Tempeste geomagnetiche: il sistema Sole-Terra tra incanto e tragedia.

Il sistema che porta alla formazione di una tempesta geomagnetica è ricco di dettagli e, con essi, si realizzano alcuni dei fenomeni di cui sempre più spesso sentiamo discutere.

La scoperta da cui tutto prende forma

Secondo alcuni studiosi, una delle caratteristiche peculiari del Sole è il suo campo magnetico, il denominatore comune di molti degli eventi riguardanti la sua attività.
Fu George Hale, nei primi del Novecento, a comprenderne per la prima volta l’esistenza. Egli osservò che il Sole era permeato a tutte le scale da tale campo e che la sua manifestazione più evidente risiedeva nelle macchie solari. Esse erano note per la loro forte attività magnetica e per la diversa emissività termica rispetto alle regioni che le circondano, giungendo alla conclusione che il Sole fosse una stella magnetica
È l’osservazione delle macchie solari che permette di fare previsioni sull’arrivo o meno di una tempesta geomagnetica.

Fonte: conoscenzalconfine.it

Cos’è una macchia solare?

Le macchie solari sono gigantesche strutture magnetiche che appaiono sul disco solare come regioni scure. La loro costituzione è molto particolare.
La parte più interna e più scura è caratterizzata da temperature più basse rispetto a quelle raggiunte nelle regioni più esterne che risultano essere più luminose (6000 K).  Sono varie le situazioni a cui il campo può essere soggetto. Ad esempio, in alcuni casi potrebbe essere influenzato da accumuli di plasma caldo che prendono il nome di “light bridges”, e che si pensa rappresentino segnali di decadimento della macchia. E ancora, potremmo osservare intrusioni di “umbral dots”, anche questi luoghi dove il plasma emerge per poi ricadere in basso.

Il Sole: una fonte di variabilità

Il moto del Sole attorno al suo asse di rotazione non è uniforme. Conosce diverse velocità a seconda di quale punto si consideri. Questo fa sì che il campo magnetico si avvolga con più rapidità attorno all’equatore, raggiungendo un momento in cui, per la forte intensità, il plasma che lo circonda viene “espulso”, formando così una sotto-densità. Il plasma in questa zona avrà una densità più bassa di quello che la ricopre: esso galleggerà sino alla fotosfera. È qui che creerà le macchie solari. Le variazioni che coinvolgono il campo magnetico solare si ripercuotono sull’intero sistema, il quale lega ciò che avviene sul Sole a ciò che potrebbe avvenire sulla Terra.

 

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Fonte: focus.it

Oltre le macchie solari: altri cambiamenti osservati

Ulteriore conseguenza delle variazioni è osservabile nella forma della corona solare, che passa dall’essere regolare nei periodi di minima attività solare, all’essere irregolare e abbastanza estesa in quelli di massima. Questa  instabilità porta al rilascio di grandi quantità di energia. È ciò che avviene attraverso i “flares” (brillamenti), seguiti da un eventuale espulsione della massa coronale nello spazio interplanetario.
Questo evento avviene durante un massimo solare, e in prossimità delle macchie solari. Un ciclo solare comincia con un numero minimo di macchie, che aumenteranno sino al massimo, per poi ridiminuire.
Se teniamo conto del numero delle macchie presenti possiamo comprendere quanto sia possibile che si realizzi una nuova espulsione.

 

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Fonte: kasi.re.kr 
Fonte:blueplanetheart.it

Verso la formazione della tempesta geomagnetica

Il flusso di particelle cariche prodotto dal Sole (“vento solare”)  riesce ad annullare la “schermata” magnetica della Terra. Penetra nell’atmosfera terrestre e si producono le GIC, le correnti elettriche indotte geomagneticamente.
Queste fluiranno nelle zone con conducibilità elevata e ad alta latitudine.
Ma le conseguenze di una tempesta geomagnetica potrebbero essere talmente dannose che anche i Paesi localizzati a latitudini medio-basse hanno ormai iniziato a seguire gli studi in merito.

Fonte: geoscienze.blogspot.com

Gli impatti sulla natura e sulla quotidianità

L’impatto che la tempesta geomagnetica può avere su alcuni animali interessa il loro senso dell’orientamento.
Lo scorso 19 giugno è stata osservata la scomparsa di alcune centinaia di Columbidi dal Sud del Galles e dal Nord-Est dell’Inghilterra. Non sono mancati coloro che hanno ricondotto tale fenomeno a una tempesta geomagnetica.
Una situazione simile si ebbe nel 2015, quando due tempeste disorientarono alcuni cetacei del Mare del Nord, facendoli arenare.

Recente è poi la notizia di una tempesta abbattutasi sull’America Latina lo scorso 29 ottobre, causando un potente black-out radio. Per il giorno seguente era stata annunciata la cosiddetta “tempesta di Halloween”, che si sarebbe abbattuta sull’Europa alla velocità di 1.260 km/s.

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Fonte: meteoweb.eu

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Fonte: meteo.com

Le grandi tempeste geomagnetiche del passato

Nel 1859 la tempesta di Carrington portò a un guasto dei telegrafi durato 14 ore e alla produzione di un’aurora boreale che fu visibile in aree inusuali, come a Roma e a Cuba.
Altra tempesta molto forte fu quella del 1989, in Québec: la popolazione restò al buio per giorni.
Ancora, nella notte tra il 18 e il 19 settembre 1941, si registrò una delle tempeste geomagnetiche più violente a basse latitudini. Nel clima teso della Seconda Guerra Mondiale, in cielo apparvero aurore in diversi luoghi del mondo. Molte navi, illuminate dalle aurore, furono scoperte, e si pensa che per tale motivo un sommergibile tedesco riuscì ad affondare la nave canadese SC44 Corvette HMC Levis.

