cuore della foresta. Ed è vero che la sua scelta avventata rischia di costare ai contribuenti italiani un corposo riscatto. Non riesco a comprendere che tanta gente possa essersi così indurita da avere dimenticato i propri vent’anni.”

Ho trovato meschino quando ha parlato dei soldi dei contribuenti, per quanto mi riguarda, e penso che anche per buona

parte della popolazione, sono felice che i miei soldi potranno aiutare Silvia.

Rachele Fedele

Thanksgiving Day 2018: Giorno del Ringraziamento

 

Il Giorno del Ringraziamento, in inglese ‘Thanksgiving Day’, è una delle feste più amate in Nord America. Fatta risalire alla metà del XVII secolo, la ricorrenza oggi ha perso gran parte dei significati cristiani delle origini ed è diventata l’occasione per le famiglie statunitensi e canadesi di riunirsi e ringraziare per ciò che si ha. La festa cade tradizionalmente il quarto giovedì di novembre negli Stati Uniti, e il secondo lunedì di ottobre in Canada. Quest’anno negli Usa verrà celebrato proprio oggi e come sempre non potrà mancare sulle tavole il popolare tacchino ripieno.

Secondo la tradizione, il Giorno del Ringraziamento ha origine nel 1621 nella città di Plymouth, nel Massachusetts per volere dei Padri Pellegrini. Le prime documentazioni però risalgono a due anni più tardi, nel 1623, quando da diverse fonti risulta che il governatore della colonia fondata a Plymouth, William Bradford, istituì una giornata in cui tutti i membri della comunità dovevano rendere grazie a Dio per tutte le sue benedizioni.
Le festa divenne ancora più nota quando, nel 1863, nel bel mezzo della guerra di secessione, Abraham Lincoln proclamò la celebrazione del giorno del Ringraziamento. In quell’occasione la ricorrenza cominciò ad assumere una valenza civica, spogliandosi delle sue origini cristiane. La definitiva consacrazione del Thanksgiving risale alla metà del secolo scorso, quando il presidente Franklin Roosevelt ne propose l’istituzione, che venne approvata dal Congresso nel 1941.
Inaugurato dai colonizzatori, nel corso dei secoli il giorno del ringraziamento è stato spesso protagonista di polemiche. La festa non è infatti particolarmente apprezzata dai nativi americani e da alcune minoranze che – come spiega Newsweek – la associano al ricordo della morte dei loro antenati. Per questo motivo, in alcuni gruppi, è stata istituita una giornata del lutto o “del non-ringraziamento” da opporre alla festa ufficiale.
Il Giorno del Ringraziamento, secondo tradizione, va festeggiato in famiglia e possibilmente in casa, non al ristorante. Ogni famiglia per l’occasione prepara il classico tacchino ripieno che viene accompagnato da patate dolci, salsa di mirtilli e torta di zucca.

Il tacchino, come spiega Focus, è originario del continente americano ed era molto comune tra gli Aztechi che lo allevavano. Dopo la conquista europea l’animale fu portato nel Vecchio Continente dove prese velocemente piede, tanto che secoli dopo quando i Padri Pellegrini del Mayflower giunsero in Massachusetts, lo portarono con loro dando inizio al suo consumo intensivo. Consumo che, nel corso degli anni, ha causato diverse polemiche da parte delle associazioni animaliste.
Tale festività viene celebrata anche alla Casa Bianca, dove dalla fine degli anni Ottanta ha preso piede la ‘cerimonia della grazia’, ossia il presidente decide di salvare due tacchini. Il primo a graziare dei volateli che altrimenti sarebbero finiti sulla tavola della Casa Bianca è stato Ronald Reagan nel 1987, imitato da George Bush nel 1989. Da allora tutti i presidenti hanno continuato la tradizione, compreso Donald Trump che lo scorso anno al Rose Garden ha salvato la vita ai due volatili prescelti, evitando che finissero nel menu del giorno del Ringraziamento.

 

Santoro Mangeruca

La Francia bloccata dai “gilet gialli”

Sono stati definiti gilet jaunes, ovvero “gilet gialli”, i manifestanti ed i volontari che sabato 17 e domenica 18 novembre hanno protestato, in migliaia, contro i rincari della benzina voluti dal governo del presidente Emmanuel Macron.

