Italia-UE, l’Unione rimprovera sulle concessioni balneari (e agisce legalmente)

Ancora una volta il diritto europeo sembra poter prevalere su quello italiano, in un sistema che i sovranisti definirebbero “di subalternità” e gli europeisti-globalisti “di collaborazione”. Comunque si consideri, l’ultimo atto di gestione UE mira a risolvere una questione molto particolare che interessa la nostra penisola: la questione delle concessioni balneari.

Il governo italiano ha spesso sostenuto la necessità di prorogare le concessioni, mentre l’Unione ne ha frequentemente richiesto la rapida rimessa al bando. Quali sono state le mosse legislative dell’una e dell’altra parte? Quali le loro ragioni? Di seguito un quadro dei recenti accadimenti per guardare al problema con più consapevolezza. 

Concessioni balneari, la proroga e i suoi perché

Riporta le informazioni Mondo Balneare. Lo scorso 23 febbraio, alla Camera dei Deputati, è stato approvato in via definitiva il decreto Milleproroghe, sancente, tra le varie proroghe, quella relativa alle concessioni balneari. Essenzialmente: la scadenza delle concessioni balneari è stata ufficialmente spostata dal 31 dicembre 2023 al 31 dicembre 2024.

Curioso che già allora il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella avesse promulgato la norma con riserva, manifestando i suoi dubbi circa la compatibilità della stessa con le norme europee. 

Comunque, il regolamento precisa due motivazioni scusanti la proroga di un anno. La posticipazione sarebbe stata operata per effettuare la mappatura del demanio marittimo al fine di verificare «la sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile», e per istituire un tavolo tecnico tra i ministeri competenti e le associazioni di categoria per concordare i contenuti della riforma delle concessioni balneari.

Tale d’altronde è stata avviata solo dal precedente governo Draghi, con la legge sulla concorrenza che per la prima volta in Italia ha introdotto la riassegnazione dei titoli tramite gare pubbliche.

UE
Spiaggia. Fonte: Wikimedia Commons

L’opposizione italiana e dell’UE

Sia la minoranza nel Parlamento italiano che l’UE come istituzione hanno presto fatto valere la propria opposizione sulla scelta. Chi ha contestato la decisione contenuta nel Milleproroghe si è appellato alla questione dell’imparzialità e della “proroga dei privilegi”.

Perché non rilanciare la concorrenza invece di conservare l’esclusività dei possedimenti? Perché non dare moto a un mercato più libero? Queste le domande più assiduamente proposte, insieme ad altre provocazioni del tipo: che il governo, nell’interesse dei partiti che lo costituiscono, si comporti così per non perdere i consensi di chi ora gode delle zone balneari a basso costo?

L’azione UE 

Riporta le informazioni Ansa.it.

Le concessioni di occupazione delle spiagge italiane non possono essere rinnovate automaticamente ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente. I giudici nazionali e le autorità amministrative italiane sono tenuti ad applicare le norme pertinenti del diritto europeo, disapplicando le disposizioni nazionali non conformi

Questo recita una vertenza della Corte di giustizia UE, coinvolgente l’Autorità italiana garante della concorrenza e del mercato e il comune di Ginosa (Taranto), decisa ieri mattina. Il processo in merito pone le sue origini nel dicembre del 2020, quando il comune di Ginosa, nel rispetto della normativa nazionale, aveva automaticamente prorogato le concessioni balneari, attirando l’ostilità dell’Agcm, ora risultata vincitrice nel contenzioso.

La rassicurazione di Meloni 

Dopo la simbolica sentenza, che potrà fare da precedente e da prova legale, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha rassicurato che il Paese si allineerà alle leggi comunitarie.

Non è la prima volta che Meloni si mostra cedevole sulla faccenda, diversamente da altri membri del suo entourage. Per questo è plausibile credere al suo indirizzo, ora giustificato in risposta a un’avversione europea più tangibile di prima.  

Gabriele Nostro

Giovani insoddisfatti? Uno studio ISTAT dice di sì

Proprio ieri, il 20 marzo, si celebrava la Giornata mondiale della felicità. Quell’emozione passeggera che, con un senso di soddisfazione, gioia e serenità, riempie la vita di ognuno. Ma, purtroppo, secondo i dati del World Happiness Report, l’Italia non è poi così felice. Infatti, ci troviamo al 33esimo posto, ben due posizioni indietro rispetto all’anno scorso.

Che sia dovuto all’insoddisfazione riscontrata in particolar modo nei giovani?

I dati Istat parlano chiaro: tra i giovani dai 14 ai 19 anni, circa 220 mila i ragazzi avvertono frustrazione e malcontento per la propria vita. Queste sensazioni sono principalmente dovute ad uno scarso benessere psicologico e ad un senso di inadeguatezza causato dal non sentirsi parte di qualcosa sia nelle relazioni famigliari (8,9%) che nelle relazioni amichevoli (16,1%).

Anche il tempo libero sembra non accontentare più i ragazzi e le ragazze, che preferiscono vivere in maniera quasi insonorizzata, a tratti passiva, rimanendo sospesi in una realtà dove la speranza per il futuro viene meno. Infatti, molti scelgono di sparire, di osservare tutto da uno schermo freddo e sterile trascurando la parte più umana di loro stessi. E ciò è provocato dal mancato senso di appartenenza manifestato dagli adolescenti.

Ma come dice l’autore Alessandro D’Avenia:

I ragazzi di oggi non sono né migliori né peggiori di quelli di ieri e quando gli adulti decino di esserci, in corpo e spirito, loro fioriscono. Perché, come ogni germoglio curato, hanno trovato terra in cui metter radici e nutrirsi di vita buona.

Dunque, sarebbe sufficiente prendersi cura di se stessi e degli altri come se fossimo piante. Trovare radici salde a cui aggrapparsi nei momenti difficili, un buon terreno fertile dove assorbire tutti i valori necessari per diventare uomini e donne migliori… E acqua fresca per purificarsi da tutti quei veleni che provano a turbare la nostra anima.

E i giovani universitari come se la passano?

La situazione non è delle migliori, infatti più volte si è sentito parlare delle difficoltà lamentate dai giovani lungo il percorso universitario. A maggior ragione nell’ultimo periodo, dove i tristi fatti di cronaca ne sono l’esempio più tangibile. La paura di fallire e di deludere genitori, parenti e amici è la causa principale che provoca infelicità, ansia e difficoltà psicologiche.

giovani
Fonte: Flickr. Autore: Università di Pavia

Un sondaggio eseguito da Skuola.net dimostra come gli universitari, per sfuggire alla pressione familiare e per tranquillizzare gli altri, tendono a mentire sulla propria carriera universitaria: circa uno studente su tre ammette di averlo fatto per non angosciare la famiglia, perchè si vergogna di non essere all’altezza oppure per evitare lo scontro. Più è difficile la situazione più le bugie potrebbero aumentare e andare fuori controllo. Il 32% degli intervistati vorrebbe confessare, ma l’angoscia di riconoscere il fallimento farebbe troppo male.

