Esiste ancora la libertà di stampa? L’attentato a Sigfrido Ranucci e il silenzio che avanza

La Costituzione italiana tutela e garantisce la libertà di stampa con l’articolo 21, che “sancisce il diritto di manifestare liberamente il pensiero e vieta autorizzazioni e censure preventive“.

In teoria.

In pratica in Italia abbiamo un problema di minacce ai giornalisti, quindi alla libertà di stampa. Abbiamo una premier che si sottrae il più delle volte alle domande dei giornalisti, fino ad arrivare addirittura a vantarsene e politici che sfruttano la stampa come megafono per la loro propaganda o che querelano i giornalisti stessi. Strano, in un paese in cui “la libertà e l’indipendenza dell’informazione sono valori irrinunciabili e che continueremo a difendere“, come afferma il nostro Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Parole che sicuramente trovano un fondo di verità.

In pratica il nostro paese è al quarantanovesimo posto nella classifica dell’ONG Reporter senza frontiere, organizzazione che valuta la libertà di stampa in 180 paesi, in base alla possibilità per i giornalisti di informare liberamente, senza pressioni politiche, economiche, legali o sociali e senza rischi per la propria sicurezza. 

Infatti, il 16 ottobre Sigfrido Ranucci, giornalista e conduttore di Report, è stato vittima di un attentato sotto casa sua. Un chilo di esplosivo è stato piazzato sotto la sua auto e quella di sua figlia. Le due vetture sono saltate in aria, davanti l’abitazione del giornalista. Un carico di esplosivo che avrebbe potuto uccidere.

Chi è Sigfrido Ranucci

Nato a Roma, classe 1961, Sigfrido Ranucci è un giornalista, autore televisivo e conduttore televisivo italiano. Inizia la sua esperienza in Rai nel 1991 come assistente ai programmi e programmista regista, in seguito come giornalista presso il Tg3. Nel 1997, è assunto in Rai come redattore presso Rai International, mentre nel 1999 è assegnato a Rai News 24 dove, nel 2001, viene nominato “inviato speciale”. Dal 2006 è a Rai 3, dove collabora in qualità di autore alla trasmissione Report, programma di cui diviene anche conduttore nel dicembre 2016.

Le inchieste di Ranucci

Autore di numerose inchieste sul traffico illecito di rifiuti e sulla mafia, Ranucci è stato il primo a trovare l’ultima intervista al giudice Paolo Borsellino. Inoltre, nel settembre 2001 è stato inviato a New York per seguire l’attentato alle Torri Gemelle,  poi nel 2004 a Sumatra per lo Tsunami. È stato anche inviato nei contesti di guerra dei Balcani e in Medio Oriente dove ha realizzato inchieste sulla violazione dei diritti umani e sull’utilizzo di armi non convenzionali. Nel 2005 ha denunciato per primo l’uso del fosforo bianco in Iraq da parte degli Usa. Ranucci ha dedicato inchieste agli affari della criminalità organizzata, ricevendo le prime minacce, a seguito di un’inchiesta su una cava di sabbia. Tra gli ultimi episodi di minacce quelle del novembre 2024 per un servizio sul conflitto tra Israele e Palestina, in cui il conduttore si ritrovò due proiettili all’esterno della sua abitazione.

 

Rapporti congelati tra stampa e politica

Tanta la solidarietà, le manifestazioni e le proteste per ciò che è accaduto. Numerosi i ministri che hanno espresso la loro vicinanza, denunciando sui vari social la natura intimidatoria dell’attentato, definendolo un gesto vigliacco, che attacca non solo la persona ma anche la libertà di stampa. Nonostante ciò, nei giorni successivi all’attentato si sono aggiunte altre querele, rispetto a quelle già presenti (220, per l’esattezza) al programma Report. Da parte di chi? Degli stessi esponenti politici che hanno protestato fortemente contro il fatto gravissimo dell’attentato.

Insomma, l’Italia ha un problema con la libertà di stampa. E chi nasconde la testa sotto la sabbia o chi pensa di poter fare a meno del giornalismo (soprattutto quello di inchiesta) non comprende la gravità inaudita dell’accaduto.

Tutto il giornalismo che tocca i nervi scoperti del potere è sotto attacco. Perché la politica e il mondo degli affari mal digeriscono la verità.

D’altronde non dovrebbe sorprenderci. È noto a tutti che il presidente del Consiglio Meloni nutre una certa insofferenza per le domande dei giornalisti. Lo ha ammesso proprio lei, in un fuorionda, al presidente Trump. “Io non voglio mai parlare con la mia stampa“. Secondo uno studio di Pagella Politica, da gennaio a settembre 2025 Meloni ha risposto complessivamente a 94 domande dei giornalisti durante dichiarazioni e conferenze stampa. Sempre meno rispetto ai numeri del 2024, in cui le domande erano state 163.

 

La libertà di stampa in Italia. Cosa c’è di sbagliato?

Il caso Ranucci è il risultato italiano più eclatante di minaccia alla libertà di informazione. Come già accennato precedentemente, la situazione è in netto peggioramento; Reporter senza frontiere fotografa un Paese che ha perso punteggi sotto il governo Meloni.

