Anche in Italia le proteste contro il climate change: lancio di zuppa di verdura contro le opere d’arte

Imbrattare dipinti di fama globale per ribadire l’urgenza della crisi climatica è uno dei trend degli ultimi mesi. Monet, Van Gogh, Constable, Boccioni, Vermeer, Goya e molti altri celebri artisti, sono le vittime di attacchi da parte degli attivisti, per la difesa del clima e dell’ambiente.

Lo scorso 4 novembre, anche a Roma, alcuni militanti del movimento ecologista hanno imbrattato con una zuppa di verdura l’opera di Vincent Van Gogh “il seminatore”, durante una mostra a Palazzo Bonaparte. L’opera era fortunatamente coperta dal vetro, ma la possibilità di danni concreti era molto vicina. L’azione è stata portata avanti da tre esponenti del movimento “Ultima generazione”, costola italiana dell’organizzazione “Extinction Rebellion”, che ha già fatto dimostrazioni di questo tipo in altri musei esteri.

È una prassi che sembrerebbe rasentare il vandalismo. Ma contrariamente loro si ritengono “attivisti” più che “ambientalisti”. Credono che non si tratti di vandalismo, il loro è “un grido di allarme di cittadini disperati, che non vogliono andare incontro alla distruzione del pianeta e della propria vita”.

 

Ma chi sono questi attivisti, che “Vogliono con forza” raggiungere i loro obiettivi?

Sono giovani militanti provenienti dal “Just Stop Oil”, un gruppo ambientalista che protesta contro l’uso dei combustibili fossili, dal “Extinction Rebellion” e la sua divisione italiana “Ultima generazione”.

L’Extinction Rebellion è un movimento internazionale non violento fondato in Inghilterra, in risposta alla devastazione ecologica causata dalle attività umane. Si chiede disobbedienza civile non violenta, così che i governi possano invertire la rotta, per non giungere ad un disastro climatico ed ecologico. Chiedono verità sulla situazione, affinché “il governo dichiari l’emergenza climatica e ecologica”. Vogliono un’azione immediata, che porti “al blocco della distruzione degli ecosistemi e della biodiversità e si portino allo zero netto le emissioni di gas serra entro il 2025”. Infine sperano di andare oltre la politica, affinché “il governo costituisca e sia guidato dalle decisioni di un’assemblea di cittadini/e sulle misure da attuare e sulla giustizia climatica ed ecologica”.

Le azioni dimostrative di questi gruppi sono iniziate lo scorso 29 maggio. Quando, al Louvre di Parigi, alcuni giovani attivisti al grido “Salviamo il Pianeta” hanno lanciato una torta sulla “Gioconda” di Leonardo Da Vinci.

Militanti ecologisti alla National Gallery di Londra, fonte: Corriere della Sera

Nei mesi successivi militanti del gruppo “Just Stop Oil” hanno preso di mira una serie di musei inglesi. Il 14 ottobre sono stati lanciati due barattoli di zuppa al pomodoro sul capolavoro di Van Gogh “i girasoli”, in mostra alla National Gallery di Londra. Dieci giorni dopo, sostenitori dello stesso gruppo, hanno lanciato una fetta di torta contro “la statua di cera di Re Carlo d’Inghilterra”, al museo Madame Tussauds, per chiedere al governo britannico di fermare “tutte le nuove licenze e permessi di petrolio e gas”.

In Germania, attivisti di Ultima generazione hanno imbrattato “il pagliaio” di Monet al Museo Barberini di Postdam, lanciando contro purè di patate. Inoltre, è stato colpito il capolavoro di Vermeer “la ragazza con l’orecchino di perla” esposta all’Aja.
Negli ultimi giorni in Spagna, al Museo Nazionale del Prado di Madrid, degli attivisti di “Futuro Vegetal”, si sono incollati alle cornici dei due dipinti, “Maja desnuda e la Maja vestida”, di Francisco Goya contro l’emergenza climatica.

