Trump firma i primi decreti esecutivi

Il neoeletto presidente Usa è già in azione: durante il giorno del suo ingresso ufficiale alla Casa Bianca ha firmato un centinaio di ordini esecutivi che cambieranno non solo il volto degli Stati Uniti, ma anche i rapporti di forza internazionali.

Shock and awe”(colpisci e terrorizza) è la strategia che risponde pienamente alla rapidità con cui Donald Trump ha messo alla prova la sua abilità esecutiva, risolvendo in velocità alcune controversie.

La maggior parte dei decreti è legata alle immigrazioni. La promessa della campagna elettorale delle “deportazioni di massa” è stata mantenuta.

 

Immigrazione e sicurezza nazionale

Operation Safeguard” è la notevole operazione che ha come obiettivo la rimozione di coloro che sono illegalmente negli USA. Le autorità statunitensi hanno arrestato 538 immigrati irregolari, e centinaia di loro sono stati deportati su aerei militari. Trump ha blindato il confine tra Stati Uniti e Messico, con l’invio al confine di circa 1500 militari; numero che si alzerà notevolmente, dal momento che il piano prevede l’invio di 10 mila uomini.

Deportation Flight Have Begun” (I voli di deportazione sono iniziati). Così su X il profilo della Casa Bianca annuncia le deportazioni dei migranti. Una foto che li mostra ammanettati e in catene, mentre vengono imbarcati su un aereo militare. “Chi entra illegalmente negli Stati Uniti andrà incontro a gravi conseguenze”, il messaggio del presidente Trump, pronto a sospendere il programma di ammissione dei rifugiati, precedentemente accolto sotto l’amministrazione Biden.

Contestualmente è stata ripristinata il controverso programma “Remain in Mexico”, che obbliga i richiedenti asilo a rimanere in territorio messicano durante l’elaborazione delle loro domande da parte delle autorità statunitensi. Queste misure, secondo Trump, mirano a “difendere il popolo americano” da minacce esterne e a contrastare l’immigrazione irregolare.

Gli ordini esecutivi firmati da Trump prevedono inoltre l’abolizione dello ius soli, bloccato temporaneamente da un giudice federale di Seattle, poiché considerato incostituzionale.

Insomma, “passi in avanti” che confermano un sovranismo e una legittimazione istituzionale della violenza.

 

Gli USA abbandonano l’OMS

Donald Trump ha messo in atto il processo di uscita degli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS). Una decisione motivata dal tycoon  “a causa della cattiva gestione da parte dell’organizzazione durante la pandemia di Covid-19, e della sua incapacità di adottare riforme urgenti”. La decisione, sottolineano gli esperti, avrebbe conseguenze molto negative sulla salite dei cittadini americani, isolando gli Stati Uniti ad accedere ai dati di interesse sanitario. La decisione del neopresidente è stata di esempio anche per il nostro Matteo Salvini, che ha depositato un ddl che punta a far uscire l’Italia dall’OMS. Per Salvini questa proposta potrebbe rappresentare un modo per ingraziarsi il presidente degli Stati Uniti, vista la simpatica alleanza instaurata tra il neo eletto e Giorgia Meloni.

Una decisione, quella degli USA, che colpisce duramente l’organizzazione dal punto di vista dei finanziamenti, dal momento che erano proprio di Stati Uniti a rappresentare i maggiori investitori.

 

 Il caso TikTok in USA

Temporanea l’interruzione della piattaforma cinese TikTok nella serata del 17 gennaio.  Il presidente Trump, grazie al suo intervento diretto, ha riaperto l’app agli utenti, circa dopo dodici ore di interruzione. Con l’ennesimo ordine esecutivo il presidente salva la piattaforma per 75 giorni.  L’interruzione era avvenuta a causa dell’entrata in vigore di una nuova legge, nata con lo scopo di bloccare il servizio in America. Legge che, nonostante l’aiuto tempestivo di Trump, non è stata cancellata. Il presidente ha comunque dichiarato di essere favorevole di un eventuale acquisto della piattaforma da parte del miliardario Musk. Questa possibile decisione eviterà il ban di TikTok dagli USA.

In ambito tecnologico, Trump avrebbe in programma un nuovo progetto di intelligenza artificiale. “Stargate” sarà il progetto che prevede investimenti per almeno 500 miliardi di dollari negli Stati Uniti. “Il progetto-ha annunciato Trump- si muoverà molto rapidamente, per creare più di 100.000 posti di lavoro americani”.

Elisa Guarnera

Trump è il 47° presidente degli Stati Uniti

20 gennaio 2025, data cruciale per la politica americana. Donald Trump ha prestato nuovamente giuramento come 47° presidente degli USA, nella Rotonda sotto la cupola di Capitol Hill, in una gelida giornata. Dopo la presidenza dal 2017 al 2021 e la sconfitta alle elezioni del 2020, l’insediamento di Trump ha segnato un raro secondo mandato non consecutivo. Un ritorno così storico non si vedeva dai tempi di Grover Cleveland, eletto nel 1885 e nel 1893, divenendo il primo presidente a ricoprire due mandati non consecutivi.

I presenti: un parterre politico e diplomatico variegato

Trump, accompagnato dalla splendida figura della First Lady Melania Trump, sfila a Capitol Hill, pronta ad accogliere i suoi 600 ospiti. Immancabile la presenza dei tre uomini più ricchi del mondo il capo di Meta Mark Zuckerberg, quello di Amazon Jeff Bezos, il first buddy e neo-segretario al dipartimento per l’efficienza governativa Elon Musk , insieme agli amministratori delegati di Apple, Google, Tiktok e OpenAi. Numerose l le personalità internazionali di spicco, tra cui la premier Giorgia Meloni, il presidente argentino Javier Milei e il vicepresidente cinese Han Zheng. Tra i presenti gli ex presidenti: Bush, Clinton, Obama e Biden, protagonisti di simpatici video, in circolazione sul web, sulle loro espressioni: chi spazientito, chi spaesato e chi addirittura divertito.