 

 

La libertà di stampa in Italia
La libertà di stampa in Italia: la classifica. Fonte: Reporter senza frontiere

 

L’ONG ha motivato il calo di punteggio dell’Italia, sottolineando alcuni problemi strutturali. La forma di autocensura dei giornalisti, dovuta anche al timore di querele e all’introduzione della norma (voluta dal governo) che vieta la pubblicazione integrale delle ordinanze di custodia cautelare. Secondo i sostenitori di tale norma, questa legge servirebbe a tutelare la presunzione d’innocenza degli indagati. I contrari alla legge, che definiscono legge bavaglio, sostengono che riduce la trasparenza delle indagini, limitando il diritto dei cittadini a essere informati.

In questo contesto assume un’enorme importanza nella libertà di manifestazione del pensiero il “diritto di cronaca” o “diritto di informare”, che consente ai cittadini di essere pienamente informati, ma anche di diffondere e riferire riguardo la gestione della cosa pubblica. Sempre nel rispetto della dignità della persona.

Inoltre, Reporter segnala la dipendenza economica dei media da pubblicità e fondi pubblici, la concentrazione delle testate in pochi proprietari, la precarietà del lavoro giornalistico, la persistente polarizzazione sociale e le minacce rivolte a chi indaga su criminalità e corruzione. 

Una struttura giornalistica che gli italiani conoscono molto bene. Ma che, a quanto pare, non ha una rilevanza significativa. Questa che dobbiamo combattere è una guerra contro quel bavaglio che cercano di farci indossare. Contro un Paese che si ritrova una mente prosciugata dal proprio pensiero critico. Contro coloro che mirano a totalizzare una massa con idee tutte uguali. Perché così è più facile controllarle e rigirarle. Davanti alle minacce,  alle auto esplose, alle aggressioni,  alle querele e alle numerose pressioni per bloccare il giornalismo libero, ribelliamoci e chiediamoci se siamo tutti pronti ad affrontarne le conseguenze, lasciando un quesito provocatorio a cui probabilmente sapremo tutti rispondere, ma non ne troviamo il coraggio: esiste ancora (o non è mai esistita) una libertà di stampa?

 

Elisa Guarnera

Messina Street Food Fest 2025: gusto, solidarietà e talento tra le vie della città

Anche quest’anno Piazza Cairoli ospiterà la VII edizione della celebre kermesse culinaria.

Creatività, tradizione e solidarietà si incontreranno al Messina Street Food Fest 2025, che dal 16 al 19 ottobre trasformerà Piazza Cairoli nel cuore pulsante della gastronomia nostrana. Giunto alla settima edizione, l’evento si conferma uno degli appuntamenti più attesi dell’autunno messinese. Con un programma ricco di show cooking solidali e protagonisti d’eccezione, tutti avranno un obiettivo nobile: sostenere le attività della Croce Rossa Italiana, del C.I.R.S. Casa Famiglia ETS, della Mensa di Sant’Antonio e dell’associazione ABC – Amici dei Bimbi in Corsia Onlus.

A condurre gli spettacoli culinari sarà la giornalista Valeria Zingale, mentre ai fornelli si alterneranno chef di fama e maestri gelatieri, pronti a deliziare il pubblico con piatti che uniscono innovazione e rispetto per la tradizione.

Quest’anno la manifestazione, il cui claim è La destinazione è il gusto, si svolgerà all’interno di una tendostruttura allestita in sinergia con l’Istituto “Antonello” di Messina, coinvolgendo docenti e studenti nei servizi di accoglienza, cucina e sala, nell’ambito dei progetti di alternanza scuola-lavoro, coordinati da Gran Mirci e dalla dirigente prof.ssa Daniela Pistorino.

Il meglio della Cucina Strettese

Dopo l’esperienza del Ponte del gusto degli scorsi anni, la collaborazione tra gli chef di Messina e Reggio Calabria continua anche in questa edizione.
>Il calendario degli show cooking prevede quattro giornate intense: si parte giovedì 16 ottobre, con lo chef Enrico Lombardo – vincitore della nuova edizione di Messintavola –  e i maestri gelatieri Gaetano e Virginia Vincenzi; si prosegue venerdì 17 con, tra gli altri, lo chef Enzo Cannatà e la maestra gelatiera Serena Urzì.
>Il fine settimana vedrà ai fornelli nomi noti come Roberta Caruso (Bake Off Italia), Giuseppe Stilo, Fortunato Aricò, Giacomo Caravello e gli ambasciatori del gusto messinese Francesco Arena, Pasquale Caliri e Lillo Freni.

Un evento per tutti i sensi

Oltre alle degustazioni e alle esibizioni dal vivo, il Messina Street Food Fest offrirà un percorso multisensoriale tra cibo, cultura e territorio, con abbinamenti curati dalle cantine Principi di Mola, Camporè, Madaudo, Guzman e Tenute Cinquanta.
>La manifestazione è patrocinata, tra gli altri, da Città Metropolitana di Messina, Comune di Messina, Università degli Studi di Messina, Unioncamere Sicilia, Camera di Commercio, Confesercenti e IIS Antonello.

Di seguito gli orari della manifestazione:

  • Giovedì 16: 18.00 – 1.00

  • Venerdì 17 e Sabato 18: 11.00 – 15.00 e 18.00 – 1.00

  • Domenica 19: orario continuato 11.00 – 1.00

Per partecipare agli show cooking solidali è possibile contattare le associazioni coinvolte (Croce Rossa, CIRS, Mensa di Sant’Antonio, ABC).

L’appuntamento è dunque fissato. Quattro giorni di gusto e solidarietà nel cuore di Messina, per celebrare il cibo come linguaggio universale capace di unire, raccontare e fare del bene.

