… l’opera di un messinese si trova nel centro di New York?

Ebbene sì, le abili mani di un messinese hanno dato forma al monumento che si trova in una delle principali piazze di New York: si tratta dell’opera dedicata a Cristoforo Colombo, al Columbus Circle. Di quest’ultima avrete sicuramente sentito parlare: in una posizione centrale nel distretto di Manhattan, ha forma circolare e fa da punto di intersezione tra alcune delle principali vie newyorkesi (la Broadway, la 59th Strada, 8th Avenue e Central Park West).

A pochi passi da Central Park e dalla Trump Tower, è davvero uno dei luoghi più noti nella metropoli statunitense, tant’è vero che proprio da qui vengono misurate tutte le distanze ufficiali da New York.

https://thebronxchronicle.com/2017/09/26/italian-american-orgs-ask-nyc-pols-for-stances-on-columbus-circle-monument/

La cosa che a noi qui più interessa è che questa piazza prende nome dal monumento a Cristoforo Colombo, posto in tal luogo nel 1892, e intorno al quale la piazza stessa è stata progettata nel 1905. L’iniziativa della costruzione del monumento, in occasione dei quattrocento anni dalla scoperta dell’America da parte di Colombo, fu presa dal giornale italo-americano Il Progresso. Il direttore e proprietario del giornale, cav. Carlo Barsotti, indisse una sorta di gara per individuare lo scultore che avrebbe dovuto realizzarlo, ammettendo però solo artisti di nascita italiana. La scelta alla fine ricadde su Gaetano Russo, messinese la cui fama era giunta oltreoceano. Nato nel 1847 sulla sponda sicula dello Stretto, poco più che ventenne ricevette un sussidio dal comune per continuare i suoi studi artistici a Roma. Ricevette numerose commesse sia nella capitale che a Messina, ma ciò per cui oggi viene ricordato è questa sua opera, realizzata a Roma e posta poi a campeggiare al centro di New York. Si tratta di una statua in marmo di Carrara, raffigurante il navigatore genovese in posizione fieramente eretta, la barra del timone stretta nella mano destra e lo sguardo orgoglioso e penetrante volto leggermente a sinistra. La statua poggia su un’altissima colonna (circa 21 metri) in granito rosso di Ravenna, sulla quale sono rappresentate le tre caravelle in bronzo. Ai piedi della colonna, un angelo (anch’esso in marmo di Carrara) che regge il globo. L’angelo e la colonna si ergono su un largo basamento rettangolare, ai cui lati troviamo due bassorilievi in bronzo che riproducono i momenti dello sbarco di Colombo e la sua flotta nelle Americhe. Sempre sul basamento, trova posto l’iscrizione:

 A
   Cristoforo Colombo
gli italiani residenti in America.
Irriso prima
minacciato durante il viaggio
incatenato dopo
sapendo esser generoso quanto oppresso
donava un mondo al mondo.

La gioia e la gloria
non ebbero mai piu solenne guido
di quello che risuono in vista
della prima isola americana
terra! terra!

Nel 12 ottobre 1892
quarto centenario
della scoperta d’america
a imperitura memoria.

 

Recentemente il monumento si è trovato al centro delle proteste del movimento “anti-Colombo”, il quale ritiene lo storico navigatore responsabile di aver dato il via, con la sua scoperta, al massacro degli Indios. Per questo, è stata chiesta la rimozione di vari monumenti e statue a lui dedicati, tra cui appunto anche quello di Columbus Circle. Alla fine, però, è stato raggiunto un compromesso: accanto all’opera di Russo sorgerà un monumento dedicato alle popolazioni indigene, cosicché, come ha dichiarato il sindaco di New York Bill De Blasio, «gli spazi pubblici riflettano la diversità e i valori della città».