 

La cerimonia e il discorso inaugurale

Un discorso di insediamento, fatto di ovazioni e applausi, in cui ha annunciato che

l’età dell’oro dell’America inizia ora. Da oggi in poi il nostro paese fiorirà e sarà nuovamente rispettato in tutto il mondo. Saremo l’invidia di ogni nazione

Donald Trump
Il presidente Donald Trump durante il discorso inaugurale ©gettyimages

Trump ha delineato un programma ambizioso e deciso, con un’agenda focalizzata sulle priorità del secondo mandato: il riconoscimento di due soli generi (maschile e femminile), la deportazione di immigrati arrivati negli Stati Uniti, la bandiera dell’USA da piantare su Marte, il cambio di nome del Golfo del Messico in Golfo d’America, l’abolizione dello Ius soli e la fine della strumentalizzazione politica della giustizia.

Inevitabile il ricordo dell’attentato il 14 luglio del 2024 a Butler, in Pennsylvania.

“Solo pochi mesi fa un proiettile mi ha perforato l’orecchio. Già allora lo sentivo e lo credo ancora di più adesso che la mia vita era stata salvata per una ragione”,

affermando che la sua vita gli è stata risparmiata per un grande ritorno. Un ritorno che il tycoon sembra percepire come il frutto di un mandato divino.

“Sono stato salvato da Dio per rendere l’America di nuovo grande”

 

La formazione del nuovo governo

Il neoeletto presidente degli Stati Uniti dovrà gestire situazioni delicatissime, dalla guerra in Ucraina al conflitto in Medio Oriente. Per affrontare queste sfide, Trump sta costruendo una squadra di governo più fedele e allineata.

Susie Wiles sarà la prima donna capo di gabinetto della politica americana, con il ruolo di intermediario tra il presidente e il resto del governo. Kristi Noem sarà alla guida del Dipartimento della Sicurezza interna, con il compito di supervisionare un apparato di sicurezza nazionale. Robert F.Kennedy Jr, nipote del presidente John Fitzgerald Kennedy, come prossimo segretario della Sanità. Dichiaratamente e apertamente no-vax, guiderà il dipartimento della Salute e dei servizi umani. Una “new entry” riguarda Elon Musk, che sarà alla guida di un nuovo dipartimento federale, il “Dipartimento per l’efficienza del governo” (Doge). Avrà poteri di supervisione e di intervento sulle spese di tutte le agenzie federali. Musk è stato uno dei più accaniti sostenitori trumpiani, tanto da versare, durante la campagna elettorale, quasi 200 milioni di dollari, sfruttando la piattaforma X per incoraggiare i follower a votare il tycoon.

 

L’insediamento del 2025 non rappresenta solo un evento formale, ma un simbolo di come il panorama politico degli Stati Uniti si stia trasformando in un’epoca di forti divisioni e continui cambiamenti. Un mandato che già nei giorni scorsi e in quelli a venire, dimostrerà in azioni concrete le promesse fatte durante questi mesi. Ecco la nuova era della Great America. 

 

 Elisa  Guarnera

La First Lady a Gesso: intervista a Salvatore Grosso

Il ritorno alle origini della First Lady Jill Tracy Jacobs Biden, nella giornata del 4 dicembre scorso, ha portato un’ondata di freschezza nella piccola Gesso, una frazione di Messina sui peloritani. Qui, Jill ha deciso di ritornare per riscoprire le sue radici.

Gesso non è solo famosa per la visita della First Lady americana, ma è un paese su cui puntare, per la sua valenza storica, culturale e religiosa, che andrebbe valorizzata”.
Così ce l’ha descritta Salvatore Grosso, il giovane geologo ibbisoto, portavoce dell’Associazione Giovani e Volontari, il quale è stato parte attiva nel processo di ricerca e, in seguito, di organizzazione della visita.

L’intervista a Salvatore Grosso

Buongiorno Salvatore, ci racconti com’è stato vivere l’incontro con un personaggio così importante come la First Lady degli Stati Uniti d’America.

È stato un onore ospitare la First Lady, soprattutto perché questa visita ha rappresentato per lei la riscoperta delle proprie origini. Quindi è stato un momento molto bello, entusiasmante, sia per noi abitanti del Paese che per Jill Biden, che ha avuto la possibilità di vedere il luogo da cui i suoi bisnonni nell’Ottocento sono partiti per trovare fortuna in America. Anche se, come sappiamo, essi hanno portato tutte le tradizioni siciliane lì dove si sono stabiliti, come le grandi tavolate, i prodotti culinari locali… Lei stessa ha raccontato che mangiava spesso braciole messinesi.

Tutto nasce nel 2007 quando uno storico, nostro compaesano che vive a Torino, Eugenio Campo, ha scoperto la connessione tra i cognomi di molti cittadini di Hammonton (ndr. nel New Jersey, città natale della First Lady) e i cognomi delle famiglie di Gesso. Molti cittadini di Gesso, nella prima e nella seconda emigrazione americana, vi si erano trasferiti. Egli scoprì che le famiglie Giacoppo (Jacobs) erano molte ad Hammonton.

Da quando Biden diventa vicepresidente degli Stati Uniti si intensificano le ricerche: Eugenio Campo scopre che Jill, dal cognome Jacobs, era proveniente da Hammonton e aveva un legame interessante con i Giacoppo, dunque poteva essere originaria di Gesso.

Nel 2019, pre-covid, io stesso ho iniziato a intensificare le ricerche attraverso documenti storici, anche grazie a dei miei parenti che vivono ad Hammonton. Si è stabilita una connessione con il certificato di nascita trovato nell’archivio della Chiesa di Gesso. E si è scoperto che i bisnonni Gaetano e Concetta alla fine dell’800 si sono trasferiti lì negli Stati Uniti, da dove è nata la famiglia che ha portato alla nascita della First Lady.

