Don’t Look Up: un film che ci prende in giro (e a buon diritto)

Un film che critica la nostra società in maniera brillante. Adam McKay non smette di stupire – Voto UVM: 4/5

 

Le potenzialità di un film alle volte non incontrano limiti. È incredibile come la stessa pellicola possa essere guardata e giudicata con occhio diametralmente opposto in base alla forma mentis di persone appartenenti ad orientamenti politici o culturali diversi.

Tra chi “a sinistra” l’ha elogiato quale capolavoro sulla crisi climatica e chi invece, tra i repubblicani, no ne ha digerito i riferimenti alla politica di Trump, Don’t Look  Up, si è rivelato un film che ha letteralmente spaccato in due l’opinione pubblica, soprattutto quella americana. Proprio per questo noi di UniVersoMe, non potevamo rinunciare ad analizzarlo.

Trama

Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), una specializzanda di astrofisica, scopre un’enorme cometa, la cui traiettoria impatterà molto presto con la Terra causando l’estinzione di ogni forma di vita. La dottoressa. assieme al professor Randall Mindy, (Leonardo Di Caprio) sarà convocata immediatamente nello studio ovale del Presidente degli Stati Uniti (Meryl Streep).

Da qui in poi ha inizio il teatro dell’assurdo: le istituzioni ed i media non si preoccuperanno minimamente dell’imminente catastrofe, anzi non faranno altro che sminuire la vicenda e trattarla come se fosse una qualunque questione all’ordine del giorno.

Cast

Il cast della pellicola è di primissima qualità.

Leonardo Di Caprio e Jennifer Lawrence danno vita ad un duo che funziona perfettamente. I loro personaggi sono gli unici a rendersi conto della terribile minaccia che incombe sulla Terra. Gli attori, calati interamente nei rispettivi ruoli, riescono perfettamente ad incarnare due scienziati impauriti che cercano con ogni mezzo di informare l’intera razza umana anche mettendo a nudo tutte le sue debolezze. Nonostante tutto, continueranno imperterriti nel proprio intento.

Il professor Randall Mindy (Leonardo Di Caprio) e la dottoressa Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence) in una scena del film

Allo stesso tempo, confusi e impacciati, i due personaggi riusciranno a conquistarsi l’empatia dello spettatore che per tutta la durata del film dovrà convivere con lo stato di nervosismo e di ansia provato dai protagonisti.

Meryl Streep interpreta il Presidente degli USA mettendo a segno – come sempre – un’interpretazione magistrale. Dà vita ad una creatura che si ciba di consensi, populista oltre ogni misura, insomma una vera e propria macchina politica. Si può quasi definire una rivalsa personale per l’attrice nei confronti di un noto presidente che l’aveva definita “sopravvalutata”.

Da segnalare anche le ottime interpretazioni di Jonah Hill nei panni di Jason Orlean (figlio della presidentessa) e del premio Oscar Mark Rylance in quelli di Peter Isherwell (una sorta di Steve Jobs o Elon Musk).

Stile Mckay

Il regista Adam Mckay, in passato, non si è fatto problemi ad affrontare con i suoi film tematiche delicate. Con La grande scommessa (2015) ha ripercorso le origini della crisi finanziaria del 2008, mentre con Vice – L’uomo nell’ombra (2018) ha raccontato la vita di Dick Cheney, il vice presidente di George W. Bush, uno degli individui più loschi della storia americana.

Rappresentare ed affrontare problematiche odierne quindi non lo intimorisce per nulla.

Il presidente degli USA Janie Orlean (Meryl Streep) in una scena del film

Come già fatto in passato, il regista è riuscito a identificare quale sia la causa di fenomeni negativi che interessano il mondo intero: l’operato umano.

I politici, i programmi Tv ed i cittadini stessi sono gli artefici di tutto ciò che accade in Don’t Look Up.

Ripudiamo la scienza per ascoltare  – e ammirare come pecorelle – chi sproloquia per soddisfare esclusivamente un interesse personale.