Francesca Giofrè

Fiumara d’Arte, un percorso di bellezza e ostacoli tra storia e modernità

Labirinto di Arianna http://labirinti.altervista.org/italo-lanfredini-labirinto-arianna/?fbclid=IwAR2JCjxboAyoWKjWogVxJHaF1dChtUjt5-VXMpE5noZiGSAegs0wJwSpuwI

Nella parte settentrionale della Sicilia, a ridosso delle coste Tirreniche, si estende l’antica Valle dell’Halaesa, situata in quello che oggi è il Comune della città medievale di Tusa, in provincia di Messina. A fare gli “onori di casa” è Castel di Tusa, frazione marina della cittadina medievale che apre letteralmente le porte alla Valle, circondata dalle colline e attraversata dalla Fiumara di Tusa, in un paesaggio pieno di suggestioni artistiche, passate e presenti. Proprio in questo scenario, sospeso tra storia e modernità, natura e scultura, il torrente di Tusa – un tempo fiume che arrivava fino all’antica città di Halaesa – è diventato oggetto di un progetto artistico battezzato “Fiumara d’Arte”, iniziato nel 1982, ad opera di Antonio Presti, mecenate siciliano che decise di dedicare se stesso e il proprio patrimonio personale all’arte, celebrandola attraverso la creazione di una serie di imponenti sculture, commissionate di volta in volta a stuoli di artisti internazionali e dando vita a quello che, ad oggi, è il più grande museo all’aperto d’arte contemporanea d’Europa. Il progetto artistico nasce con l’intento del suo fautore di fare un regalo alla Sicilia, celebrando la bellezza attraverso la rappresentazione dell’impegno civile ed estetico dell’uomo, con la scelta, non casuale, di far nascere il progetto in terreno demaniale, proprio a far emergere lo spirito di condivisione di cui l’arte dovrebbe essere pervasa. Egli stesso spiega: ” Perché io non ho mai voluto possedere l’opera ma soltanto l’idea, in una società in cui tutto è al servizio del denaro ed è subordinato al possesso dei beni“, sottolineando la forte connotazione sociale ed etica di cui è pregna Fiumara d’Arte, pensata allo scopo di creare una coscienza legata alla cultura, attraverso un rapporto differente con la bellezza.

La materia poteva non esserci https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2015/05/Pietro-Consagra-La-materia-poteva-non-esserci.jpg

Il progetto si costituisce di una serie di sculture disseminate lungo il greto del fiume, che sfocia nel mare di Castel di Tusa, in un percorso esplorativo volto a creare una sorta di circuito d’arte, che attraversa le diverse città e i diversi comuni presenti nel territorio della Valle, da Castel di Tusa a Santo Stefano di Camastra.La storia dell’ Associazione Culturale Fiumara d’Arte inizia nel 1982, quando, a seguito della morte del padre, Presti commissiona a Pietro Consagra la creazione di una gigantesca scultura in cemento armato, alta 18 metri. L’opera, che dà il via al percorso d’arte, fu creata nel 1986 e intitolata ” La Materia Poteva non Esserci“. Nello stesso anno venne annunciata la creazione del museo a cielo aperto, su approvazione di tutti i sindaci dei comuni del comprensorio messinese. Di lì a poco il progetto Fiumara d’Arte si amplia, annoverando sempre nuove sculture al suo percorso.

Una curva gettata alle spalle del tempo https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2015/05/Paolo-Schiavocampo-Una-curva-gettata-alle-spalle-del-tempo-1988-Fiumara-dArte.jpg

Lo stesso anno Presti contatta subito un altro scultore, Paolo Schiavocampo, al quale commissiona una scultura da porre al bivio tra la strada che porta a Castel di Lucio e una vecchia strada di campagna. L’opera, inaugurata il 30 gennaio 1988, dal nome suggestivo “Una curva gettata alle spalle del tempo” consiste in un monolite di cemento armato e ferro, collocato ai margini di una curva, che si avvolge su se stessa imitando il movimento di una vela battuta dal vento, situata tra la via antica e quella nuova, simboleggia un punto di unione tra passato e futuro. IL 24 giugno 1989 è la volta dell’opera di Tano Festa, inaugurata un anno dopo la morte dell’artista. L’opera “Monumento per un poeta morto“, dedicata al fratello di Festa, venne ribattezzata dai visitatori “Finestra sul mare” proprio per il suo impatto visivo. Situata sul lungo mare di Margi, una cornice alta 18 metri in cemento armato e ferro, che ricorda, appunto, una grande finestra che incornicia il mare. Colorata di un azzurro interrotto soltanto dalle nuvolette bianche, ricorrenti nei temi dell’artista, e un monolite nero che l’attraversa a ricordare la finitezza dell’essere umano.