In Italia durante i mesi estivi sono stati molti i movimenti di protesta da parte degli attivisti su questi temi. Ma quello che più colpisce la nostra attenzione è quanto accaduto a Roma, durante la mostra su Van Gogh a Palazzo Bonaparte, dove ad essere imbrattata è stata l’affascinante opera “il seminatore”.

Dal grido delle attiviste, alla denuncia da parte del ministro della Cultura 

“Siamo in un momento storico in cui la siccità prolungata, le catastrofi, le alluvioni stanno distruggendo i nostri raccolti. Questo significa che il cibo verrà a mancare nelle nostre tavole e sta già mancando adesso

Fonte: artemagazine

Queste le parole della portavoce delle attiviste davanti al quadro di Van Gogh, subito dopo averlo imbrattato ed essersi attaccate con una mano.
Le reazione degli altri visitatori non sono state positive. Pieni di rabbia per l’atto alla quale avevano appena assistito, hanno iniziato ad inveire contro le attiviste con frasi colme di rabbia come  “La smettiamo con questa storia? ma vergognatevi, BASTA!”.
Ma le ragazze non si sono fatte intimidire, con tono forte e deciso hanno continuato a gridare 

“Siete arrabbiati perché abbiamo sporcato un vetro che domani sarà pulito ma tra qualche anno i vostri figli non potranno più mangiare. Dovremmo esplodere di rabbia perché rischiamo un futuro di morte, guerra e fame: dovreste essere arrabbiati per questo e non per questa stupidaggine. Se vogliamo proteggere l’arte dovremmo proteggere le nostre vite e il nostro futuro!”.

I carabinieri hanno identificato subito le giovani, che probabilmente sono state denunciate. All’Ansa Iole Siena, presidente e amministratrice delegata di Arthemisa società che ha prodotto e organizzato la mostra, ha dichiarato “mi aspettavo accadesse ciò da prima dell’apertura”. Infatti, fin da subito molte sono state le riunioni con i carabinieri e responsabili del museo, per prevenire ciò. “Avevamo anche identificato quali opere avrebbero potuto colpire -spiega Iole Siena- il seminatore era ovviamente tra queste”.
Al quadro sembrerebbe non esser successo niente, ma l’amministratrice condanna “con massima severità” queste azioni dimostrative. Le ritiene un gesto inutile, un’azione troppo genericagesti plateali fini a se stessi e “dannosi nell’immaginario collettivo”.

Anche il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, è giunto a Palazzo Bonaparte, poiché ha ritenuto questo come un atto da scongiurare nel modo più fermo e immediato possibile.

Le dichiarazioni di Sangiuliano a Palazzo Bonaparte, fonte: il Messaggero

Attaccare l’arte è un atto ignobile che va fermamente condannato. La cultura che è alla base della nostra identità, va difesa e protetta, non certo utilizzata come megafono per altre forme di protesta”.

Siamo in un paese democratico che ovviamente rende libere tutte le forme di protesta. “ Il nostro patrimonio culturale va tutelato –afferma il ministro– proprio dalle conseguenze del cambiamento climatico. Per questo sono tante altre le modalità per esprimere la propria sensibilità verso l’ambiente”. Ricorda Sangiuliano che “i reati contro i beni culturali sono puniti gravemente e che gli autori sono perseguibili penalmente”.

Perché questi atti si sono intensificati ultimamente?

I giovani attivisti  hanno trovato una forma insolita e controversa per sensibilizzare sul tema, contro l’immobilismo dei governi. Tutti gli incidenti sembrerebbero non aver mai portato a dei gravi danni alle opere, in quanto protette da vetri blindati che preservano i capolavori da qualsiasi danneggiamento. Ma davvero solo così riusciranno a raggiungere i loro obiettivi, mettendo a rischio capolavori inestimabili?
Sembrerebbe che le proteste si siano intensificate negli ultimi tempi, poiché proprio dal 6 novembre a Sharm el-Sheikh è iniziata la ventisettesima conferenza Onu sul clima. Il vertice vede la partecipazione di novanta capi di Stato e di governo da tutto il mondo, che si consulteranno fino al prossimo 18 novembre. Un momento molto atteso dagli attivisti, poiché verranno annunciate le nuove politiche di contrasto al “climate change”. Queste nuove scelte placheranno i loro animi? Staremo a vedere!