 

Riproduzione artistica delle macchie solari sull’Illinois State Journal,21 settembre 1941. Fonte: blueplanetheart.it

L’aurora boreale

L’ aurora boreale, australe o polare,  è un fenomeno ottico dell’atmosfera terrestre. Esso è caratterizzato principalmente da bande luminose di diverse forme e colori rapidamente mutevoli, che suscitano nello spettatore stupore e meraviglia. Si formano dall’interazione tra le particelle cariche di origine solare con gli strati più esterni dell’atmosfera; una tempesta geomagnetica rappresenta quindi il momento perfetto per la loro comparsa.
Alcuni studiosi pensano che proprio la presenza di un’aurora boreale sia stato uno dei motivi per cui il Titanic affondò.

«Non c’era la Luna, ma l’aurora boreale risplendeva come raggi lunari sparati all’impazzata dall’orizzonte settentrionale»

Queste furono le parole scritte da James Bisset, ufficiale della RMS Carpathia, una delle navi giunte in aiuto.
La ricercatrice Mila Zinkova  ritiene inoltre che la tempesta di cui si discute potrebbe aver interferito con la bussola della nave.

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Fonte: viagginews.com

Conclusioni

Oggi si sta provando ad approfondire il più possibile le dinamiche delle tempeste geomagnetiche, a tutte le latitudini. Si sta capendo come a esserne coinvolto sia tutto il mondo. Studiarne più a fondo gli effetti rappresenta il solo modo per proteggere la Terra.

 

Giada Gangemi

Andromeda e la Via Lattea iniziano a sfiorarsi in vista del loro futuro scontro

Le galassie rappresentano il cuore del nostro Universo. Si tratta di enormi conglomerati di stelle e materia interstellare. La loro vita è segnata da turbolenti moti intestini e continui scontri con altre simili. Ciò le porta ad accrescere le loro dimensioni. La collisione, infatti, le spinge a riassemblarsi in ammassi celesti nuovi. È il caso della nostra stessa galassia, la Via Lattea, che è destinata a scontrarsi con la vicina Andromeda e, forse, la loro collisione è già iniziata.

Conosciamo meglio la Via Lattea, la nostra casa

Oggi sappiamo che la Via Lattea è solo una delle tante galassie che popolano l’Universo.

È soggetta a due moti: uno rotatorio su se stessa, compiendo un giro completo in circa 2,4×108 anni (si tratta di una rotazione differenziale: le stelle interne, cioè, ruotano più velocemente di quelle esterne); uno rispetto all’Universo in espansione, alla velocità di due milioni di chilometri orari.

Stimiamo che la Via Lattea abbia una forma a disco schiacciato che raggiunge il massimo spessore al centro diminuendo nella periferia. La nostra galassia, quindi, vista da fuori e da una posizione di taglio (edge on), risulta piatta e allungata, a parte un rigonfiamento centrale. Vista di fronte, invece, assume la forma di una grande spirale.

Il centro della Via Lattea dista da noi circa 25800 anni luce. La zona centrale è occupata da un buco nero super massiccio chiamato “Sagittarius A star” e indicato con SgrA*. Si tratta di una sorgente di onde radio compatta e luminosa. Sagittarius A* avrebbe una massa di circa 4 milioni di volte quella del Sole. Trovandosi, inoltre, nel centro della nostra galassia, rappresenterebbe il fulcro attorno cui le stelle della Via Lattea, compresa la nostra, compiono il loro moto di rivoluzione.

La Via Lattea, vista in posizione di taglio e frontalmente – Fonte: AstronomiAmo

Andromeda: una vicina particolare

Andromeda è, per noi terrestri, una galassia speciale. Si tratta, infatti, dell’oggetto celeste più lontano visibile ad occhio nudo; in nessun altro punto del cielo il nostro sguardo, privato di strumenti, penetra così in profondità.

Andromeda vista dalla terra. Si può notare, anche a così grande distanza, la sua forma ellittica – Fonte: Media INAF

La vera natura di Andromeda è stata scoperta in tempi recenti, con la nascita, cioè, di telescopi che permettessero di studiarne forma, dimensioni e movimento. Sappiamo oggi che la nostra vicina è un maestoso sistema in rotazione.

Il suo diametro è stimato in circa 160.000 anni luce e contiene dai 200 ai 300 miliardi di stelle. Andromeda è, quindi, più grande della Via Lattea: si tratta, infatti, della galassia più importante del cosiddetto Gruppo Locale, l’ ammasso di sistemi di stelle (più di 70) comprendete anche la nostra.

Andromeda e le sue galassie satelliti – Fonte: Gruppo Astrofili di Piacenza

La distanza tra la nostra galassia e Andromeda è, in realtà, notevole. La luce che da essa arriva sulla Terra è partita circa 2.300.000 anni fa, un’epoca in cui il nostro pianeta aveva un aspetto differente da quello odierno. Si tratta del periodo in cui ebbe inizio l’Età della Pietra. L’intelligenza dei nostri antenati cominciava, allora, ad affermarsi. Tutta la storia dell’uomo si è svolta in questo intervallo di tempo.