Ad allarmare però è il 25% che ritiene di poter essere preda di uno stato di disperazione che potrebbe sfociare anche in un gesto estremo.

È forse giunta l’ora di intervenire?

Non è più possibile aspettare il prossimo tragico epilogo, bisogna trovare un modo per fermare o limitare questo fenomeno che rischia di arrivare a un punto di non ritorno. Il 46% degli studenti vorrebbe che passasse il messaggio che la laurea non sia necessariamente sinonimo di successo. Solo il 15% di questi vede utile incrementare il supporto psicologico da parte degli atenei, mentre uno su tre vorrebbe un approccio più umano e comprensivo da parte delle Università.

Ciò non significa mettere da parte lo studio, perché è con forza di volontà e dedizione che i risultati arrivano. Bisognerebbe solo ricordarsi che il voto non rappresenta la persona, né questa è definita dal numero di esami dati o di bocciature ricevute.

Infine, sarebbe anche necessario porre un freno alla domanda più temuta tra tutte… «Ma quando ti laurei?»

Serena Previti

L’ONU sigla uno storico trattato, gli oceani non sono più “terra di nessuno”

Dopo quindici anni di lunghi e burrascosi negoziati, lo scorso 5 marzo 193 Stati membri dell’Onu, riuniti a New York in occasione della quinta conferenza intergovernativa, hanno finalmente siglato un accordo globale sulla tutela dell’alto mare. Ovvero quell’area del mare posta al di là dalla zona economica esclusiva (oltre le 200 miglia nautiche e a circa 370 km dalla costa), non sottoposta alla sovranità di alcuno Stato.

Questo trattato “sulla biodiversità marina nelle aree non soggette a giurisdizione nazionale“, permette di istituire, anche in alto mare, aree marine protette e zone di salvaguardia dove pesca indiscriminata e inquinamento saranno vietati. A dicembre gli Stati membri, attraverso l’accordo di Kunming-Montréal (30×30), si erano imposti di riuscire a proteggere almeno il 30% degli oceani entro il 2030. Ma senza un trattato vero e proprio questo obiettivo sarebbe fallito. Adesso però “la nave ha finalmente raggiunto la riva“, come ha affermato Rena Lee, presidente della conferenza.

Svolta storica e decisiva per “i nostri oceani”

Oggi è stato raggiunto il culmine di oltre un decennio di lavori preparatori e di negoziati internazionali in cui l’UE ha svolto un ruolo chiave. Con l’accordo sul trattato delle Nazioni Unite sull’alto mare, si compie un passo avanti fondamentale per preservare la vita marina e la biodiversità, elementi essenziali per noi e per le generazioni future. L’accordo dimostra anche l’importanza della cooperazione multilaterale rafforzata con i nostri partner e costituisce una risorsa importante per realizzare l’obiettivo della COP 15: la protezione del 30% degli oceani. Sono particolarmente orgoglioso del risultato ottenuto!

Queste sono le parole di Virginijus Sinkevičius, Commissario per l’Ambiente, gli oceani e la pesca dell’UE. Effettivamente questo è un grande traguardo, poiché le aree non soggette a giurisdizione nazionale coprono quasi i due terzi degli oceani del mondo (comprese le zone dell’alto mare e fondali marini al di fuori della giurisdizione nazionale). Le risorse marine e la biodiversità che presentano al loro interno, sono dei benefici: ecologici, sociali, culturali, scientifici e di sicurezza alimentare inestimabili per l’umanità. Dal mare deriva metà dell’ossigeno che respiriamo ed esso assorbe metà della Co2, emessa in atmosfera. Ma ultimamente questi fattori sono minacciati dall’inquinamento, dal conseguente cambiamento climatico, da navi sempre più grandi e super tecnologiche che prelevano dalle nostre acque quantità di risorse incompatibili con la loro produzione.

A fronte di una futura domanda di risorse marine per la sopravvivenza globale, in virtù anche della Convenzione dell’ONU sul diritto del mare (UNCLOS), per la prima volta gli Stati si impegnano in una gestione più olistica e sostenibile degli ecosistemi marini anche internazionali.

Rena Lee ha tenuto a precisare che, conclusi i negoziati, l’accordo entrerà in vigore dopo la ratifica da parte di 60 Stati. Il testo sarà adottato solo dopo l’esame da parte degli uffici legali e verrà effettuata la traduzione nelle sei lingue dell’ONU.

L’Unione Europea si pronuncia a sostegno dei paesi in via di sviluppo:

La spartizione delle risorse genetiche come spugne marine, coralli, alghe e batteri (potenzialmente usate in medicina e cosmetica), è stata una delle questioni che impediva l’accordo. I paesi in via di sviluppo, ai quali mancano i mezzi adeguati per finanziare spedizioni e ricerche molto costose, si sono battuti per non essere esclusi dall’accesso a queste risorse. In un dibattitto che ormai si basava solo su una questione di equità Nord-Sud, l’UE si è pronunciata a sostegno di questi paesi. A tal fine in conferenza ha promesso di stanziare 40 milioni di euro, nell’ambito di un programma globale per gli oceani, per facilitare la ratifica del trattato e la sua prima attuazione.

Per le ONG il trattato conclude una “lunga marcia”

L’alto mare è stata finora “terra di nessuno“, questo nuovo trattato dà speranza. Per Greenpeace questa vittoria avviene dopo una “lunga marcia“. L’organizzazione ecologista è riuscita ad ottenere con una petizione, a favore della protezione degli oceani, più di 5,5 milioni di firme raccolte in tutto il mondo. Dalle parole di Laura Meller di Greenpeace:

Questa è una giornata storica per la conservazione e un segno che in un mondo diviso la protezione della natura e delle persone può trionfare sulla geopolitica

Lo sforzo per Greenpeace sarebbe quello di creare una grande mappatura degli oceani del pianeta che individui le aree da privilegiare: Ecologically or Biologically Important Marine Areas (Ebsas). Adesso sostiene l’organizzazione:

Si può aprire una nuova era di responsabilità collettiva per i beni comuni più significativi del nostro pianeta a livello globale. Accogliendo con grande favore l’obbligo di effettuare valutazioni di impatto ambientale delle attività in alto mare, commisurate alla portata dell’impatto

L’organizzazione ha messo a discussione alcuni punti del trattato, ha intravisto delle incognite sul suo futuro. Anche perché mancano solo sette anni al 2030 e ancora di mezzo ci sono molti interessi. Al Mediterraneo l’accordo fornirà, secondo quanto spiega il WWF Italia, uno strumento giuridico di “più forte protezione, per ridurre l’impatto delle crescenti attività industriali e produttive“.