Hanno ostacolato e bloccato la circolazione su strade, superstrade e autostrade.

La definizione “gilet gialli” è dovuta al fatto che le persone durante la protesta hanno indossato i giubbotti retro-riflettenti che per la legge francese, così come per quella italiana, vanno messi, per ragioni di sicurezza, da chi scende dal proprio veicolo lungo le strade.

Le persone coinvolte sarebbero quasi 290.000, impegnate in 2.034 aree stradali diverse sparse per tutta la nazione francese.
Nella capitale il corteo di manifestanti si è spinto persino all’Eliseo, residenza del presidente, dove è stato fermato e neutralizzato dai gas lacrimogeni utilizzati da polizia e forse dell’ordine.

Domenica i “gilet gialli”, nonostante una presenza numerica inferiore rispetto ai primi giorni, hanno continuato comunque a limitare l’accesso, ed in alcuni casi bloccare strade ed autostrade in tante regioni del paese.

Nel corso della maggior parte delle manifestazioni di protesta non ci sono stati incidenti gravi, tuttavia il bilancio finale delle proteste conta un morto e 400 feriti, 14 di questi versano in condizione molto gravi, compresi alcuni membri della polizia impegnata nella repressione delle contestazioni.

Una donna di 63 anni è morta dopo essere stata investita da una donna che stava portando sua figlia da un medico e ha forzato un posto di blocco.

Le centinaia di feriti sono soprattutto manifestanti colpiti dagli automobilisti spazientiti che hanno cercato di forzare i blocchi di protesta, spesso non autorizzati.

Il bilancio degli arresti della polizia si attesta a 282 persone: 157 si trovano ancora sotto custodia.

Le difficoltà nell’opposizioni a queste proteste, hanno spiegato le forze dell’ordine francesi, risiedono nella vasta diffusione di queste rivolte, spesso improvvise e soprattutto non autorizzate.

Nella pagina Facebook dei “gilet gialli” è stato diramato un invito di partecipazione attiva al corteo che dovrebbe ritrovarsi Sabato 24 Novembre in Place de la Concorde a Parigi.

Le contestazioni riguarderebbero la diminuzione del potere di acquisto e quelle che vengono definite le «politiche anti-auto» volute dal governo Macron.

I manifestanti denunciano dunque i rincari che andrebbero a pesare su chi già ha una situazione economica difficile e il fatto che in pochi potrebbero comprare una auto nuova, elettrica o ibrida, perché costa troppo.

Pare quindi che le reazioni del popolo francese, almeno questa volta, siano state guidate dall’impulsività e dalla voglia di farsi giustizia invece che dal solito savoir-faire.

Antonio Mulone

Dimmi cosa cerchi e ti dirò chi sei. Internet sa tutto di noi e ce lo dice anche, ecco come capirlo

Avete mai avuto la sensazione che il mondo della rete sappia, sempre più precisamente, cosa ci interessa e cosa stiamo cercando esattamente in un determinato momento?
Ebbene sì, è esattamente quello che succede. Non è affatto un caso che aprendo Facebook, ci compaiano, tra le pagine suggerite, quelle relative ad articoli o prodotti che abbiamo recentemente cercato sul nostro dispositivo elettronico, come tablet, pc o più assiduamente con i nostri cellulari. 

