Manovra: Slitta ancora l’approdo in aula

Posticipato l’approdo in aula della manovra

La situazione sulla Manovra resta in stallo nella Commissione Bilancio della Camera, dove i lavori sono continuati solo con il respingimento degli emendamenti presentati dalle opposizioni.

Di conseguenza, l’approdo della Manovra in Aula, inizialmente previsto per lunedì, è stato posticipato. Il presidente della Commissione Bilancio della Camera, Giuseppe Mangialavori, ha comunicato che i lavori riprenderanno all’inizio della prossima settimana. Nonostante il ritardo, il vicepremier Antonio Tajani ha assicurato che la manovra finanziaria sarà approvata nei tempi previsti e ha sottolineato che il dibattito parlamentare, seppur complesso, è una parte naturale e legittima del processo legislativo.

Nel corso della giornata, è stato presentato un nuovo pacchetto di sei emendamenti dei relatori in Commissione Bilancio. Questi emendamenti si aggiungono a un altro fascicolo di riformulazioni di emendamenti parlamentari. Insieme, i due pacchetti recepiscono le principali modifiche previste nel maxi-emendamento del governo che, in precedenza, era circolato in forma di bozza.

Gli emendamenti dei relatori sono suddivisi per materia in modo sistematico e coerente, al fine di facilitare l’analisi del testo. Ora, il termine per la presentazione dei sub-emendamenti al nuovo pacchetto di modifiche è fissato per domani alle 20.30, dando così ulteriori giorni per il confronto tra le forze politiche.

Cosa ne pensano le opposizioni

Le opposizioni, tuttavia, non si sono fatte attendere e hanno immediatamente espresso le loro critiche, contestando non solo l’approccio del governo, ma anche alcune delle modifiche introdotte nel testo. Tra le principali novità contenute nei nuovi emendamenti spiccano alcune modifiche rilevanti, come l’innalzamento dello stipendio dei ministri non parlamentari, con l’obiettivo di equipararlo a quello dei colleghi eletti.

Inoltre, è stata inserita una norma che mira a limitare i maxi-compensi dei politici percepiti all’estero: invece di un semplice tetto, viene introdotto un divieto per i politici italiani di accettare incarichi retribuiti fuori dall’Unione Europea.

Un’altra misura rilevante riguarda la web tax, che sarà applicata solo alle grandi aziende con ricavi superiori a 750 milioni di euro, escludendo quindi le realtà di dimensioni più contenute.

La situazione, quindi, appare ancora molto tesa, con un dibattito che si preannuncia lungo e articolato, tanto nella Commissione Bilancio quanto in Aula, dove le forze politiche continueranno a discutere le modifiche proposte, cercando di arrivare a una versione finale della Manovra che possa ottenere il consenso della maggioranza.

 

La bozza

La bozza d’emendamento di manovra del governo prevede un incremento di 8 euro al mese per le pensioni dei soggetti over 70 che si trovano in situazioni di disagio economico. Secondo il testo dell’emendamento, a partire dal 2025, l’importo mensile della maggiorazione sociale destinata ai pensionati over 70 in difficoltà economiche sarà aumentato di 8 euro.

Questo intervento, pensato per supportare i pensionati con redditi più bassi, mira a migliorare la loro condizione finanziaria, considerata la crescente difficoltà di far fronte ai costi della vita.

Oltre a questo incremento, un altro cambiamento riguarda il reddito massimo che determina la perdita del beneficio. Infatti, è previsto un aumento di 104 euro nel limite del reddito annuale oltre il quale i pensionati non avranno diritto alla maggiorazione sociale. In pratica, questo significa che un numero maggiore di pensionati con redditi modesti potrà accedere al beneficio, estendendo il sostegno economico a una fascia più ampia della popolazione anziana che vive situazioni di disagio.

La misura si inserisce in un contesto di politiche di welfare volte a rispondere alle difficoltà economiche delle persone più vulnerabili, in particolare quelle che, nonostante l’età, continuano a trovarsi in condizioni di povertà o precariato.

 

Norma “anti-Renzi”

Il governo ha introdotto una nuova norma nella manovra economica che vieta a membri del governo, parlamentari, europarlamentari e presidenti di Regione di svolgere incarichi retribuiti per soggetti pubblici o privati non aventi sede nell’Unione Europea.

Questa norma, spesso definita “anti-Renzi”, mira a impedire al leader di Italia Viva di ricevere ingenti compensi per consulenze e conferenze da parte del regime saudita di Mohammed bin Salman, che nel 2022 gli ha permesso di dichiarare redditi superiori ai 3,2 milioni di euro.

Un emendamento simile era stato proposto da Fratelli d’Italia, con un limite di 50.000 euro sugli emolumenti, ma la versione attuale del governo prevede un divieto totale, rispecchiando una proposta precedente del Movimento 5 Stelle.

In caso di violazione del divieto, il compenso percepito dovrà essere restituito allo Stato entro 30 giorni, con una sanzione pari all’importo ricevuto in caso di mancato versamento.

La proposta ha suscitato le forti critiche di Italia Viva, che accusa la maggioranza di condurre una battaglia politica contro il suo leader.

Il partito definisce l’emendamento come un attacco personale, paragonandolo a una misura sovietica e denunciando una “deriva illiberale” nelle istituzioni.

Secondo Italia Viva, questa norma rappresenta una violazione delle consuetudini fiscali e un esproprio senza precedenti nella storia fiscale italiana, con l’intento di colpire un singolo esponente dell’opposizione.

Caterina Martino

Elezioni USA: Trump è il 47esimo presidente degli Stati Uniti

Trump vince le elezioni americane

“Abbiamo fatto la storia” afferma il nuovo presidente degli Stati Uniti sul palco di West Palm Beach, affiancato dalla famiglia e dal suo vice J.D Vance.