Lei ha scritto una lettera di ringraziamento a Jill Biden, in cui ha affermato l’entusiasmo di tutta la comunità a seguito di questa visita. In chi lo ha percepito particolarmente?

Sicuramente l’entusiasmo era presente in tutte le persone che hanno lavorato e hanno contribuito alla ricerca delle origini della First Lady, tutti quelli che in primis ci hanno creduto e hanno sperato che lei potesse venire di persona: Eugenio Campo, Nino Squatrito, io stesso. Anche il Museo ha contribuito attraverso la creazione un volume in cui ha messo insieme tutte le ricerche, trasmettendole alla Casa Bianca. Tutto nasce così: la First Lady legge questo volume, si entusiasma e vuole fare visita prima della fine del proprio mandato per scoprire le proprie origini e rivivere le emozioni di quando era piccola con i nonni della famiglia tradizionale siciliana.

Qual è stato il clima generale in preparazione di un evento di tale portata?

La preparazione si è svolta tutta in poco tempo, nel giro di una settimana, perché la notizia doveva rimanere riservata fino all’ultimo, ma già nei mesi precedenti dall’ambasciata di Roma e dal consolato di Napoli è stata avviata l’organizzazione, visitando il paese per capire come svolgere l’evento.

In settimana c’è stata molta frenesia ed emozione da parte di tutti gli abitanti di Gesso e dei paesi limitrofi, quindi è stato molto emozionante. È anche stato bello perché ha portato persone nuove nel paese, finora abbastanza degradato, abbandonato a sé stesso. Dunque, finalmente si è trovato spazio per lavori di asfaltatura delle strade, scerbatura, pulizia generale del paese, comportando dei benefici che non si erano mai visti.

Rispetto a chi afferma che “tutto a Gesso è ritornato alla normalità” dopo la visita della First Lady, lei che ne pensa? Vede, invece, aria di cambiamento? È ottimista in questo senso?

Dipende dalla volontà dell’amministrazione nell’approfittare dall’ondata di questo grande evento. Ma Gesso non è solo famosa per questo, per esempio ha dato i natali ad Ettore Castronuovo. Ha una sua storia che dovrebbe essere molto più valorizzata.

Ad oggi non c’è stata una reale programmazione ufficiale per realizzare qualcosa di importante che metta al centro i valori del paese. Speriamo che nel futuro prossimo ci si riesca a convincere che Gesso è un paese su cui puntare perché ha una valenza storica, culturale, religiosa che bisogna valorizzare. Anche perché, a Messina è rimasto poco a livello storico dopo il terremoto del 1908, facendo dei paesi come Gesso il vero centro storico della Città.

Alcuni hanno fatto riferimento alla chiusura della scuola primaria Ettore Castronuovo in un’ottica di critica. Che cosa ha comportato? Quali sono le prospettive future rispetto a questo?

La scuola è chiusa ormai da una decina d’anni. È un trend tipico di tutti i villaggi, a livello nazionale, dove ci sono meno bambini e le scuole vanno a chiudere.

Ora la scuola è di utilizzo di una base scout. Si tratta di uno spazio importante, e io ero promotore di utilizzarla come un presidio sanitario, essendo che Gesso è scoperta da un Pronto Soccorso, oppure come presidio della Protezione Civile per evitare gli incendi boschivi, per creare una struttura importante per la comunità stessa.

Noemi Munafó

Giulia Tramontano, arriva la sentenza per il suo femminicidio

Il 25 novembre, nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, è arrivata la condanna all’ergastolo per Impagniatello.

Prima la scomparsa, poi la morte di Giulia

Il 27 maggio 2023 viene segnalata la scomparsa della giovane Giulia, ventinovenne di Senago incinta di 7 mesi. A denunciarne la scomparsa è il fidanzato e convivente di Giulia, il trentenne Alessandro Impagniatello. L’uomo racconta agli inquirenti di una lita avvenuta la sera prima della scomparsa e ipotizza un allontanamento volontario della giovane donna. La versione raccontata da Impagniatello non convince però gli inquirenti che iniziano a sospettare dell’uomo. Le indagini svelano subito la verità, Impagniatello ha una doppia vita e le tracce di sangue trovate nella sua auto fugano ogni dubbio. Dopo 4 giorni dalla scomparsa di Impagniatello confessa di aver ucciso la campagna Giulia.

Un caso brutale

Il caso sin da subito ebbe grande rilevanza mediatica non solo perché si trattava dell’ennesimo femminicidio ma, per i macabri particolari che emersero durante le indagini. Impagniatello aveva una doppia vita, oltra alla relazione con Giulia aveva un’altra relazione con una ventitreenne anch’essa rimasta incinta ma che scelse di abortire. Dal momento in cui Giulia gli comunica della gravidanza, Impagniatello tenta di provocarle un aborto dandole per mesi delle sostanze tossiche tra cui il veleno per topi. A scatenare definitivamente l’ira omicida è l’incontro tra Giulia e la madre di Impagniatello, avvenuto il 27 maggio, nel quale la ragazza venuta a conoscenza della doppia vita del fidanzato le racconta tutto. Impagniatello decide allora di uccidere Giulia con 37 coltellate, poi tenta più volte di dare fuoco al corpo, prova ad occultarlo per poi nasconderlo a poche centinaia di metri dalla loro casa.

La richiesta dell’accusa

Sin da subito l’accusa chiede il massimo della pena. Non ci sono dubbi sulla colpevolezza, c’è la confessione e ci sono tantissime aggravanti. È richiesto il giudizio immediato per omicidio volontario aggravato, interruzione non consensuale di gravidanza, occultamento di cadavere e crudeltà. Impagniatello viene sottoposto ad una perizia psichiatrica che ne accerta la totale capacità di intendere e di volere. Nel momento dell’omicidio è lucido,  lo dimostrano i tentativi di avvelenamento iniziati mesi prima, nel gennaio 2023.