Riferimenti social:
📍 Sito web: messinastreetfoodfest.it
📸 Instagram: @messinastreetfoodfest

Giovanni Gentile Patti

Unimegames 2025, il grande evento sportivo degli studenti

Si sono conclusi nella giornata di ieri, domenica 5 ottobre, gli Unimegames, giunti alla loro quarta edizione. L’evento sportivo universitario, che si è svolto dal 3 al 5 ottobre, ha visto la partecipazione di oltre 800 studenti e studentesse, docenti e staff dell’Ateneo impegnati nei vari sport. Realizzato e organizzato dall’associazione Crescendo Incubatore in collaborazione con l’Università degli studi di Messina, anche quest’anno l’evento si è dimostrato promotore dei valori della sostenibilità grazie alla partecipazione di AMAM (Azienda Meridionale Acque Messina), che ha sostenuto l’iniziativa concedendo, presso la Cittadella sportiva, un erogatore di acqua potabile, riducendo l’utilizzo delle bottigliette monouso.

Le attività

Sport, partecipazione, spirito di appartenenza, inclusione e tanto divertimento. Tre giorni in cui i vari dipartimenti si sono sfidati nelle numerose discipline, tra calcio, pallavolo, basket, nuoto, tennis doppio misto e un debutto per sei prove di atletica leggera (100 metri, 400 metri, staffetta 4×100, salto in alto, salto in lungo e lancio del peso).

Dopo due giornate di sfide intense, a cui hanno fatto da sfondo la cittadella sportiva universitaria e il campo Cappuccini, l’evento si è concluso ieri con la UnimeRun. Il percorso si è svolto nel cuore della città, rafforzando concretamente quel legame indissolubile tra la cittadinanza messinese e la condivisione di quei valori protagonisti della manifestazione sportiva.

 

Sensibilizzazione e inclusione

Non solo competizione, ma soprattutto spirito di comunità e valori sociali e culturali: tra i momenti più significativi il programma Try This Ability, dedicato alla sensibilizzazione sul tema dell’inclusione e della disabilità, ha coinvolto studenti e associazioni in attività dimostrative ed esperienze pratiche. Un percorso volto a sperimentare e riflettere sull’accessibilità e sulle barriere quotidiane, con l’obiettivo di promuovere un ateneo e una comunità accademica più aperta e inclusiva.

 

La cerimonia finale e i vincitori

La quarta edizione degli Unimegames si è conclusa nell’anfiteatro della cittadella sportiva, con gli interventi della prof.ssa Graziella Scandurra e di Luca Famà, presidente di Crescendo Incubatore. Di seguito la classifica dei dipartimenti e i vincitori nei vari sport:

Calcio

  1. Patologia
  2. Dimed
  3. Ingegneria

 

Pallavolo

  1. Ingegneria
  2. Biomorf
  3. Chibiofaram

 

Basket

  1. Patologia
  2. Biomorf
  3. Ingegneria

 

Tennis

  1. Biomorf
  2. Patologia
  3. Giurisprudenza

 

Nuoto

  1. Patologia
  2. Ingegneria
  3. Veterinaria

 

100 m Uomo

  1. Andrea Cambria (Biomorf)

100 m Donna

  1. Laura Torre (Chibiofaram)

 

400 m Uomo

  1. Alessandro De Roma (Ingegneria)

400 m Donna

  1. Arianna Vadalà (Patologia)

 

Salti e lanci

Giuseppe Faiti (Biomorf)

Erica Maisano (Veterinaria)

Mattia Andrè (Ingegneria)

 

Staffetta 10 km

  1. Biomorf
  2. Patologia
  3. Giurisprudenza

 

Riconoscimento speciale con il premio Eugenio Guglielmino, direttore di dipartimento di ingegneria con cui sono nati gli Unimegames, consegnato al prof. Ettore Napoli.

E per quest’anno si è  aggiudicata la vittoria della quarta edizione degli Unimegames il dipartimento Biomorf, seguito da Patologia e Ingegneria.

 

UniversoMe è stato presente durante l’intero evento, condividendo emozioni, novità e momenti di festa. Tra interviste a bordo campo e tante attività ha raccontato l’esperienza unica dei tanti studenti che hanno animato l’evento. Non ci resta che aspettare la prossima edizione!

 

Elisa Guarnera

 

L’emoticon della vigliaccheria

Una risata allunga la vita, ma nei social, anche un’ emoticon pare distruggere ogni forma di umanità.

La risata che ci allontana

Nel febbraio del 2016, Facebook introdusse nel proprio social il pacchetto Reaction, comprendente fra le altre l’emoticon Haha, ovvero la faccina che ride. L’obiettivo della compagnia digitale era quello di consegnare all’utente maggiore libertà di reazione ai contenuti, potendo così andare oltre il classico “Mi piace”.

Il significato originale dell’emoji era quello di manifestare la propria ilarità in merito a post scherzosi o sketch comici, ma ben presto si è tramutata in un veleno capace di inquinare ulteriormente il dibattito pubblico.

Nel Facebook odierno infatti, l’emoticon Haha è un’arma silenziosa usata dagli utenti per sminuire e denigrare opinioni differenti dalle proprie. Il risultato è disarmante, poiché si rischia di banalizzare ogni tipo di contenuto presente in rete. Nella sezione commenti di ogni singolo post, si possono conteggiare una sfilza di reazioni smile che fanno da contorno ad una serie infinita di insulti.

