Il governatore della follia

Oggi il compianto Heath Ledger avrebbe compiuto 41 anni. Uno degli attori più promettenti della sua generazione ci ha lasciato troppo presto, scioccandoci con una morte improvvisa che ha spento tutte le aspettative createsi dal suo enorme potenziale attoriale.

Oggi l’attore viene ricordato principalmente per la sua magistrale interpretazione del Joker nel film Il cavaliere oscuro (2008) di Cristopher Nolan.

Andiamo a scoprire come è stato creato uno dei personaggi più iconici e discussi del cinema contemporaneo.

Heath Ledger – Fonte: tg24.sky.it

Le basi

Per prepararsi al ruolo è risaputo che Heath Ledger abbia trascoso 6 settimane rinchiuso in una stanza d’albergo, dove guardava film horror ed annotava il suo lavoro all’interno di un diario.

Essere isolati dal mondo crea indubbiamente una mutazione nella natura dell’individuo (lo notiamo in piccola parte anche noi che siamo – da poco più di 20 giorni – in quarantena).

Stare un mese e mezzo in una singola stanza, senza mai uscire, crea già di per sé un nucleo centrale di sentimenti negativi che sorgono spontaneamente nella psiche dell’uomo.

Se a ciò si aggiunge la visione di film e la lettura di libri e fumetti grotteschi e dell’orrore, attorno al nucleo i sentimenti si tramutano in vere e proprie emozioni più complesse che destabilizzano il carattere umano.

Una volta creata questa sorgente di oscurità emotiva, l’attore ha potuto concentrarsi per costruire la mentalità del personaggio.

Heath Ledger completamente immerso nei panni di Joker – Fonte: pinterest.it

La formazione del carattere

Una delle principali fonti d’ispirazione per la nascita del Joker, è stata la figura del drugo Alex DeLarge del film Arancia Meccanica (1971) diretto da Stanley Kubrick.

Heath Ledger da quel personaggio ha prelevato tutta la violenza che il drugo sfogava per le strade di Londra ed al posto di esternala l’ha immagazzinata dentro sé stesso. Associando la violenza a quel nucleo di emozioni fortemente negative, Heath ha ottenuto la formula per far emergere  il male peggiore che può affliggere un uomo: la pazzia.

L’attore non è andato a visitare manicomi o centri per la riabilitazione di soggetti affetti da forme di malattie psichiatriche, ma lui stesso ha creato la pazzia dentro di sé e così ha ottenuto l’elemento che governa l’essenza del Joker, il suo principio cardine.

Joker in procinto di farsi saltare in aria in una scena del film Il cavaliere oscuro – Fonte: youtube.com

Jack Nicholson che in precedenza aveva già interpretato il ruolo del Joker nel film Batman (1989), lo ammonì facendogli presente di porre attenzione a quel ruolo; infatti, disse: “il Joker ti divora da dentro”.

Ma sfatiamo immediatamente il mito secondo il quale il personaggio del Joker sarebbe stato l’unico responsabile della prematura scomparsa dell’attore.

Sul set del cavaliere oscuro a detta dei suoi colleghi e del regista stesso, nella pause tra una scena e l’altra l’attore non rimaneva dentro il personaggio, anzi scherzava e sorrideva assieme agli altri membri del cast; che poi dopo le riprese Heath abbia affrontato un periodo segnato da depressione è comprensibile, data l’intensità e lo sforzo emotivo a cui è andato incontro.

Non a caso, ha ricevuto la regolare prescrizione di alcuni farmaci ansiolitici, analgesici e sedativi: proprio alcuni di essi sono stati ritrovati in circolo dopo l’autopsia e l’effetto combinato sarebbe stato responsabile della morte, e non un overdose a scopo suicida, come molti pensano.

Affermare che Heath sia impazzito a causa del suo Joker è semplicemente del becero gossip ed un vero e proprio insulto al lavoro svolto dall’attore, in quanto così viene messo in secondo piano quello che è stato il principale merito di Heath Ledger: di richiamare a sé tutta la follia del personaggio ed esternarla completamente quando le telecamere erano accese.

Concretamente l’attore è stato capace di governare a proprio piacimento l’indomabile pazzia.

Aspetti esteriori

Una volta terminato questo dettagliatissimo processo di introspezione, Heath Ledger si è potuto concentrare sugli altri aspetti del proprio personaggio.

La postura del Joker appare leggermente ingobbita, il quanto basta per rendere ancor più raccapricciante la sua figura.

Per quanto concerne la voce, l’attore ha deciso di ricrearne una caratterizzata da una lieve tonalità nasale che suscita timore nei suoi interlocutori.

I discorsi effettuati dal personaggio vengono spesso interrotti da alcune risate deliranti e da momenti in cui mastica il nulla in maniera palese (e questo della masticazione forse è il dettaglio che più contraddistingue il Joker di Heath Ledger, dato che evidenzia un palese disturbo psichiatrico).

Una delle risate disturbanti del Joker di Heath Ledger – Fonte: sylg1.wordpress.com

Tutti questi fattori hanno contribuito a creare uno dei personaggi migliori della storia del cinema.

Heath Ledger è riuscito ad interpretare un uomo esuberante, privo d’empatia, altamente megalomane ed eccessivamente violento in maniera magistrale, tanto che è stato premiato con l’Oscar per il miglior attore non protagonista nel 2009. Purtroppo alla cerimonia non era presente data la sua prematura scomparsa avvenuta nel gennaio del 2008.

 

Un interprete incredibile, pieno di talento e dall’incredibile forza di volontà. Attori così dediti al proprio lavoro di rado se ne trovano ed Heath Ledger era una pietra preziosa, non solo per Hollywood, ma per il cinema mondiale.

Chissà cosa sarebbe stato capace di fare quest’uomo se non se ne fosse andato così presto. Resta un grande vuoto ed un profondo rammarico per tutti gli amanti della settima arte.

Vincenzo Barbera

 

Da Mario Girotti a Terence Hill: nascita di un’icona

Fonte: Secolo d’Italia- Terence Hill

Terence Hill potrebbe tranquillamente essere il nome di un noto personaggio statunitense… invece no. Terence Hill è il nome d’arte di Mario Girotti, uno dei più celebri attori italiani. Nasce a Venezia – come oggi – ben 81 anni fa da madre tedesca e padre italiano. Per sfuggire ai bombardamenti della Seconda Guerra mondiale si trasferisce in Sassonia (Germania) con la famiglia per poi tornare in Italia durante gli anni del liceo, anni in cui si dedicherà ad una delle sue più grandi passioni: il nuoto.