           Marta Ferrato

Spagna: approvata la nuova legge contro i Pro Vita: sarà reato minacciare o intimidire chi sceglie di abortire

Il Senato spagnolo ha approvato la modifica del Codice penale: sarà considerato reato intralciare o intimidire chi ricorrerà all’aborto.

L’aborto in Spagna -Fonte:favacarpediem.wordpress.com

La legge, promossa dal Premier del Partito Socialista Pedro Sanchez e già approvata dalla Camera, ha ricevuto il voto favorevole del Senato mercoledì 6 aprile. Con la sua ufficiale entrata in vigore sarà qualificato come reato il tentativo di importunare o intimidire una donna che si reca in una struttura sanitaria per abortire.

La legislazione spagnola: ecco cosa ha previsto negli anni

Il diritto all’aborto è stato riconosciuto, e dunque depenalizzato, nel 1985. Fino ad allora in Spagna era considerato reato qualsiasi interruzione della gravidanza anche per stupro, malformazione fetale e grave rischio per la donna. Con il suo riconoscimento è stato fatto un importante e decisivo passo in avanti nella garanzia della salute e del benessere delle donne nonché ovviamente la loro autodeterminazione.

La piena legalizzazione del ricorso a tale pratica, fino alla quattordicesima settimana di gestazione ma in alcuni casi specifici anche fino alla ventiduesima, è stata legittimata però solamente nel 2010.

Fumetto pro aborto -Fonte:corrieredibologna,corriere.it

La forte tradizione cattolica del Paese ha fatto sì che le donne incontrino spesso numerosi ostacoli qualora scelgano di ricorrere a tale soluzione. Ostacoli posti anche dai numerosi movimenti “anti-scelta” e dall’elevato numero di medici obiettori di coscienza.

Uno studio dell’Associazione spagnola delle cliniche autorizzate per l’interruzione della gravidanza (ACAI) ha visto una percentuale sempre maggiore delle donne vittime dei sostenitori dei diritti riproduttivi. L’indagine ha portato che circa l’89% di esse è stata soggetta a molestie mentre si dirigeva in clinica, mentre il 69% ha subito intimidazioni.

Tali gruppi si riuniscono fuori dalle cliniche dove si praticano aborti per cercare di convincere le donne a non entrarvi.

La modifica del Codice penale

La modifica apportata al Codice penale pone sanzioni penali a coloro che

“Al fine di ostacolare l’esercizio del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza mettano in pratica contro una donna atti molesti, offensivi, intimidatori o coercitivi che ledano la sua libertà.”

Legge spagnola pro aborto -Fonte:luce.lanazione.it

La pena prevede la reclusione da tre mesi a un anno o una sanzione alternativa in lavori di pubblica utilità che va dai 31 agli 80 giorni.

Tale normativa sarà applicata anche a coloro che intimidiscono gli operatori sanitari che lavorano nelle strutture dove si eseguono aborti. Si eviterà inoltre la diffusione di slogan, cartelli o le orazioni di chi si rivolge direttamente alle donne con piccoli feti di plastica o turbandole facendole ascoltare attraverso un monitor battiti del cuore del feto.

La protesta degli attivisti anti-aborto

La radunanza in piazza avvenuta mercoledì 6 aprile ha visto come protagonisti un gruppo di attivisti pronti a difendere la “criminalità” delle loro azioni. Con cartelloni e piccoli feti di plastica si sono presentati davanti al Senato spagnolo protestando contro le misure prese.