Finestra sul mare https://www.flickr.com/photos/marcocrupivisualartist/31080793585?fbclid=IwAR0sHJwm_aA9ZptrIUO_ymaKYnsfy3qweMEA91ar8oc48h208m7KCKeQvso

Consecutivamente vengono inaugurate le opere: “Stanza di barca d’oro” dell’artista giapponese Hidetoshi Nagasawa sul torrente Romei; un vano ipogeo, introdotto da un corridoio sotterraneo di 35 metri rivestito di lastre metalliche, nel quale si evidenzia la sagoma di una barca capovolta rivestita di foglie d’oro, raccordata al suolo dal suo albero maestro in marmo rosa. “Energia mediterranea” di Antonio Di Palma, un manto azzurro che sale e poi scende dolcemente, che idealmente lega la montagna al mare, una grande onda di cemento blu, posizionata sulle montagne di Motta d’Affermo, e “Labirinto di Arianna” di Italo Lanfredini. Il labirinto, è un percorso fisico, ma anche interiore: attraverso un varco naturale si entra nel labirinto e si esce dal labirinto, a simboleggiare il percorso dell’uomo che, nel tempo, entra ed esce dalla scena. Lo scopo dell’opera è quello di far intraprendere al visitatore un percorso spirituale oltre che fisico, spingendolo a porsi delle domande esistenziali in un posto ed in una dimensione a-temporale, in cui è impossibile interrogarsi. Il percorso continua con “Arethusa“realizzata da Piero Dorazio e Graziano Marini, costituita da una coloratissima decorazione in ceramica della caserma dei carabinieri di Castel di Lucio. Una spiacevole vicenda giudiziaria però, intralcia il progetto artistico, costringendolo ad un’importante battuta d’arresto, proprio il giorno in cui viene battezzato. Le numerose opere di Fiumara d’Arte vengono poste sotto sequestro, con l’accusa di abusivismo edilizio, e vengono avviati una serie di procedimenti giudiziari che danno il via all’intricata storia processuale che ne blocca il completamento e che durerà ben 25 anni. Nel frattempo Presti inaugura, nel 1991, L’atelier sul mare, un albergo-museo d’arte contemporanea a Castel di Tusa, destinato a diventare il punto di partenza del percorso Fiumara d’Arte. Le camere dell’Art Hotel sono delle vere e proprie opere d’arte, realizzate da artisti internazionali, proseguendo l’utopia artistica pensata da Presti.

Stanza-opera d’arte http://www.isolaeisole.com/wp-content/uploads/2016/07/unser-art-zimmer.jpg

La fiumara venne difesa da una serie di movimenti da parte di moltissimi artisti e intellettuali. Nel 1991, il mecenate organizza una manifestazione “un chilometro di tela“, che si svolgera nel paese di Pettineo, e convoglierà duecento artisti che dipingeranno la tela, per poi tagliarla in pezzi e darli in dono agli abitanti, le cui case diventeranno “museo domestico”. Nel ’93 Presti invita quaranta artisti ceramisti provenienti da tutta Europa a realizzare un’opera collettiva sul muro di contenimento di una delle strade della Fiumara, che diventa così “Il muro della vita“. Una nuova ondata di mobilitazione generale parte da Roma, un gruppo di artisti e intellettuali sollecita l’intervento del ministro dei Beni Culturali Alberto Ronchey, mentre una petizione firmata da 60 nomi della cultura italiana esorta il governo regionale ad agire per evitare la demolizione. Il 23 febbraio del 1994 la Corte di Cassazione chiude la vicenda annullando l’ordine di demolizione, i provvedimenti della Corte d’Appello e le richieste della Procura di Messina. All’albergo-museo si festeggia con l’apertura di otto nuove stanze d’artista. Quando la situazione si ribalta ed è Presti a denunciare tutti i sindaci e la Regione Siciliana per incolumità civile, interviene all’appello il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e finalmente, il 6 gennaio del 2006, dopo 25 anni di battaglie, viene riconosciuto il Parco di Fiumara d’arte, aiutato dal Governo regionale che ha approvato l’istituzione del percorso turistico culturale di Fiumara d’Arte.