Donald Trump promette ai suoi elettori una “nuova età dell’oro”.

Queste elezioni vedono trionfante Trump con 295 voti elettorali sui 226 di Harris.

Il repubblicano è il 47esimo presidente degli Stati Uniti, per il secondo mandato non consecutivo, e con una condanna penale a carico.

Kamala Harris dopo la sconfitta

Nel suo discorso Harris afferma

“accetto il risultato di queste elezioni, ma non la sconfitta della lotta che ha alimentato questa campagna”

La leader democratica e vicepresidente uscente ha assicurato a Donald Trump una transizione pacifica del potere, enfatizzando l’importanza di garantire stabilità e serenità in un momento cruciale per il paese.

Durante il suo discorso, ha scelto di citare un proverbio che riflette la speranza in tempi difficili, affermando:

“È solo quando l’oscurità della notte è profonda che possiamo davvero ammirare la bellezza delle stelle”

Un invito a vedere oltre le difficoltà e a riconoscere il valore delle sfide come occasioni per rinascere e prosperare.

Con queste parole, la vicepresidente ha voluto trasmettere un messaggio di resilienza e ottimismo, pur nelle avversità che spesso accompagnano i periodi di cambiamento e incertezza.

Come funzionano le elezioni negli USA

Negli Stati Uniti, i cittadini non scelgono direttamente il presidente e il vicepresidente, ma eleggono i “grandi elettori” attraverso il sistema del collegio elettorale, stabilito dall’articolo 2 della Costituzione.

Ogni Stato designa un numero di grandi elettori pari ai propri rappresentanti al Congresso, che si riuniscono per votare il presidente e il vicepresidente.

In generale, i ticket (i candidati alla presidenza e vicepresidenza) che vincono in uno stato ottengono tutti i voti elettorali di quello Stato.

Con l’eccezione di Maine e Nebraska, dove i voti sono distribuiti proporzionalmente.

In totale ci sono 538 grandi elettori, e per vincere un ticket presidenziale deve ottenere almeno 270 voti.

Gli stadi precedenti al voto

La competizione per la Casa Bianca di solito inizia diversi mesi prima delle elezioni, con le primarie dei principali partiti statunitensi.

Quest’anno, i Democratici hanno scelto senza opposizioni il presidente uscente Joe Biden, che però ha deciso di ritirarsi durante la campagna.

Dopo un primo dibattito televisivo con Donald Trump, Biden ha deciso di essere sostituito dalla sua vice, Kamala Harris.

Nel frattempo, i Repubblicani hanno subito deciso di puntare sull’ex presidente.

Cosa ci aspetta in politica estera

Per quanto riguarda il conflitto rosso-ucraino Trump vuole raggiungere una rapida tregua.

La Cina e la regione dell’Indo-Pacifico invece, considerate il centro della competizione geopolitica globale.

Si discute della possibilità di una nuova “guerra commerciale” e del ruolo degli Stati Uniti nella difesa di Taiwan, qualora la Cina cercasse di integrarla con la forza.

In questo contesto, emerge anche la competizione per il controllo delle risorse strategiche, come terre rare e litio, essenziali per l’innovazione tecnologica e l’intelligenza artificiale, con Stati Uniti e Cina in competizione a livello globale.

Inoltre per ridurre il rischio di competizione con la Nord Corea, Trump potrebbe cercare un avvicinamento al leader nord-coreano Kim Jong-un.

Sul conflitto israelo-palestinese il neo presidente continuerà a dare supporto al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Caterina Martino

 

 

Avetrana, dopo le polemiche deciso il rinvio della serie tv

Rinviata “Avetrana – Questa non è Hollywood”, la serie tv che doveva debuttare oggi sulla piattaforma di streaming “Disney Plus”. Disney, in ottemperanza al provvedimento del Tribunale di Taranto emesso in data 24 ottobre, decide il rinvio della serie in attesa di nuovi sviluppi giudiziari.

I fatti di Cronaca 

Avetrana – Questa non è Hollywood ripercorre la terribile vicenda della morte della quindicenne Sarah Scazzi. Il 26 agosto 2010 è segnalata la scomparsa della giovane Sarah. Il 6 ottobre, in seguito alla confessione dello zio Michele Misseri, viene ritrovato il corpo senza vita della quindicenne. Ha così inizio una vicenda giudiziaria che durerà ben 7 anni. Il 21 febbraio 2017 arriva la conferma in Cassazione delle condanne di ergastolo per Cosima e Sabrina Misseri, zia e cugina della vittima colpevoli dell’omicidio. Michele Misseri è condannato ad 8 anni di reclusione per occultamento di cadavere.

Una storia sin dall’inizio sotto i riflettori

La conferma delle condanne in Cassazione conclude una tragica vicenda che sin dai primi momenti si è trovata sotto i riflettori mediatici. L’omicidio di Sarah Scazzi e le vicende giudiziarie ad esso connesse, per anni hanno alimentato talk show e programmi televisivi seguiti da milioni di italiani. Basti pensare che l’annuncio del ritrovamento del corpo senza vita di Sarah, è avvenuto in diretta televisiva durante una puntata della trasmissione “Chi l’ha visto?“.  Nel settembre 2024 Disney annuncia la serie Avetrana – Questa non è Hollywood.