La struttura stessa dei social, fondata sull’immediatezza e sulla reazione istantanea, ci impedisce di riflettere davvero su ciò che leggiamo, portandoci a respingere tutto ciò che non rispecchia la nostra visione. Umiliare l’altro diventa così un gesto facile e automatico, favorito dalla distanza dello schermo e dalla protezione dell’anonimato. Quando poi la derisione si fa collettiva, subentra l’effetto branco: la responsabilità individuale si annulla, e il dissenso viene silenziato sotto una pioggia di risate virtuali. In questo clima, ogni tentativo di esprimere un pensiero rischia di essere soffocato da una falsa ironia, non più strumento di condivisione, ma arma per zittire.

Quando un emoji diventa reato

L’utilizzo sarcastico delle emoji, apparentemente innocuo, può avere rilevanza penale. Un caso emblematico riguarda un uomo condannato per diffamazione aggravata dopo aver offeso la reputazione di un imprenditore lombardo. In particolare, l’uomo aveva commentato un post relativo ai problemi di viabilità del Comune di Luino (provincia di Varese) facendo riferimento ai deficit visivi dell’imprenditore, accompagnando la frase con l’emoji della risata. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2251/2023, ha confermato che anche un simbolo grafico come un’emoticon può assumere valore lesivo, soprattutto se impiegato pubblicamente con intento denigratorio. In questi casi, la comunicazione digitale può concretamente ledere la reputazione altrui.

La normativa italiana (art. 595 c.p.) prevede per il reato di diffamazione aggravata la reclusione fino a un anno o una multa, e la querela può essere presentata anche sulla base di screenshot, anche se il contenuto è stato successivamente rimosso. Questo episodio dimostra come anche le forme espressive più brevi e informali della comunicazione online possano comportare conseguenze giuridiche significative.

Contrastare l’odio digitale attraverso l’empatia e l’educazione

Per arginare l’uso dell’emoji Haha come strumento di odio online, diverse strategie si stanno diffondendo. Progetti come Mute The Hate, campagna mediatica contro l’hate speech, si concentrano sull’educazione digitale e la sensibilizzazione, invitando gli utenti a non rispondere con rabbia alle provocazioni e a segnalare tempestivamente i contenuti offensivi alle piattaforme, favorendo così un ambiente più rispettoso.

Parallelamente, nascono iniziative come gli Offline Club, spazi fisici in cui giovani e adulti si incontrano senza smartphone, per allontanarsi dalla tossicità dei social e ristabilire un dialogo autentico, basato sull’ascolto e sull’empatia. Accanto a queste soluzioni, è fondamentale integrare nelle scuole programmi educativi che insegnino il valore del rispetto, della diversità e della comunicazione responsabile.

Solo un approccio multilivello, che unisca tecnologia, cultura e relazioni umane, può contribuire a trasformare le piattaforme digitali da terreno fertile per l’odio a luoghi di confronto costruttivo.

 

Giovanni Gentile Patti

C’era una volta il commercio…poi arrivò l’isola pedonale

Da parecchio tempo ormai tiene banco la questione sull’ampliamento delle piste ciclabili in centro e l’inaugurazione di nuove aree pedonali. La città appare divisa, ma un punto d’incontro è necessario.

La rabbia dei commercianti

Lo scorso 12 aprile il Comitato 3 S – Sviluppo Sostenibilità Sicurezza – ha organizzato un flash mob a Piazza Cairoli per richiedere una revisione sulle politiche della viabilità cittadina.

Oggetto di scontro è la realizzazione dell’Isola pedonale lungo il Viale San Martino, che secondo i commercianti danneggerebbe le attività del salotto cittadino. Ai microfoni di TempoStretto, l’ingegnere Gaetano Sciacca, a capo del movimento civico Messina3S, si è scagliato contro l’amministrazione Basile, a suo parere colpevole di aver soffocato un’arteria vitale per i negozi del centro. Il timore dei commercianti è che la nuova area pedonale possa sottrarre parcheggi ai clienti, allontanandoli così dai loro negozi. Sulla stessa linea anche Emilio Andaloro, amministratore della società che gestisce Bar Casaramona, storico ritrovo del Viale. “A noi l’isola ha ridotto il fatturato – lamentava Andaloro in un’intervista rilasciata a StrettoWeb – stiamo decidendo di chiudere e trasferirci in un’altra città”.

Intanto i lavori di pedonalizzazione del Viale procedono spediti, e presto l’asfalto verrà ricoperto da una nuova pavimentazione che rivestirà la strada sino all’incrocio con il Viale Europa. Per recuperare i posti auto sacrificati, si dovrà attendere il potenziamento del Fosso, parcheggio multipiano della vicina Via La Farina. Vi è infatti un progetto, in fase di definizione, che prevede l’ampliamento da due a sette livelli, dei quali cinque dedicati ai posteggi.

 

Amazon piglia tutto

È vero che il nuovo Viale free auto stravolgerà le abitudini di negozianti e consumatori, ma ridurre la crisi dell’imprenditoria locale al solo problema dei parcheggi è una visione semplicistica di un problema molto più complesso.

Secondo Osservatori, nel 2024 gli acquisti online in Italia hanno superato i 58,8 miliardi di euro, con Amazon sempre più padrone del mercato. L’azienda fondata da Jeff Bezos annovera nei propri cataloghi un’infinità di articoli, stroncando sul nascere ogni tipo di concorrenza. Custom service su misura e spedizioni rapide hanno ormai fidelizzato milioni di clienti, trasformando l’acquisto su Amazon in una prassi consolidata. A soffrirne sono inevitabilmente le realtà locali che, spesso a conduzione familiare, possono poco o nulla contro lo strapotere del colosso americano.