Il misterioso alone che circonda Andromeda

La Via Lattea e Andromeda si stanno avvicinando sempre di più. Si stima che si scontreranno tra circa 4 miliardi di anni, ma si stanno già sfiorando. Ne sono la prova gli immensi aloni di gas che si estendono per circa 1,5 milioni di anni luce attorno ad Andromeda. Questo ambiente si studia sfruttando la luce dei quasar. Si tratta di sorgenti lontanissime che presentano righe spettrali spostate verso il rosso, ciò le rende facilmente distinguibile dalle altre.

Gli studi si stanno concentrando sulla composizione dell’alone, poiché conserva memoria degli eventi passati, oltre a essere il serbatoio da cui attingere il gas che formerà le future stelle.

“Comprendere gli enormi aloni di gas che circondano le galassie è immensamente importante”, ha spiegato Samantha Berek della Yale University di New Haven. “Questo serbatoio di gas contiene carburante per la futura formazione stellare all’interno della galassia, oltre a deflussi di eventi come le supernove. È pieno di indizi riguardanti l’evoluzione passata e futura della galassia, e siamo finalmente in grado di studiarla in grande dettaglio nel nostro vicino galattico più vicino”.

È emerso che il guscio più interno dell’alone si estende per circa mezzo milione di anni luce, popolato da ammassi globulari, galassie nane, satelliti e stelle isolate. Il guscio esterno è più esteso, rarefatto e caldo.

Poiché viviamo all’interno della Via Lattea, gli scienziati non sono in grado di osservarne l’alone. Credono, tuttavia, sia simile a quello di Andromeda visto che lo sono anche le due galassie.

Il “non scontro”

Inizierà, al momento dell’urto, una tumultuosa fase di fusione da cui nascerà una grande galassia ellittica. Si chiamerà Milkomeda, un mix tra Milky Way e Andromeda. L’evento non darà luogo a scontri frontali tra stelle ma sarà caratterizzato da incontri ravvicinati gradualmente più vicini fino alla fusione dei nuclei.

Anche se non ci saranno urti, l’evento non sarà privo di rischi, a causa delle forze gravitazionali in gioco e del buco nero super massiccio al centro delle galassie. La loro interazione potrebbe far espellere interi sistemi stellari nello spazio profondo.

Una rappresentazione artistica di come potrebbe apparire la progressiva fusione tra Andromeda e la Via Lattea a un ipotetico osservatore in grado di sopravvivere per molti miliardi di anni, cioè il tempo necessario perché si plachino le turbolenze della collisione ed emerga il risultato finale: una gigantesca galassia ellittica – Fonte: NASA, ESA, Z. Levay, R. van der Marel, T. Hallas, A. Mellinger

Immaginare questo scontro ci proietta in un domani incerto, in cui la sicurezza data dal guardare vicino ci abbandona. I moti galattici sono così potenti e maestosi da lasciarci stupiti. Seppur difficile da vedere, però, il loro caotico movimento sottende un ordine. È lo stesso che ritroviamo nel Sistema Solare o nel moto dei satelliti attorno al loro pianeta, una danza rotazionale in cui ogni corpo è mosso.

Quell’interruzione che lo scontro tra questi due giganti celesti pare portare farà nascere un nuovo caotico ordine.

Alessia Sturniolo

Argimusco: un posto magico immerso nella natura

Oggigiorno la natura è sinonimo di tranquillità e riflessione. A quanti di noi capita di voler staccare dallo stress quotidiano, magari con una passeggiata all’aria aperta? Fortunatamente, riscoprire il legame con flora e fauna – nonché il dovuto rispetto da portare ad entrambe – è alla portata di tutti.

Ma possiamo affermate di conoscere le bellezze naturali che ci circondano? 

Argimusco: una mistica esperienza nel bel mezzo della Sicilia

A pochi minuti di strada dal Comune di Montalbano Elicona, tra una provola fresca ed una ricotta infornata, si stende l’altopiano dell’Argimusco. Il viaggiatore che vi si reca troverà un cancello di legno, solido e curato, con un’indicazione che, riassunta, dice: “Benvenuto, questo è l’ingresso dell’Argimusco, sei libero di entrare, ricorda solo di rispettarlo e non di sporcare nulla“. Questa frase non fa altro che ricordare all’uomo che egli è parte della natura, e, come tale, avrebbe il dovere di non distruggerla. Ma queste poche parole sintetizzano anche le sensazioni che il viaggiatore proverà dopo una giornata passata in quel posto magico: accoglienza, bellezza, serenità.

Megalite colossale nella piana dell’Argimusco – © Salvatore Nucera 

Il sito dell’Argimusco è famoso per i megaliti dalle forme animalesche ed antropomorfe, che si stagliano per tutta la sua superficie. Sarà per questo che il nome “Argimusco” potrebbe derivare dalle parole arabe hagar (da leggere asgiar), ossia “roccia”, e mistah, “pianura”. Hagar mistah sarebbe poi stato latinizzato dai bardi medioevali in Argimustus. Non mancano però altre teorie, per cui il curioso nome potrebbe derivare dal greco arghimoschion, ossia “altopiano delle grandi propaggini”, o dal latino agrimuscus, “campo di muschio”.

A prescindere dall’origine del nome, è certo che il luogo fosse frequentato sin dai tempi antichi. Esso è infatti ritenuto d’importanza strategica per vari studi astronomici e per il riconoscimento delle stagioni, da sempre importantissimo per i cicli di coltivazione agricola.