Secondo quanto fatto sapere sulla piattaforma Right to Live, il gruppo continuerà a “pregare ed a offrire aiuto a tutte quelle donne che ne hanno bisogno in modo che possano capire che l’aborto non è l’unica soluzione.”

Aborto, diritto di scelta -Fonte:lavocedellelotte.it

Non sono mancate, nelle ultime settimane, numerose proteste contro l’aborto in tutto il territorio spagnolo. Striscioni sono comparsi anche a Madrid dove hanno marciato per le strade della capitale fino a giungere a Plaza de Cibeles. A manifestare, secondo le indagini dell’associazione “Si alla vita” che ha organizzato la protesta, erano in 20 mila e urlavano contro il diritto a interrompere la gravidanza.

… e in Italia?

Nel quadro sconfortante di molti Paesi in cui è prassi fare i conti con militanti anti- scelta, non c’è da sentirsi più di tanto fortunati nel territorio italiano. Sebbene sia raro essere vittime di ostacoli fisici presso cliniche e ospedali che garantiscano il diritto d’aborto, chi vuole accedervi non è esente da percorsi di paternalismo.

È compito dello Stato proteggere il diritto all’aborto se è costantemente minacciato e giudicato immorale, rispettando così tutte le posizioni. Il tabù che ancora marchia tale diritto in Italia rende ancora più difficile tutelarlo.

Legge 194/78 -Fonte:ingenere.it

Nonostante la regolamentazione presente alla Legge 194/78, una donna che decide di accedere ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza (IVG) ha, quasi sette possibilità su dieci (67%) di vedersi negato da un ginecologo tale accesso. Ciò in virtù del diritto all’obiezione di coscienza individuale riconosciuto dall’art. 9 della legge 194/1978 che ha contestualmente sancito la non punibilità delle IVG.

Se in Spagna è bastata una legge, nel Bel Paese sarebbe necessario lo smantellamento dell’intera sanità pubblica, nonché la disintossicazione dalle colpe provenienti dal Vaticano.

Il tema delle interruzioni volontarie di gravidanza riaffiora sempre per il continuo rimodellamento legislativo e trasversale che attraversa tutto il globo. La decriminalizzazione dell’aborto, non lo ha contestualmente trasformato in un diritto della donna, bensì ha mantenuto come perno una sorta di divieto morale di abortire. Ecco che l’Italia si inserisce in un contesto europeo ove le leggi sulle interruzioni di gravidanza sono costruite per “casistiche” e “circostanze” entro cui è permesso abortire. Vengono riconosciute come circostanze legittime i casi in cui la prosecuzione della gravidanza comporti un serio pericolo per la salute fisica o psichica. Meno agevole invece se una donna scelga, entro le prime 12 settimane di gestazione, di interrompere la gravidanza perché semplicemente non convinta e per il sussistere di ragioni personali non rientranti in casistiche predeterminate.

A detta di molti giuristi però, sebbene la Legge 194 non abbia fatto dell’aborto un diritto, il suo riconoscimento quale livello esseniale di assistenza (LEA) permette di parlare di “diritto all’aborto” anche in Italia.

La criminalizzazione dell’aborto nel mondo

È chiaro che l’enorme politicizzazione dell’argomento, per motivi etici e/o religiosi, e le conseguenti negazioni del suo riconoscimento hanno portato in giro per il mondo al triste giro dell’aborto clandestino.

UNFPA -Fonte:dailytrendznews.it

I dati recenti raccolti dal UNFPA, Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, ha constatato che il 45% degli aborti praticati a livello internazionale sono clandestini. Un dato che vede coinvolta anche l’Italia, dove però ancora si sostiene che tale fenomeno si sia estinto negli anni ’70.