38° parallelo – piramide http://politano-national-geographic.blogautore.espresso.repubblica.it/files/2011/04/piramide480.jpg

Nel maggio del 2007 si assiste alla riapertura dell’opera “La finestra sul mare“, che due anni prima Presti aveva coperto con un tendone scrivendoci sopra “chiuso” in tutte le lingue, per opporre un rifiuto al rifiuto delle istituzioni. Così a distanza di 25 anni dall’inizio della storia travagliata di Fiumara d’Arte, per il progetto artistico comincia una nuova storia, quella “istituzionale”. Alle sculture viene finalmente riconosciuto il diritto di tutela. Nel 2010, Mauro Staccioli crea l’ultima opera destinata a completare la collezione, e così il percorso di Fiumara d’Arte. La scultura “38° parallelo – Piramide” sorge su una leggera altura del territorio di Motta d’Affermo, le cui coordinate geografiche centrano esattamente la consistenza matematica del trentottesimo parallelo. Nominando in tal modo l’opera, l’artista suggella l’intrinseco legame dell’opera alla geografia del luogo. Di forma piramidale cava realizzata in acciaio corten, parzialmente sprofondata nel territorio roccioso, cattura la luce solare attraverso la fessura, registrando nel proprio ventre geometrico i riverberi luminosi dallo zenit al tramonto.

 

Giusi Villa

 

I mille volti della città incastonati nei luoghi della cultura: indagine per immagini e parole nel cuore di Messina

“A Messina la storia e l’arte non vanno “addosso” al visitatore; si lasciano inseguire, si fanno cercare, e si rivelano solo a chi sa dove trovarle”

Gianpaolo Basile

©GIULIAGRECO per UniVersoMe – 2016

Che vi troviate soltanto di passaggio, arrivati da poco sulla banchina della stazione marittima o in viaggio sulle rotaie del tram, perduti nelle strade del centro tra la ricerca di una sede universitaria e un luogo dove riposarvi e osservare lo spettacolo del mare che si abbatte sulla Real Cittadella, oppure ci siate nati e cresciuti, avvezzi alla terra vicina e lontana che si offre al di là dello stretto, muoversi in uno spazio non è mai un’attività indifferente. Esplorare è il primo modo per conoscere a fondo ed è soprattutto la misura per rintracciare il senso profondo di un territorio e costruire gli itinerari di una propria geografia mentale. Ogni strada e ogni spostamento – anche nei dintorni – assume nella nostra memoria significati che dalla realtà vengono rielaborati e rapidamente trasferiti verso una dimensione fantastica. Di questa Messina introspettiva, raccontata dalle parole degli scrittori e dei letterati, abbiamo iniziato a tracciare le fila nella rubrica Messina da Leggere; ci siamo spinti alla ricerca dell’autore del Don Chisciotte nei giardini del Grande Ospedale, abbiamo ricordato una storia d’amore dal finale tragico contenuta dentro le novelle del Decameron, allacciato un legame tra Fabrizio De Andrè e il pirata Scipione Cicala, presentato le narrazioni di una raccolta di dieci racconti curata da un collettivo di autori contemporanei.