Ma cosa lo ha spinto a cambiare totalmente carriera?

Ripercorriamo insieme le sue fortunate esperienze cinematografiche e televisive!

I primi esordi

Nel corso di una gara di nuoto viene notato da Dino Risi, il quale lo sceglierà per un ruolo nel film “Vacanze col gangster, (1952)”. Cosciente ancora del fatto che la sua vera passione sia il nuoto e non la recitazione, Mario Girotti continuerà ancora a recitare solamente con lo scopo di  pagarsi gli studi classici. Nel 1957 recita in Lazzarella di Carlo Ludovico Bragaglia per arrivare successivamente allo sceneggiato televisivo “Il ritratto di Dorian Grey” , tratto dall’omonima opera di Oscar Wilde, in cui ottiene il ruolo principale e verrà conosciuto così dal grande pubblico.

Galeotto però fu Luchino Visconti che scelse il giovane per il ruolo del Conte Cavriaghi ne “Il Gattopardo”; da qui Mario Girotti capirà di volersi dedicare alla carriera cinematografica.

 

Gli anni degli spaghetti western

Alla volta della Germania per studiare recitazione l’attore qui verrà scritturato per alcuni film western.

Tornato in Italia dopo l’esperienza tedesca  diverrà quello che forse potremmo definire l’antesignano di un western tutto all’italiana; con lui prenderà piede infatti il genere “spaghetti western” caratterizzato dall’uso della comicità.

Il nome Mario Girotti risultava molto provinciale per il genere di film che si accingeva a fare. Serviva qualcosa che avesse il “sapore di America”, qualcosa che sapesse di vecchio west insomma, e così Mario Girotti diviene Terence Hill.

Complice del suo successo sarà anche il sodalizio artistico con Carlo Pedersoli in arte Bud Spencer con il quale condivide anche la passione per il nuoto.

Fonte: Everyeye Cinema- Bud Spencer e Terence Hill in Lo chiamavano Trinità

Fu nel set de “Dio perdonaio no!” che i due si conobbero.

Ma il film che identifica la coppia Bud SpencerTerence Hill con il western all’italiana è Lo chiamavano Trinità, pellicola del 1970 in cui Terence Hill, in un approssimato ambiente western in un parco naturale fra Lazio e Abruzzo, interpreta il giovane pistolero Trinità che dovrà difendere, insieme al fratello Bambino (Bud Spencer) un  gruppo di mormoni perseguitati dalle intimidazioni del maggiore Harriman.

Da questi lavori è visibile la tempra risoluta di Terence Hill, capace, per interpretare al meglio il suo personaggio, di digiunare per tre giorni per la riuscita della scena iniziale, ovvero Trinità che entra in un saloon e divora una scodella piena di fagioli al sugo.

Fonte: Ristorazione con Ruggi- Terence Hill nella scena cult dei fagioli

Numerosi film dello stesso genere seguirono Lo chiamavano Trinità, complici sicuramente le doti attoriali di Terence Hill, il sodalizio con l’amico e collega Bud Spencer, ma sicuramente anche le caratteristiche fisiche; non tanto per essere possente, quanto per i connotati del viso: gli occhi azzurri acceso, i capelli biondi e il tipo di carnagione olivastra sono propri nell’immaginario collettivo degli attori dei western americani.

 

Dagli spaghetti western alle fiction della maturità

È riduttivo sicuramente identificare il personaggio di Terence Hill solamente con il western all’italiana, sebbene questo abbia rappresentato una fase significativa della sua carriera e abbia contribuito alla sua crescita attoriale. Negli ultimi 20 anni lo vediamo infatti protagonista di molte fiction di successo nel piccolo schermo.

Tutti ormai conosciamo le vicende del prete detective in bicicletta giunte ormai alla dodicesima stagione. Don Matteo è famoso per riuscire a scovare i colpevoli prima dei carabinieri che conducono le indagini. Non ha bisogno di particolari indizi e prove, il nostro prete fa molta attenzione, giocando d’astuzia, alla psicologia della vittima e di chi gli sta attorno.

Fonte: Ciak Generation- Terence Hill in Don Matteo

 

Un’altra fiction con protagonista Terence Hill che merita di essere menzionata è “L’uomo che sognava con le aquile” (2006) andata in onda in due puntate su Rai 1 e ambientata nella splendida cornice dell’Aspromonte. L’attore questa volta interpreta Rocco Ventura, un avvocato che si è dedicato alla pastorizia, impegnato su tutti i fronti per difendere la sua azienda e la sua proprietà davanti a chi vorrebbe renderla un complesso residenziale.

Fonte: Amazon.it

Personaggi astuti che combattono contro le intimidazioni dei potenti, dinamismo nelle scene, tempra risoluta e figure carismatiche sembrano tutti elementi costituenti la cifra stilistica dei personaggi di Terence Hill partendo dagli spaghetti western a questi ultimi che abbiamo definito come fiction della maturità, sebbene siano generi tra loro diversi.

Nel fare gli auguri a Terence Hill, ci auguriamo anche che continui a regalare capolavori sia nel piccolo che nel grande schermo.

                                                                                                                                                                                          Ilenia Rocca

Il più grande fan del cinema

Uno dei più celebri registi della storia del cinema oggi compie 57 anni.

Quentin Tarantino è oggettivamente una pietra miliare della settima arte che ha ricevuto e, soprattutto, ha donato tantissimo alla cinematografia mondiale. Le sue opere andrebbero riviste molteplici volte per cercare di coglierne buona parte dei significati, apprezzarne i contenuti e comprenderne il genio del loro creatore.

Quentin Tarantino nel film Le Iene – Fonte: ciakclub.it

Filmografia

La filmografia di Tarantino andrebbe esposta in un museo d’arte. Il regista non ha diretto un numero elevato di pellicole, ma qualsiasi progetto ideato o creato da Quentin è praticamente un capolavoro.

Il primo film, Le Iene,  si contraddistingue per i dialoghi altamente sopra le righe, per l’ambiguità morale dei personaggi, per l’uso dell’analessi e soprattutto per la rappresentazione della violenza nuda e cruda. Nel cast troviamo attori già affermati, come Harvey Keitel e Steve Buscemi, ed interpreti che diventeranno celebri proprio grazie a questo film come Tim Roth e Michael Madsen, i quali reciteranno in quasi tutti i film di Tarantino.