Finalmente giustizia per Giulia

La sentenza emessa il 25 novembre accetta in toto la richiesta dell’accusa, fatta salvo la richiesta di aggravante per futili motivi li. La pena è l’ergastolo e 3 mesi di isolamento diurno per quello che è stato definito come un omicida capace di intendere e di volere con tratti di personalità narcisistici e psicopatici. All’ergastolo si aggiunge anche la condanna per interruzione di gravidanza non consensuale e occultamento di cadavere, imputazioni per le quali gli è stata inflitta un’ulteriore pena di 7 anni. Per la famiglia di Giulia la sentenza è solo un atto di giustizia e non di vendetta, il normale epilogo di una vicenda così tragica.

 

Francesco Pio Magazzù

 

Troupe del Tg3 aggredita in Libano: l’autista Ahmad Akil Hamzeh muore di infarto

 

Un’aggressione ha colpito una troupe del Tg3 in Libano, causando la morte di Ahmad Akil Hamzeh, 55 anni, l’autista e collaboratore della Rai. L’attacco è avvenuto vicino a Sidone, mentre l’inviata Lucia Goracci e l’operatore Marco Nicois documentavano le conseguenze di un bombardamento. Un uomo armato ha attaccato la troupe, cercando di sottrarre l’attrezzatura e minacciando i giornalisti.

 

Il racconto di Lucia Goracci

Frame che ritrae la giornalista Lucia Goracci durante un’intervista.
Fonte : LUMSA

Lucia Goracci ha descritto l’accaduto in un audio trasmesso dal Tg3. La troupe si trovava sul posto dopo che il loro fixer aveva segnalato la loro presenza alle autorità locali. Tutto sembrava tranquillo, ma poi un uomo armato ha aggredito l’operatore, cercando di strappargli la telecamera. Poco dopo, un gruppo di persone ha iniziato a minacciare e spintonare i giornalisti, costringendoli a fuggire velocemente.

La morte improvvisa di Ahmad Akil Hamzeh

Durante la fuga, l’aggressore ha continuato a inseguire la troupe. La situazione è peggiorata quando, fermatisi a una stazione di servizio, l’uomo ha tentato di distruggere la telecamera e di prendere le chiavi del veicolo. Ahmad Akil Hamzeh ha provato a calmarlo, ma un infarto lo ha colpito improvvisamente. Nonostante i tentativi di rianimarlo, Hamzeh è morto.

Le reazioni in Italia

La tragedia ha suscitato una forte reazione in Italia. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso la sua vicinanza alla troupe e ha rivolto il suo cordoglio ai familiari di Hamzeh. Anche Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, ha manifestato solidarietà, ringraziando i giornalisti che lavorano in aree di guerra. Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, ha espresso il suo sostegno alla squadra del Tg3.

L’aggressore chiama l’ambulanza

Nonostante l’aggressione, l’aggressore stesso ha chiamato l’ambulanza dopo aver visto Ahmad Akil Hamzeh accasciarsi a terra, come ha raccontato Lucia Goracci. Purtroppo, i soccorritori non sono riusciti a salvare l’autista. L’aggressore è poi fuggito prima dell’arrivo delle autorità.

Il ricordo di Ahmad Akil Hamzeh

La troupe del Tg3 ha ricordato Ahmad Akil Hamzeh come una persona di grande umanità e dolcezza. Il vice caporedattore degli Esteri del Tg3, Marcello Greco, ha spiegato quanto la squadra sia rimasta colpita dalla tragedia, descrivendo Hamzeh come un collaboratore fidato e un prezioso compagno di viaggio. L’aggressione alla troupe del Tg3 in Libano sottolinea i pericoli che affrontano i giornalisti nei contesti di guerra, la sua  morte ha lasciato un vuoto profondo tra coloro che lo  conoscevano e stimavano.

Marco Prestipino

Per amore di Carlotta

Vi racconto una storia, di quelle che vi metterà di buon umore o, meglio, di quelle che vi convincerà a una riflessione, generale e quanto mai profonda, sugli eclissati valori della bellezza, dell’amore familiare, della concordia incondizionata, della vita comunitaria.

Vi racconto la storia della piccola Carlotta e di sua madre Erika; che dal modesto e dolce paesino di Santa Lucia del Mela sono giunte alla ribalta nazionale, gettando il cuore puro e vivido oltre l’ostacolo, dove le telecamere di un’intera Nazione hanno potuto riprenderlo.

Carlotta ed Erika: chi sono? Ecco il loro percorso

Carlotta D’Amico è una bambina di appena otto anni che insieme alla madre Erika Colaianni ha partecipato e vinto l’ultima edizione di Io Canto Family – un popolare programma televisivo, trasmesso su canale 5, in cui delle famiglie si sfidano in una gara canora.

Le due hanno dimostrato di essere molto brave e affiatate, conquistando, esibizione dopo esibizione, la simpatia del grande pubblico Mediaset.

Carlotta è stata la concorrente più piccola in assoluto, ma anche la madre ha – per così dire – impressionato per la sua giovinezza. Erika, infatti, ha avuto la figlia quando era ancora diciassettenne.

Il loro percorso è stato straordinario, costellato da costanti successi. La vittoria finale, per questo, era anche stata prospettata con grande gioia, pur non essendo, naturalmente, né scontata né nettamente ritenuta probabile.

Quel che è stato messo in evidenza, e che sarà stato palese a tutti gli ascoltatori, è la grande sinergia e il totale agio con cui le due cantanti hanno dato spettacolo. Oltre la vittoria e l’invidiabile percorso individuale, però, c’è qualcos’altro che credo assolutamente degno di nota.

Il sentimento di amore per Carlotta in cui si è unita la piccola Santa Lucia del Mela è stato meraviglioso, insuperabile e, per certi versi, tipico di un altro tempo.

L’incredibile vicinanza di una città

Ciò che i giornali nazionali ignorano e non possono rendicontare – perché occupati a registrare la punta dell’iceberg visibile, il punto terminale di tutto – è lo straordinario atteggiamento che la comunità d’appartenenza della bambina ha a lei riservato.