Ma tutto questo gioverà alle “future generazioni”?

Una Conferenza delle parti (Cop), creata dal trattato, si incontrerà periodicamente per verificare il rispetto degli impegni presi. Ma non tutti sono sicuri che questi controlli e questi impegni vengano effettivamente rispettati. Nella storia molti provvedimenti  approvati, a volte non hanno trovato un riscontro concreto e pratico effettivo. Per i giovani d’oggi quella ambientale è la peggiore crisi da dover affrontare. Molte le lotte portate avanti dagli ambientalisti preoccupati per il Climate Change, per l’inquinamento ed un uso scorretto delle nostre risorse (tra cui gli oceani). Tra fiduciosi e non, la speranza che queste nuove decisioni possano andare a buon fine c’è!  Come ha affermato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres:

Questo trattato è una vittoria per il multilateralismo e per gli sforzi globali per contrastare le tendenze distruttive che minacciano la salute degli oceani, oggi e per le generazioni a venire

Ma sarà davvero così? Questa nave toccherà davvero la riva? Per ora potremo solo stare a vedere cosa accadrà effettivamente nei prossimi mesi o forse nei prossimi anni!

Marta Ferrato

 

Milano, studentessa di 19 anni si toglie la vita. “Ho fallito nello studio”

Ogni anno aumentano i casi di studenti che si tolgono la vita per un personale fallimento nel percorso di studi. Questi atti sono diventanti ormai una vera e propria piaga sociale. Sono storie di giovani che non riesco a raggiungere degli standard, spesso imposti dalla società e dalla famiglia: avere una buona media dei voti, laurearsi in tempo, trovare subito un buon lavoro.

Queste pressioni sociali sono spesso controproducenti, inducono a compiere atti estremi come il suicidio. Lo scorso mercoledì 1 febbraio, una giovane studentessa di 20 anni sudamericana, è stata trovata morta nei bagni dell’Università Iulm di Milano, presso l’edificio 5 in via Santander. A dare l’allarme è stato un custode all’apertura dell’ateneo. La ragazza in un biglietto trovato dai carabinieri, parlava dei suoi “personali fallimenti nello studio”.

Un tragico risveglio. L’Università Iulm esprime il suo cordoglio

Il corpo della ragazza era adagiato a terra con una sciarpa intorno al collo. I carabinieri della stazione Barona e della sezione Investigazioni scientifiche del nucleo investigativo, che hanno effettuato i rilievi, hanno trovato un biglietto nella borsa della ragazza in cui manifestava l’intenzione di suicidarsi. I soccorsi, se pur arrivati subito, non hanno potuto far altro che constatare il decesso della ragazza. Che le cause siano quelle di un suicidio volontario, sembrerebbero essere vere. Dato che da alcuni accertamenti, sul corpo della ragazza non sono stati trovati segni di violenza. Allora si è veramente uccisa “per suoi fallimenti negli studi”. Da quanto scritto su quel biglietto.

L’ateneo dato il tragico risveglio, attraverso i propri canali social ha comunicato a tutti, le decisioni prese dal Senato Accademico riunitosi in seduta straordinaria.

 

Post di cordoglio sull’account Instagram, Fonte: Profilo Iulm

 

Un duro colpo non solo per gli studenti, ma anche per il rettore dell’Università, Gianni Canova. Dopo la tragedia scrive in una lettera ciò che per lui dovrebbe essere l’università:

Un luogo in cui tutti si sentano a casa, capiti e ascoltati. Dove non siano i voti l’unico criterio di misurazione del valore. Dove il pensiero critico, l’intelligenza emotiva e relazionale, la creatività siano valori apprezzati. Dove tutte le sensibilità siano accolte e dove nessuno debba vergognarsi delle proprie fragilità

Mette in evidenza questo forte “disagio” che non può essere “ignorato”. Fa riferimento a quanto l’esperienza della pandemia e del lockdown abbiano fatto crescere in modo esponenziale la “fragilità di un’intera generazione”. Le richieste di aiuto agli sportelli di counseling psicologico negli ultimi mesi sono raddoppiati.

Come professore ed educatore, mi sento di ribadire che l’Università non può rinunciare alla sua missione primaria, che è quella di sviluppare in tutti l’amore per la conoscenza e per lo studio…L’Università è un luogo dove apprendere e crescere. E crescere significa imparare ad affrontare la vita e le sue prove.

Non è questo un caso isolato. Ogni anno si suicidano più di 500 ragazzi

Questo è solo un caso di una lunga serie nel nostro Paese. Secondo alcuni dati ISTAT (aggiornati al 2019), si contano in Italia circa 4.000 suicidi all’anno. Circa cinquecento di questi sono compiuti da under 34. Duecento di quest’ultimi tra gli under 24, che nella maggior parte dei casi sono proprio studenti universitari. La pandemia ha certamente peggiorato lo scenario. Infatti nel 2021 (secondo sempre i dati ISTAT) in Italia 22omila ragazzi, tra i 14 e i 19 anni, si dichiaravano insoddisfatti della propria vita e in condizioni di scarso benessere psicologico.

Negli ultimi mesi ha fatto tanto scalpore anche il caso di Riccardo Faggin. Un 26enne che lo scorso novembre si è schiantato volutamente contro un albero. Si sarebbe dovuto laureare quello stesso giorno in Scienze Infermieristiche, peccato però che il suo nome non era tra le proclamazioni previste dall’ateneo. E ancora il caso dello studente abruzzese, ritrovato lo scorso ottobre tra le acque del fiume Reno, in provincia di Bologna. Aveva raccontato una bugia ai propri cari a fin di bene, perché credeva tanto di potercela fare e non deludere le loro aspettative. Però la paura del fallimento e  del non riuscire più a negare l’evidenza ha portato entrambi i ragazzi a compiere questi atti estremi.

In Italia, tra i media se ne parla appena accade il caso, ma poco dopo tutto cade nel dimenticatoio. Per lo meno fino a quando non si presenterà un altro caso ancora. Bisognerebbe mettere un fermo, trovare delle soluzioni, dire no ad altre simili tragedie. Per Camilla Piredda, coordinatrice dell’Unione degli Universitari, c’è un problema di base nel sistema

Denunciamo come il sistema universitario non solo sia incapace di ascoltare e supportare coloro che manifestano difficoltà durante il proprio percorso di studi, ma anzi li sottoponga a uno stress continuo e delle aspettative sempre maggiori!