©GIULIAGRECO per UniVersoMe – 2017

Ma a indizio dei passaggi storici che il tragico terremoto di un secolo fa non ha cancellato rimane lo splendore dei monumenti e musei che raccolgono i reperti del passato; su Messina da Scoprire siamo partiti per un tour tra le fontane storiche, abbiamo visitato il Museo regionale interdiplinare con la sua collezione di opere di Antonello e di Caravaggio, descritto e mostrato attraverso le immagini la Badiazza, i Santuari della Madonna di Montalto e di Dinnamare fino ai luoghi della Street Art. Abbiamo tracciato le biografie di Personaggi di rilievo sul piano scientifico e artistico e, nella rubrica Messina in Pillole, rispondendo alla domanda “Lo sapevi che…?”, abbiamo trattato di curiosità e modi di dire, di imprese eccezionali, di fenomeni ottici, di lingua italiana e di viaggi sulla luna.

©GIULIAGRECO per UniVersoMe – 2016

Continueremo a farlo, ma non è finita qui. Il nostro invito a guardare attorno potrete viverlo da protagonisti grazie anche agli eventi e alle iniziative che di volta in volta segnaleremo. In tal senso le Vie dei Tesori, rassegna che sostiene il proposito di custodire la memoria e rafforzare l’identità tramite la scoperta di trenta presidi storico-artistici, insieme alla V edizione del SabirFest, festival di cultura e di cittadinanza mediterranea ospitato dall’Università degli Studi di Messina, hanno offerto un segnale destinato ad arricchire il calendario degli eventi che si spera possa essere, nei mesi a venire, sempre più attraente e più ricco di appuntamenti. Quest’anno una guida e un supporto valido, frutto di un sodalizio con UniVersoMe, arriverà da CASMOB, app sviluppata da Alma Digit, che fornirà un aiuto ad individuare i percorsi e i luoghi della cultura in città, favorendo una ”connessione” attiva con il territorio. Per saperne di più, di questa e altre novità che aggiungeremo nelle prossime uscite, non perdete l’appuntamento settimanale con Cultura Locale.

©GIULIAGRECO per UniVersoMe – 2017

                   

 Eulalia Cambria

 

Girolamo Alibrandi, il Raffaello di Messina

Nell’ambito dell’arte della prima metà del cinquecento nell’Italia meridionale, Girolamo Alibrandi risulta una figura molto interessante. Scolaro di Salvo D’Antonio della bottega di Antonello da Messina, Alibrandi, è tra i primi a sintetizzare l’esperienza antonelliana con influenze leonardesche e soprattutto raffaellesche. Non stupisce, infatti, che gli sia stato attribuito dai suoi contemporanei l’epiteto di “Raffaello di Messina”.

 

La sua vita è avvolta dal mistero. Non si hanno sue notizie prima del 1514, quando, a dire di molti studiosi, il pittore ha circa trentacinque anni. Basandosi su una biografia scritta da Francesco Susinno nel 1724 – molto romanzata e poco attendibile – ma soprattutto analizzando l’evoluzione stilistica delle sue opere, si pensa che Alibrandi si sia allontanato da Messina per un tempo indefinito. Questo ipotetico viaggio porta il pittore a Venezia, dove viene a contatto con le opere di Duhrer e Giorgione e a Milano, dove subisce le influenze del circolo di Leonardo.

A questa significativa esperienza artistica è possibile ricondurre la realizzazione delle meravigliose tavole di San Pietro e San Paolo , entrambe esposte al Museo Regionale di Messina nella sala dedicata al pittore.

San Pietro

Nel San Pietro è possibile identificare sulla destra uno scorcio veneziano identificabile con la zona dell’Arsenale, mentre sulla sinistra vi è uno scorcio architettonico, esplicita citazione del Bramante.

San Paolo

Alle colonne della tavola di San Pietro si contrappone nel San Paolo un paesaggio naturalistico dal sapore leonardesco.

Si pensa che le due tavole fossero i pannelli laterali di un trittico, la cui parte centrale è stata identificata in una Madonna con Bambino e San Giovannino che si trova attualmente sul mercato francese.