Prospetto megalitico, la donna orante – © Salvatore Nucera

I megaliti ed il paesaggio. L’Etna ed il Bosco di Malabotta.

Tra le varie formazioni rocciose, due delle più suggestive sono quella della donna orante e dell’aquila, forse ricollegata all’omonoma costellazione. Secondo la tradizione, Re Federico III d’Aragona avrebbe incaricato il medico alchimista Arnaldo da Villanova (1240-1313) di realizzare una grande opera di medicina astrale; questo spiegherebbe le curiose forme dei megaliti. Più verosimilmente, l’Argimusco è stato un luogo di passaggio utilizzato dai sovrani di Sicilia, ma anche da altre civiltà del passato, per collegare la sponda Tirrenica con quella ionica.

Prospetto megalitico, l’elefantino – © Salvatore Nucera
Prospetto megalitico, l’aquila – © Salvatore Nucera

È proprio l’ampia vista, di cui si gode dalla cima dell’altura, che permette di scrutare una vasta porzione della Sicilia nord-orientale, ricomprendente tanto l’orizzonte marino con le Isole Eolie, quanto il monte dell’Etna, che d’inverno appare tipicamente innevato. Infine il viaggiatore, dopo aver apprezzato una rapida escursione nel vicino bosco di Malabotta, potrà riposare nella vicina Montalbano, Comune spesosi negli anni per promuovere la bellezza di questi territori.

Montalbano Elicona, Chiesa di San Domenico, Santuario di Maria SS. della provvidenza – © Salvatore Nucera

In questo tripudio di sensazioni, assume una valenza centrale il rapporto tra i vari elementi naturali, favorita dalla personificazione della nuda roccia, quasi a volerci ricordare che siamo un tutt’uno con la Terra. Una giovane amicizia, che dura da circa 2 milioni di anni.

 

Salvatore Nucera

 

Immagine in evidenza: Prospetto megalitico, la vasca sacra – © Salvatore Nucera

Per approfondire:

Orlando A., Argimusco: Cartography, Archaeology and Astronomy, The Light, The Stones and The Sacred, 2017, p.123-155

A Montalbano Elicona: https://amontalbanoelicona.it/le-nostre-tradizioni/argimusco/

 

 

Interstellar: un viaggio nello spazio tempo, tra fisica e fantascienza

L’amore per la fisica di Nolan ritorna con Interstellar. Ma avrà commesso errori scientifici anche questa volta?

Christopher Nolan, lo sappiamo, nella fisica ci sguazza. E con Interstellar è voluto andare oltre. Si, perché ha coinvolto addirittura Kip Thorne, premio Nobel per la fisica nel 2017 per la scoperta delle onde gravitazionali. Quindi sarà fisicamente perfetto, direte voi… Non esattamente, perché, in genere, dove comincia Hollywood si ferma la fisica.

Siamo sulla Terra, dove una calamità naturale ha stravolto l’ecosistema, tanto da permettere come unica coltivazione quella del mais, mettendo così a rischio la sopravvivenza del genere umano. La NASA ha riscontrato vicino all’orbita di Saturno un cunicolo spazio-temporale, il cosiddetto wormhole, che si pensa sia stato creato da esseri penta-dimensionali. Esso, teoricamente, conduce da tutt’altra parte dell’Universo, precisamente vicino ad un gigantesco buco nero, Gargantua, attorno a cui orbitano ben dodici pianeti, che si spera possano ospitare la vita. La NASA decide così di inviare, nella missione spaziale Lazarus, dodici scienziati, uno per pianeta, per riportare dati sulla loro abitabilità.

Il protagonista è Joseph Cooper (Matthew McConaughey), ingegnere ed ex pilota della NASA, ridottosi a gestire delle piantagioni di mais. Durante una tempesta di sabbia, Cooper nota sul pavimento della camera di sua figlia Murph delle strisce di sabbia ben definite. Egli intuisce subito che si tratta di un codice binario che cela delle coordinate geografiche. Seguendo queste indicazioni giunge, insieme alla figlia dodicenne, ad una base NASA, dove il professor Brand gli mostra i dati ricevuti dagli scienziati della missione Lazarus, iniziata più di dieci anni prima. Cooper, nonostante le resistenze di Murph, parte quindi in missione per verificare la vivibilità di tre dei dodici pianeti.

Tutto il film si basa sull’esistenza del wormhole. Ma che cos’è, in fisica, un wormhole?

Il wormhole Lorentziano, o ponte di Einstein-Rosen, è una scorciatoia, un cunicolo, che per l’appunto squarcia lo spazio-tempo e unisce due punti remoti dell’Universo. Il wormhole dovrebbe essere composto da un buco nero d’entrata, che assorbe tutta la materia a sé circostante, e un buco bianco d’uscita, che al contrario la emette. Interessante a leggersi, ma abbiamo prove certe della loro esistenza? Purtroppo no. Infatti, mentre i buchi neri si basano su solide teorie e riscontri sperimentali (per i quali Penrose, Genzel e Ghez hanno vinto il premio Nobel per la fisica nel 2020, ne parliamo qui), i buchi bianchi costituiscono ancora una mera speculazione.