Una delle scene più emblematiche, a questo proposito, è quella in cui i due scienziati sono invitati in uno studio televisivo. Tanto per cominciare, il loro intervento viene messo in scaletta dopo l’apparizione di una famosa cantante (interpretata da Ariana Grande) che dà vita ad uno spettacolo super trash con il proprio ex compagno, spettacolo che tuttavia raccoglierà il picco massimo di spettatori della trasmissione. Solo dopo viene dato spazio alla questione della cometa, problematica affrontata con molta leggerezza, scherzandoci su e ridicolizzando la povera Kate Dibiasky. Quest’ultima, dopo aver provato a spiegare i pericoli cui la Terra sarebbe andata incontro, sclera divenendo lo zimbello del mondo di Internet.

Una storia raccontata in perfetto stile Mckay, unico nel suo genere: l’autore mira diretto al problema e lo mostra per quello che è senza usufruire di metafore o riferimenti esterni e raccontandone le conseguenze con un ritmo incalzante.

La locandina del film

 

Un film che va visto per ciò che è: un film. Non un attacco a una specifica frangia politica o una satira esagerata sui complottisti.

E’ solo una pellicola che ci apre gli occhi su cosa sia oggi la nostra società e lo fa in maniera brillante. Ci prende in giro ed è normale e giusto che sia così. Guardatelo, godetevi lo spettacolo e distogliete l’attenzione dalle guerre mediatiche condotte per accalappiare consensi inutili.

Vincenzo Barbera

 

Oscar 2021: ecco cosa è successo nella notte più attesa dagli amanti del cinema

Gli Oscar di quest’anno sono stati senza dubbio inusuali rispetto agli standard soliti dell’Accademy: la cerimonia si è infatti svolta in differenti location, data l’impossibilità per molti dei protagonisti di viaggiare o anche solo di potersi riunire nella normale location del Dolby Theatre.

L’evento

La cerimonia si è infatti svolta in diverse sedi: il Dolby Theatre e la Union Station a Los Angeles, più svariati altri luoghi da cui gli attori hanno ricevuto i loro premi. Tutto ovviamente per assicurare il rispetto delle norme anti Covid e garantire allo stesso tempo la presenza fisica degli invitati alla cerimonia: la loro assenza è infatti costata cara ad altri eventi come i Golden Globe, che hanno visto più che dimezzato il proprio pubblico.

Il Dolby Theatre, tradizionale scenario della magica notte degli Oscar. Fonte: flickr.com, © 2016 American Broadcasting Companies

Un’altra innovazione rispetto ai precedenti anni è stato anche il ritmo dell’evento stesso, che si è rivelato essere molto più incentrato sui premi stessi: si è scelto infatti di eliminare le gag tra un premio e l’altro che costituivano prima parte integrante dello show, così come si è scelto anche di rivedere l’ordine delle premiazioni in sé: il miglior film è stato infatti eletto quasi all’inizio della serata in contrasto con la convenzione che lo vede come “portata finale”, persino in eventi che prendono gli Oscar ad esempio.

I film

I lungometraggi più importanti quest’anno sono senza alcun dubbio quelli candidati come miglior film: Nomadland racconta la storia dei nuovi nomadi americani, che colpiti dalla grave crisi economica del 2008 si ritrovano ad affrontare una nuova vita senza fissa dimora; The sound of metal racconta poi il tema della sordità di un musicista, Minari quello del pregiudizio razziale, mentre Mank e Una donna promettente raccontano rispettivamente la storia dello sceneggiatore di Quarto Potere e di una donna che porta avanti una vendetta per la violenza di cui è stata testimone.

I premi

Questa edizione ha visto come maggiori contendenti al più alto numero di statuette Netflix e Disney, che si sono alla fine spartiti tra loro due un totale di 12 premi, con Netflix che ha prevalso con  7 premi.

Importante caratteristica delle premiazioni di quest’anno è stata la grande inclusività: Chloé Zhao, regista di nazionalità cinese,  è stata la seconda donna nella storia dell’evento a vincere il premio come miglior regista; sono stati premiati anche Daniel Kaluuya come miglior attore non protagonista e il film Ma Rainey’s Black Bottom per miglior trucco e costumi, girato con un cast di personaggi interamente di colore. Ci si sarebbe aspettati anche un premio al compianto Chadwick Boseman, che è invece andato ad Anthony Hopkins eletto miglior attore protagonista per il film The Father. Anche il film Soul è stato eletto come miglior lungometraggio d’animazione avendo un protagonista di colore.