 

Il Viale Offline

L’esplosione del mercato online impone alle realtà cittadine di non sottovalutare la propria presenza digitale. La pervasività di Amazon & Co preoccupa i piccoli – medio imprenditori, ma può trasformarsi in opportunità di rinnovamento per intercettare target diversi da quelli del proprio quartiere. Tuttavia, i commercianti del Viale San Martino sembrano non pensarla così: i negozi con una chiara immagine social si contano sulle dita di una mano (monca) e in molti non possiedono nemmeno un sito web. Si palesa dunque una scarsa consapevolezza dell’enorme potenziale di internet che i venditori del Viale pagano a caro prezzo.

Eppure fra rolex dorati, dolci food porn e abiti stilosi non mancherebbero certo i presupposti per creare profili social accattivanti, in grado di attrarre nuovi clienti da ogni angolo della città e non solo.

Al giorno d’oggi appare impensabile reggere un’impresa sul semplice passaparola o sulla clientela tradizionale che, per necessità, deve salvaguardare il proprio portafoglio.

 

 

Giovanni Gentile Patti

Dazi, la nuova politica commerciale di Trump

Al via la guerra commerciale scatenata da Donald Trump. Il 2 aprile il presidente americano ha annunciato l’introduzione di nuovi dazi commerciali su oltre cento paesi. L’obiettivo dichiarato è “proteggere l’economia americana” , il più grande intervento dai tempi della Grande Depressione. Un giorno simbolico, il “Liberation day” che vorrebbe sancire l’abbandono, da parte degli Stati Uniti della strada del libero scambio per adottare misure protezionistiche.

La mossa protezionistica, motivata dalla Casa Bianca con la necessità di difendere l’industria nazionale e ridurre il deficit commerciale, ha immediatamente scatenato una spirale di ritorsioni da parte dei principali partner commerciali di Washington. Questo ha innescato un’ondata di vendite sui mercati finanziari e ha aperto scenari di elevata incertezza per il futuro del commercio internazionale.

La mossa di Trump

Le misure hanno colpito praticamente tutte le principali economie del mondo, inclusi storici alleati come l’Unione Europea, il Canada e il Giappone. In particolare, Bruxelles ha ricevuto una tariffa del 20% su tutte le esportazioni verso gli Stati Uniti, un colpo durissimo per l’industria europea già in difficoltà. La Cina, invece, è stata bersaglio di una risposta ben più dura: dazi iniziali al 34%, poi aumentati drasticamente fino al 125% il 9 aprile, in risposta alle ritorsioni di Pechino. Una mossa per correggere anni di abusi commerciali, che ha scatenato una reazione a catena: crolli  in borsa, tensioni diplomatiche e allarme tra gli analisti economici.

Le immediate contromisure

La Cina e l’Unione Europea, perciò, non restano a guardare il tragico scenario. La Cina, con la sua rapida imposizione di tariffe equivalenti sui beni americani, ha lanciato un chiaro segnale di non voler cedere alle pressioni. L’Unione Europea, pur mostrando inizialmente apertura al dialogo, ha preparato una lista di contromisure mirate,  approvando nuovi dazi del 25% su una serie di prodotti americani. Per esempio  prodotti alimentari, elettrodomestici, colpendo anche la Harley Davidson, la casa motociclistica e simbolo statunitense.

Una tregua strategica

Ma il colpo di scena è arrivato il 9 aprile. Dopo una settimana di alta tensione e un sensibile peggioramento della situazione sui mercati finanziari globali, Trump ha annunciato una sospensione temporanea di 90 giorni dei dazi per la maggior parte dei paesi colpiti. “Ho pensato che la gente stesse diventando un po’ spaventata”, così Trump motiva la sua decisione della pausa sui dazi. La tregua è stata definita una finestra per negoziare accordi più equi.  L’esclusione della Cina dalla tregua e il mantenimento delle tariffe pregresse su alcuni settori chiave suggeriscono che la determinazione di Trump a perseguire la sua agenda commerciale rimane intatta.

Resta da vedere se questa pausa rappresenti un reale ripensamento strategico o una semplice manovra tattica per esercitare ulteriore pressione sui partner commerciali. Che dietro la facciata della negoziazione si celi la volontà di Trump di imporre condizioni unilaterali? La scommessa di Trump è alta, con un rischio di isolamento crescente degli Stati Uniti sulla scena commerciale internazionale. Intanto, il mondo osserva con crescente preoccupazione il gioco economico messo in atto dal tycoon, che potrebbe ridefinire gli assetti economici del futuro.

 

Elisa Guarnera

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

What’s in my bag. Survival edition. L’Unione Europea e il kit per la guerra

Crisi e sfide sempre più complesse quelle che l’Unione Europea si trova ad affrontare. Guerre, pandemie, catastrofi naturali. E no, non è l’inizio di un film apocalittico. È la realtà che il mondo, gli Stati, le istituzioni e noi cittadini stiamo vivendo quasi giornalmente, assistendo a morti innocenti, disastri naturali e aggressioni armate.

Il 26 marzo la Commissione e l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea lanciano il piano di Bruxelles per preparare l’Europa alle crisi. Infatti, l’UE cerca un piano preventivo per assicurare ai cittadini un’autosufficienza per almeno 72 ore. “Va proprio cambiata la mentalità“, dice la Commissione europea. Il punto centrale  di questa strategia è non farsi mai trovare impreparati.