Dopo l’annuncio le proteste del Comune di Avetrana

Il sindaco Antonio Iazzi, subito dopo l’annuncio della serie TV, tramite un’intervista rilasciata all’edizione barese di Repubblica protesta contro l’uso del nome del Comune scelto come titolo della serie TV:

“Nessuno ha chiesto all’amministrazione comunale di poter utilizzare il nome di Avetrana. In passato abbiamo avuto documentari e speciali sulla morte di Sarah, ma questa locandina, a corredo della didascalia, è del tutto denigratoria. Non vorrei esprimermi, in questo momento, ma insieme con i miei avvocati nei prossimi giorni decideremo se procedere per vie legali”.

Dopo la sospensione di Avetrana in arrivo una battaglia legale?

Il Tribunale civile di Taranto tramite un inedito provvedimento sospensivo accoglie il ricorso d’urgenza presentato dai legali del Comune di Avetrana, costringe Disney a far slittare la messa in onda della serie. Il ricorso e il suo accoglimento, che puntano ad ottenere la modifica del nome della serie e la visione in anteprima della stessa, hanno fatto ampiamente discutere. Tra chi parla di censura e di violazione di diritti costituzionali sulla libertà di espressione, Disney annuncia il ricorso alle vie giudiziali contro la decisione del tribunale. Il regista della serie Pippo Mezzapesa parla di paure nate a causa della vicinanza geografica della tragedia, paure che non abbiamo quando il cinema o le serie raccontano di fatti di cronaca accaduti in posti lontani. Per il 5 novembre è attesa l’udienza che dovrà decidere sul destino della serie.

Francesco Pio Magazzù

Israele colpisce le basi ONU. Crosetto: “Un crimine di guerra”

La guerra di Israele è totale e indisciplinata. E questa, tra le varie valutazioni ideologicamente orientate e viziate, non può che essere riconosciuta come verità oggettiva. L’ultimo atto dell’esercito di Netanyahu ne è la conferma.

I soldati israeliani hanno “colpito ripetutamente” alcune basi della missione UNIFIL, nel sud del Libano, ferendo due persone. Lo ha dapprima affermato l’ONU, e poi confermato Andrea Tenenti, portavoce della missione UNIFIL, aggiungendo – ai microfoni dell’ANSA – che due delle tre basi colpite sono gestite da militari italiani, mentre la terza è il quartier generale della missione.

L’ errore, marchiano, si inserisce nell’operazione militare attiva da ormai dieci giorni in detta zona, che vede confrontarsi le forze israeliane e il gruppo politico e militare libanese Hezbollah.

L’assalto incontrollato

Alcune fonti locali hanno documentato l’attacco di un drone alla base UNP 1-31, sulla collina di Labunne.

Qui, il drone, dopo aver sorvolato più volte la base, avrebbe colpito l’ingresso del bunker in cui i soldati italiani avevano avevano avuto la premura di rifugiarsi. Un assalto incontrollato, che per poco non ha avuto risvolti immediatamente fatali.

Nell’atto, comunque, sono stati danneggiati i sistemi di comunicazione tra la base e il comando UNIFIL a Naqura. Provocando un disagio non di poco conto nell’ambito della duratura missione di pace.

Le reazioni italiane: “Un crimine di guerra”

Le reazioni del governo italiano non sono tardate ad arrivare.

Il ministro della Difesa Crosetto ha detto che “non esiste giustificazione” per quanto è accaduto, che “le Nazioni Unite non possono prendere ordini dal governo israeliano” e tali “atti ostili e reiterati potrebbero costituire un crimine di guerra”. Adducendo poi persino al fatto che “gli atti avvenuti non hanno una motivazione militare. Aspettiamo la risposta per capire cosa abbia portato a fare ciò che è avvenuto. Non sono colpi partiti per errore”.

Dopo aver protestato con l’omologo israeliano e “a voce alta” riferendosi all’intero panorama internazionale, il ministro ha scelto di convocare l’Ambasciatore d’Israele in Italia.

Ma a dare manforte ci ha pensato anche la premier Meloni, ribadendo unità d’intenti con il suo compagno politico, e giudicando “inammissibile” l’avvenimento.

I paesi dell’UNIFIL contro Israele

In seguito all’attacco è inoltre scattato il protocollo d’intesa tra i paesi europei impegnati nell’UNIFIL – la missione già citata, che mira al raggiungimento di una pace stabile tra Israele e il Libano.

E il ministro della difesa francese, per l’appunto, ha annunciato una riunione tra i rappresentanti dell’Italia, della Francia, della Spagna e dell’Irlanda.

Non sembra esserci divergenza d’opinione nel gruppo dei quattro; anche il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares, infatti, ha espresso “ferma condanna” e ribadito che “Israele ha il dovere di proteggere le forze di mantenimento della pace delle Nazioni Unite” tramite il suo account su X.

Gabriele Nostro

Cronista condannato al carcere. È rivolta unanime contro il giudice

A dare la notizia Il Giornale, nella sua prima pagina di ieri; correttamente in evidenza, accanto ai più importanti fatti del mondo. Un cronista, per l’appunto un collaboratore assiduo del quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, è stato condannato a otto mesi di carcere e a pagare una cospicua somma di denaro.

Il reato riconosciutogli è quello noto di diffamazione a mezzo stampa. L’azione reprimenda però è severissima, particolarissima, quasi unica e sconsolante per l’Italia, che lotta per mantenersi tra le linee di quei paesi del mondo detti democratici. Detti concedenti vasta libertà d’espressione.

Vediamo quindi di seguito chi è il triste protagonista di questa vicenda, chi sono i suoi risoluti accusatori, il motivo della condanna e le proteste unanimi in reazione.

Il cronista e la cronaca sugli avvocati di Nola

Si chiama Pasquale Napolitano il cronista vittima della grave condanna. Lui è un 42enne nolano, che scrive dal 2016 per Il Giornale, ed è già stato firma anche di Panorama e di altre testate online. Per una di queste – Anteprima24 –  ad aprile del 2020, Napolitano scrive un articolo di cronaca riguardo il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Nola.