Affetto, affetto e affetto via social e tra i bar della città – senza un’intrusione indiscreta di troppo – lungo tutto il percorso; un tifo per lei organizzato come quello che si raduna in vista della partita del secolo; un maxischermo, arrivati alla finale, per compattare tutti, nella piazza principale del paese, al seguito della sincera amichetta.

Proprio così, addirittura dal comune si sono premurati di allestire al meglio la serata finale, forse pure con la genuina convinzione che si sarebbe conclusa con dei festeggiamenti.

La cara Carlotta è diventata, per i fan di casa, una tenera idola. L’oggetto dell’ammirazione incondizionata e appassionata delle persone; in questo caso, unicamente dedite all’amor di patria e all’amore per la felicità della giovane concittadina.

Questo leggo nell’evoluzione della vicenda. Carlotta è stata (ed è) ammirata anzitutto in quanto simbolo di una piccola comunità – quella di Santa Lucia del Mela – non avvezza a palcoscenici nazionali. Ma è stata unanimemente accettata come rappresentante per la sua giovialità e il suo candore incontestabili.

Per amore di Carlotta unità assoluta

Santa Lucia del Mela, come accennato, è un piccolo paesino che conta meno di 5000 anime. Qui amministra un sindaco largamente amato dai cittadini e nell’aria si respira una tranquillità rara. Santa Lucia del Mela appartiene certamente al mondo moderno, di cui ne segue il progresso strutturale ed economico, ma ha la particolarità di far resistere ancora le buone tradizioni di qualche epoca fa.

Nel borgo in provincia di Messina tutti si conoscono e c’è poco spazio per feroci contese. Piuttosto, dacché tutti si conoscono, si preferisce la fratellanza alla guerra, che, spesso, scaturisce nella contentezza di tutti fuori dall’avidità di qualcuno.

Insomma, Santa Lucia non è un territorio alieno, assurdo e inimmaginabile. Possiede semplicemente alcuni degli apprezzabili caratteri di un altro tempo, che oramai di rado si possono notare nelle città super industrializzate, nei centri in cui i cittadini sono moltissimi ma tutti individui per i fatti propri.

Ovvio che in un paese tanto modesto sia più facile mantenersi solidali. Meno ovvio è che città di maggiori dimensioni debbano per forza essere prive dello stesso spirito.

Gabriele Nostro

Elezioni europee, per i sedicenni la prima volta al voto: ecco dove

Siamo ufficialmente entrati nella settimana in cui si terranno, in tutti i Stati dell’UE, le votazioni per eleggere i membri del prossimo Parlamento europeo.

Come sempre, l’Unione indica solo dei criteri di massima da seguire per svolgere le elezioni – per esempio, il metodo per l’assegnazione dei seggi deve essere per tutti proporzionale (e non maggioritario), la soglia di sbarramento non deve essere superiore al 5% (in Italia è del 4%), e la chiamata alle urne deve avvenire tra il 6 e 9 giugno (in Italia si voterà tra l’8 e il 9).

Il resto è quasi totalmente delegato alla discrezione degli Stati membri. Per questa ragione, ognuno decide secondo cultura e sensibilità propria, manifestando diversità di vedute anche su questioni di notevole importanza.

Specialmente sulle scelte riguardo l’individuazione dell’elettorato passivo e attivo si nota una certa divergenza. Qualcuno ha propeso per allargare il diritto di voto persino ai 16enni, qualcun altro ha lasciato che la prerogativa rimanesse dei maggiorenni e altri – pochi altri – risaltano per restrizioni d’età ulteriori.

Vediamo nel dettaglio come si comportano i ventisette.

Voto ai 16enni? Per Germania, Austria, Belgio e Malta sì alle elezioni 

È proprio così, per la prima volta i 16enni potranno partecipare alle elezioni europee in Germania, Austria, Belgio e Malta. Mentre in Grecia la porta è stata aperta anche ai 17enni. Nel complesso si stima che il nuovo elettorato sia di 20 milioni di cittadini.

Solo in cinque Nazioni su ventisette, dunque, potranno votare gli under 18.

Inoltre, riguardo l’età necessaria per candidarsi: è di 18 anni in 15 Stati membri; di 21 anni in Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Irlanda, Lituania, Lettonia, Polonia e Slovacchia; di 23 anni in Romania e di 25 in Italia e in Grecia.

Elezioni europee, l’apertura contro l’astensionismo

Sono vari i motivi per cui alcuni Paesi hanno deciso di allargare il bacino elettorale: cardinale è la volontà di combattere l’astensionismo – pericolo antidemocratico da non dimenticare -, forse secondario – ma non per questo futile – è il tema del coinvolgimento giovanile in senso lato e della forza rappresentativa di questa corposa fazione sociale.

I giovani (gli under 35) – attestano le statistichesono più inclini a recarsi alle urne rispetto agli adulti (gli over 54). Sia perché sono particolarmente speranzosi, vivi e baldanzosi, o sia perché devono ancora rendersi conto della crudeltà del mondo, il dato schietto non è fraintendibile e indica che l’interesse esiste pure tra i nati negli anni ’80, nei ’90 e nei 2000 (contrariamente da come stereotipo vuole).

L’ampliamento del diritto di voto in funzione dei giovanissimi, dunque, molto probabilmente avrà un effetto positivo contro la percentuale degli astensionisti.

Lateralmente, si può pensare che sia vantaggioso che la politica “entri nelle vite degli adolescenti” subito dopo la pubertà – senza dilatare i tempi di incontro – per migliorare il coinvolgimento in ottica futura. Se a 16enni e 17enni si concede la possibilità di votare, questi avranno modo in anticipo di raffrontarsi con il loro dovere civico, iniziando ad avere a che fare direttamente con elezioni, candidati e gestione della cosa pubblica già dal triennio scolastico.