Fallire è una vergogna, il successo è la norma

Ogni mese leggiamo, ascoltiamo di notizie tramite media di studenti che si laureano in “tempi record”, con voti eccellenti e con subito il lavoro dei loro sogni. Veniamo bombardati da titoli come

Studenti da record: Nicola a 20 anni è il più giovane laureato in legge.

Torre del Greco, laurea in tempi record: arriva in cattedra baby prof di 23 anni

Modella, influencer e laureata in medicina a soli 23 anni. Credeva che il sonno fosse una perdita di tempo

Non bisogna di certo denigrare questi ragazzi che in poco tempo raggiungono questi importanti traguardi. Ma bisognerebbe solo porre fine a questa narrazione tossica sui media, che rende queste eccezioni come degli standard per tutti. Siamo di certo uomini e donne, in una società fondata sulla competizione, sulla gara, sulla corsa contro il tempo. Andiamo tutti alla ricerca del successo e non del fallimento. Ma fallire è umano, fa parte della vita, non bisogna vergognarsene.

 

Lodo Guenzi e il cartello condiviso sul suo profilo Instagram, Fonte: Il Resto del Carlino

 

Molti sono stati gli appelli fatti in questi giorni sui social. Uno che colpisce è quello del leader del gruppo musicale “lo Stato Sociale”, Lodo Guenzi. Si è rivolto ai giovani con un toccante racconto personale, chiedendo loro di “Resistere!”

Non so neanche perché lo scrivo, e non so se è una questione di gara di eccellenza dentro il percorso formativo, come è sempre stata, o molto di più il fatto che il mondo del lavoro fuori garantisca la sopravvivenza solo per chi eccelle, sacrificando i diritti ai tempi di produzione, e trasformando la scuola non più in una palestra in cui poter sbagliare, ma in un assaggio delle frustrazioni di domani. Io vorrei dire a una ragazza che non sei tu che quel pensiero lo capisco, davvero. Ma che se resisti in quel momento, può essere che per te sia stato un attimo. E forza, davvero”.

Allora forse basterebbe solo resistere? Come dice Guenzi. O sarebbe anche giusto che le istituzioni si rendessero conto di dover aggiustare il tiro, sul racconto che fin da piccoli ci narrano?
Viviamo in un mondo in cui il futuro, tra pandemia e guerra, è diventato totalmente incerto per tutti. Le colpe dei fallimenti che spesso ci accolliamo non dipendono da noi. Ognuno ha i propri tempi, tutti possiamo fallire e sbagliare, perché  proprio “dagli errori si impara”. Sarebbe davvero significativo se la nostra società si aprisse sempre più all’inclusione, all’ascolto e al supporto psicologico. Per dire basta a questi atti così estremi!

Marta Ferrato

Tragedia in Ucraina, precipita un elicottero e muore il ministro Monastyrsky

È passato quasi un anno dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina, meglio nota anche sul fronte putiniano come “operazione speciale”, (con l’invasione di Kiev , il 24 febbraio 2022). Il suo obiettivo iniziale era quello di proteggere le minoranze russofone del Donbass e della Crimea (regioni contese dal 2014 con l’Ucraina). Ma l’irrefrenabile Putin è andato ormai oltre, nonostante le sanzioni occidentali tentino di frenarne la corsa. Gli ucraini in quest’ultimi mesi sono riusciti a riconquistare circa metà dei territori persi dall’inizio dell’invasione, “ma questo non basta!”.                

I raid russi hanno invaso molte città ucraine, distruggendo la vita di molti innocenti. Le vittime civili dall’inizio “dell’operazione” sono state circa 6.702 (sulla base di una stima dell’Onu) e molti altri sono feriti. Pochi giorni fa un attacco missilistico ha colpito un palazzo nella città di Dnipro, provocando la morte di 29 persone.

Ieri, invece, un elicottero è precipitato nella città di Brovary (nella regione di Kiev), provocando la morte di 18 persone, di cui tre sono bambini. Tra le vittime anche il ministro degli Interni ucraino, Denys Monastyrskyil suo vice Yevhen Yenin e il segretario di Stato del Ministero degli affari interni, Yuriy Lubkovich.

Cosa è accaduto? Le cause sono ancora poco chiare

Nella città di Brovary, un elicottero è caduto nei pressi di un asilo e di un edificio residenziale. Al momento della tragedia, bambini e dipendenti dell’istituto erano all’asilo. Tutti sono stati evacuati ma ci sono vittime!

L’incidente è stato così reso noto dal governatore di Kiev, Oleksiy Kuleba. Secondo i media locali 9 dei morti si trovavano a bordo del velivolo, che apparteneva ai Servizi di emergenza statali ucraini. Gli altri probabilmente erano persone del posto, che come nella ‘normale quotidianità’ accompagnavano i propri figli all’asilo. In ospedale sono stati portati altrettanti feriti, tra cui molti bambini. Secondo la BBC il tempo era buio e nebbioso al momento dell’incidente, alcuni testimoni hanno riferito che prima sembrerebbe esserci stata un’esplosione a bordo e poi “il velivolo ha volteggiato più volte in aria e solo dopo è caduto”.

Una mattina nera” afferma il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky “una terribile tragedia”. Così dichiara al forum economico di Davos

Questo non è un incidente perché è dovuto alla guerra. La guerra ha molte dimensioni non solamente sul campo di battaglia. In guerra non ci sono incidenti, questi sono tutti risultati della guerra. 

Il ministro Monastyrsky aveva 42 anni ed era uno dei membri più attivi del governo ucraino. Informava il pubblico sulle vittime civili dei bombardamenti russi. Uomo chiave dello sforzo bellico per la deputata Maria Mezentseva,“era una persona disponibile, amichevole, patriottica”. Per anni spalla destra del presidente Zelensky  “fin dal primo giorno dall’inizio della sua campagna elettorale”. Il primo ministro ucraino, Denys Shymhal, ritiene che sia stata “una grande perdita per la squadra del governo e per l’intero Stato”.

Il ministro degli interni Monastyrsky e le immagini della tragedia, Fonte: Fanpage

Il Servizio di sicurezza ucraino, insieme alla Polizia nazionale, è stato incaricato per scoprire le circostanze dell’accaduto. Verranno coinvolti specialisti dell’aviazione, le ricerche sui dettagli della tragedia richiederanno però del tempo. Tra le ipotesi dello schianto per ora ci sono:

  1. violazione delle regole di volo;
  2. malfunzionamento tecnico dell’elicottero;
  3. azioni intenzionali per distruggere un veicolo.

Dagli USA arriva il cordoglio del presidente americano Biden. in una nota afferma che “la brutalità della Russia ci convince sempre più ad aiutare gli ucraini”. John Kirby, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale americana dichiara che

La difesa anti-aerea rimane una priorità per l’Ucraina. Stiamo cercando di fare avere alle forze di Kiev il più vasto mix possibile di sistemi di difesa anti-aerea, in modo che abbiano opzioni e possano ‘stratificare’, si dice in questo caso.