Anthony Hopkins, vincitore dell’Oscar come miglior attore protagonista per la sua interpretazione in “The father”. Fonte: flickr.com

Il premio più importante come miglior film è stato poi dato a Nomadland, come tra l’altro molti pronosticavano. Il film ha anche raccolto il premio alla miglior attrice, donato a Frances McDormand.

A completare i premi i due alla miglior sceneggiatura, Una donna promettente e The Father, quello ai miglior effetti special per Tenet, e quello per la miglior attrice non protagonista dato a Yoon Yeo-jeong per la sua performance nel film Minari. Nulla da fare invece per Laura Pausini, con il trionfo di Fight for You.

I protagonisti

Un altro elemento di rottura rispetto alle edizioni precedenti è stata la presenza di più conduttori della serata, diversamente dal singolo che di solito presenta sul palco: la cerimonia è stata fatta partire da Regina King e proseguita poi da attori come Brad Pitt e Harrison Ford, in continuazione della tradizione che vede i precedenti premi Oscar premiare i nuovi vincitori.

Chloe Zhao, vincitrice dell’Oscar “miglior regia” per “Nomadland”. Fonte: Vegafi, wikimedia.org

Oltre ciò però la serata ha sicuramente sancito per l’industria un ritorno che si speri continui con la riapertura delle sale, perché come ha anche detto Chloé Zhao questo medium vive nei cinema e sul grande schermo. Quella che stiamo vivendo deve limitarsi ad essere solo, per quanto lunga e dolorosa, una parentesi.

 

                   Matteo Mangano

La stella polare del cinema: Stanley Kubrick

Oggi 22 anni fa ci lasciava colui che – dalla maggior parte degli amanti del cinema – è considerato il miglior regista di sempre.

Genio e sregolatezza, gentile ma maniacale, imprevedibile e audace, Stanley Kubrick ha incantato il pubblico e la critica mediante i suoi film.

Noi di UniVersoMe vogliamo rendergli omaggio andando ad analizzare tre dei suoi più grandi lavori.

Stanley Kubrick – Fonte: greenme.it

Arancia Meccanica (1971)

Kubrick in questa pellicola non ha fatto sconti a nessuno, infatti se c’era qualcosa di violento da mostrare lui lo ha enfatizzato.

Concentriamoci ad esempio sull’agghiacciante scena dello stupro.

Una delle azioni di per sé più vili che un individuo possa mai commettere, nel film viene rappresentata con tutta la brutalità tipica di questo malsano gesto e viene resa esponenzialmente ancor più disturbante dalle note di Singing in the rain cantate dal protagonista Alex DeLarge (Malcolm McDowell).

Originariamente l’attrice di questa scena era un’altra, la quale fortemente provata dall’intensità della scena e stremata dagli infiniti ciak girati dal regista (famoso per arrivare a girare una medesima scena anche 150 volte) decise di lasciare il ruolo ad Adrienne Corri.

La maniacalità di Stanley sul set per poter ottenere il massimo anche nei dettagli è una caratteristica che di certo lo contraddistingue dagli altri colleghi.

Dagli antefatti che precedono la scena dello stupro però emerge un altro elemento fondamentale del genio di Kubrick, ovvero il saper ascoltare il proprio istinto. Da copione infatti Alex non doveva cantare nulla inizialmente, poi proprio sul set al regista venne in mente di accompagnare musicalmente la scena dandole una vena maggiormente inquietante.

L’attore iniziò ad improvvisare la prima canzone che gli passò per la testa e così nacque una delle scene più iconiche della storia del cinema: il drugo stupra una donna mentre canticchia con disinvoltura come se fosse un’azione normale della sua quotidianità.

Il capo dei drughi Alex DeLarge (Malcolm McDowell) – Fonte: leitmovie.it

Il regista era solito  avere dei contrasti con gli attori sia perché cambiava continuamente i copioni (come in Shining) sia perché li costringeva ad effettuare gesta particolarmente pericolose.