Infine, aumentando il peso elettorale dei giovanissimi si aumenta la loro potenziale rappresentatività. La politica – su tutti i livelli – spesso ignora le esigenze di adolescenti, post-adolescenti e nuovi adulti per semplice calcolo elettorale. Si tende ad accontentare chi vale, in forza dei numeri, maggiormente e non chi può far valere un minor apporto.

Con l’ingresso dei 16enni, l’importanza elettorale delle due categorie – giovani e adulti – portanti solitamente interessi vari e complementari, viene riequilibrata.

È giusto che votino gli immaturi?

Immaturi non è un’offesa, è solo il modo con cui si definiscono, in Italia, gli studenti che ancora non hanno conseguito la maturità scolastica. I 16enni e grandissima parte dei 17enni rientrano nell’etichetta, al di là della reale loro preparazione alla vita e delle loro conoscenze.

Ciò scritto, si può tornare alla domanda, senza la pretesa di trovare una risposta unica e definitiva. Le leggi seguono l’andamento della società, che si conforma diversamente nei tempi e nei luoghi. Nel Belpaese, per questo, è quasi impensabile che ai 16enni possa essere esteso il diritto di voto e il diritto di indirizzare – seppur indirettamente – le scelte politiche sulla vita pubblica.

Cultura popolare ha legittimato che si diventi maggiorenni al compimento dei 18anni, questa età, e non una inferiore, insomma, viene valutata come quella giusta in cui la maturazione individuale abbia raggiunto un livello sufficiente per affermare un individuo formalmente responsabile di sé e formalmente responsabilizzabile per gli altri.

Tuonare oggi che sia opportuno abbassare l’età per la partecipazione elettorale sarebbe estraniante e controsenso rispetto al senso comune. Altrove, ove il senso comune sia di altra natura, si potranno fare altri conti.

Elettorato più vasto, ma di che tipo? Il problema della qualità

Poi c’è un’altra domanda da porsi, che può essere invece validamente assolutizzata per tutti i Paesi. Siamo molto convinti delle positività –  su elencate – di allargare la base elettorale ai 16enni, ma abbiamo opportunamente valutato i lati negativi sulla qualità dell’espressione elettorale?

Si può ritenere responsabile o irresponsabile, secondo cultura nazionale, un 16enne. Non si discute una sola verità a proposito. Certo e naturale però è che la generalità degli individui non può nemmeno aver avuto molto tempo per crearsi una coscienza politica entro i 16 anni di vita.

Siamo nell’era dell’informazione superficiale e del voto a bassa consapevolezza, quando l’emozionalità inficia più della ragione sulle scelte elettorali. Per i giovanissimi, questa condizione di scelta non può che essere persino peggiore, disponendo loro di flebilissime basi culturali e una scarsa dotazione culturale per riconoscere fake news, notizie travisate e personaggi politici solo simpatici rispetto a personaggi politici competenti.

Beninteso, non bastano gli studi universitari per muoversi agilmente presso la mala-informazione italiana. Qualche anno di istruzione supplementare, tuttavia, può emancipare le persone dal totale spaesamento che fisiologicamente si prova.

Gabriele Nostro

Emergenza Climatica: siccità e carenza di cibo piegano l’Etiopia

OSLO, Premio Nobel per la Pace

Uno dei più grandi Paesi africani è a rischio carestia. La mancanza di acqua e cibo mette a rischio 21 milioni di persone. Uomini, donne, bambini.

La crisi sta investendo l’intero Corno d’Africa, in maniera più drammatica l’Etiopia.
Da ben 5 stagioni non piove in Etiopia. E’ piena emergenza climatica. La fondazione Cesvi, attiva dal 2021 nell’area di Borena lancia il grido di aiuto.

Un’altissima percentuale della popolazione del Paese, ben il 90%, vive nelle zone rurali. L’attività principale è la pastorizia. L’80% del bestiame è morto. Non c’è neppure da perdere tempo a fare i conti.

L’Africa contribuisce con appena il 3% di emissioni nocive al surriscaldamento del pianeta, eppure è proprio lei a pagare un altissimo prezzo.
Le poche piogge durante l’ultimo anno sono state improvvise e torrenziali e hanno provocato alluvioni in tutto il Corno d’Africa.
“Paradosso climatico”, è questa l’accezione data al fenomeno della siccità e a queste violente piogge da Cesvi, che sta tentando di sensibilizzare l’opinione pubblica occidentale attraverso ogni mezzo possibile.

La Fondazione

L’associazione è stata fondata nel 1985 a Bergamo, laica e indipendente, da allora ha operato in Asia, Sud America e, dal 2021 anche in Etiopia.
Nel 1997 opera in Corea del Nord, in risposta alla carestia, inviando navi cariche di cibo e beni di prima necessità da Ho Chi Min, seconda città più importante del Vietnam.
La Cesvi opera a favore delle popolazioni vulnerabili, colpite da colpite da guerre, calamità naturali e disastri ambientali. Lavora inoltre per risollevare le popolazioni in stato di emergenza promuovendo attività di riabilitazione e sviluppo. Valore fondante dell’associazione, si legge sul suo sito, è “che il riconoscimento dei diritti umani contribuisca al benessere di tutti sul pianeta, casa comune da preservare”.
Nel 2001 vince l’0scar di Bilancio, riconoscimento che premia le migliori rendicontazioni annuali.

 

Dottore esamina bambino in Etiopia.

L’Etiopia

L’Etiopia è il decimo Paese africano per estensione (1.104.300 kmq), con una popolazione di circa 120 milioni di abitanti. La capitale è Addis Abeba, situata su altopiano ad un’altitudine di 2047 metri ai piedi della catena montuosa dell’Entotto.
La forma di governo è una repubblica parlamentare federale, suddivisa in 21 stati. Ottiene l’indipendenza nel

40 anni fa un’altra terribile carestia aveva colpito l’Etiopia, provocando la morte di 1,3 milioni di persone. Il famosissimo brano “We are the world” fu scritto da famose star del pop e del rock con lo scopo di raccogliere fondi per una delle più gravi emergenze del continente africano.
Oggi, oltre alla Cesvi e alle Nazioni Unite è Netflix a far sentire la propria voce, mediante il documentario “The Greatest Night in Pop”, che narra gli eventi che hanno preceduto la celebre composizione.