Acqua, cibo, farmaci, documenti. Sono alcuni dei punti della Preparedness Union Strategy, la nuova strategia  dell’Unione Europea  in caso di crisi su larga scala, compresi gli scenari di guerra.

OBIETTIVI E AZIONI CHIAVE DELLA STRATEGIA

La strategia include 30 azioni concrete e un piano d’azione dettagliato, che prevede strumenti differenti in base alla crisi che si dovrà affrontare.

Tra le novità previste:  una definizione dei criteri minimi di preparazione per i servizi essenziali, quindi ospedali, infrastrutture, trasporti e comunicazioni. Oltre il potenziamento di risorse necessarie, tra cui medicine, acqua, cibo, vaccini, sono fondamentali delle indicazioni precise, non solo per gli Stati ma anche per i cittadini.

Ma perché questa strategia viene presentata proprio ora?

L’idea di fondo è che la popolazione sia preparata. Emergenza covid e guerra in Ucraina hanno dimostrato che dobbiamo essere pronti all’inaspettato. L’Europa ha bisogno di un piano più strutturato, così da non sottovalutare le minacce intorno a noi ed essere pronti a eventuali crisi globali.

Il kit di emergenza in caso di guerra secondo l'UE
Il kit di emergenza in caso di guerra secondo l’UE photo: Il Quotidiano Nazionale

In questa strategia c’è molto altro.

Nel piano viene evidenziato che anche i programmi scolastici dovrebbero essere integrati con apposite lezioni sulla preparazione alle crisi da affrontare. Si pensa addirittura a una giornata europea della Preparazione. E ancora si prevedono delle esercitazioni comuni, in modo che tutti sappiano cosa fare e come comportarsi in caso di emergenza.

Il piano include naturalmente un rafforzamento e un potenziamento della cooperazione civile-militare, attraverso varie indicazioni a livello superiore: ad esempio verrà creato un  hub di crisi europeo, in modo da integrare meglio la risposta tra tutte le strutture che già esistono.

Si tratta di linee guida che dovrebbero essere integrate nel più breve tempo possibile all’interno delle politiche e dei programmi degli Stati europei

UN CAMBIO DI MENTALITA’ PER L’UNIONE EUROPEA

Ursula von der Leyen, presidente della commissione europea ha spiegato che “ad ispirare la strategia è stato un rapporto dell’ex presidente finlandese Sauli Niinistö” che, subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina, aveva lanciato l’allarme sulla sicurezza europea e aveva esortato tutti quanti ad alzare il proprio livello di preparazione. Dobbiamo allenarci di nuovo alla preparazione.

Un concetto che la vicepresidente della commissione Roxana Mînzatu ha voluto riassumere con un proverbio usato in Romania, il suo paese: costruisci la slitta d’estate e i carri d’inverno.

Ma quindi, quale è la minaccia più urgente a cui dobbiamo prepararci?

Per la commissaria europea alla gestione della crisi la belga Hadja Lahbib ci sono almeno “450 milioni di motivi per essere meglio preparati“, ha annunciato pronunciato il 26 marzo in conferenza stampa.

Il mio kit di sopravvivenza è già pronto, tutto ciò che mi serve è nella mia borsa“. Con queste parole la commissaria ha presentato in un video ironico sul suo profilo X la “borsa della resilienza”. Nel video Lahbib elenca il contenuto della sua borsa, che contiene documenti di identità, acqua, torcia, occhiali per vedere (o no) quello che succede, un coltellino svizzero, fiammiferi e accendino, medicine e cibo in scatola.

“Ovviamente dei contanti, perché nel bel mezzo di una crisi la tua carta di credito può essere solo un pezzo di plastica”, ha detto la commissaria, aggiungendo anche un mazzo di carte, una power bank per il cellulare e un radio portatile.

RISPOSTE DALL’ITALIA

Non è un piano pensato perché ci si aspetta di essere invasi domani e trascinati in guerra.

È un piano per renderci pronti ad ogni evenienza, per non ripetere delle scene come quelle che abbiamo visto durante la pandemia di covid: persone che prendono d’assalto i supermercati oppure di mascherine che di colpo non si trovano più perché le produzioni sono tutte bloccate.

Non sono mancate le polemiche su questo piano. Gli eurodeputati del Movimento 5 stelle hanno accusato la commissione di fare terrorismo psicologico, di essere guerrafondaia e di alimentare una spirale di paura che invece dovrebbe finire.

L’AI nella scuola fra rischi e opportunità

L’intelligenza artificiale è già diventata parte integrante del sistema educativo. Piattaforme come ChatGPT e Gemini sono ormai compagne di studio dei ragazzi. La scuola non riesce a tenere il passo di queste novità, che però, potrebbero rivelarsi delle preziose alleate.

L’abuso che minaccia la scuola

Secondo una ricerca condotta dal portale Noplagio.it, otto studenti su dieci fanno uso regolare dell’AI per svolgere varie attività a scuola.

A un campione di circa mille adolescenti, è stato sottoposto un questionario nel quale si elencavano una serie di situazioni in cui è possibile avvalersi dell’aiuto dell’intelligenza artificiale. Il 60% dei ragazzi ha ammesso di usare strumenti come ChatGPT per far svolgere i compiti al proprio posto, il 13% rivela di sfruttare i tools AI per scrivere temi e saggi, mentre il 18% addirittura dichiara di usarli in classe durante le verifiche.