Una scena del film Le iene – Fonte: newyorker.com

Grazie a Le Iene, Quentin diviene uno dei maggiori registi emergenti di Hollywood: infatti gli vengono offerti diversi progetti, come Speed e Men in Black. Questi vengono rifiutati dal cineasta, in quanto ha preferito dedicarsi completamente alla stesura della sua prossima sceneggiatura, ovvero Pulp Fiction.

La pellicola rappresenta la rivoluzione del cinema indipendente. E’ un continuo alternarsi di prolessi ed analessi mediante le quali il regista rimescola storie che apparentemente risulterebbero essere completamente scollegate tra loro. Il film ha rilanciato la carriera di John Travolta ed ha consacrato quella di Samuel Jackson, artefice di una delle migliori interpretazioni attoriali della storia. Tarantino venne premiato con l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale, insieme all’amico fraterno Roger Alvary.

Nel 1997 il regista dirige Jackie Brown. All’inizio il film fu un insuccesso, ma in seguito ne venne apprezzata la regia più matura e ricercata con la quale Tarantino ha deciso  di distaccarsi dai suoi canoni classici. Il film presenta nel cast Robert De Niro e Samuel Jackson, autori di eccellenti prove d’attore.

Dopo 6 anni di pausa nel 2003 esce nelle sale Kill Bill. La produzione ha pregato Quentin di accorciare il film data l’eccessiva lunghezza della pellicola, ma il regista decise di dividerlo in due parti. Due film d’azione veri e propri dove non mancano ovviamente gli elementi emblematici del suo cinema ed omaggi al cinema orientale.

In seguito dirige Bastardi senza gloria (2009). In questo film Tarantino racconta la seconda guerra mondiale da un punto di vista alquanto singolare dato che non è presente nemmeno una scena ambientata in un fronte bellico. Gran parte della narrazione si svolge all’interno di ristoranti, pub e di un cinema, come se tutte le vicende rappresentate dal regista facessero da contorno ad uno degli avvenimenti più catastrofici della storia dell’uomo.

Il film, che ha incassato globalmente 313 milioni di dollari, ha ricevuto 8 candidature agli Oscar, trionfando nella categoria migliore attore non protagonista con Cristoph Waltz, allora sconosciuto.

Locandina del film Inglourious Basterds – Fonte: mymovies.it

Dopo 3 anni esce nelle sale Django Unchained. Con questa pellicola finalmente Quentin ha potuto rendere omaggio al suo più grande mito del passato, Sergio Leone, che gli ha illuminato l’adolescenza con i suoi spaghetti-western.

Il cast del film è ricco di star hollywoodiane di alto calibro come Jamie Foxx, Leonardo Di Caprio, Samuel Jackson e Cristoph Waltz, tutti autori di brillanti interpretazioni. Il film ha incassato 425 milioni e si è aggiudicato due Oscar per la miglior sceneggiatura con Tarantino e per il miglior attore non protagonista nuovamente con Cristoph Waltz.

Nel 2015 dirige The Hateful Eight. Un altro film sempre a tema western ma incentrato maggiormente sui dialoghi piuttosto che sull’azione come Django. Per questo film, Ennio Morricone, ha vinto sia il Golden Globe che l’Oscar per la miglior colonna sonora.

Nel 2019 esce nelle sale C’era una volta a… Hollywood con un cast fuori dall’umana concezione in quanto sono presenti Leonardo Di Caprio, Brad Pitt, Al pacino, Margot Robbie Kurt Russell, Luke Perry e tante altre star di Hollywood.

Stile e particolarità

I film di Tarantino presentano elementi ricorrenti che marchiano il suo stile cinematografico in maniera indelebile.

I dialoghi sopra le righe sono presenti in tutti i suoi film. Vengono utilizzati anche per argomentare su concetti banali come “la mancia” in Le Iene o “il massaggio ai piedi” in Pulp Fiction.

Lo stallo alla messicana (cioè quando 3 o più personaggi discutono tra loro mirandosi con una pistola a vicenda) è presente in diverse pellicole come Le Iene, Pulp Fiction, Bastardi senza gloria e Django Unchained.

Cristoph Waltz e Jamie Foxx in una scena di Django Unchained – Fonte: jamovie.it

In tutti i film i personaggi di Tarantino fumano le sigarette Red Apple, un marchio di sigarette completamente inventato dal regista stesso.

Ogni pellicola presenta un’infinità di riferimenti ad altri film del passato di vario genere che hanno arricchito l’enorme cultura cinematografica di Quentin.

Egli infine è solito effettuare un cameo in ogni sua pellicola dove nella maggior parte delle occasioni muore brutalmente.

 

Quentin Tarantino è sicuramente uno dei più grandi cineasti della storia. La sua più grande caratteristica è quella di essere uno dei fan più accaniti del cinema, e ciò lo ha portato a conoscere ogni angolo della settima arte, cogliendone gli aspetti più profondi per rappresentarli secondo il suo stile al grande pubblico. Quentin è la rappresentazione di ognuno di noi: nasce come uno spettatore appassionato di cinem,a che poi ha avuto la possibilità di poter lavorare all’interno di quel mondo e di imporsi grazie alle sue conoscenze ed al suo genio.

Vincenzo Barbera

 

Gary Oldman: l’uomo dai mille volti

Oggi uno dei più grandi attori della storia compie oggi 62 anni.

Gary Oldman può essere definito la versione inglese di Christian Bale, in virtù della sua eccezionale capacità di trasformare il suo corpo ed adattare il suo accento per dare vita a personaggi molto lontani dalla sua vera natura. Un attore, regista, sceneggiatore, produttore che ha dato tantissimo al cinema e che non si ferma mai.

Gary Oldman – Fonte: cinematographe.it

La vita

Nato a Londra nel 1958, Gary non vive un’infanzia tranquilla.

Il padre è fortemente alcolizzato e decide di abbandonare la famiglia quando il piccolo Oldman aveva appena 7 anni. Egli crescerà ed andrà avanti comunque soprattutto grazie all’aiuto della madre e delle due sorelle maggiori.

Durante l’adolescenza si appassiona alla musica, infatti si dedica al pianoforte studiando da autodidatta. Ben presto però il suo istinto lo porta a seguire la strada della recitazione ed a 15 anni diventa membro del Greenwich Young People’s Theatre.