I primi wormhole attraversabili, che rispettano la Relatività Generale, furono ipotizzati per la prima volta proprio da Kip Thorne, consulente scientifico del film, e da un suo studente, Mike Morris (essi infatti presero il nome di wormhole di Thorne-Morris). Questo tipo di wormhole, tuttavia, pur essendo ammissibile nella Relatività Generale, richiederebbe la presenza di un particolare tipo di materia esotica con densità negativa di energia. Si presume, inoltre, che alcuni paradossi circa i viaggi nel tempo, insiti nella relatività generale, comportino l’irrealizzabilità dei viaggi tramite wormhole.

Quindi, per il momento, più che di scienza stiamo parlando di fantascienza.

Ma Cooper e la sua navicella, l’Endurance, attraversano comunque il fantomatico wormhole e arrivano nei pressi di Gargantua. Il film offre a questo punto una rappresentazione molto realistica di un buco nero supermassiccio, tanto da valergli il premio Oscar per gli effetti speciali, oltre che uno straordinario sforzo da parte degli scienziati.

Arrivano quindi sul pianeta di Miller, uno dei dodici scienziati della missione Lazarus. Distruttivi moti ondosi imperversano sulla superficie del pianeta, ricoperta unicamente da acqua. Questi moti ondosi sono prodotti dalla forte attrazione gravitazionale di Gargantua. Talmente forte, però, che avrebbe dovuto attrarre a sé, inesorabilmente, la stessa Endurance. Inoltre, come se non bastasse, nel film viene sottolineato come un’ora passata sul pianeta di Miller corrisponda a sette anni passati sulla Terra. Questo è un errore: infatti, affinché ciò si realizzi, il pianeta dovrebbe essere così vicino al buco nero da venirne irrimediabilmente risucchiato e, di conseguenza, distrutto.

Ma un’altra domanda sorge spontanea: qual è la fonte di calore di questi pianeti? Non c’è nessuna stella attorno ad essi. Come la Terra viene riscaldata dai raggi del Sole, anche i pianeti che orbitano attorno a Gargantua dovrebbero godere del calore di una Stella per permettere la vita: così non è, risultando freddi e inospitali.

Dopo mille peripezie, comunque, Cooper decide di entrare dentro Gargantua. Ma nella realtà dei fatti, non è possibile. L’incredibile forza di gravità di un buco nero comporterebbe un fenomeno chiamato spaghettificazione che, come suggerisce il nome, fa sì che un corpo, superato l’orizzonte degli eventi, si disintegri, tanto da ridursi alle dimensioni di uno spaghetto. Anche se decidessimo di ignorare questo fenomeno, saremmo comunque soggetti ad una spaventosa e letale dose di radiazioni fortemente energetiche (raggi X e raggi gamma), che non ci lascerebbero scampo. Infine, una forza gravitazionale così intensa, in pratica, fermerebbe il tempo! Quindi Cooper, una volta entrato nel buco nero, morirebbe di vecchiaia senza raggiungerne mai il centro. Ma andiamo oltre e parliamo del tesseract, un evergreen dei film di fantascienza.

Cooper giunge in una struttura a cinque dimensioni, il tesseract. Si accorge molto presto, però, che questa è una proiezione penta-dimensionale della stanza di sua figlia Murph. Capisce così che può inviare dei dati nel passato, per convincere sé stesso prima della partenza a restare a casa. Invia infine i dati relativi al buco nero a Murph, che nel frattempo è diventata una brillante fisica, affinché possa utilizzarli per risolvere l’annoso problema della sopravvivenza sulla Terra. Che sia una cosa tecnicamente irrealizzabile è chiaro, ma le motivazioni fisiche di ciò sono radicate nella teoria, più precisamente nei paradossi insiti nella stessa.

Facciamo finta che io inventi la macchina del tempo. Torno indietro nel passato e uccido mio nonno prima che possa nascere mio padre. Come ho fatto a nascere, inventare la macchina del tempo e uccidere mio nonno? Intrigante, vero? Benvenuti nel magico mondo dei viaggi nel tempo.

Il film si conclude con la visione di una stazione spaziale che sfrutta la penta-dimensionalità, realizzata grazie agli studi di Murph basati sui dati di Cooper.

Nonostante gli errori scientifici, la simulazione del buco nero ha rappresentato una delle più veritiere rappresentazioni mai realizzate. Saremo in grado di viaggiare nello spazio e nel tempo? Riusciremo, un giorno, a sfruttare i wormhole per raggiungere i posti più remoti dell’Universo? Non possiamo ancora saperlo, la scienza è ancora troppo giovane. Ma sognare non costa nulla.

Giovanni Gallo

Giulia Accetta

NASA: “Domani un asteroide passerà vicino alla Terra”. Lo sguardo della fisica, tra verità ed allarmismi

Un asteroide classificato come “potenzialmente pericoloso”, ma che di pericoloso ha solo il nome, sta per passare nei nostri cieli: gli esperti rassicurano

Il 4 marzo 2020 la NASA ha comunicato al mondo con un tweet l’imminente passaggio di un asteroide vicino alla Terra.

Infatti il 29 aprile 2020, l’asteroide (52768) 1998 OR2, con un diametro stimato tra i 2 e i 4 chilometri, passerà a circa 6 milioni di chilometri di distanza dalla Terra, alla velocità di 8.7 chilometri al secondo.