Nonostante la maggior parte degli studenti consideri l’intelligenza artificiale uno strumento valido, buona parte di loro è consapevole che i contenuti prodotti possano non essere accurati. Alla domanda specifica – “pensi di poterti fidare ciecamente di un contenuto generato dall’AI?” – il 54% ritiene che sia comunque necessaria una revisione umana. Eppure, il rischio di un abuso è dietro l’angolo.

Le campagne di sensibilizzazione faticano a decollare, e i più giovani non possiedono un’innata capacità critica per rapportarsi all’AI. Bisogna prevenire uno scenario nel quale gli studenti deleghino totalmente le proprie attività a ChatGPT. O si interverrà con decisione, oppure cresceremo una generazione di automi, priva di senso del giudizio, e dunque facilmente abbindolabile dal fantomatico messia di turno, o peggio ancora, dall’AI stessa.

 

Integrazione dell’AI per una didattica innovativa

Scongiurando scenari apocalittici, l’intelligenza artificiale rappresenta per la Scuola una grande opportunità di rinnovamento e riscatto.

A livello internazionale sono già diversi i progetti che puntano ad integrare i sistemi AI nelle scuole, con l’obiettivo di migliorare l’esperienza degli studenti.

L’Istituto di Istruzione Secondaria Ribera del Tajo a Talavera de la Reina, in Spagna, ha sviluppato il Progetto VIA (Visión Artificial en el Aula), che utilizza l’IA per monitorare il comportamento degli studenti in classe attraverso la rilevazione dei tratti facciali. VIA è in grado di capire se l’alunno presta attenzione o meno, offrendo ai docenti dati utili per rendere più interessanti le proprie lezioni. Ma l’analisi può andare oltre, restituendo un report sul lungo periodo. Ad esempio, il Sistema cinese DMP_AI (Data Management Platform_Artificial Intelligence) implementato nelle scuole primarie e secondarie, prevede le prestazioni accademiche dei ragazzi, segnalando con anticipo eventualità criticità. Tutto ciò è reso possibile da complessi meccanismi di data mining e machine learning.

Inoltre, i sistemi basati su intelligenza artificiale potrebbero fare la differenza per salvare quei ragazzi affetti da disturbi dell’apprendimento. Nasce con questa finalità la Piattaforma Vrailexia, che sfrutta l’IA per personalizzare automaticamente i contenuti didattici in base alle esigenze degli studenti dislessici

 

Se da un lato esiste il pericolo di un abuso che potrebbe compromettere il percorso accademico, dall’altro è innegabile il potenziale inedito che l’IA offre al mondo dell’istruzione. Non bisogna demonizzare l’uso dell’intelligenza artificiale, ma piuttosto educare i ragazzi (e i professori) ad un utilizzo consapevole e responsabile.

Serve dunque un approccio equilibrato, in cui l’IA diventi un supporto per la crescita dei giovani, senza sostituire il loro impegno o annullare la loro capacità di giudizio critico.

 

Giovanni Gentile Patti

Suicidio assistito: un diritto o una deriva? Il dibattito continua

Il dibattito sul fine vita e sul suicidio assistito continua a essere un tema centrale nel panorama politico e sociale italiano. Dopo l’approvazione della legge in Toscana lo scorso 11 febbraio, che ha regolamentato l’accesso al suicidio medicalmente assistito per pazienti in condizioni irreversibili, il confronto solleva interrogativi profondi sul piano religioso ed etico. La questione ha innescato polemiche e annunci di ricorso da parte del centrodestra.

L’involuzione legislativa in Italia

Il senatore di Fratelli d’Italia, Ignazio Zullo, relatore del disegno di legge all’esame delle commissioni Giustizia e Affari sociali del Senato, presenta uno schema preliminare sul fine vita per affermare due principi fondamentali. Il primo ribadisce l’inviolabilità della vita, stabilendo che “il diritto alla vita è inviolabile e indisponibile, determinato dall’essenza dei valori fondamentali sui quali si fonda la Carta costituzionale della Repubblica”. Il secondo specifica che l’accesso al percorso di fine vita assistito, disciplinato dalla proposta di legge, vale per “una persona maggiorenne affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che reputa intollerabili, tenuta in vita o dipendete da trattamenti di sostegno vitale [..]“.

Così afferma il segretario di Più Europa Riccardo Magi:

È bene che il parlamento si occupi di fine vita ma la bozza di testo presentata dal centrodestra oggi in Senato è piuttosto deludente. Se questa è la base di partenza, è preferibile non avere alcuna legge perché rappresenta un passo indietro rispetto a quanto stabilito dalla Consulta”.

Inserire il principio dell’inviolabilità e dell’indisponibilità della vita appare un’enunciazione ideologica, anziché un atto normativo. Ma rendere obbligatorio un percorso di cure palliative come condizione per accedere al suicidio assistito è una disposizione che non tiene conto della sofferenza reale delle persone e rende la legge regressiva rispetto a quanto stabilito dalla Corte.

Il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo e sulla propria vita, soprattutto in condizioni di sofferenza estrema. Una condizione essenziale che deve essere garantita, come afferma la senatrice di AVS Ilaria Cucchi. La stessa senatrice  ribadisce che il vuoto normativo su un tema così delicato rappresenta una privazione dei diritti fondamentali delle persone, private della possibilità di decidere come vivere con dignità fino all’ultimo momento. Dopo la recente approvazione della legge in Toscana , è ora che l’Italia superi pregiudizi e resistenze ideologiche. Agendo, come molti Paesi europei ,attraverso la tutela della dignità e della libertà di tutti i cittadini.