In seguito abbandona gli studi per lavorare in un negozio di articoli sportivi, ma il tempo libero è totalmente dedicato alla recitazione, alla musica e alla lettura di classici.

Dopo non essere stato ammesso alla Royal Academy of Dramatic Art di Londra, viene accolto nella Royal Shakespeare Company e nel 1986 debutta al cinema con il film Sid and Nancy diretto da Alex Cox. Così il giovane Gary inizia a farsi largo tra le produzioni indipendenti diventando una delle nuove promesse del cinema inglese.

Un giovane Gary Oldman – Fonte: movieplayer.it

Nel 1992 interpreta il conte Dracula nella pellicola Dracula di Bram Stoker, diretta da Francis Ford Coppola, ottenendo il successo a livello mondiale.

Nel 1995 l’attore si sottopone ad una cura disintossicante dall’alcol e nel 1997 uscirà il film Nil by Mouth prodotto, scritto e diretto da Oldman stesso, il quale ha preso spunto dalla propria esperienza per raccontare gli effetti delle dipendenze sulle persone.

Sposatosi la bellezza di 6 volte, è padre di 3 figli ed è stato grande amico del compianto David Bowie: infatti, nel 2013 ha inciso la canzone You’ve Been Around per l’ultimo album di quest’ultimo.

Gary attore

Gary Oldman ha preso parte ad una miriade di capolavori cinematografici. Il suo talento attoriale e le sue fredde espressioni facciali lo hanno favorito nell’ottenere molto spesso la parte del cattivo in diverse pellicole. Nei primi minuti del film Dracula di Bram Stoker non lo vediamo ancora trasformato in vampiro e l’attore ha modo di poter far manifestare platealmente al proprio personaggio tutto il pathos e le emozioni che egli prova.

Nel momento in cui si trasforma nel demone della notte lo vediamo annichilirsi, quasi spegnersi, infatti ogni sua reazione è ridimensionata, ma comunque ricca di sentimento. Ha dato vita ad un personaggio pacato (fatta eccezione per alcuni momenti) che si relaziona con i suoi interlocutori mostrando calma e parsimonia, ma grazie alle sue mute espressioni ed alla gestualità teatrale suscita un costante stato di ansia e brivido nello spettatore. È sicuramente una delle sue migliori prove d’attore.

Gary Oldman nei panni del conte Dracula – Fonte: garrettmack.com

La filmografia di Gary è ricca di pellicole d’altissima qualità, quali Air Force One (1997), in Hannibal (2001), il ruolo di Sirius Black nei film di Harry Potter, la parte del tenente di polizia James Gordon nei Batman di Cristopher Nolan, e nel film L’ora più buia.

L’ora più buia

Sicuramente la performance migliore di Gary Oldman.

L’attore interpreta Winston Churchill che nel 1940 deve prendere una delle decisioni più importanti degli ultimi secoli, che cambierà le sorti del mondo in maniera irreversibile.

L’immedesimazione dell’attore nei panni del primo ministro inglese è spaventosamente profonda nonostante l’età avanzata del personaggio che deve interpretare.

Oldman riesce perfettamente a trasmettere tutti i dubbi ed i timori che probabilmente avranno afflitto Churchill divenuto da poco primo ministro in un momento particolarmente difficile dato che dovrà decidere tempestivamente se firmare un trattato di pace con la Germania nazista o continuare la guerra per difendere i propri ideali.

Per questo ruolo l’attore è stato premiato con l’Oscar per il miglior attore protagonista nell’edizione del 2018.

Gary Oldman che interpreta Winston Churchill nel film L’ora più buia – Fonte: style.corriere.it

 

Un attore versatile, capace di interpretare anche il più arduo dei ruoli. Gary Oldman è un modello di ispirazione per tutti gli aspiranti attori, in quanto è in grado potenzialmente di poter recitare un qualsiasi ruolo che gli venga proposto, anche se completamente opposto al suo modo di essere.

La particolarità di Oldman è quella di saper ricreare egregiamente l’essenza stessa di un personaggio, e su questa base poi studiarne le molteplici sfumature, che vengono incanalate e trasmesse tramite la recitazione. Inoltre, possiede una presenza scenica mastodontica: potrebbe anche tenere in piedi un’unica sequenza restando in silenzio per 15 minuti, mantenendo comunque alta la soglia d’attenzione dello spettatore.

Vincenzo Barbera

Quanto ci manca John Belushi

Oggi, 38 anni fa, ci lasciava uno degli attori comici più promettenti del cinema e della televisione.

John Belushi per troppo poco tempo ha deliziato il pubblico americano con i suoi sketch ed i suoi personaggi, visto che la morte lo ha colto a soli 33 anni ponendo fine a tutte le aspettative che gli si erano create intorno.

John Belushi durante uno dei suoi sketch al Saturday Night Live – Fonte: pinterest.it

Gli inizi

John Belushi nacque a Chicago nel 1949 da Adam Anastos Belushi e Agnes Demetri Samaras, entrambi di origine albanese. Aveva una sorella più grande di nome Marian e due fratelli più piccoli James Adam, detto Jim ed anch’egli attore (protagonista della serie La vita secondo Jim) e William Adam. Già dalle scuole elementari il piccolo John amava fare scherzi agli adulti per far divertire i suoi compagni, iniziando a manifestare così il proprio talento comico.

Durante il liceo inizia a fare teatro e, incoraggiato dal proprio professore di recitazione, decide di voler intraprendere la carriera nel mondo dello spettacolo. Dopo aver preso parte ad una serie di show, nel 1975 entra a far parte dell’appena nato Saturday Night Live, il quale rivoluzionò il mondo della televisione e portò lo stesso Belushi al successo nazionale.

In quegli anni fa la conoscenza di Bill Murray, Eddie Murphy e soprattutto di Dan Aykroyd con il quale in futuro reciterà nel celebre film The Blues Brothers (1980).

Belushi al cinema

Nel 1978 esce nelle sale cinematografiche Animal House. Per chi non lo conoscesse, si tratta del capostipite di tutti i college-movie, quindi concretamente è il diretto antenato di American Pie. Con un budget di 3 milioni di dollari arrivò ad incassarne ben 141.600.000 ottenendo un successo incredibile.