Molti i commenti sui social di allarme e preoccupazione, ma Gianluca Masi, responsabile del Virtual Telescope Project di Roma, assicura che “(l’asteroide, ndr) marcerà a una distanza pari a più di 16 volte di quella media che separa la Terra dalla Luna. Non c’è, quindi, alcuna ragione di allarmarsi perché non esiste alcun rischio di collisione”. Infatti, nonostante le notevoli dimensioni, l’asteroide passerà comunque ad una distanza tale da non impensierire gli esperti, che anzi vogliono cogliere l’occasione per osservare il fenomeno da vicino.

È stato stimato, inoltre, che l’osservazione del passaggio dell’asteroide sarà possibile dall’Italia alle ore 10:56 del mattino, con un semplice binocolo.

Anche l’Italia, che vanta la presenza di un centro ESA (European Space Agency) a Frascati, è in grado di monitorare gli asteroidi vicini all’orbita terrestre, calcolando la loro probabilità di impattare col nostro pianeta.

È noto agli esperti come fenomeni del genere non siano di certo eventi rari. Infatti, attorno a Marte sono presenti una miriade di asteroidi, i quali formano quella che è conosciuta come la principale della fascia di Kuiper.

Questa è una regione toroidale che si estende da Nettuno fino a Marte, ma la maggior parte degli asteroidi, tra cui alcuni protopianeti (quali Cerere, Vesta, Pallade e Igea), orbitano nella fascia principale, collocata tra Marte e Giove.

Le teorie sulla formazione di tale fascia sono diverse: la più accreditata afferma che essa si sia formata all’origine del Sistema Solare, a causa della forte attrazione gravitazionale esercitata da Giove sulle particelle di pulviscolo presenti, la quale non permetteva di aggregarsi e quindi di formare pianeti. Ed è sempre grazie a Giove, e alla sua forte attrazione gravitazionale, che gli asteroidi non giungono facilmente sul pianeta Terra. Giove, quindi, si presta ad essere quasi come un fratello maggiore che protegge il piccolo pianeta Terra.

Quindi tutti col naso all’insù, puntando il nostro sguardo verso il cielo, pronti a godere di uno spettacolo unico e irripetibile.

Giovanni Gallo

… ci sono ben due Messinesi illustri sulla Luna?

La luna piena fotografata da un obiettivo telescopico

Ebbene sì: c’è chi guardando la Luna pensa all’amore, chi, come Leopardi, ci intesse sopra riflessioni sul senso della vita. Ma d’ora in avanti, cari lettori di UniVersoMe, quando volgerete lo sguardo al cielo in una bella notte di luna piena, non penserete più a nulla di tutto questo, ma alla nostra città di Messina.

Come mai? Perchè Messina ha l’onore di avere non uno, ma ben due Messinesi illustri sulla Luna. Ovviamente non di persona, ci mancherebbe: ma i loro nomi sono stati assegnati rispettivamente a un cratere lunare e a un Dorsum, una sorta di catena montuosa formata da creste lunari.

Chi sono questi due personaggi messinesi e come mai hanno ricevuto una così singolare onorificenza? 

Francesco Maurolico

Il primo, probabilmente, lo conoscete un po’ tutti: è Francesco Maurolico, matematico, scienziato, letterato, storico, erudito, in poche parole grande mente del Cinquecento messinese. Di questo incredibile personaggio, che più di ogni altro forse riuscì a incarnare l’archetipo dell’intellettuale rinascimentale a tutto tondo, ci resta una enorme quantità di scritti, molti dei quali testimoniano appunto il suo vivo interesse per l’astronomia.

Il più importante di questi, una opera massiccia intitolata “Cosmographia”, rappresenta una sorta di grande rassegna del sapere astronomico dell’epoca: la prima edizione,

Superficie lunare. In giallo, il cratere Maurolycus

datata 1543, è dedicata all’amico e letterato Pietro Bembo.

Per i suoi importanti contributi allo sviluppo di una disciplina che all’epoca era quanto mai attuale, Maurolico fu molto apprezzato tanto dai suoi contemporanei, quanto dai posteri. Nel 1615, infatti, quando l’astronomo gesuita Giovan Battista Riccioli pubblica la sua mappa della superficie lunare, non manca di onorarne la memoria attribuendo il suo nome a un cratere del diametro di 117 km, il Maurolycus, che lo conserva tutt’ora.

Una delle tavole paleontologiche di Scilla, con disegni di fossili

Il secondo personaggio invece è sicuramente meno noto, ma non meno affascinante, e, per certi versi, bizzarro: forse perchè visse e operò circa un secolo dopo Maurolico, nel Seicento, in un’epoca permeata dalle bizzarrie del barocco.

Stiamo parlando di Agostino Scilla, anche lui messinese e anche lui, come il Maurolico, genio a 360 gradi: dopo una formazione da letterato, si dedicò alla pittura, e diverse delle sue opere sono custodite al Museo Regionale di Messina.

Ma i suoi interessi non si fermano all’arte: fu anche appassionato di geologia, e instancabile collezionista di fossili. Scoprì per primo, quasi in contemporanea con il danese Niccolò Stenone, e in contrasto con le credenze dell’epoca, che i fossili sono resti di esseri viventi, gettando così le basi della moderna paleontologia.

Il Dorsum Scilla in una foto telescopica

Proprio per questo, nel 1976 gli venne dedicato un Dorsum lunare, il Dorsum Scilla, lungo circa 108 km: la Unione Astronomica Internazionale, che regola la nomenclatura delle strutture lunari, prevede infatti che ai Dorsa vengano assegnati i nomi di geologi, paleontologi e studiosi della Terra. 