Anche il ministro degli interni tedesco, Nancy Faeser, ha offerto a Kiev l’aiuto di Berlino nelle indagini sulle cause dell’incidente. Ursula von der Leyen, presidente della commissione europea, attraverso un tweet parla di un “Ucraina devastata dalla guerra. Siamo in lutto con voi”.

I bambini stanno pagando le conseguenze del conflitto

La tragedia di ieri è arrivata nello stesso giorno in cui gli ucraini denunciavano che dall’inizio dell’invasione i russi hanno rapito 14.000 bambini.

Secondo la tesi del consigliere presidenziale per i diritti, Daria Herasymchuk, solo 125 dei bambini scomparsi sono riusciti a “tornare a casa”. Ieri dopo l’ennesima tragedia, il portavoce dell’Unicef per l’Italia, Andrea Iacomini, ha affermato che “l’Onu è profondamente addolorata nell’apprendere dell’incidente”. Aggiungendo che

È davvero un episodio che lascia sgomenti e senza parole. La guerra deve finire, i bambini pagano sempre prezzi troppo alti!

Putin nel frattempo punta ad una “vittoria inevitabile”

Intanto Mosca ha deciso di aumentare le proprie forze armate arrivando a circa 1,5 milioni entro il 2026. La Russia sembra prepararsi per un forte scontro con l’Occidente. In risposta al nono pacchetto di sanzioni dell’Unione Europea, ha esteso la lista nera dei funzionari europei ai quali è vietato l’ingresso in Russia. Putin ha presentato alla Duma una proposta di legge per cancellare i trattati internazionali del consiglio d’Europa nei confronti della Russia, che nel marzo 2022 è uscita da quest’organizzazione. Dichiarando in uno dei suoi colloqui che per lui:

la vittoria è garantita. Ci sono diverse cose che non sono mai andate via, che sono alla base della nostra vittoria. Sono l’unità e la solidarietà del popolo russo, dalle molteplici etnie. Sono il coraggio e l’eroismo dei nostri soldati impegnati nelle operazioni militari speciali e in prima linea. E naturalmente il lavoro del nostro settore militare e industriale.

Per Putin “la vittoria è inevitabile”, Fonte: Sky TG24

Sergej Lavrov, ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa, afferma che “i colloqui con Zelensky per ora sono fuori discussione”. Per il ministro, Zelensky “si è imposto contro qualsiasi negoziato con il governo russo”. Per cercare di rompere la forte coalizione occidentale, sembrerebbe anche che in conferenza stampa abbia parlato dell’Italia, di una “Roma traviata dagli USA”. Si è chiesto come sia stato possibile che proprio l’Italia, con la quale credeva di andare d’accordo, si sia trasferita nel campo dei leader delle azioni e della retorica anti-russa?

Mi piacciono gli italiani, sono molto simili ai Russi. Ai Russi piace il modo di vivere italiano. Non riesco a vederli come gente che costruisce muri e barriere. L’atteggiamento di scontro con la Russia è stato imposto dall’Europa.

Da una parte cerca sicuramente di blandirci, ma dall’altra veniamo presentati come un paese minore che subisce le imposizioni altrui. Non sono di certo queste dichiarazioni plausibili, come non è accettabile che ancora si possa parlare di questa guerra! Bisognerebbe porre una fine!

Marta Ferrato

La Turchia dice “No” all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato: i motivi della scelta e le richieste avanzate dal paese

Svezia e Finlandia vorrebbero entrare a far parte della NATO, ma la Turchia non sembra essere d’accordo. Così il presidente turco blocca l’ingresso dei due paesi scandinavi alla collaborazione per la sicurezza internazionale.

I motivi della Turchia e le sue richieste

L’unico paese ad avere bloccato l’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO è la Turchia. Per fare ingresso nell’organizzazione internazionale non un solo membro dev’essere a sfavore, pena il blocco della procedura d’entrata. La domanda, dunque, sorge spontanea: perché la Turchia è contraria all’ingresso di due paesi che potrebbero aumentare la sicurezza dell’organizzazione? Ebbene sembra esserci più di un motivo.

“La NATO è un’alleanza per la sicurezza e la Turchia non sarà d’accordo nel mettere a repentaglio questa sicurezza”

Con queste parole, Erdogan, presidente turco, fa riferimento alla richiesta di estradizione di 30 terroristi che la Turchia aveva fatto a Svezia e Finlandia. I due paesi (soprattutto la Svezia) avevano dato sostegno ai curdi del Pkk, un’organizzazione considerata terroristica da Turchia, Unione Europea e Stati Uniti. Ankara chiede innanzitutto di cominciare le estradizioni finora bloccate, dal momento che la Svezia ha accolto sul suo territorio membri del Pkk fornendo loro protezione.

La Svezia intrattiene, inoltre, rapporti con l’Ypg, la milizia curda Unità di protezione popolare, con la quale ha condiviso i programmi d’addestramento organizzati dalla coalizione contro l’ISIS. Un’altra richiesta della Turchia è quella d’interrompere i rapporti con quello che ritiene un’alleato del Partito dei lavoratori del Kurdistan (l’Ypg), che rappresenta un pericolo per il paese con i suoi attacchi terroristici sferrati contro i civili.

La Turchia muove altre due richieste ai paesi scandinavi: l’estradizione dei membri di quella che i turchi chiamano Organizzazione del Terrore Gülenista del predicatore Fethullah Gülen e la rimozione dell’embargo sull’esportazione di armi in Turchia, approvato nel 2019 a seguito dell’operazione militare turca contro i curdi siriani.

Bandiera della Turchia (Fonte: informazionefacile.it)

Ingresso alla NATO: blocco o solo ritardo?

Molti si chiedono se l’intento della Turchia sia quello di bloccare l’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO o solo ritardarlo. Appare chiaro che il paese voglia solo ottenere qualcosa in cambio.

“Non stiamo dicendo che Finlandia e Svezia non possono essere membri della NATO, ma dobbiamo essere sulla stessa lunghezza d’onda riguardo alla minaccia che stiamo affrontando.”

Questo quanto dichiarato al Financial Times: il presidente turco rifiuta di dare sostegno ai due paesi per l’adesione alla NATO poiché non ne ha ricevuto quando ha chiesto loto di rimandare i terroristi in Turchia.

“Vogliamo raggiungere un accordo. Quanto prima riusciremo a raggiungere un accordo, tanto prima potranno iniziare le discussioni sull’adesione.”