Con una dozzine di righe diffonde una notizia per cui il Presidente di tale Consiglio, seppur fosse ormai senza maggioranza e seppure una sentenza del Tar avesse confermato la possibilità dei consiglieri di surrogarlo, si ostinava a rimanere in carica, evitando di convocare il consiglio stesso per il timore di essere sfiduciato e sostituito.

Un’informazione sicuramente di interesse sociale, per dar conto anche al resto degli avvocati nolani, rimasti ai margini delle decisioni di categoria.

Il giorno dopo, comunque, Napolitano – da buon cronista super partes – pubblica una lettera dei pochi consiglieri rimasti al fianco del presidente. E, passate 48 ore, riporterà la notizia delle dimissioni di quest’ultimo, con in allegato una lettera con cui lo stesso presidente ha inteso illustrare le proprie ragioni.

Ciononostante, in risposta al primo regolare, accurato e pudico articolo, l’ormai ex presidente del Consiglio degli avvocati e tre consiglieri hanno deciso di percorrere le vie legali, chiedendo il riconoscimento del reato di diffamazione.

Per il giudice è “diffamazione”

Le denunce sono affliggente companatico di chi tratta cronaca giudiziaria, dunque si può scrivere che il cronista fosse persino abituato a confrontarcisi con tranquillità. Mai, anche per questo, avrebbe potuto immaginare l’amara sorpresa: il 7 maggio è arrivata la condanna. Per il giudice (un giudice onorario di tribunale, quindi un avvocato come tutti i querelanti) l’articolo è diffamatorio tanto da poter commutare a Napolitano una pena in 8 mesi di reclusione e il pagamento di 6500 euro.

Per il deposito della motivazione bisognerà attendere il consueto termine di 90 giorni, ma si vocifera che – potendosi appellare a poco – il giudice condannante porterà come giustificazione il fatto che gli articoli scritti sarebbero stati condivisi sui social.

Procedimento consueto per una testata online, che vive di questi e di qualche visita da ricerca organica. E tuttavia qui solo può condurre la malafede.

L’ODG, la politica, i giornali, il popolo: tutti contro il giudice

Quasi si sono unite destra e sinistra politica per andare addosso alla condanna. Scrivo quasi perché puramente è avvenuto che entrambe le parti hanno disapprovato il gesto, salvo poi, al solito, scambiarsi vicendevoli accuse sulla colpevolezza del legislatore prima operante e ora inoperante.

Hanno accusato, alternativamente, il legislatore che depositò la legge che ora permette l’incarcerazione per reato di diffamazione a mezzo stampa (prima operante) e poi anche il legislatore che ancora non ha debellato tale insensatezza (ora inoperante).

Al di là dei disguidi sui demeriti precisi, però, c’è da scrivere che si è alzata una protesta compatta contro la condanna. Mentre il sentimento del popolo non è statisticamente rilevabile, ma è astrattamente visionabile nelle azioni sui social; il sentimento dei giornali, dei politici, dell’Ordine dei Giornalisti e della Federazione Nazionale Stampa Italiana è reso palese da scritti e dichiarazioni.

Il Giornale e Il Riformista, con i rispettivi articoli, non lasciano dubbi sulla loro posizione.

Secondo Carlo Bartoli, presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, la condanna al cronista Napolitano “è la goccia che fa traboccare il vaso di una normativa che non sta più in piedi“.

Mentre, per la segretaria della FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italia) Alessandra Costante:

Il caso del cronista del Giornale condannato al carcere ricorda a tutti – giornalisti, politica e opinione pubblica – quella che è una vergogna italiana: in Italia, nel 2024, il codice penale prevede ancora le manette per i giornalisti che dovessero essere riconosciuti colpevoli di diffamazione a mezzo stampa”.

La RAI limitante. Angelucci che vuole l’AGI. E il problema dal centro al resto dell’Italia

Si è gridato con forza alla RAI limitante, o persino censurante; al tentativo del senatore Angelucci – già editore de Il Giornale, Il Tempo e Libero Quotidiano – di entrare in possesso dell’AGI, e lo si è fatto opportunamente, per non far passare in sordina informazioni rilevanti come quelle sono state.

Ma poi arrivano queste notizie, accadono di queste cose, che riportano il dibattito pubblico a verità più profonde, e reindirizzano verso i più soggetti responsabili la responsabilità del calo della libertà di stampa registrato in Italia.

Lo scorrere quotidiano degli eventi ci ricorda, ancora una volta, che non può essere un organo democratico viziato senza che viziate siano pure le divisioni democratiche rappresentate, le pratiche diffuse pure nelle periferie del Paese. Perché non può esserci cattivo rappresentante a buoni elettori. O può esserci per eccezione.

L’insegnamento è che ci si dovrebbe chiedere, nel frattempo che si giudicano i mali evidenti nei maggiori organi di stampa statali, se gli stessi mali non siano replicati nelle micro-società, nelle locali periferie che la maggior parte della popolazione abita ogni giorno.

Oggi riesce a diventare notizia una condanna che ha dei caratteri spettacolari; ma quante censure morali o intellettuali, veti per interessi da proteggere e intimidazioni mafiose passano sottotraccia a danno dei giornalisti?

Gabriele Nostro

 

Medicina, verso l’accesso senza test. Fioccano i primi dubbi

La maggioranza politica ribadisce di avere a cuore l’Università, impegnandosi per risolvere le più discusse questioni correlate. Dopo aver sciolto il problema del voto degli studenti fuorisede, infatti, ora il Parlamento sta operando per modificare l’iter d’accesso ai corsi di Medicina.