Quando si parla di “portare in alto” il buon nome della città di Messina, dobbiamo dunque ricordare che c’è stato chi, come Francesco Maurolico e Agostino Scilla, è riuscito a portarlo così in alto… da raggiungere addirittura la Luna! 

Gianpaolo Basile

Image credits:

  1. Di Gregory H. Revera – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11901243
  2. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=697197
  3. http://www.osservatoriogalilei.com/home/index.php/rirorse/fly-me-to-the-moon/839-il-cratere-maurolycus
  4. Di Colonna, Fabio; Scilla, Agostino – http://www.biodiversitylibrary.org/pageimage/39707030, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=44716771
  5. Di Naval Research Laboratory from Clementine data – Quelle: http://solarviews.com/raw/moon/moonmap.tif, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=482921

Dalla scienza alla poesia, dalla storia alla tecnica: Francesco Maurolico, l’uomo del Rinascimento a Messina

V0003929 Francesco Maurolico.
Francesco Maurolico. Incisione di M.Bovis, copia da un perduto ritratto di Polidoro Caldara da Caravaggio.

Quando pensiamo al Rinascimento, a questo periodo storico fertile di idee che proiettò la cultura europea, fra Quattrocento e Cinquecento, ai primi albori della modernità, pensiamo innanzitutto a una sorta di graduale trasformazione culturale, alla nascita di un nuovo modello di cultura e di una nuova concezione del sapere e del sapiente. Semplificando, se il dotto medievale se ne stava ben chiuso tra le mura del suo monastero dedito alla contemplazione di una Verità vissuta come unica e immutabile, il colto intellettuale del Rinascimento si volge verso l’esterno, riscopre l’antichità classica e le sue grandezze, rinnova il suo interesse verso la matematica e le scienze naturali, guarda con occhi nuovi alla volta celeste e al Cosmo, ed inizia anche a conquistarsi un proprio ruolo nelle dinamiche politiche della città in cui vive e a cui appartiene. Anche Messina, che pure viene considerata una sorta di periferia geografica di questo cambio di paradigma culturale (che inizia nel centro Italia, a Firenze, a Roma, per poi espandersi a tutta l’Europa), ha visto l’opera di un personaggio in grado di incarnare quasi per eccellenza questa nuova visione della cultura: Francesco Maurolico.

È a Messina che Maurolico nasce, nel 1494, da una ricca e potente famiglia borghese, forse di origine greca, i Maurolì o Marulí; sarà poi egli stesso a mutare il suo cognome, latinizzandolo (o meglio grecizzandolo) in Maurolycus. Il padre Antonio, funzionario della Zecca e allievo del grande grecista bizantino Costantino Lascaris (alla cui scuola si formò anche il letterato veneziano Pietro Bembo), ne cura per primo una ricca e completa educazione che passa, come di norma per l’epoca, dall’apprendimento delle arti liberali (grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, geometria, astronomia e musica) oltre che del latino e del greco.

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Prima edizione della Cosmographia di Francesco Maurolico, con la dedica a Bembo. Venezia, 1543.

È però all’ottica che inizialmente il Maurolico si interessa, dopo aver preso nel 1521 gli ordini sacerdotali, componendo due trattati che rimaneggerà a lungo nel corso della sua vita e che verranno pubblicati postumi, nel 1611. Nel frattempo, arrivano le sue prime opere pubblicate, come un trattato di grammatica datato 1528. In quell’anno, Maurolico riceve un mandato pubblico di insegnamento delle discipline matematiche a Messina. Inizia così un periodo importante di produzione scientifica: Maurolico studia infatti, come i suoi contemporanei, la geometria, la matematica e l’astronomia dai testi classici in latino e in greco di periodo ellenistico, come Tolomeo, Euclide e molti altri; di questi stessi testi, però, Maurolico compila compendi e ricostruzioni che non si limitano all’aspetto filologico, ma ne innovano, ampliano e rivisitano i contenuti. È in questi testi che sono contenuti i suoi più ampi contributi al pensiero matematico e scientifico dei suoi tempi: una autentica valanga di documenti, alcuni dei quali (come la monumentale Cosmographia del 1543, dedicata a Bembo) vengono pubblicati a stampa, mentre altri sono pubblicati postumi o restano tutt’ora sotto forma di manoscritto.

Negli anni ’40 del ‘500 Maurolico, ormai famoso e affermato intellettuale, tocca l’apice della sua produzione culturale. I suoi interessi molteplici non si arrestano alle matematiche e all‘astronomia, ma toccano filosofia, storiografia, storia della letteratura, ingegneria, teoria musicale… Il suo sapere non è però qualcosa di astratto e lontano dalla realtà dei suoi tempi, ma viene sempre messo al servizio della comunità, che difatti lo ricompenserà, nel corso della sua vita, con la nomina ad Abate e con lauti vitalizi. Quando nel 1535 Carlo V entra in trionfo a Messina dopo la vittoria di Tunisi, è lui, assieme al pittore Polidoro Caldara da Caravaggio, che cura gli allestimenti temporanei in suo onore; presentato di persona al cospetto dell’Imperatore, viene da lui stesso incaricato di occuparsi delle fortificazioni della città, contribuendo così alla progettazione del Forte Gonzaga; assieme al fiorentino Montorsoli concepisce la struttura delle due più belle fontane rinascimentali di Messina, quella di Orione e quella del Nettuno, e scrive di suo pugno i versi latini che le adornano; è a lui che il Senato si rivolge per scrivere un trattato di storia siciliana che permetta alla città di Messina di competere con la rivale Palermo per il ruolo di Capitale della Sicilia, il Sicanicarum rerum compendium; ed è con lui che si mettono in contatto i Gesuiti di Ignazio di Loyola quando, negli anni ’50, decidono di far nascere a Messina una istituzione di insegnamento che in seguito diventerà il nucleo dell’Università. Persino quando nel 1571 la flotta della Lega Santa è a Messina pronta a salpare verso la battaglia di Lepanto, è proprio all’ormai anziano Maurolico che i comandanti dell’armata cristiana si rivolgono per la realizzazione di carte nautiche…