John Belushi in una scena di Animal House – Fonte: fandango.com

Ma è nel 1980 con l’uscita di The Blues Brothers che Belushi diviene una star di fama mondiale. La pellicola narra la storia dei due fratelli Jack “Joliet” Blues (John Belushi) e Elwood Blues (Dan Aykroyd) che con una serie di concerti, reati ed altri espedienti cercano di raccogliere 5000 dollari per evitare la chiusura dell’orfanotrofio nel quale sono cresciuti. Il film divenne subito un cult, ed i personaggi di Jack ed Elwood con i loro vestiti neri e gli occhiali da sole Ray-Ban Wayfarer diventarono delle icone in tutto il mondo.

La band dei Blues Brothers in realtà nacque già ai tempi del Saturday Night come parte integrante di vari sketch. Negli anni seguenti il gruppo musicale ha pubblicato anche un album e dopo il successo del film tenne concerti in tutto il mondo. Ancora oggi la band è attiva, e nel 2004 si è esibita anche in Italia al festival di Sanremo.

A sinistra Dan Aykroyd e a destra John Belushi nel film The Blues Brothers mentre cantano Everybody needs somebody – Fonte: youtube.com

I problemi con la droga

John Belushi, parallelamente alla sua ascesa nel mondo dello spettacolo, nel 1973 iniziò ad assumere stupefacenti. Durante gli anni del Saturday Night la sua condizione di dipendenza si aggravò al punto tale che John, ogni volta prima di esibirsi con i Blues Brothers, faceva uso di cocaina in quanto riteneva che questa migliorasse le sue prestazioni.

Nonostante tutti gli aiuti ricevuti dalla moglie e dai colleghi, in primis proprio da Dan Aykroyd, la notte del 5 marzo del 1982 John Belushi morì per overdose. La cantante Cathy Evelyn Smith, completamente ubriaca, sbagliò le porzioni delle sostanze e con una siringa gli iniettò uno speedball (mix di cocaina ed eroina) causandone la triste dipartita.

Di lì a poco Belushi avrebbe dovuto prendere parte ad un film scritto dall’amico Aykroyd: Ghostbusters – Acchiappafanstasmi. La sua parte in seguito andrà a Bill Murray.

Destino crudele?

No. Purtroppo John stesso ha contribuito alla propria scomparsa.

Bisogna riconoscergli il talento ed il genio, ammirarne la comicità ed apprezzarne i lavori, ma non si può accettare una morte del genere come spesso sfortunatamente accade a grandi artisti nel mondo del cinema e della musica.

Belushi in soli 7 anni di carriera televisiva e con alcuni film al cinema aveva stupito il mondo, chissà cosa avrebbe combinato in 40 anni…

Vincenzo Barbera

 

 

Ron Howard: da attore a regista in nome dell’arte

Tanti auguri a Ron Howard che oggi compie 66 anni!

Il noto regista hollywoodiano è stato autore di grandi film come Apollo 13 (1995), Il Grinch (2000), A Beautiful Mind (2001), Il Codice da Vinci (2006), Angeli e Demoni (2009) ed Inferno (2016).

Mr Howard incarna perfettamente l’ideale di un’evoluzione cinematografica alla quale aspirano diversi attori e registi, ma che spesso non riescono a raggiungere.

Ripercorriamo insieme i tanti successi sui quali ha messo la firma, alcuni in veste di attore, altri nei panni di regista.

Ron Howard al festival di Cannes nel 2018- Fonte: wikipedia.org

Gli inizi da attore

Figlio degli attori Rance Howard e Jean Speegle Howard, nasce a Duncan nel 1954 ed inizia a lavorare nel mondo della recitazione dalla tenera età di 5 anni, prendendo parte all’episodio La Giostra della famosa serie Ai confini della realtà (1959). Dopo una sequela di ottime interpretazioni, ottiene il successo mondiale grazie all’iconico personaggio di Richie Cunningham di Happy Days di cui è il protagonista per le prime 7 stagioni. Nel 1977 mentre è ancora una delle star della celebre serie (della quale faceva parte anche il mitico Fonzie interpretato da Henry Winkler) dirige 3 cortometraggi ed anche il suo primo film, intitolato Attenti a quella pazza Rolls Royce, ottenendo un gran successo al box office ed opinioni miste dalla critica.

In seguito all’abbandono di Happy Days, dove tornerà a vestire i panni di Richie solo per qualche episodio, si dedica interamente alla regia.

A sinitra Henry Winkler (Fonzie) e a destra Ron Howard (Richie) sul set di Happy Days – Fonte: yahoo.com

 

Howard regista

Il primo grande successo di Ron Howard regista è Night Shift – Turno di notte (1982), che vanta tra i protagonisti un ancora sconosciuto Michael Keaton e Shelley Long.

Nel 1995 esce nelle sale Apollo 13 con Tom Hanks nei panni dell’astronauta Jim Lovell. La pellicola, che si è aggiudicata 2 premi Oscar per miglior sonoro e miglior montaggio, consacra Ron Howard come uno dei migliori registi in circolazione. Nel 2000 è la volta de Il Grinch, con protagonista Jim Carrey, che viene osannato dal pubblico mondiale, seppur non particolarmente apprezzato dalla critica.

Nel 2001 invece con A Beautiful Mind, Howard viene premiato con l’Oscar per la miglior regia e per il miglior film. Nel 2006 esce Il Codice da Vinci e successivamente Angeli e Demoni (2009) ed il film che chiude la trilogia Inferno (2016), tutti con Tom Hanks che incanta il pubblico con delle brillanti interpretazioni, mediante le quali riesce a tenere alta l’attenzione dello spettatore dinnanzi alle complesse trame caratterizzate da allegorie e misteri apparentemente irrisolvibili.

Infine nel 2019 esce Pavarotti, un documentario sulla vita del cantante lirico nostro connazionale, dove è possibile vedere interviste, concerti ed immagini provenienti dagli archivi della famiglia Pavarotti.

Ron Howard e Tom Hanks sul set de Il Codice da Vinci – Fonte: rte.ie

 

Da attore a regista

Perché decidere di abbandonare una delle serie di maggior successo nella storia della televisione della quale sei il protagonista e che ti ha reso una delle maggiori star di tutta l’America?

La riposta è: per l’arte. Eppure Ron Howard poteva anche continuare forse per un altro decennio a rivestire i panni di Richie in Happy Days, visto il successo planetario che aveva riscosso. Invece no, ha deciso di sbilanciarsi e di provare ad imporsi come regista (riuscendoci alla perfezione).