L’affare è davvero complesso e su di esso sono state condotte argomentazioni secolari; al centro sempre il confronto tra il valore del diritto allo studio, la necessità di formare una classe lavorativa in numero utile e i bisogni della società in generale, troppe volte posta a conflitto con la cronica assenza di medici nel settore pubblico.

Medicina, il nuovo iter per la selezione

Come scrivevo, appena qualche giorno fa il comitato ristretto della Commissione istruzione del Senato ha dato il via libera al testo base per la riforma dell’accesso al corso di laurea in Medicina.

La riforma – o rivoluzione, che dir si voglia – basa sul principio nuovo per cui: il primo semestre sarà frequentabile da tutti, senza test d’accesso, mentre sarà il passaggio al semestre successivo a essere condizionato dal superamento di dei requisiti.

In termini valoriali si prevede un totale ribaltamento del paradigma; non sarà più il famigerato e criticato super esame a distinguere meritevoli e immeritevoli di prevalere, quanto (prevalentemente) il profitto accademico vero e proprio da inscrivere durante i primi mesi del corso.

I suddetti requisiti da superare non sono ancora perfettamente delineati, e sono certamente passibili di modifica, tuttavia si preannuncia che avranno proprio a che vedere con il superamento dei primi esami, le votazioni conseguite e infine un test su base nazionale diverso dall’attuale.

La promessa di investimenti ulteriori

Si può poi leggere come una promessa di attenzioni economiche ulteriori la successiva parte del testo legislativo. Che recita:

“In coerenza con il fabbisogno di professionisti determinato dal Servizio sanitario nazionale”, si dovranno “individuare le modalità per rendere sostenibile il numero complessivo di iscrizioni al secondo semestre”, anche “attraverso il potenziamento delle capacità ricettive delle università, nel rispetto di standard innovativi relativi alla qualità della formazione”.

Ergo, in funzione delle necessità previste nel mondo del lavoro, si promette di adeguare il flusso di selezionati e, di seguito, la grandezza e la cifra delle strutture didattiche, la numerosità dei corsi e l’assunzione dei docenti adibiti all’insegnamento.

Gli scettici e le loro ragioni

Come al solito, però, se da una parte si pongono quelli che accolgono la riforma come un successo, dall’altra si pongono gli scettici; i quali, adducendo svariate ragioni, contestano una generale insostenibilità della rivoluzione.

E un’insostenibilità particolarmente riferita all’investimento iniziale, e un’insostenibilità largamente riferita al mantenimento e allo sviluppo della riforma.

Con quali fondi si presume di acquisire nuove strutture e nuovi docenti per il futuro ordine degli studenti di medicina? Siamo certi che gli aspiranti medici saranno in numero coerente – e non eccessivo – per coprire il fabbisogno di medici dell’Italia di domani? Sono i dubbi più frequenti.

Il numero di posti a Medicina è stato progressivamente aumentato, per il nuovo anno oltre i 20mila in Italia. Siamo passati da una carenza assoluta, e quando lo dicevamo anni fa nessuno ci ascoltava, alla frenesia di aumentare continuamente i posti. Nel 2034 avremo 132mila medici attivi in più rispetto a oggi: aumentare a dismisura i medici non serve senza la giusta programmazione, se non abbiamo abbastanza infermieri, se non rendiamo più attrattive le specialità e le discipline che non vengono scelte oggi“. Afferma, per esempio, Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo.

Cui si accoda Ivan Carrara, segretario regionale della Fimmg (sindacato dei medici di medicina generale) e coordinatore del polo didattico di Bergamo del Corso di formazione specifica in Medicina generale:

“far laureare troppi medici creerà il rischio di una generazione di disoccupati, i migliori se ne andranno all’estero. Tra l’altro, nei primi sei mesi non si affrontano esami clinici, ma corsi come Fisica o Chimica: non sembra una soluzione particolarmente efficace”.

Conclusioni

Poco da aggiungere di sostanziale. Probabilmente – riconosciute le buone intenzioni – tutto starà alla matematica cui gli operatori burocratici si rifaranno per eseguire la riforma. A calcoli errati ed eccessive libertà d’accesso potrebbe conseguire un esubero di laureati, cioè una fascia di inoccupabili. A calcoli esemplari potrà invece conseguire la risoluzione totale dei problemi da una vita sollevati.

Altro elemento da notare è l’alternativa per gli studenti che dovessero essere scartati dal nuovo meccanismo di selezione.

Sarà opportuno che loro – all’inizio del secondo semestre accademico – vengano muniti della facoltà di virare verso un corso “suppletivo” senza nuove perdite di tempo.

Già è prevista la possibilità di esprimere una preferenza preventiva sul corso eventuale in cui approdare. Sarà bene che il morbo burocratico non si interponga per rendere a rilento il sontuoso meccanismo nazionale di scorrimento delle graduatorie.

Comunque, per lo stato processuale delle cose, si prevede che la riforma entri in vigore non prima dell’anno accademico 2025/2026. Per il 2024/2025 dovrebbe restare ancora in vigore il test.

Gabriele Nostro

Elezioni europee: ecco il decreto per gli studenti fuori sede!

Con un sì definitivo, la Camera dei deputati ha convertito in legge il Decreto Elezioni, dando un lascito storico a tutti gli studenti fuori sede.

La concessione, che varrà intanto per le prossime elezioni europee dell’8 e del 9 giugno, si pone come iniziativa a capo di un percorso, finalizzato a espandere verso tutti i fuori sede italiani (studenti e non) il magistrale diritto democratico.