Erdogan (Fonte: zazoom.it)

Il vero motivo della Turchia

Qualcuno pensa che le estradizioni non siano il vero motivo per cui la Turchia ha detto NO all’adesione di Svezia e Finlandia alla NATO. Tra poco più di un anno, infatti, in Turchia si terranno le elezioni e l’attuale presidente turco non sembra essere molto ben voluto dalla popolazione. La possibilità di una sconfitta non è poi così distante dalla realtà. La pressione di Erdogan sulla questione del Pkk potrebbe esaltare la sua posizione agli occhi della gente. La popolazione turca, così come il governo, danno un grande peso al fatto che un’organizzazione ritenuta terroristica dall’Unione Europea e quindi anche da Svezia e Finlandia che ne fanno parte, trovi rifugio negli stessi paesi. Il presidente ne approfitta per far leva sulla questione:

“Nessuno dei due paesi ha una posizione chiara nei confronti delle organizzazioni terroristiche, come possiamo fidarci di loro?”

La Turchia, però, sembra essere aperta a compromessi e molti membri della NATO credono che presto si arriverà ad un accordo.

Sede Nato (Fonte: dhnet.be)

Eleonora Bonarrigo

Dramma in Israele: valanga umana durante una celebrazione religiosa, almeno 44 morti e centinaia di feriti. Problemi nell’organizzazione.

Nella notte tra giovedì e venerdì centinaia di persone sono rimaste coinvolte in un tragico incidente avvenuto in Israele durante le celebrazioni del Lag B’Omer, una festività religiosa ebraica. Almeno 44 i morti e circa 150 i feriti di una “valanga umana” che si è creata durante il pellegrinaggio al Monte Meron, presso la tomba del Rabbi Shimon bar Yoḥai, a cui hanno partecipato – si stima – più di 100,000 persone nella violazione delle norme anti-covid imposte dal governo israeliano.

Nonostante più del 56% della popolazione israeliana abbia ricevuto il vaccino, il rischio di contagio nel Paese rimane ancora possibile – soprattutto con riguardo alle ultime varianti per cui si consiglia la «massima allerta».

Quanto alle dinamiche, inizialmente si pensava ad un crollo di una tribuna allestita nel luogo in cui si teneva un concerto in onore della celebrazione, ma successivamente l’ipotesi è stata smentita. Le probabilità suggeriscono che sia stata la scivolosità della pavimentazione (causata da acqua ed altri liquidi rovesciati per terra) ad innescare l’incidente. Nonostante ciò, le forze dell’ordine stanno ancora indagando sulla ricostruzione dei fatti.

Il Lag B’Omer

La festività è stata istituita il 33° giorno dell’Omar (un’usanza con cui si contano i giorni che decorrono tra la Pasqua ebraica e la Pentecoste) in occasione dell’anniversario della morte del Rabbi Shimon bar Yoḥai (conosciuto come autore dello Zohar, il libro profetico ebraico). Durante questo giorno si ricordano i 24,000 allievi del Rabbi Akiva morti – secondo una versione – a causa di una misteriosa malattia oppure – secondo un’altra versione – durante la grande ribellione contro l’occupazione romana.

Trattasi solitamente di un momento di grande gioia e celebrazione, in quanto vengono sollevate le proibizioni dell’Omer e la popolazione ne approfitta per organizzare feste, matrimoni e falò in pubblica piazza. Come già accennato, migliaia di pellegrini si recano inoltre sul Monte Meron presso la tomba del Rabbi.

I problemi riguardanti l’organizzazione

Dal suo lettino d’ospedale, una delle vittime dell’incidente ha commentato l’avvenimento:

Le persone non respiravano, ricordo di aver sentito tantissima gente gridare: “Non riesco a respirare“.

Alcuni testimoni raccontano di essersi sentiti in un campo di battaglia, mentre alla televisione ricorrono immagini di decine di corpi ricoperti dai teli delle ambulanze.

(fonte: nytimes.com)

Un trauma incredibile per la comunità ebraica che solo nelle ultime settimane era riuscita a vedere uno spiraglio di libertà dall’emergenza pandemica. Tuttavia, un incidente del genere non è nuovo al Paese: già nel 1911 molte persone avevano perso la vita in circostanze simili. Adesso, però, si cercano i responsabili. La polizia è già al lavoro per la ricostruzione della vicenda – spiega Eli Levy, portavoce della polizia -, ma è ancora troppo presto per attribuire delle colpe o parlare di negligenza.

In realtà, già prima del disastro in molti avevano avvertito una forte preoccupazione. Di giovedì due persone sono state arrestate per aver ostacolato la polizia nel mantenere l’ordine ed il rispetto delle restrizioni, ma si tratta di sforzi inutili: la vastità della folla ha impedito qualsiasi intervento delle forze armate.

Ancor prima dell’inizio della celebrazione, il Ministro della Salute israeliano aveva espresso la propria perplessità circa l’evento che avrebbe accolto più di 500,000 pellegrini, definendolo una disgrazia che avrebbe potuto condurre ad uno scoppio del contagio da COVID-19, ma la realtà dei fatti è stata ancor più veloce ed atroce.

Aspre critiche erano già state rivolte nei confronti dell’organizzazione, che aveva istituito solo una stretta uscita da cui far affluire la folla. La disgrazia, sfortunatamente, era già stata annunciata da molte testimonianze.

Le parole degli esponenti politici

Sulla vicenda si sono già espressi moltissimi esponenti politici da tutto il mondo.

Sul fronte internazionale anche il Consigliere per la Sicurezza Nazionale statunitense, Jake Sullivan, ha espresso le proprie condoglianze per la comunità israeliana, così come l’Ambasciatore UE in Israele Emanuele Giaufret.
(fonte: twitter.com)

Profondamente afflitto dalla terribile notizia dei feriti e dei morti alla celebrazione del Lag Ba’Omer sul Monte Meron. Le mie più sincere condoglianze vanno alle famiglie delle vittime ed auguro una pronta guarigione a tutti coloro che sono rimasti feriti.

 

Valeria Bonaccorso

Silicon Valley: come la pandemia sta cambiando la culla della tecnologia. Hp e Tesla verso il Texas

Quartier generale di Google. Fonte: https://www.viaggi-usa.it/silicon-valley-california/

La Silicon Valley californiana, culla della tecnologia per eccellenza, si è negli ultimi mesi collocata al centro di un dibattito molto noto e altrettanto antico tra gli esperti di industria tecnologica negli Stati Uniti, circa il suo futuro: riuscirà a rendere la minaccia della pandemia una sfida stimolante? Non sarebbe infatti la prima volta che la regione più innovativa al mondo esce rafforzata da una crisi. Ciononostante, tra gli osservatori c’è chi ritiene che stiamo assistendo al preludio della sua fine.

A consolidare simili previsioni sarebbe un fenomeno di più lungo periodo, riguardante l’inizio di una preoccupante migrazione di note aziende e grandi imprenditori (tra cui Elon Musk) dal polo tecnologico verso il Texas, che sta da tempo emergendo come allettante alternativa.