Per venire incontro ai bisogni di milioni di donne abbandonate dalle istituzioni sono stati fondati numerosi enti privati. Ad esempio, solo nel nostro Paese nell’ultimo anno circa 473 donne si sono rivolte a “Women on Web”, un’associazione canadese senza scopo di lucro che aiuta le donne ad accedere ai servizi di IVG. quando le circostanze esterne non lo permettono, cercando di ridurre sempre più il fenomeno dell’aborto clandestino che si credeva estinto negli anni 70.

Giovanna Sgarlata

 

Patrick Zaki, rinnovata la detenzione per altri 45 giorni

Patrick Zaki è un attivista e ricercatore egiziano di 27 anni, che è stato arrestato al suo arrivo in Egitto il 7 febbraio 2020.

L’accusa consiste in reati di opinione, “incitamento alla protesta” e “istigazione a crimini terroristici”.

Il ragazzo è di origini egiziane e frequentava l’Università di Bologna finchè lo scorso febbraio non torna in Egitto.
Doveva trascorrere una breve vacanza con i suoi familiari ma una volta atterrato è stato sottoposto ad un lungo interrogatorio di 17 ore.

I suoi avvocati hanno riferito ad Amnesty International che gli agenti della NSA (Agenzia di sicurezza nazionale) che durante l’interrogatorio hanno bendato e ammanettato il ragazzo.
Inoltre vengono riferite altre torture quali uso di scosse elettriche; il ragazzo è anche stato picchiato sulla pancia e sulla schiena.

Le domande dell’interrogatorio vertevano sulle sue attività da attivista e sul suo motivo di residenza in Italia.

L’oggetto su cui si basa l’accusa sarebbe un profilo Facebook contenente dieci post di “incitamento alla protesta”, considerato però falso dagli avvocati di Patrick Zaki.

Patrick adesso si trova in detenzione preventiva dal 7 febbraio e fino a data da destinarsi.

Dopo numerosi rinvii, domenica scorsa, il 12 luglio, si è tenuta la prima udienza del processo.
Tuttavia, anche se gli avvocati del ragazzo hanno presentato le ragioni per cui si chiede la scarcerazione, il giudice ha deciso di prolungare la detenzione preventiva per altri 45 giorni.

Ci troviamo davanti ad un fenomeno tutto egiziano già denunciato e portato sotto l’occhio mediatico per il caso Giulio Regeni.
Anche Regeni era un dottorando, rapito il 25 gennaio 2016.
Il 3 febbraio successivo venne ritrovato senza vita e la narrazione dei fatti riporta controversie simili in quanto ad accuse.

L’Agenzia per la sicurezza nazionale in Egitto è responsabile di rapimenti, torture e sparizioni con lo scopo propagandistico di impaurire gli oppositori e reprimere il dissenso.

Amnesty International ha stilato un rapporto dal titolo “Egitto: ‘Tu ufficialmente non esisti’. Sparizioni forzate e torture in nome del contrasto al terrorismo“ nel quale analizza il fenomeno.
Sono molti infatti i casi di sparizioni improvvise e torture di studenti, attivisti politici e manifestanti.

Lo scorso 4 luglio Patrick ha mandato una lettera ai familiari, nella quale afferma:

“Cari, sono in buona salute, spero che anche voi siate al sicuro e stiate bene. Famiglia, amici, amici di lavoro e dell’università di Bologna, mi mancate tanto, più di quanto io possa esprimere in poche parole

Tuttavia il rinnovo della detenzione ad ulteriori 45 giorni fa preoccupare. Intanto crescono le polemiche, anche in seguito alla liberazione di Mohamed Amashah, un ragazzo con doppia cittadinanza, americana ed egiziana.
Questi infatti era finito in carcere dopo aver esposto un cartello in piazza Tahir, con la scritta “Libertà per tutti i prigionieri politici”.
Il rilascio è avvenuto solo grazie alle numerose pressioni del governo Trump e adesso si è discusso sulla necessità di un’azione simile da parte del Governo italiano.

Angela Cucinotta