Partiamo dalla definizione generale del termine attore (riassumendo enormemente il concetto perché non basterebbero 3 articoli per parlarne in maniera dettagliata). Egli è un interprete che deve recitare delle battute all’interno di una rappresentazione artificiale di un determinato contesto sociale e, se bravo, possibilmente deve far nascere un’emozione in colui che lo osserva.

Reciti bene o reciti male, alla fine ti pagano ugualmente. Stesso discorso varrebbe anche per registi, sceneggiatori, doppiatori, ecc.

Peccato che il cinema non funzioni come una qualsiasi azienda, dove ognuno ha i suoi ruoli ben definiti e dove non sono ammesse ingerenze in campi al di fuori della propria sfera di competenze. Ad esempio, nel caso in cui un attore dovesse ritenere di dover dare una battuta in maniera diversa da come l’aveva in mente originariamente il regista, l’attore stesso può “modificare” la battuta, partecipando così al processo creativo del regista.

In realtà, questo avviene molto spesso, dato che il fine principale del cinema è quello di emozionare il pubblico: dunque, la collaborazione è sacra.

Abbiamo visto come l’attore in quanto tale ha già dentro se stesso una piccola vena registica.

Ron Howard in veste di regista – Fonte: gossipetv.com

Diventare un regista, dal punto di vista pratico, è un discorso ben più complesso.

Nel momento in cui firmi un contratto per dirigere un film, divieni responsabile per qualsiasi cosa sia presente sul set e nel contempo devi coordinare il lavoro di tutti gli attori, sceneggiatori, scenografi, costumisti, cameraman, tecnici, elettricisti e tanti altri, rispettando i tempi categorici imposti dalla produzione. Ron Howard ha accettato tutto ciò, rinunciando a tutti i benefici di una vita agiata da star mondiale della televisione, per imporsi come regista rischiando la sua intera carriera solo ed esclusivamente per condividere la sua arte.

Già solo per questo il suo lavoro risulta lodevole: poi, visti i suoi grandi successi, ovviamente merita ancor più elogi.

Ron Howard è davvero un grande regista, capace di raccontare storie dalle trame particolarmente complesse in maniera chiara ed avvincente riuscendo a coinvolgere ed a non annoiare mai lo spettatore. A testimonianza di ciò, la stragrande maggioranza dei suoi film registrano degli incassi monstre al box office.

Speriamo che il regista continui a sfornare tante altre pellicole di qualità!

Vincenzo Barbera

 

È messinese il protagonista della serie ZeroZeroZero. In esclusiva Giuseppe De Domenico

Quella di ZeroZeroZero è un’operazione ambiziosa pronta a stupire e sconvolgere. In onda da venerdì 14 febbraio su Sky Atlantic, la nuova serie sul mondo del narcotraffico è tratta dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano e diretta da Stefano Sollima, il rinomato regista italiano già autore di serie di successo come Romanzo Criminale, Gomorra ed il film Suburra. Tre continenti, cinque paesi, sei lingue, diecimila comparse e una troupe da più di mille persone per realizzare otto episodi.

Unico protagonista italiano è il giovane talento messinese Giuseppe De Domenico, che nella serie interpreta l’ambizioso e scalpitante Stefano La Piana. L’ho incontrato nella nostra Messina, al suo ritorno dal Festival del Cinema di Venezia, dove sono stati presentati i primi due episodi in anteprima mondiale. Mi ha raccontato del suo percorso, delle difficoltà incontrate e superate. Abbiamo parlato per ore, davanti ad una buona granita.

©GettyImages , Giuseppe alla 76esima edizione del Festival del Cinema di Venezia – 2019

Il Festival di Venezia è stato per te il primo grande momento di rivelazione al pubblico. La serie è stata accolta molto positivamente e ci si aspetta un successo internazionale. Come hai vissuto quei giorni?

A Venezia sono stati tre giorni di emozioni del tutto nuove per me. Il 4 settembre, a cena, ho conosciuto Roberto Saviano, per me figura iconica del nostro Paese nel mondo. E’ stato strano perché mi ci sono avvicinato per presentarmi ma lui mi ha battuto sul tempo: “Ciao! Tu devi essere Giuseppe!”. Mi ha sorpreso. Ovviamente mi conosceva perché ha scritto anche lui il mio personaggio. In una situazione del genere, in quel mondo così nuovo per me, mi ha fatto sentire un po’ più a mio agio.

©GettyImages , Giuseppe alla 76esima edizione del Festival del Cinema di Venezia – 2019

Eppure hai iniziato a recitare in teatro. C’è stato qualcosa che ti ha fatto innamorare del mondo della recitazione?

A dire il vero no. Ho iniziato quando ero molto piccolo con mio padre, che scriveva dei piccoli sceneggiati amatoriali. La recitazione è entrata a far parte della mia vita con estrema naturalezza. Quando mi sono iscritto alla Facoltà di Ingegneria ho capito però che non avrei potuto fare entrambe le cose. Quella strada che avevo intrapreso mi chiedeva un distacco netto tra mente e passione. Sentivo l’esigenza di ricercare e coltivare la mia emotività. Così ho abbandonato gli studi per dedicarmi al teatro.

Insomma, una scommessa di vita! E’ stata una scelta difficile?

In realtà, una volta capito che non volevo continuare, mi sono detto “Basta, io vado a Roma”. Sono fatto così: nel bene e nel male, quando capisco che qualcosa non va bene per me, la mollo e mi butto a capofitto in altro. A Roma ho studiato presso una scuola privata. Dopo il primo anno da entusiasta, ho capito che quell’approccio, quel metodo di studio, non era giusto per me, avevo bisogno di altro. Quindi ho fatto la rinuncia agli studi e a Luglio ho lasciato Roma e sono tornato a casa. A Settembre ho partecipato alle selezioni per il Teatro Stabile di Genova, ed in questo caso non avrei avuto piani B. Credo di essere stato un po’ incosciente, ma sono stati due mesi di pura adrenalina.

©DaniloCurrò – Messina, Gennaio 2020

Qual è stato, poi, il tuo percorso all’interno del Teatro Stabile di Genova?

Sono andato a Genova convinto a proseguire nel teatro. Durante quel periodo però ho incontrato una persona incredibile, Anna Laura Messeri, una pedagoga. E’ stata lei a farmi fare uno switch nel mio percorso. In quei due anni e mezzo mi ha fatto capire qual era la mia naturale tendenza recitativa, che non si sposava più con il teatro, come credevo all’inizio.