L’apprensione per il tema è sempre stata tanta, e ora, finalmente qualcosa si è mossa.  Da evidenziare come sia stato possibile grazie ad un forte input giovanile, prima ancora che ad un input genericamente popolare.

Elezioni europee: il procedimento per votare

Il procedimento che gli studenti fuori sede devono seguire per votare è piuttosto semplice, ma necessario da spiegare.

Gli studenti devono richiedere di votare nel comune dove studiano almeno 35 giorni prima delle elezioni, presentando domanda presso il comune di residenza.

Una volta ricevuta la domanda, l’amministrazione avrà 15 giorni di tempo per approvarla e trasmetterla al comune di domicilio (dove lo studente studia).

Entro il 3 giugno, il Comune o il capoluogo dove lo studente potrà votare rilascerà all’elettore fuori sede un’attestazione di ammissione al voto con l’indicazione del numero e dell’indirizzo della sezione presso cui votare.

Ulteriormente occorre specificare che:

Gli studenti che si trovano lontani dal comune di residenza ma nella stessa circoscrizione (le circoscrizioni verranno elencate di seguito) possono essere iscritti in sovrannumero nelle liste elettorali del comune di studio.

Per esempio, uno studente calabrese che studia a Napoli voterà a Napoli nel seggio ordinario della città (Calabria e Campania appartengono alla stessa circoscrizione elettorale, dunque i candidati presenti in lista sono comunque gli stessi nelle due regioni).

Mentre:

Gli studenti che si trovano in un comune diverso da quello di residenza e anche in una diversa circoscrizione voteranno in un seggio specialmente istituito.

Per esempio, uno studente siciliano che studia a Milano voterà a Milano in un seggio appositamente adibito (Sicilia e Lombardia appartengono a diverse circoscrizioni elettorali, per questo gli studenti avranno diritto a dei seggi ad hoc, contenenti le schede elettorali coerenti con la propria circoscrizione di appartenenza).

Le circoscrizioni

Le circoscrizioni elettorali sono storicamente e saranno anche per il 2024 cinque, così suddivise:

“Isole”: Sicilia e Sardegna

“Meridionale”: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia.

“Centrale”: Lazio, Marche, Toscana, Umbria.

“Nord-Orientale”: Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Veneto.

“Nord-Occidentale”. Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia, Piemonte.

A quanti si rivolge la riforma?

Secondo una stima del Miur, gli studenti attualmente fuori sede sarebbero circa 400mila, ovvero l’8,2% del totale degli italiani fuori sede.

Come già scritto, il progetto è di tipo sperimentale e per questo ancora rivolto a una cifra piuttosto esigua sul complesso.

Da testare sicuramente sono anzitutto l’efficienza e la sicurezza del metodo, che meno di tanto non può essere complesso e lungo.

Un numero basso di adesioni – dove “basso” è un valore ancora da relativizzare – costituirebbe una spia segnaletica di problemi di genere amministrativo-esecutivo oppure di scarsa efficienza informativa.

D’altra parte, sarebbe sconsiderato dare immediata delibera per un voto universale dei fuori sede, potendo temere il rischio di frode elettorale, sempre annidato dietro l’angolo, soprattutto quando si configura la possibilità di agire su nuovi procedimenti burocratici.

Date queste considerazioni, buona parte dell’opinione pubblica sembra aver gradito il primo tentativo di emanciparsi dall’annoso problema italiano. Si ricorda, in fondo, che in Europa sono pochi i Paesi che non hanno ancora reso al popolo fuori sede la possibilità concreta di votare: e non sono nemmeno granché popolosi: tra questi, infatti, si annoverano appena la piccola Malta e la piccola Cipro.

Austria, Germania, Irlanda, Regno Unito, Spagna e Svizzera permettono di votare per corrispondenza.

Belgio, Francia e Paesi Bassi per delega.

Danimarca, Norvegia, Portogallo e Svezia tramite elezioni anticipate. E in Estonia è previsto il voto elettronico.

Gabriele Nostro

Aspiranti giornalisti, grosse novità in arrivo! Ecco la riforma per la professione

Nulla di certo, né di molto sicuro, ma la proposta di riforma per accedere all’Ordine dei Giornalisti potrebbe sconvolgere la realtà di un intero sistema.

Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti afferma chiaramente le sue intenzioni: diventare giornalista dovrà essere sempre più difficile, perché essere giornalista sarà sempre più un ruolo di responsabilità! 

I nuovi giornalisti: verso la specializzazione assoluta

Riporta la informazioni primaonline.it.

Lo scorso 14 giugno, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha approvato unanimemente il contenuto del documento per la prossima riforma dell’ordinamento professionale con particolare attenzione all’accesso.

  • Dunque, per diventare un giornalista professionista: potrebbe essere necessario conseguire una laurea magistrale in giornalismo, alla quale si potrà ovviare con una laurea triennale, cui comunque dovrà far seguito l’accesso e l’esecuzione di corsi specialistici controllati dall’Ordine.
  • Invece, per diventare un giornalista pubblicista: potrà essere richiesta una laurea di primo livello (triennale) come prerequisito per iniziare il biennio di praticantato già necessario per l’iscrizione all’albo, da accompagnare – questa è un’altra novità – a un percorso di formazione.

Dulcis in fundo, potrebbe anche essere rivisto il criterio di esclusività professionale; si sta lavorando per rendere l’attività giornalistica “prevalente” per tutti gli appartenenti all’alveo dei professionisti, piuttosto che “esclusiva” come è al momento.

Comunque, è segnalato che in un eventuale periodo di transizione gli attuali aspiranti potranno fare riferimento alle vigenti modalità d’accesso.