Ma è soltanto la siccità a causare la crisi idrica e alimentare?

La risposta ce la forniscono molti degli Osservatori Internazionali e lo stesso Onu. Causa prima delle carenza di cibo è la guerra che infiamma, e ha infiammato in passato la zona del Tigray, regione a Nord dell’Etiopia e al confine con l’Eritrea. Il conflitto perdura in realtà da ben 50 anni, a causa di velleitarie volontà secessioniste.

Negli ultimi anni sistematiche violazioni dei diritti umani da ambo le parti hanno messo in ginocchio la già vulnerabile popolazione etiope.

Il governo etiope non ha lesinato l’uso di massicci bombardamenti aerei e le sistematiche violazioni dei diritti umani e di guerra dei militari etiopi ed eritrei.
Nel 2021 il Premier Abiy Ahmed Ali riceve un Nobel per la pace, “per i suoi sforzi per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per la sua decisiva iniziativa per risolvere il conflitto al confine con la vicina Eritrea”. Tuttavia la guerra è perdura ancora oggi, tra le forze del governo federale etiope e dell’Eritrea con il Fronte di Liberazione Popolare del Tigray.

In questi anni, spesso, i convogli di aiuti del Programma Alimentare Mondiale sono stati bloccati o assaltati dall’esercito etiope.

Oggi il grido è troppo alto e la necessità è troppo stringente. La carestia sta mietendo le sue vittime al di fuori della regione del Tigray, mettendo in ginocchio una fetta troppo grande di popolazione e di economia, la quale aveva visto una vertiginosa crescita tra il 2004 e il 2008.
Oggi Addis Abeba non può far altro che accettare gli aiuti internazionali, con il vincolo di dirottarli verso ogni zona della Nazione.

Il non-rispetto di questo vincolo non farebbe altro che infiammare a dismisura le parti, innalzando la crisi a livelli impensabili e certamente non auspicabili.

Marco Prestipino

Elezioni europee, il caso della Sardegna sfavorita dal sistema

Non è una questione che fiocca oggi, anzi, è già da parecchi anni che se ne discute. Ogni volta che si avvicina il momento delle elezioni europee – al trascorrere di cinque anni – i sardi devono fare i salti mortali, le preghiere, gli scongiuri e i tentativi più vari per non essere fagocitati senza risvolto dal cattivo sistema elettorale italiano.

Il problema è semplice da poter essere compreso immediatamente. Dei settantasei rappresentanti che il Belpaese manda al parlamento europeo, otto devono essere eletti nella circoscrizione insulare, che comprende i territori di Sicilia e Sardegna.

Un controsenso evidente già alla spiegazione, visto che le due terre, demograficamente, non sono nemmeno paragonabili…

In Sardegna non è democrazia

Date recenti indagini, in Sardegna vi sarebbero circa 1,5 milioni di abitanti, mentre in Sicilia ve ne si troverebbero quasi 4,8 milioni. Da questo ne discende naturalmente che l’isola scomposta dallo stivale non gode di alcuna autonomia elettorale.

Per le importanti differenze demografiche stanti tra i due territori, sono i siciliani (o chi per loro) sempre a decidere per entrambe le realtà, dovendo all’occasione scendere a patti come padroni di un potere costantemente da confermare.

Si può scrivere senza timore di essere irriverenti che i candidati sardi vengono eletti spesso come “concessione” altrui. Oppure, più raramente, vengono eletti per mezzo di una straordinaria performance elettorale, quando riescono a ottenere molti consensi anche in terra siciliana o a concentrarne in numero abnorme in casa propria.

Insomma, per le europee in Sardegna, allo stato attuale, non è democrazia.

I tentativi di risoluzione

Il problema affonda le sue radici nel tempo in cui vennero decise queste circoscrizioni elettorali. Dunque non nel 2024, ma nel lontano 1979. E da allora ci sono state almeno due occasioni celebri in cui qualcuno si è mosso per provare a risolvere la questione.

L’Associazione per la tutela dei diritti dei sardi – imputando come causa la specificità linguistica sarda – aveva sporto ricorso alla legge elettorale del 1979. Ricorso che ebbe buon riscontro in tribunale, salvo poi essere respinto dalla Corte Costituzionale e, ancora dopo, dal Senato della Repubblica. La richiesta era di avere un numero equo di europarlamentari, come avviene per le minoranze riconosciute in Valle d’Aosta, Trentino e Friuli.

Un secondo tentativo, poi, fu compiuto nel 2019, quando le segreterie dei partiti nazionali in Sardegna si riferirono direttamente a Roma per ottenere un seggio in sede europea. Nuovamente senza successo.

La situazione oggi e le ipotesi sul futuro

La scossa più recente, comunque, è del 2022. Allora, in risposta a una richiesta del consiglio regionale sardo, il Ministro per gli affari regionali Roberto Calderoli ha dichiarato la propria disponibilità per modificare la legge elettorale del 1979, individuando nella creazione di un collegio unico per la Sardegna la soluzione risolutiva.

Considerando che il 2022 è stato anche l’anno in cui il governo Meloni e il Ministro Calderoni hanno preso seggio a palazzo Chigi, non c’è da rassegnarsi in merito a quest’ultima apertura. D’altronde, le dichiarazioni di Calderoli non costituivano una promessa specifica in vista del 2024 – un periodo troppo vicino per operare sconvolgimenti del genere – ma un’imprecisata promessa d’azione per il futuro.

La prossimità al momento elettorale, sostanzialmente, potrebbe costituire solo un impedimento momentaneo per la manovra di cambiamento.