 

 

Fondamentale per Alibrandi è l’incontro con Cesare da Sesto, pittore lombardo che ha portato in Sicilia esperienze leonardesche e raffaellesche. A seguito di questo incontro il pittore messinese dipinge la sua opera più famosa, La presentazione al tempio.

La presentazione al Tempio

Si tratta di un’enorme pala firmata e datata 1519, realizzata per l’altare maggiore della chiesa della Candelora e successivamente trasferito nella chiesa di San Niccolò dei Gentiluomini. A seguito del devastante terremoto del 1908, la pala di Alibrandi, così come molti altri pezzi d’arte messinesi, viene distrutta. I circa duecento e più frammenti rimasti dell’opera sono stati assemblati in due restauri che hanno permesso agli abitanti di Messina di ammirare la pregevole pala del loro concittadino al Museo Regionale.

L’imponente struttura in cui si svolge la scena presenta dei chiari rimandi alla Scuola di Atene di Raffaello, la cui influenza è visibile anche nella dinamicità dei personaggi.

L’artista muore a Messina a seguito del contagio della peste nel 1524.

Girolamo Alibrandi è un artista intellettuale, secondo il modello rinascimentale; una mente plastica e aperta che osserva il mondo circostante e assimila elementi da tutto ciò con cui viene in contatto.

Renata Cuzzola

Un Diluvio di musica per Messina: Michelangelo Falvetti, compositore dimenticato

Se c’è una categoria di personaggi con la quale la Storia è stata più ingiusta, almeno per quanto riguarda Messina, è quella dei musicisti. Tra i pittori, tutti si ricordano del grande Antonello; tra gli scultori, del Montorsoli; tra i letterati, di La Farina, Cannizzaro, Maurolico, Bisazza; tutti, questi ultimi, “numi tutelari” di altrettanti licei cittadini. Se si parla invece di musicisti, subentra il vuoto più totale: l’unico conservatorio cittadino è intitolato ad Arcangelo Corelli, brillante compositore e violinista del periodo barocco, che con Messina non ebbe mai nulla a che spartire; solo i più colti si ricorderanno di Antonio Laudamo, compositore ottocentesco cui è dedicata l’omonima Filarmonica, nonchè la sala che porta il suo nome al teatro Vittorio Emanuele; a Mario Aspa, contemporaneo e collega, è andata peggio, dovendosi accontentare di una stradina secondaria poco lontana dal teatro stesso.

Un musicista che non ha avuto invece neppure questa fortuna (eppure se ne meriterebbe eccome), è invece Michelangelo Falvetti: compositore sconosciuto e geniale di origini calabresi, operò a

Messina alla fine del Seicento, come Maestro di Cappella della Cattedrale; la recente riscoperta di alcune delle sue opere, proprio risalenti al periodo messinese, ci ha permesso di gettare una luce su questa grande e complessa mente musicale che altrimenti sarebbe rimasta abbandonata all’oblio.

Della vita e delle opere di Michelangelo Falvetti sappiamo veramente poco e quel poco che sappiamo lo dobbiamo soprattutto a due musicologi contemporanei: Niccolò Maccavino e il messinese Fabrizio Longo.

Apprendiamo così che Michelangelo Falvetti nacque nel piccolissimo paesino di Melicuccà, nell’entroterra calabrese, nell’anno 1642. Della sua formazione musicale non sappiamo nulla, anche se possiamo supporre, dato che prese gli ordini sacerdotali, che ricevette i primi rudimenti musicali in seminario, come era comunissimo all’epoca.

Una fonte indiretta ci suggerisce infatti la sua presenza nella città peloritana, nel 1669, a 27 anni: si tratta della dedica fattagli da un suo collega musicista, il violinista Giovanni Antonio Pandolfi Mealli, attivo nella Cappella Senatoria del Duomo di Messina, che nel 1669 dà alle stampe a Roma un libro di sonate, ciascuna dedicata a un suo collega diverso della cappella senatoria.