Dal momento in cui hai deciso di cambiare, come sei riuscito ad entrare nel mondo del cinema?

Ho inviato il curriculum a circa 20 agenzie: 19 non mi hanno nemmeno risposto, una sola si è mostrata interessata. Dopo diversi colloqui ed esami mi hanno preso. La vita di un attore è così, un costante mettersi alla prova del giudizio altrui.

E poi come fai ad ottenere una parte in un film?

Fai provini su provini. Nel mio caso magari pensi che, avendo avuto questo ruolo io abbia alle spalle una carriera di successi. Questo, in realtà, è il secondo “SI” della mia carriera. Avrò fatto in totale 60 provini e ho ricevuto 58 no. Devi sempre fare i conti con il rifiuto: nel 97% dei casi prendi un “no” e quindi passi interi mesi completamente solo, senza un soldo. Ma ciò che è veramente difficile è che, in questa situazione di disagio emotivo e di insicurezza economica, devi rimanere lucido e pronto per un’ eventuale chiamata, pronto a convincere la produzione del caso che sei la persona giusta per quel ruolo.

©DaniloCurrò – Messina, Gennaio 2020

Dopo tutti questi rifiuti sarebbe davvero facile mollare. Mi chiedo, a questo punto, dove trovi la motivazione e la forza di andare avanti dopo tutti questi “NO”.

Quando ti arriva un “SI” e fai quell’esperienza lavorativa costruisci un ricordo che ti spinge ad andare avanti sempre. Fare della tua passione un mestiere ti infonde una sensazione di benessere che è totalizzante. Capisci di essere in possesso di qualcosa di raro, qualcosa che vuoi proteggere e vivere per sempre. Anche io però, in quanto artista, devo fare selezione tra le varie offerte che possono arrivare. La carriera si fonda anche su tutti i “no” che riesci a dire tu, oltre ai “no” che ti diranno gli altri. 

In che senso?

Se sei disponibile ad accettare tutto, il tuo percorso è quantitativo. Magari lavori tantissimo, hai soldi e sei famoso, ma non stai raccontando nulla. Se invece riesci ad essere anche tu selettivo nelle scelte che prendi, sai di stare aspettando l’occasione giusta per raccontare qualcosa e dare valore a ciò che fai.

©GettyImages , Giuseppe alla 76esima edizione del Festival del Cinema di Venezia – 2019

Andiamo ora su qualche domanda più classica. Come sei stato scelto per questo ruolo?

Prima del mio provino ho deciso di passare una settimana qua a Messina, per fare un carico di “meridionalità”. Ho anche fatto un giro con un amico in determinati quartieri periferici della città, per conoscere e parlare con le persone del posto. Ho fatto un carico di espressioni, mi hanno colpito gli sguardi, i tempi delle frasi, la diffidenza. Sono questi dettagli che poi riescono a fare la differenza.

Raccontami del provino allora…

Ho recitato di fronte a Laura Muccino, che mi ha fatto riprovare la stessa scena per 12 volte, ma sempre con dei piccoli accorgimenti. Non smetterò mai di ringraziarla perché ha visto in me il potenziale ed è riuscita a farlo emergere. Poi ho fatto il provino con il regista, Stefano Sollima, e la produzione, Cattleya.

Eri intimorito da questi nomi così importanti nel mondo cinematografico?

Ero molto concentrato. Non mi sono concesso la possibilità di pensare cosa stessi facendo. Loro erano più consapevoli di me della grandezza del progetto, per fortuna!

Frame tratto dal trailer della serie “ZeroZeroZero”

Beh, alla fine però li hai convinti!

Non subito. Si preoccupavano del fatto che io fossi troppo “giovane” perché non avevo mai avuto un ruolo da protagonista, temevano che non fossi ancora pronto. Così l’ultimo provino è stato una vera e propria prova di forza, fisica e psicologica.

Sono tutto orecchie…

Un giovedì sera, alle 21, mi hanno convocato per fare il provino decisivo l’indomani sera. Al telefono mi spiegavano che il regista e la produzione erano già in Messico, perché le riprese erano già iniziate, e avrebbero seguito il mio provino via Skype. Avevo 24 ore per preparare delle scene di cui due nuove, mai provate, che mi avrebbero inviato di lì a poco. “Ah dimenticavo” mi dissero prima di chiudere “qualora la connessione Skype non funzionasse, domani stesso prenderai un aereo per il Messico e farai il provino lì”. Ero sotto shock. Mi giocavo il tutto per tutto in quelle 24 ore. Le due scene nuove sono arrivate alle 2 di notte. Non ho né dormito né mangiato per un giorno intero, ho continuato a studiare e provare ininterrottamente. 

©SkyTG24 – Giuseppe De Domenico sul set

E tutto questo stress non ha influito sul provino?

Sono arrivato stremato. Ho fatto 2 ore e 40 di provino, senza sosta, con una telecamera fissa davanti a me e Laura Muccino in videochiamata col regista che filmava a 30 centimetri dal viso. Ogni volta che finivo una scena mi dicevano “rifalla”.

Nessun cedimento quindi. Probabilmente la maggior parte di noi si sarebbe arrabbiata e avrebbe mandato tutto all’aria, o forse si sarebbe semplicemente arresa.

Dovevo dare tutto me stesso. Non c’era spazio per la stanchezza, per il nervosismo, per il timore del giudizio. Lì mi sono tornate utili tutte le ore formative di teatro, che mi aveva abituato a rifare più volte la stessa scena. Una carriera solida deve passare necessariamente dalla formazione continua, in qualunque ambito.

Hai condiviso il set con attori hollywoodiani. Che effetto ti ha fatto lavorare al loro fianco?

Iniziare le riprese a New Orleans, “a casa loro”, è stato parecchio stressante. Sapevo che avrei dovuto dare molto di più rispetto a quello che ero abituato a dare. Ho studiato e ristudiato ogni sceneggiatura. Provavo in continuazione i toni, i movimenti, le smorfie. Non ero mai sicuro che fosse abbastanza.

Frame tratto dal trailer della serie “ZeroZeroZero”

Durante le riprese, c’è stata qualche scena che ti ha portato al limite? Una difficoltà che non immaginavi, qualcosa che ti ha fatto dire “non ce la faccio”?