Il documento sarà ora oggetto di rivalutazione da parte del Consiglio nazionale e dei presidenti e vice presidenti regionali, che potranno suggerire ulteriori modifiche. Successivamente, alla Commissione speciale Riforma spetterà il lavoro di “rifinitura” e, infine, il testo sarà messo in votazione alla prossima riunione del Consiglio prevista per la metà di luglio.

Resta, in ultimissima istanza, vincolante il parere del Parlamento, che sarà chiamato a esprimersi in coda a tutti i procedimenti interni all’Ordine.

Giornalisti
Logo dell’Ordine dei giornalisti. Fonte: Ordine dei giornalisti

I punti deboli e il punto forte della riforma

Per combattere l’evoluzione instabile dell’infodemia servono professionisti, e professionisti di altissima levatura, in grado di sguazzare con agilità tra le nuove difficoltà che viziano il discorso pubblico.

In considerazione di ciò, tutto quanto proposto nella riforma dovrebbe suonare eccellente. E sarebbe ottimo se di ogni questione si potesse parlare in termini così ridotti, ma, purtroppo, in questo caso come negli altri, è meglio guardare al contesto e alle rivoluzioni poco comprensive che si promettono di stravolgerne alcuni elementi intoccabili.

Il Foglio definisce la riforma “una mazzata esiziale al pluralismo”. Infatti, pretendendo di irrigidire in tal modo i percorsi di formazione e di pratica degli aspiranti giornalisti si rischia di minacciare seriamente la differenza culturale propria di ognuno.

Ad oggi, giustamente, giornalista può essere chi ha studiato scienze della comunicazione, come chi ha studiato scienze politiche, giurisprudenza, storia o economia. E poi: oggi, giornalista, si può ritenere logico che sia anche chi è un esperto in un campo delle scienze sanitarie, per poter scrivere e argomentare di quello, che ugualmente ad altri è un ambito di interesse della nostra vita.

Di contro, creando professionisti tutti uguali, che siano solo provetti informatori, si ridurrebbe la specificità tematica di chiunque in favore di un’ “unica specificità” (l’espressione sarebbe impropria) indirizzata verso un numero ridotto di competenze.

Inoltre, rendere l’Ordine titolare di cotanti poteri potrebbe essere deleterio per la democrazia della professione stessa. Tutta questa irreggimentazione comporterebbe il rischio di consegnare de facto la facoltà di promozione o negazione a pochi eletti che siedono al vertice: dando struttura a un sistema che pare essere più all’insegna dell’autoritarismo che della benamata democrazia.

Conclusioni

Ciò contestato, benvenga la volontà di arricchire di competenze puramente giornalistiche i nuovi professionisti, ma anziché compiere sovvertimenti così drastici sarebbe forse più opportuno promuovere un’istruzione prettamente giornalistica di durata ridotta, al massimo semestrale, che sia comunque efficiente per stabilire quei requisiti basali imprescindibili.

Distinguere i giornalisti dai non giornalisti diventa fondamentale quando ai primi è dato il compito, e la grande responsabilità, di fare i gatekeepers, cioè di filtrare l’informazione che poi nuota, nel mare magno del web, modificandosi e traslandosi a velocità olimpionica.

Altri scrittori, commentatori del caso ed editorialisti rimangono legittimati a esprimersi, dispensando analisi e opinioni, presso blog e testate giornalistiche varie, ma non avendo le proprietà esatte che un giornalista futuro dovrà avere sarà bene che agiscano sotto il titolo di una diversa figura professionale.

Gabriele Nostro

Autostrade, la proposta di Salvini: verso il superamento dei 130 km/h

Sta facendo discutere la nuova proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini per il miglioramento della viabilità autostradale. E ad essere al centro del dibattito non è il fine, indubbiamente auspicabile, ma lo strumento con il quale si vuole raggiungere.

Per una percorrenza più fluida.. .sarebbe giusto aumentare i limiti di velocità in alcune autostrade? Il rischio (di incidenti) varrebbe il beneficio? Cerchiamo intanto di dare a tutto un contesto, specificando per quali casi è stata pensata questa eventualità e cosa recitano attualmente la legge italiana e quella estera sulla questione.

Autostrade, quando il limite può essere vecchio

Riporta le informazioni RaiNews. L’ipotesi avanzata da Salvini confluirebbe nel ddl sulla sicurezza stradale che arriverà in Consiglio dei ministri giovedì. Questa, come scritto, prevede l‘innalzamento del limite di velocità sulle autostrade, attualmente fissato a 130 chilometri orari, nelle tratte in cui condizioni particolarmente favorevoli lo consentissero. 

Lo stesso Ministro spiega:

Stiamo studiando con le società che gestiscono le autostrade, laddove c’è un tasso di incidentalità pari allo zero e ci sono tre o quattro o cinque corsie, come sulla Milano-Laghi, in alcuni orari poter alzare anche il limite di velocità dagli attuali 130.

E ancora:

Ci saranno norme a tutela dei ciclisti per evitare i sorpassi senza un metro e mezzo di spazio e norme per i monopattini, che trent’anni fa non c’erano, che prevedono casco, targa e assicurazione per la sicurezza loro e degli altri. Conto che non faccia miracoli, ma salvi vite.

Autostrade
Autostrade. Fonte: Wikimedia Commons

Autostrade, regole italiane e regole internazionali

In verità, il Codice della strada ora in vigore nel nostro Paese prevede già che i veicoli possano raggiungere i 150 km/h in specifiche condizioni stradali. Di fatto, però, su nessun tratto autostradale è stata applicata la normativa. 