Nel 1670, Falvetti è chiamato a Palermo, dove diventa maestro di cappella e scrive numerose composizioni, soprattutto oratori. Il suo ruolo nel contesto musicale della città non era affatto marginale, tanto che, nel 1679, lo troviamo tra i fondatori dell’“Unione dei Musici”, una sorta di associazione di mutuo soccorso per i musicisti. In questo periodo è anche documentata la sua presenza a Catania, dove sono eseguiti alcuni suoi lavori.

Nel 1682, Falvetti torna a Messina, succedendo al conterraneo Domenico Scorpione nel ruolo di Maestro di Cappella del Duomo. Certo, Messina non è più quella della sua giovinezza: è appena uscita dalla violenta repressione della rivolta antispagnola ed è una città distrutta, disonorata, umiliata. Forse non è un caso che la sua prima opera del periodo messinese, quella che compose per il proprio insediamento e che è oggi considerata il suo capolavoro, sia un oratorio a cinque voci intitolato “Il Diluvio Universale”; il tema della giusta ma implacabile punizione divina, forse metafora della vendetta degli Spagnoli verso la città, domina l’intero lavoro, che solo alla fine si riapre con uno spiraglio di luce e speranza nella riconciliazione fra la terra e il cielo.

Sono diverse le opere che Falvetti scrive a Messina, ma solo il “Diluvio” e il successivo “Nabucco” (1683) ci sono rimaste per intero e sono ad oggi state eseguite e registrate almeno una volta. Si tratta di un piccolo, ma eloquente saggio delle capacità artistiche di questo brillante compositore: in un periodo storico in cui la musica è quasi una forma di artigianato, Falvetti da sapiente maestro padroneggia tutte le risorse armoniche e contrappuntistiche che la tecnica del periodo gli offre e le sfrutta al servizio di una scrittura estremamente espressiva, drammatica, teatrale in senso lato.

Come spesso accade nell’estetica barocca, tutto è giocato in funzione dell’impatto emotivo, della capacità della musica di rappresentare un “affetto”, una emozione; se i testi abbondano di prosopopee e personificazioni (concetti astratti che diventano personaggi, come la Morte, la Giustizia Divina, l’Idolatria, la Superbia), alla musica va il ruolo di rivestire di “carne ed ossa”, di emozioni umane questi concetti astratti, e di avvicinare il dramma dell’episodio biblico alla comprensione empatica dello spettatore, facendogli provare ciò che i personaggi provano. Anche quando la scrittura musicale vira verso la complessità del contrappunto, non c’è astrazione: tutto è tangibile, concreto, carnale, a volte persino sensuale, come quando il ritmo accenna dei movimenti di danza.

Della vita di Falvetti, passato il 1695, anno in cui cede il posto di Maestro di Cappella, si perdono le tracce. Restano oggi le sue opere, lentamente uscite dalle paludi dell’oblio per andare prima a finire sugli scaffali polverosi delle biblioteche, sotto forma di studi musicologici, e poi, finalmente, a trasformarsi di nuovo in musica, per le orecchie degli ascoltatori. È nel 2010 che il direttore argentino Leonardo Garcia Alarcòn riscopre questi due oratori, li mette in scena la prima volta dopo secoli e li registra, con grande successo di pubblico e critica, soprattutto all’estero.

In Italia questo successo è più lento ad arrivare, e negli 8 anni successivi sono state pochissime le esecuzioni di questo autore. In Sicilia, terra che lo vide fiorire, Falvetti è tornato, dopo 300 anni, solo pochi giorni fa, quando a Palermo al Teatro Massimo è stato messo in scena “Il Diluvio Universale”, a cura di Ignazio Maria Schifani. Da Palermo a Messina il passo è breve: c’è da chiedersi quanto ancora dovremo attendere per sentire le sue note risuonare, di nuovo, nella città del Diluvio…

Gianpaolo Basile