Ci sono stati tanti momenti difficili. Ma forse quello più emblematico è stata una scena in Marocco. Era una scena molto importante che mi richiedeva un grande sforzo emotivo e fisico. L’abbiamo girata per 19 ore consecutive. Alla fine, quando ormai ero con il medico che mi faceva le punture miorilassanti per via dei crampi che avevo, mi chiedono di fare un primo piano dell’apice della scena, assieme a Dane DeHaan. Sentivo addosso la responsabilità di non poter deludere un attore hollywoodiano del suo calibro, ma ero stremato. Quindi faccio questo primo piano dando tutto quello che avevo, cerco di spremermi fino all’osso. Una volta finito, il regista mi dice “Non va bene, era troppo. La dobbiamo rifare”. 

Immagino lo sconforto, la stanchezza.

In quel momento sono scoppiato a piangere, ho avuto un crollo emotivo. Mi sono seduto e continuavo a dirmi “non ce la faccio”. Avevo attorno a me il regista, produzione, truccatori. “Proprio ora vuoi mollare?” continuavano a ripetermi, ma io non li sentivo nemmeno. 

Frame tratto dal trailer della serie “ZeroZeroZero”

Ad un tratto passa Dane, incrociamo lo sguardo per una frazione di secondo, ed il suo sguardo non trasmetteva affatto compassione, tutt’altro! Era quasi scocciato della perdita di tempo. In quel momento, preso un po’ dalla rabbia, un po’ dall’orgoglio, ho capito che non potevo mollare, non volevo buttare tutto all’aria per qualche lacrima. Così mi sono alzato, ho rigirato la scena ma in una condizione psico-emotiva che non avevo mai sperimentato fino ad allora, perché avevo appena superato il mio limite. E alla fine, quel nuovo stato emotivo, si è rivelato essere perfetto per quella scena. Molto spesso, le risposte che cerchi sono solo un centimetro più in là rispetto a quello che è il tuo limite.

Credimi, sono emozionato. Non vedo l’ora di vedere questa scena, e ricordarmi che parlavi proprio di quella!

Anche io sono curioso di guardarla e di sapere da te e da tutto il pubblico se ha funzionato come credo. Le emozioni vanno vissute per poterle trasmettere davvero.

Antonio Nuccio

 

Si ringrazia il fotografo messinese Danilo Currò per la concessione delle foto d’autore.

“Tutto è possibile… basta crederci” – intervista a Fabio La Rosa e Titti Mazza

“Tutto è possibile… basta crederci” è lo spettacolo teatrale che andrà in scena sabato 15 giugno ’19 alle ore 21:00 presso il Palacultura a Messina.

Promosso dall’associazione culturale teatrale “I giovani di Pirandello”scritto da Titti Mazza con la regia di Fabio La  Rosa, terzo spettacolo nella loro collaborazione, è caratterizzato dall’integrazione spontanea e completa tra ragazzi diversamente abili, operatori del settore e studenti del Dipartimento Cospecs dell’Università di Messina.
Uno spettacolo fondato sul corpo che domina il palco, che affronta temi delicati, quasi denunciando una società assente e molto più apparente, ancora utopica ed anacronistica.
Noi di UVM abbiamo avuto il piacere di assistere alle prove e scambiare quattro chiacchiere con loro.

©GiuliaGreco, Fabio La Rosa e Titti Mazza – Messina, 2019

“I Naviganti” ed il diritto alla felicità, “La libertà di essere folle” ed a breve “tutto è possibile…basta crederci”: c’è un filo che lega le storie dei tre spettacoli?

Titti: In effetti si e riguarda la dignità della persona, quello che sente di essere e di voler dimostrare senza il timore del giudizio, del peso della società.

Fabio: Il filo conduttore sicuramente è il viaggio. Gli spettacoli sono frutto di un percorso laboratoriale, non si tratta di un semplice spettacolo ma viene applicato un metodo ben preciso per affrontare l’avventura che vivono i nostri attori e poter sfruttare la forza che accumulano nella loro vita quotidiana. È un viaggio emozionale, già i titoli possono suggerire il movimento che si crea attraverso la fantasia, le emozioni ed il tempo.

Bene avete così anticipato la mia prossima domanda: leggendo mi sono incuriosita del vostro modus operandi, in che consiste il teatro emozionale?

Fabio: il teatro emozionale è un percorso particolare che unisce gli aspetti tecnici del teatro e il mondo della psiche. Parte da Grotowski (Jerzy Grotowski – regista teatrale polacco ndr), il quale affermava che il teatro deve essere povero e spoglio di scenografie e costumi, dando spazio all’anima dell’attore e quindi proprio questo è il fulcro: che cos’ha l’attore come arma per poter arrivare al pubblico? L’emozione, e proprio questa è qualcosa che non si può non avere, perché si nasce con i sentimenti, e chiunque li ha. Automaticamente se si punta sulle emozioni nessuno ne è deficitario, non si può parlare più di disabilità, anzi in questo caso i ragazzi diventano guida per gli operatori del settore perché loro sono in grado di vivere le emozioni allo stato puro.

Come è nata la vostra collaborazione?

Titti: la nostra collaborazione è nata per caso, diciamo: io ero nella giuria di un percorso teatrale, e Fabio fece uno spettacolo. Quando lo vidi ne rimasi particolarmente impressionata perché si percepiva una persona con un animo forte e peculiare, sia dal punto di vista lavorativo che umano.

Qual è il riscontro che vedete da parte del pubblico? E qual è la risposta della società al vostro lavoro…

Fabio: Chi viene a vedere lo spettacolo è sempre poco rispetto alle nostre aspettative, e non perché siano alte ma perché, sfortunatamente, ci si è un po’ più abituati a criticare che a vedere ed osservare. Credo che queste siano realtà che bisogna necessariamente vedere perché è difficile spiegare a parole il percorso affrontato ed i risultati raggiunti, vederlo con i propri occhi sicuramente è più esaustivo, si parla sempre di emozioni ed ognuno ha la propria percezione. Quando si spengono le luci sul palco chi è venuto a vedere lo spettacolo, spesso ci dice che non si è accorto dove fosse la disabilità degli attori, il che significa che il percorso effettuato riesce ad arginare il disagio che viene additato ricoprendolo della dignità che merita.

©GiuliaGreco – Attori dello spettacolo “Tutto è possibile… basta crederci” , Messina, 2019

 

 

Giulia Greco