Così come accade con i banner pubblicitari che “casualmente” appaiono sui siti che stiamo visitando, propinando offerte e sconti su hotel e case vacanze esattamente nel luogo in cui stiamo programmando di andare o siamo andati di recente.
Stiamo parlando della pubblicità comportamentale, un fenomeno forse poco conosciuto ai più, e che talvolta subiamo più o meno acriticamente, forse ormai troppo assuefatti dal mondo della rete che sembra scandire ogni nostro passo, fornendo la risposta perfetta ad ogni nostra richiesta. Ma se questa risposta non fosse affatto casuale?
Ma facciamo un passo indietro. Cos’è la pubblicità comportamentale? E perché esiste?
Il fenomeno è riassumibile nel concetto che ogni qualvolta visitiamo un sito o facciamo qualcosa online lasciamo una traccia. E questo, più o meno si sa, ma quello che probabilmente è poco risaputo è che queste informazioni vengono acquisite da varie aziende. Ciò di cui bisogna prendere atto, è che le tracce che lasciamo in rete non sono soltanto quelle che lasciamo consapevolmente, registrandoci sui vari social e cliccando “accetta” sui vari consensi e informative sulla privacy – che talvolta non leggiamo, dando un consenso fittizio e poco “informato” – ma l’enorme mole di dati che ci riguarda sono anche carpite indirettamente attraverso le suddette aziende che si occupano appunto di analizzare meticolosamente il nostro comportamento online, quali siti abbiamo visitato, dopo quanto tempo ci siamo tornati, i banner sui quali abbiamo cliccato, i Like che abbiamo dato e molto altro ancora. Il risultato sono miliardi di piccole tracce che possono essere messe insieme e valutate.

Le informazioni sono di solito anonime o fornite in forma aggregata dalle aziende – cosiddette “broker di dati” – per non essere riconducibili a una singola persona, ma considerata la loro varietà e quantità, algoritmi così precisi possono ugualmente far risalire a singole persone e creare profili molto accurati sui loro gusti e su come la pensano. Tanto che queste aziende hanno sviluppato un sistema di “microtargeting comportamentale“, che tradotto significa: pubblicità altamente personalizzata su ogni singola persona. Proprio come fece l’azienda Cambridge Analytica, dalla quale venne l’omonimo scandalo che coinvolse proprio facebook l’anno scorso, in quanto suddetta azienda acquisì, illegittimamente, dei dati provenienti da un’applicazione chiamata “thisisyourdigitallife“, che prevedeva di produrre profili psicologici e di previsione del proprio comportamento, basandosi sulle attività online svolte. Per utilizzarla, gli utenti dovevano fare il Login attraverso Facebook, pratica fra l’altro molto comune nel mondo delle app. Così facendo, l’applicazione violò i termini d’uso di Facebook, in quanto il social network vieta ai proprietari di app di condividere con società terze i dati raccolti sui popri utenti.
Alla luce di ciò, quanti di noi ritengono che i nostri dati personali, che talvolta affidiamo a blande normative sulla privacy, siano davvero protette? Ma la domanda forse più pertinente è “è davvero possibile proteggere i nostri dati una volta immessi nella rete?
Secondo uno studio condotto all’Università di Princeton da Arvind Narayanan, la risposta sembra essere negativa, in quanto la quantità di informazioni su di noi disponibile online sarebbe così vasta da rendere la privacy algoritmicamente impossibile da tutelare.
Queste informazioni, opportunamente rielaborate, vengono poi vendute alle aziende che fanno pubblicità online, in modo che i loro messaggi vadano a colpire solo le persone potenzialmente interessate, risparmiando così un sacco di soldi.
Il pedinamento virtuale, ma dagli effetti molto reali, viene effettuato inserendo nelle pagine web che visitiamo delle stringhe di codice (invisibili) che ci rendono riconoscibili nel passaggio tra una pagina e l’altra e tra un sito e l’altro: sono i cookie, piccoli marcatori software che si installano nel nostro browser quando visitiamo un sito web e che lo rendono identificabile.
Ma prima di creare allarmismi, è necessario precisare, che una qualche forma di antidoto a questo problema esiste. Vi sono appositi siti, come “YouOnlineChoise” i quali permettono non solo di controllare i nostri controllori, ovvero le aziende e l’elenco di chi ci sta osservando in quel preciso istante, ma le aziende che inviano messaggi personalizzati ci forniranno anche ulteriori informazioni su come rifiutare la pubblicità comportamentale. Inoltre, non meno importante è la possibilità di familiarizzare con le impostazioni sulla privacy del nostro browser, controllando il menù delle Opzioni.
Ma se questo non dovesse bastare, e la paura di rendere accessibili i vostri dati sensibili si facesse troppa, esistono anche appositi siti per effettuare veri e propri “suicidi social“, come web 2.0 suicide machine che in soli 52 minuti promette di cancellare ogni traccia di noi dai social network.

Giusi Villa