Il valore della prossimità fisica messo a rischio dalla pandemia

È certamente diffusa la consapevolezza di come l’economia mondiale sia stata messa in ginocchio da un nemico invisibile universalmente riconosciuto sotto il nome di Covid-19 e la Silicon Valley – sede di numerose start-up (imprese emergenti) e società internazionali specializzate in tecnologia – non è rimasta esente da ciò.

La pandemia ha portato con sé la necessità di una riorganizzazione del lavoro, svuotando gli uffici e privilegiando il lavoro dei dipendenti da casa e questo, a detta dei più pessimisti, si traduce in una messa in discussione del modello innovativo propriamente caratteristico di tali aziende. Le preoccupazioni nascono dall’idea che la prossimità fisica tra persone con un certo tipo di conoscenza ed esperienza (imprenditori, programmatori e investitori) rappresenti un valore aggiuntivo in termini di innovazione e produttività, che rischierebbero altrimenti di venir meno.

Politica e opinione pubblica in accordo sulla limitazione della libertà imprenditoriale

Come evidenzia un articolo del ‘’Post’’ risalente a due giorni fa, dall’ultimo studio trimestrale delle società di consulenze NVCA Venture Monitor e PitchBook è stato rilevato un leggero calo nel tasso di investimento del venture capital, vale a dire una forma di investimento ad alto rischio in start-up potenzialmente di successo. Pare inoltre che il modello di sviluppo della Silicon Valley sia minacciato anche sul fronte della politica da Stati Uniti ed Europa, che si mostrano sempre più decisi a ridurre quella grande libertà imprenditoriale che nel ventesimo secolo ha consentito la fortuna della Silicon Valley. Si sta ad esempio pensando ad un’eventuale eliminazione o riscrittura della Sezione 230 del Communications Decency Act, una legge americana che esenta i proprietari dei siti web dalla responsabilità editoriale:

“Nessun fornitore o utente di un servizio informatico interattivo dovrà essere trattato come l’editore o il responsabile di qualunque tipo di informazione pubblicata da un altro soggetto”, recita il testo. 

L’opinione pubblica nei confronti dell’industria tecnologica è altrettanto severa e ritiene che essa abbia <<troppo potere>>.

Dove si trova la Silicon Valley e perché è così famosa?

Silicon Valley è il soprannome che viene geograficamente attribuito alla parte meridionale della regione della baia di San Francisco, in California. L’espressione veniva inizialmente usata per le sole contee di San Mateo e Santa Clara ma, in seguito all’espansione dell’industria in tutta la regione, ha finito oggi con il ricomprendere un’area ben più ampia, città di San Francisco inclusa.

Geografia della Silicon Valley. Fonte: Expedition Earth

Essa deve principalmente la sua fama ai garage, veri e propri rifugi per giovani studenti-ingegneri dalle cui menti scaturirono brillanti idee, le stesse che in poco tempo sarebbero divenute il punto di partenza di tecnologie di cui oggi non sapremmo fare a meno. È in questo modo che nascono infatti le più importanti multinazionali high-tech del pianeta, come Apple e Google. Non deve quindi sorprendere se quest’area della California è continuamente protagonista di film e libri, oltre che meta ambita da imprenditori, come pure da turisti semplicemente curiosi, provenienti da tutto il mondo.

I motivi dei trasferimenti: da Packard a Musk

La pandemia da coronavirus, insieme con i devastanti incendi che ogni anno martoriano la California, stanno contribuendo al peggioramento della qualità di vita californiana e alla conseguente perdita di fascino della Silicon Valley. Non è un caso, quindi, se giganti del settore tecnologico quali Oracle e Hewlett Packard Enterprise hanno di recente lasciato la California per spostare in Texas, più precisamente ad Austin, le loro sedi principali. Ad incidere sulle scelte dei big dell’industria tecnologica il minor costo della vita e politiche fiscali più favorevoli, ragion per cui è possibile supporre che il cambiamento in atto sia stato semplicemente accelerato – e non causato primariamente – dal massiccio uso dello smart working, che rende sempre meno necessarie mastodontiche sedi fisiche.

Anche Elon Musk, il CEO (amministratore delegato) di Tesla e uno degli esponenti più importanti del settore tecnologico americano, si è da poche settimane trasferito nel grande stato meridionale degli Stati Uniti, annunciandolo durante una conferenza organizzata dal quotidiano internazionale ‘’Wall Street Journal’’ , tenutasi lo scorso 9 dicembre.

Elon Musk. Fonte: ilsole24ore.com

Le previsioni negative potrebbero essere azzardate

Malgrado tutto ciò, è bene tenere presente che autorevoli aziende come Google e Apple sono ben radicate nella Silicon Valley con i loro enormi campus e non hanno alcuna intenzione di trasferirsi; così come il presunto fallimento della regione potrebbe essere frutto di un’esagerazione, che non tiene in alcun modo conto della cultura positiva del fallimento come esperienza educativa di un territorio che per ben due volte – nel 2000 e nel 2008 – è riuscito a superare i propri limiti in tempi di crisi. 

Gaia Cautela

Ad Amantea protesta per l’approdo di migranti positivi al Covid-19

 

Circa 200 persone hanno bloccato una strada provinciale ad Amantea, comune in provincia di Cosenza, per protestare contro il trasferimento in un centro accoglienza locale di 13 migranti positivi al Coronavirus. I 13 migranti, tutti asintomatici, facevano parte di un gruppo di 70 persone soccorse in mare sabato, al largo di Roccella Jonica, in provincia di Reggio Calabria: tra questi si contano 48 adulti e 20 minorenni, che sono stati trasferiti tra Bova e Amantea dove operano due strutture attrezzate al fine di effettuare ulteriori accertamenti e garantire la quarantena. Altri 20 migranti, tutti minori, sono ospitati in una struttura messa a disposizione del comune di Roccella Jonica, presidiata dalle forze dell’ordine. Tra i 20 minori ce ne sono 5 risultati positivi. I migranti sono stati, poi, sottoposti al test per il Coronavirus all’ospedale di Reggio Calabria e 28 sono risultati positivi.

Ad Amantea alcuni cittadini si sono sdraiati a terra, occupando precisamente la Statale SS18, per protesta e chiedendo sicurezza e il trasferimento immediato dei migranti in un centro più idoneo. A tal proposito, i migranti sono stati isolati in una struttura al centro della cittadina senza alcun contatto con l’esterno.