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Il sepolcro di Francesco Maurolico, opera di Rinaldo Bonanno, situato nella chiesa di San Giovanni di Malta a Messina. Ph: Giulia Greco

 

 

Quando Maurolico muore, nel 1575, lascia ai posteri una produzione letteraria sconfinata. Il suo corpo è sepolto nella chiesa di San Giovanni di Malta, ma il suo sapere attraverserà i secoli: nel 1651 l’astronomo Riccioli gli dedica addirittura un cratere sulla Luna (Maurolycus); a seguito della rivolta antispagnola e dell’intervento francese (1674-1678), molti dei suoi manoscritti affascinano il primo ministro del Re Sole, Colbert, che li vuole nella sua biblioteca personale, e tutt’ora si trovano a Parigi per questo motivo. Un gruppo di ricerca internazionale guidato dall’Università di Pisa sta ad oggi curando la pubblicazione estensiva e digitalizzata delle sue opere: a prova dell’importanza che ha avuto, e continua ad avere, questa grande mente messinese, nella storia del pensiero scientifico e culturale europeo. 

Gianpaolo Basile

Image credits:

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Giove e le sue Lune: tra Mito e Astronomia

Arrivate dalla sonda Juno le prime immagini di GioveIl 5 agosto 2011, a bordo di un razzo Atlas V alla Cape Canaveral Air Force Station, è stata lanciata Juno, una sonda della NASA, il cui compito è quello di studiare il campo elettromagnetico di Giove.

Il 4 luglio di questo anno, finalmente, questa piccola sonda è arrivata a destinazione e il 10 luglio ha inviato le prime foto del grande pianeta con le sue 3 lune (la quarta è rimasta nascosta, Callisto): Io, Europa e Ganimede.

Il pianeta si riesce a vedere molto bene, per quanto non si hanno ancora documenti in alta risoluzione, con le sue bande orizzontali e la famosa Grande Macchia Rossa.

Finalmente quindi, Zeus e le sue amanti, possono essere visti da tutti noi. I nomi delle lune, infatti, derivano proprio dalla storia greca, dove Io, Europa e Callisto erano le amanti di Zeus (il corrispettivo greco di Giove), mentre Ganimede era il suo cocchiere (e amante).

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Con altre missioni spaziali si sono potute constatare le caratteristiche delle lune: Callisto è il più grande oggetto solare conosciuto, Ganimede è l’unico con un campo magnetico proprio e formato da ghiacci crateri e distesa oceanica salata, Io è l’oggetto solare più geologicamente attivo con colate laviche che gli danno il caratteristico colore giallo e, infine, Europa avente la superficie più liscia di qualsiasi altro oggetto solare. Quest’ultima, inoltre, sembrerebbe essere giovane e provvista di acqua: la qual cosa ha fatto ipotizzare agli scienziati che potrebbe esserci vita su essa.

Dunque, adesso, tocca al Grande Pianeta Rosso, Giove, svelarci i suoi segreti.

Juno ha compiuto un lungo viaggio di quasi 3 miliardi di chilometri e resterà a ruotare sull’orbita gioviana per avvicinarsi gradualmente all’atmosfera del pianeta, impiegando un totale di 53 giorni: intorno al 27 agosto dovrebbe, dunque, attivare la fotocamera ad alta risoluzione per poter inviare sulla terra altre incredibili foto di Giove.

La sonda, al momento, trasporta 9 strumenti scientifici di cui 3 firmati dalla nostra nazione: l’italia, infatti, ha partecipato al progetto con lo spettrometro Jiram (realizzato da Leonardo-Finmeccanica a Capi Bisenzio ) per lo studio delle aurore polari che si sviluppano dall’incontro delle particelle solari con il campo magnetico del pianeta; il KaT (progettato dall’Università della Sapienza di Roma ), che servirà per la mappatura interna del pianeta e, infine, l’AST (realizzato da Leonardo-Finmeccanica), sensore che dovrà cercare di mantenere la sonda sulla giusta rotta dell’orbita del pianeta.Giove

Ma non sono gli unici ‘’passeggeri’’ italiani sulla sonda Juno: a bordo anche la targa con il ritratto di Galileo Galilei, con la sua firma e il testo in cui, il medesimo scrittore nel 1610, descriveva proprio Giove e le sue 4 lune. Inoltre ci sono anche 3 statuine Lego che raffigurano sempre Galileo e, a fargli compagnia, Giove e Giunone.

Non manca nessuno, quindi, in questa avventura nello spazio. Ora bisogna solo avere la pazienza di aspettare i dati che verranno raccolti, durante questi 20 mesi, dalla sonda Juno e conoscere, finalmente, i segreti del pianeta ‘’Gigante’’ già, appunto, descritto da Galileo ma rimasto, fino ad ora, un vero e proprio mistero.

Elena Anna Andronico