 

Difendere la vita, ripartendo dai valori

Storicamente, il riconoscimento del diritto al suicidio assistito per le persone affette da gravi malattie è annoverato tra le lotte per i diritti civili, che vengono portate avanti in tutto il mondo da gruppi e ONG progressiste. In Italia per esempio è noto l’impegno del Partito Radicale e dell’associazione Luca Coscioni, nonché dell’ex-parlamentare Marco Cappato. Mentre sono in generale contrari all’eutanasia attiva e al suicidio assistito soprattutto le organizzazioni di matrice religiosa, che li considerano come un attacco alla vita.

Quindi, all’indomani dell’approvazione della legge regionale sul suicidio medicalmente assistito approvata dalla regione Toscana, la Chiesa ribadisce, senza mezzi termini, la contrarietà nei confronti di un provvedimento che viene definito dalla Chiesa cattolica una “deriva pericolosa per la società“.

Questa posizione è già stata ribadita in diversi documenti ufficiali. L’enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II, promulgata nel 1995, esprime la posizione della Chiesa cattolica sul valore e l’inviolabilità della vita umana. Una priorità ribadita ancora oggi dalla Conferenza Episcopale Italiana, preoccupata “per le recenti iniziative regionali sul tema del fine vita”. La stessa CEI riferisce che non si tratta di fare una guerra contro tale legge, ma portare avanti il compito della Chiesa: aiutare i più giovani a misurarsi su delle tematiche che contengano alti valori.  La Chiesa Cattolica continua a promuovere il rispetto della vita umana in tutte le sue fasi, incoraggiando l’uso delle cure palliative per alleviare le sofferenze.

La vita è un diritto, non la morte“, ha detto Papa Francesco nella catechesi dell’udienza generale del 2022. Nella visione cristiana dignità e rispetto dovranno accompagnare le persone nel momento del fine vita. Talvolta, prolungare la vita fino alla fine, può comportare l’accettazione di una sofferenza insostenibile.

Fine vita diventa legge in Toscana: una scelta di libertà

Si apre un nuovo capitolo sul fine vita in Italia. Lunedì 11 febbraio 2025 la Toscana è la prima regione italiana a garantire l’accesso ai malati al suicidio medicalmente assistito, con tempi e modalità certi. Si tratta della prima legge regionale che, in assenza di una normativa nazione, attua alcune sentenze della Corte Costituzionale.

La legge rappresenta un punto di svolta nel dibattito sui diritti individuali e un passo avanti nell’autodeterminazione dei pazienti affetti da patologie irreversibili e invalidanti.

L’iter legislativo

Accolta da Eugenio Giani, presidente della regione Toscana, come un forte messaggio di civiltà, l’iter legislativo è partito dall’iniziativa popolare “Liberi Subito”. Dopo la raccolta di 10 mila firme promossa dall’associazione Luca Coscioni(associazione nata nel 2002 per difendere le libertà civili e i diritti umani), il Consiglio regionale ha approvato la norma sul fine vita, attuando la sentenza della Corte Costituzionale del 2019. La legge regionale è stata approvata con 27 voti favorevoli (i partiti di centrosinistra che sostengono la giunta regionale guidata dal presidente della regione Giani), 13 contrari ( i partiti di centrodestra)  e un solo astenuto, ossia la consigliera regionale del PD Lucia De Robertis.

Nel 2019 una sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato la non punibilità di chi assiste e aiuta un paziente, tenuto in vita  da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile che sono causa di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, a realizzare autonomamente e liberamente la decisione di porre fine alla propria vita. Tale sentenza, poi confermata con un’altra nel 2024, era arrivata per il caso della morte di dj Fabo, tetraplegico dopo un grave incidente, che aveva espresso la volontà di porre fine alla sua vita. Dal momento che in Italia non era in vigore nessuna legge in merito al fine vita, dj Fabo aveva deciso di recarsi in Svizzera, insieme a Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, dove aveva fatto ricorso al suicidio assistito in una clinica nel 2017.

La legge toscana

Secondo la legge regionale possono accedere alle procedure relative al suicidio medicalmente assistito le persone in possesso dei requisiti indicati dalle sentenze della Corte Costituzionale 242/2019 e 135/2024; «il suicidio assistito è possibile quando la patologia è irreversibile, la persona vive sofferenze psichiche e psicologiche che reputa intollerabili, c’è una situazione di dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e il paziente ha la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli. 20 giorni è il tempo utile massimo per stabilire se il paziente abbia i requisiti per l’accesso al suicidio assistito. Ad esito positivo saranno 10 i giorni entro cui verranno definite le modalità con cui si concretizzerà la scelta assistita di fine vita, tra cui la scelta del farmaco. Passati questi giorni la norma garantisce, entro sette giorni e con il supporto del sistema sanitario regionale, la procedura.

Nelle scorse settimane in Lombardia è avvenuto il sesto caso in Italia di suicidio assistito di una cinquantenne affetta da sclerosi multipla progressiva da oltre 30 anni. Dopo l’auto-somministrazione di un farmaco letale fornito dal Servizio sanitario nazionale,  la donna è morta nella sua abitazione.

La mia breve vita è stata intensa e felice, l’ho amata all’infinito e il mio gesto di porre fine non ha significato che non l’amassi. Questo l’ultimo messaggio della donna, ormai paralizzata e costretta ad una condizione di totale assistenza continuativa, che ha avuto accesso alla procedura prevista dalla Consulta con la sentenza 242/2019.