Durante le sedute della cura Ludovico, Alex era obbligato a guardare scene di film assai violente sotto le note della sua amatissima Nona Sinfonia di Beethoven con gli occhi tenuti dolorosamente aperti da uno strano marchingegno.

L’attore è stato sottoposto realmente a quel trattamento ed il dottore che si vede nel film era un vero e proprio medico incaricato di inumidirgli i bulbi oculari mediante delle gocce, altrimenti sarebbe divenuto cieco (l’interprete comunque si ferì ad un occhio e perse la vista momentaneamente).

Il metodo è discutibile ma il risultato è certo: la sofferenza del personaggio non viene solo rappresentata ma viene anche provata dallo spettatore. Infine il montaggio di Arancia Meccanica, che da un punto di vista tecnico è impeccabile, permette di risaltare la comicità e l’enfasi in alcuni momenti cruciali della pellicola.

Shining (1980)

Alcuni elementi del lavoro di Kubrick in Shining li abbiamo già analizzati qui.

Molto spesso al giorno d’oggi purtroppo la pellicola viene declassata con la semplice motivazione che “non faccia così paura”.

Mettiamo subito in chiaro che non è un film ideato per spaventare, come un qualsiasi horror moderno pieno zeppo di jumpscare disseminati a caso ogni 2 minuti, ma è una pellicola basata sulla pazzia di un uomo che pian piano emerge fuori.

Ci sono certamente elementi paranormali e scene che comunque – tenendo conto dell’epoca in cui uscì la pellicola – hanno traumatizzato il pubblico, ma non è questo il tema centrale.

Jack Torrance (Jack Nicholson) leggermente indispettito – Fonte: lindiependente.it

Il regista con questo film ha creato un’opera d’arte della tensione. Le sequenze mostrate all’interno del film rappresentano perfettamente un’atmosfera carica di ansia e di imminente pericolo che, scena dopo scena, crescono sempre di più fino a culminare con lo sfogo violento del protagonista.

La scelta dei primi piani di un incredibile Jack Nicholson, le musiche ed i campi totali (una tipologia di inquadratura) costituiscono un patrimonio della cinematografia lasciatoci dal regista.

Full Metal Jacket (1987)

Penultima pellicola della breve filmografia di Kubrick.

Il film, basato sulla guerra del Vietnam, si articola in due parti: nella prima assistiamo agli esercizi ed ai metodi adottati dai marines americani per addestrare le truppe; nella seconda, ambientata sul fronte asiatico, viene rappresentata la crudeltà della guerra in sé per sé.

Il celebre sergente Hartman (Ronald Lee Ermey) mentre istruisce le nuove reclute – Fonte: gildavenezia.it

Accanto agli aspetti della vita militare, nel film vengono trattate tematiche psicologiche e viene lasciato ampio spazio a critiche sociali enormemente rilevanti soprattutto per l’epoca in cui venne proiettata la pellicola.

Kubrick tramite il film ha voluto esprimere la propria opinione sulla guerra, comunicandola con forte ironia mediante l’utilizzo del controsenso e proprio questo è uno dei punti di forza della pellicola.

Ad esempio la spilla raffigurante il simbolo della pace indossata dal protagonista Joker (Matthew Modine)  sulla propria uniforme mentre si trova al fronte, e la scelta delle musiche come Surfin Bird, che accompagna una sequenza di scene dopo una battaglia in cui vengono trasportati feriti, o la Marcia di Topolino, che i soldati cantano orgogliosamente alla fine del film.

 

Stanley Kubrick, per quanto possa essere stato particolare nei rapporti interpersonali, è riuscito a lavorare straordinariamente nel cinema basandosi su uno dei principi più rilevanti della civiltà: la libertà individuale.

Quando finiscono le pratiche burocratiche, per dar vita ad un progetto cinematografico bisogna necessariamente lasciare tutto lo spazio al regista senza interferire se non solo per fornire consigli. Solo in questo modo un cineasta può svolgere il suo lavoro e quindi concretamente raccontare una storia dal suo punto di vista.

Kubrick lo ha fatto e si è visto.

Vincenzo Barbera