L‘articolo 142 specifica infatti: 

Sulle autostrade a tre corsie più corsia di emergenza per ogni senso di marcia, dotate di apparecchiature debitamente omologate per il calcolo della velocità media di percorrenza su tratti determinati, gli enti proprietari o concessionari possono elevare il limite massimo di velocità fino a 150 km/h sulla base delle caratteristiche progettuali ed effettive del tracciato, previa installazione degli appositi segnali, sempreché lo consentano l’intensità del traffico, le condizioni atmosferiche prevalenti ed i dati di incidentalità dell’ultimo quinquennio.

Guardando al mondo, invece, i casi risultano piuttosto variegati. Nei Paesi Bassi, in Francia, in Austria, in Grecia, in Croazia, in Danimarca, in Romania e in Slovacchia, per esempio, vige il limite ferreo dei 130 km/h. In Germania il limite dei 130 km/h in autostrada è semplicemente “consigliato”. 

In Cina, Spagna, Belgio e Portogallo il limite è di 120 km/h; mentre negli USA vengono addirittura sanzionati i conducenti che superano le 70 miglia orarie, cioè i 113 km/h.

Codacons controcorrente: “Ripercussioni pensatissime sulla sicurezza stradale”

A fare opposizione a Matteo Salvini, oltre la minoranza politica, ci ha pensato anche il Codacons:

Il Codacons si schiera contro qualsiasi modifica al Codice della strada volta ad innalzare i limiti di velocità in autostrada, ma sostiene il ritiro a vita della patente per i recidivi o per chi guida sotto effetto di droghe o alcol, e chiede di estendere la misura ai soggetti che pubblicano sui social video mentre guidano, come i ragazzi di Casal Palocco.

Questo perché, ha aggiunto il suo Presidente Carlo Rienzi:

L’innalzamento dei limiti in autostrada è un’idea già lanciata nel 2001 dall’allora ministro dei trasporti Lunardi e poi ritirata fuori nel 2009 da Matteoli. Un’idea subito abbandonata perché avrebbe avuto ripercussioni pensatissime sulla sicurezza stradale, incrementando il numero di morti sulle strade. E a confermarlo sono gli ultimi rapporti ufficiali dell’Istat sull’incidentalità in Italia: oltre il 12% di sinistri, morti e feriti sulle nostre autostrade è causato proprio dall’eccesso di velocità.

L’argomento insomma, come scritto nell’incipit, è certamente discutibile. Ci si può appigliare ai dati del passato per sostenere una tesi e legarsi alla presunta diversità del presente per sostenerne un’altra. E poi rimane un principio etico con cui valutare…

Senza considerare dati e percentuali su rischi e benefici, è giusto sfrenare i guidatori e renderli, anche solo in linea teorica, più pericolosi?  

Gabriele Nostro

Messina, cambiano le regole per i locali: è un assist alla movida!

Con l’arrivo dell’estate, ci sarà più caldo, si vivrà più tempo libero, e, a Messina, rinascerà la movida balneare e serale!

In vista delle esigenze per la bella stagione, l’amministrazione ha già emanato delle ordinanze. Quali novità coinvolgeranno la città dal 1°giugno fino al 30 settembre 2023? 

Messina, il contenuto dell’ordinanza: si potrà ballare anche di lunedì

Riporta le informazioni La Gazzetta del Sud. Lo scorso 30 maggio, il sindaco di Messina Federico Basile ha firmato una nuova ordinanza, la numero 105. Questa, rimodulando il contenuto di una precedente ordinanza (la numero 67), ha dettato diverse linee guida e diversi orari per l’attività di intrattenimento musicale negli esercizi pubblici.

Lo scopo dell’atto è evidentemente quello di adeguare le possibilità dei locali notturni alle abitudini sociali che verranno. L’ordinanza, comunque, sembra poter appagare insieme gli animi giovanili, le esigenze degli imprenditori e quelle dei residenti nei pressi dei luoghi della movida.

Il principale stravolgimento presentato dall’ordinanza riguarda la concessione agli operatori del settore di organizzare attività che prevedono musica anche il lunedì.

Oltre questo, è stato sancito che gli esercenti di distributori automatici di bevande h24, dalle ore 19, potranno vendere i loro prodotti da asporto, ma solo attraverso bicchieri monouso e, dalle ore 23 alle ore 7.00, dovranno invece disattivare la distribuzione di bevande alcoliche. 

Inoltre, i gestori degli esercizi commerciali dovranno garantire la presenza, negli ambienti di svago, di appositi contenitori per la raccolta differenziata e dovranno mantenere l’igiene delle aree limitrofe.

Infine, è stata disposta la tolleranza massima di 20 minuti, dopo il limite orario prestabilito, per permettere lo stop dell’attività sonora, presso i locali adibiti. Tali 20 minuti potranno essere sfruttati per operare lo sfollamento dei clienti in sicurezza.

Messina
Movida. Fonte: StrettoWeb

Il sindaco Basile: “L’estate messinese sarà ricca di eventi” 

Il sindaco Federico Basile ha così commentato la firma dell’ordinanza:

Con l’imminente arrivo dell’estate crescerà considerevolmente il numero di giovani che frequenteranno gli spazi all’aperto e i locali cittadini, per lo più nelle ore serali. Il nuovo provvedimento mira a tutelare il loro intrattenimento e l’attività degli esercizi commerciali, evitando che il comportamento di pochi irrispettosi possa nuocere alla collettività. L’estate messinese sarà ricca di eventi e di opportunità di divertimento senza che queste ledano la quiete pubblica. Confidiamo nella collaborazione di tutti al fine di assicurare un’estate serena ai residenti e ai turisti presenti in Città per garantire la sicurezza e tutelare il decoro urbano.

Gabriele Nostro