Ad ogni modo, se l’impegno dovesse essere mantenuto e la Sardegna dovesse essere fornita di un collegio proprio per le elezioni europee del 2029, con ogni probabilità si configurerebbe un nuovo assetto anche per il resto della penisola. La Sicilia potrebbe essere aggiunta nel collegio dell’Italia Meridionale. Così l’Abruzzo, per riequilibrare le proporzioni, potrebbe a sua volta slittare dal collegio dell’Italia Meridionale a quello dell’Italia Centrale.

Gabriele Nostro

 

 

 

 

 

Ponte sullo Stretto: cosa sappiamo sull’iter per gli espropri

Mercoledì scorso, la società “Stretto di Messina”, che gestisce il progetto del Ponte sullo Stretto, ha pubblicato un avviso per avviare la fase degli espropri per la realizzazione dell’opera; e da allora è stato il caos informativo.

Dati diffusi e poi corretti, dati incerti professati per certi. Dati puri, estrapolati per fini matematici, sono stati reinterpretati da “pro-Ponte” e “no-Ponte” per servire l’una o l’altra verità: tragica o tranquillizzante.

L’obbiettivo di questo articolo, frammezzo, è di provare a elencare in maniera ordinata quello che le fonti ufficiali hanno reso noto, evitando commenti di merito propagandistico. La situazione è complessa e il baccano degli interessati rende poca grazia alla comprensione.

Dunque, ecco di seguito schematizzate le principali informazioni riguardo: i possibili tempi per gli espropri, gli indennizzi che potranno essere corrisposti, i contatti per ricevere chiarimenti e, soprattutto, le zone, i cittadini e le proprietà coinvolte.

Ponte sullo Stretto, per gli espropri è ancora solo “avviso”

Per quanto la questione sia stata attualizzata e surriscaldata dai commentatori, non è a oggi o a domani che si riferiscono le eventuali operazioni di esproprio forzato. Anzi, sempre poste nell’eventualità, queste dovrebbero essere svolte in un futuro più o meno distante.

Adduciamo a svariati mesi.

A partire dal lunedì corrente e per i prossimi 60 giorni, tutti i soggetti i cui beni sono interessati dalle procedure espropriative potranno rivolgersi per l’assistenza a personale tecnico appositamente disposto (nell’ultimo paragrafo i contatti).

Trascorsi i due mesi, si procederà per la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera – senza la quale nessuna sottrazione di averi potrà essere operata dallo Stato. E infine, qualora la scritta “dichiarazione di pubblica utilità dell’opera” dovesse essere formalizzata, gli espropri potranno essere autorizzati ed effettuati.

Sul progetto definitivo e la sua validità di opera pubblica devono comunque ancora esprimersi: la Conferenza dei Servizi (convocata il 16 aprile), la Valutazione d’Impatto Ambientale e infine il Cipess, il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile.

Il progetto dovrà inoltre recepire le 68 prescrizioni ed osservazioni che il comitato tecnico scientifico ha annotato alla sua ultima presentazione.

Un’ipotetica immagine del Ponte sullo Stretto – Fonte: ilsole24ore.com

Le persone, le proprietà e le zone coinvolte nello Stretto

Appurato che sembrano esserci tempi e margini per intervenire a contrasto o in adesione agli input governativi, vediamo ora – secondo le stime – quante persone, quante proprietà e quali zone – della Sicilia e della Calabria – saranno coinvolte della grande costruzione; e dunque dagli espropri.

Qui più fonti concordano nel riferire che le famiglie toccate saranno circa 450di cui 300 in Sicilia e 150 in Calabria – per un totale di 3,7 milioni di metri quadrati da liberare.

A Torre Faro è previsto l’abbattimento di 250 case, due ristoranti, un chiosco sulla spiaggia, un residence con piscina, una panetteria, una macelleria, un motel e il campeggio dello Stretto.

Sono previsti espropri anche in molte altre aree più vicine alla città di Messina, soprattutto terreni, per costruire le opere collegate al ponte. Oltre queste, si può facilmente immaginare come diverse zone verranno rese “cantieri a cielo aperto” per la durata dei lavori.

A Villa San Giovanni, sulla sponda calabrese, le case oggetto di esproprio saranno circa 150.

Indennizzi: ecco a chi spetteranno

Gli indennizzi, stando a un’ipotesi riportata dal Sole 24 Ore, dovrebbero avere un valore totale di 100milioni di euro; e verranno sostanzialmente indirizzati a tutti i soggetti cui verrà lesa l’entità della proprietà privata in maniera parziale o radicale, e in via definitiva o temporanea.

Non possono di certo essere dimenticati, infatti, tutti quegli individui che vedranno semplicemente ridotto di qualche metro il personale domicilio o cui la presenza del Ponte provocherà fastidi di altro ordine pratico: come il minor flusso di luce o la novità dell’inquinamento acustico.

Né tantomeno potranno essere accantonati coloro che subiranno delle espropriazioni a tempo definito (per la durata dei lavori di costruzione).

Sia per l’esproprio che per l’asservimento è previsto un indennizzo che corrisponde al cosiddetto “valore venale”, a cui si aggiungerà un bonus che la società “Stretto di Messina” e i comuni individueranno tramite accordo.

Riferimenti per chiedere informazioni

Come già scritto – la società ha aperto sportelli informativi sia a Messina che a Villa San Giovanni.

Coloro che risiedono nelle aree interessate dagli espropri e che necessitano di assistenza, dunque, potranno prenotare un appuntamento ai numeri: 06.85826210 – 06.85826230 – 06.85826270.

Per poi recarsi a uno dei due sportelli informativi: a Messina, presso il Palacultura Sala Rappazzo (piano terra) sito in Viale Boccetta 373, lunedì dalle 15.00 alle 17.00; martedì e mercoledì dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 17.00 ad esclusione dei giorni festivi.

O a Villa San Giovanni, presso la ex sede della Pretura sita in via Nazionale Bolano 541, giovedì dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 17.00, venerdì dalle 9.00 alle 13.00, ad esclusione dei giorni festivi.

Gabriele Nostro