La protesta ha cagionato gravi disagi al traffico veicolare, infatti si è deciso di schierare l’esercito. Dopo un’intera giornata di tensioni, blocchi stradali, proteste e sit-in contro il trasferimento in paese dei 28 migranti bengalesi salvati dal Mediterraneo, di cui 13 risultati positivi al Covid-19, la Prefettura di Cosenza ha deciso di affidare ai militari la sicurezza della struttura in cui sono ospitati. La protesta tuttavia non si placa. I migranti sono ospitati in una palazzina non distante da altre abitazioni ed Amantea, tra l’altro, è stata colpita dal Covid-19 fortemente nei mesi scorsi e il contagio ha determinato due vittime.

Tuttavia, i manifestanti hanno deciso di sospendere la protesta per 24 ore, in attesa di capire cosa accadrà. A breve dovrebbe iniziare un nuovo sit-in di fronte al Comune, retto da commissari prefettizi dopo lo scioglimento per mafia dell’amministrazione. Ma a nulla è servito l’incontro, avvenuto nel tardo pomeriggio di ieri, fra una delegazione di cittadini e le autorità.

Il sindaco di Roccella Jonica, Vittorio Zito è intervenuto in merito all’accoglienza di alcuni minori non accompagnati per placare un po’ le acque, dichiarando che:

Se è un dovere organizzare l’accoglienza dei minori non accompagnati, tutti ragazzi fra i 13 e i 15 anni che hanno negli occhi la tristezza della fuga dalla propria casa, il dolore per quello che hanno visto e la paura per il futuro, lo fai al meglio e basta” ha scritto su Facebook. La tutela della salute dei cittadini di Roccella è una priorità, ma è possibile gestire in sicurezza la situazione senza generare alcun pericolo per i cittadini e i turisti, ma facendo attenzione a non abbandonare nemmeno per un istante la preoccupazione di garantire il pieno rispetto della dignità di questi esseri così fragili. Sappiamo che dobbiamo farlo, perché è nostro dovere di uomini farlo. Anche a Bova Marina, dove è stato trasferito un altro gruppo di naufraghi, è bastata la convocazione di un consiglio comunale straordinario previsto per stasera per tranquillizzare i cittadini.

Non manca l’intervento anche della Presidente della Regione Calabria, Jole Santelli:

L’unica soluzione in grado di evitare pericoli per la salute della popolazione calabrese non può che essere quella di procedere alla requisizione di unità navali, da dislocare davanti alle coste delle regioni italiane maggiormente interessate dagli sbarchi, a bordo delle quali potranno essere svolti i controlli sanitari sugli immigrati e potrà essere assicurata, in caso di positività, l’effettuazione del periodo di quarantena obbligatoria. Mi aspetto una risposta rapidissima da parte del governo e avverto che, in caso contrario, non esiterò ad agire, esercitando i miei poteri di ordinanza per emergenza sanitaria, vietando gli sbarchi in Calabria. Voglio evitare un braccio di ferro con il governo, ma ho l’obbligo di difendere i calabresi e chi ha scelto di passare in Calabria le proprie vacanze.

 

Piero Cento

 

 

 

Dal 14 settembre si torna tra i banchi di scuola

 

Un importante tassello per la ripresa della scuola è stato posizionato. Il Governo, infatti, ha agito sul futuro della scuola e sul suo sviluppo dopo il Covid-19. Giuseppe Conte ha annunciato l’accordo in una conferenza stampa. Con lui, c’erano anche il ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, Francesco Boccia, e il ministro dell’istruzione Lucia Azzolina.

La nuova bozza del Piano sul rientro a scuola prevede l’istituzione di

“Conferenze dei servizi, su iniziativa dell’Ente Locale competente, con il coinvolgimento dei dirigenti scolastici, finalizzate ad analizzare le criticità delle istituzioni scolastiche che insistono sul territorio di riferimento delle conferenze. Lo scopo sarà quello di raccogliere le istanze provenienti dalle scuole con particolare riferimento a spazi, arredi, edilizia al fine di individuare modalità, interventi e soluzioni che tengano conto delle risorse disponibili sul territorio in risposta ai bisogni espressi”.

L’intesa trovata tra Governo, Regioni, Province e Comuni sulle linee guida relative alla riapertura delle scuole è un importante passo avanti, infatti mai quanto adesso è fondamentale lavorare con l’appoggio delle forze sociali e investire su risorse che garantiscano la riapertura di tutti gli istituti scolastici nella massima sicurezza. Il Governo, di fatto, ha accettato tutte le richieste delle Regioni per chiudere l’accordo sul Piano Scuola; il ministro Azzolina ha anche annunciato di aver ottenuto un altro miliardo di euro oltre quello già previsto dal cosiddetto decreto rilancio, dopo un vertice di stamattina con il presidente Conte e con il ministro Gualtieri.

L’obiettivo, tuttavia, è quello di usufruire degli istituti scolastici a partire dal 1 settembre per quanto attiene i corsi di recupero per gli alunni con debiti, arrivando poi al 14 settembre con la riapertura vera e propria e l’inizio del nuovo anno scolastico 2020-2021. Tra i punti principali annunciati dal ministro Azzolina figurano le possibilità di vedere ben 50 mila assunzioni e un aumento di stipendio (tra gli 80 e i 100 euro) per gli insegnanti. Quanto alle modalità necessarie per la ripresa della didattica sono previsti orari di ingresso scaglionati, ma anche l’utilizzo di ulteriori spazi per la didattica come musei, biblioteche e teatri. Niente doppi turni, nonostante sia evidente al ministero come per rispettare il distanziamento sociale occorra trovare ulteriore spazio per alloggiare il 15% degli alunni.

Escluso, per il momento, l’utilizzo di separatori in plexiglas, o altro materiale. Il Comitato tecnico scientifico, circa due settimane prima dell’inizio dell’anno scolastico, aggiornerà, considerando l’andamento dei contagi da Coronavirus, le proprie indicazioni in merito all’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale alunni e insegnanti all’interno dell’aula, o negli spostamenti e nella permanenza nei locali comuni.

“Ci siamo determinati, confrontandoci con il Comitato Tecnico-Scientifico. Chiaramente è una decisione che ci ha fatto male, ma la didattica a distanza ci ha permesso di andare avanti. Questa è stata una questione di necessità. Questo nuovo miliardo ci farà ripartire in piena sicurezza, ma non sarà finita qui. Nel piano del Recovery Fund, ci sarà un capitolo dedicato solo agli interventi scolastici, per i percorsi di formazione e per migliorare le competenze digitali. Vogliamo migliorare i percorsi professionalizzanti. Le linee guida che presentiamo sono un momento molto importante. Sono condivise con tutti. Ci sono le soluzioni e le risorse. Oltre a quel miliardo, vi sono 4,6 miliardi già stanziati. Purtroppo la scuola è stata sottoposta a tagli, per questo non è stato facile ovviarvi,” ha dichiarato Conte durante la conferenza. 

Piero Cento