Cosa Nostra: Le storie di Ignazio e Beppe. Il dovere nel ricordo

Spesso si parla di quanto la mafia sia responsabile dell’impoverimento della Sicilia e di come si infiltri nel tessuto socio-economico nutrendosi delle sue risorse. Talvolta però, in questo slancio di invettive generiche seppur corrette, si tende a dimenticare chi ha pagato il prezzo più alto di tutti.

Così dal 1996 Libera, una rete di associazioni e movimenti contro le mafie e per la giustizia, si impegna a mantenere attiva la memoria nei confronti delle vittime della criminalità organizzata. Le si ricorda il primo giorno di Primavera, come simbolo di rinascita, in nome della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Fin troppi nomi di questi martiri provengono dalla provincia di Messina, le cui storie necessitano di essere preservate e raccontate affinché il loro impegno non resti vano. Diviene così un dovere sociale ascoltare il dolore dei loro cari, attraverso l’estremo coraggio che trasuda dalle loro parole.

Un padre, un marito

Il 27 Gennaio 1991 per me è una data da abolire. Non dovrebbe esistere nel calendario. […] Ti hanno comunque anche privato anche della tua adolescenza, perché da quel giorno ti sei trovata a crescere immediatamente, un giorno bambina e il giorno dopo donna, però non puoi essere che fiera di aver avuto un padre così.

Queste sono le parole che in un videomessaggio Donatella Aloisi dichiara in una puntata del maggio 2009 di Mi manda Raitre, riferendosi alla morte del padre. Durante la trasmissione Rosa e Cinzia, rispettivamente moglie e figlia di Ignazio Aloisi, hanno raccontato con umanità e delicatezza il loro tragico vissuto.

Ignazio Aloisi era una guardia giurata e come ogni sera trasportava l’incasso giornaliero da un casello autostradale messinese con un furgone blindato. Il 3 settembre 1979 però è vittima di una rapina a mano armata del quale riconosce subito l’esecutore. Si tratta del vicino di casa Pasquale Castorina, affiliato al clan del boss messinese Luigi Sparacio.

Ignazio si reca dunque in Questura dove, senza esitazioni, fa subito il nome del vicino. Un anno dopo, con l’avvicinarsi del processo, Castorina minaccia Ignazio sparando un colpo di pistola in aria. Seguono altri avvertimenti tramite chiamate telefoniche, che Ignazio e la famiglia denunciano, senza ottenere che siano messi a verbale. Nonostante i tentativi vani del malavitoso, Ignazio non arretra e le sue dichiarazioni portano alla condanna di Castorina, che giurò vendetta. Sconterà la pena otto anni dopo.

Il 27 Gennaio 1991 Ignazio si trovava con la figlia Cinzia allo stadio Celeste, per una partita del Messina, la loro squadra del cuore. Dopo la vittoria, padre e figlia, si recarono come di consueto in una pasticceria di un amico di Ignazio, che però non aveva ancora aperto l’attività. I due, quindi, decisero di incamminarsi verso casa, che stava vicino allo stadio, intraprendendo una scorciatoia. Ad un tratto un uomo incappucciato sbuca dalla strada principale e spara tre colpi a Ignazio lasciandolo a terra esangue. Le grida di aiuto di Cinzia, non cambiarono le sorti del padre già morto.

Castorina venne così condannato a 22 anni di reclusione. Egli tenterà di alleggerire la propria posizione diventando collaboratore di giustizia e nel contempo infamerà la memoria di Ignazio, dichiarando di non essersi semplicemente vendicato di chi lo fece arrestare, bensì di un ex complice che lo avrebbe incastrato, poiché insoddisfatto della spartizione del bottino della rapina del 1979. Accuse che, seppur debolissime (l’unico elemento in comune fra i due era il vivere nello stesso stabile), resero Ignazio vittima due volte: non solo martire, ma anche non riconoscibile dal Ministero dell’Interno, come vittima innocente di mafia.

Ignazio Aloisi: vittima innocente della mafia
Ignazio Aloisi: vittima innocente della mafia (Wikimedia)

Il professore

Fu il cane a portarmi dove c’era il sangue di mio padre. Ebbi la necessità di sentire il suo odore. A distanza di anni è quell’odore che mi spinge a continuare a lottare per ottenere giustizia per la sua uccisione.

Così scrive Sonia Alfano nel suo libro La zona d’ombra (Rizzoli, 2011) circa l’omicidio del padre Beppe Alfano avvenuto nel gennaio 1993. Beppe stava rientrando in casa con la moglie Mimma, quando si accorse che qualcosa stava andando storto. Fermò la sua Renault rossa e chiese alla moglie di salire a casa, lui rimase in macchina. Probabilmente intuì che avrebbe messo in pericolo la sua famiglia se non fosse rimasto da solo. Poco dopo arrivarono le pallottole: tre colpi di calibro al 22 alla testa e al torace.

La figlia Sonia parlava al telefono con i colleghi del padre, corrispondente per il quotidiano La Sicilia: chiamavano per informare Beppe che c’era stato un omicidio vicino a casa, e se dunque potesse andare a vedere per conto del giornale. Sapevano anche il cognome della vittima: “Alfano”.

Beppe era un giornalista ma non si iscrisse mai all’ordine, per protesta contro l’esistenza stessa dell’Albo. Sebbene fosse la sua principale occupazione, lo era diventata per il suo instancabile desiderio di verità e non per professione. Di lavoro faceva infatti il professore di educazione tecnica a Terme Vigilatore, dopo un primo a periodo a Cavedine (Trento).

Era un uomo attivo politicamente, in particolare militava nel Movimento Sociale Italiano. La sua inclinazione alla cronaca lo portò a indagare sulle intricate relazioni fra la mafia barcellonese, politica e massoneria. S’interessò delle ingerenze della criminalità organizzata, nelle grandi occasioni di finanziamento nell’ambito dei contributi e dell’edilizia: fondi all’agricoltura, raddoppio ferroviario e costruzione dell’autostrada Palermo-Messina.

Fu però il suo interesse nei confronti della latitanza barcellonese del boss di Catania Santapaola, che spinse Cosa Nostra a progettare l’eliminazione. Fu Santapaola stesso a chiedere a Gullotti, genero del boss barcellonese Rugolo, di organizzare l’omicidio. In particolare ebbe peso un’altra sua pericolosa investigazione: capì l’interesse mafioso nella gestione di alcuni finanziamenti regionali all’AIAS (Associazione Italiana Assistenza Spastici). Il dirigente Mostaccio aveva infatti numerosi intrecci con la criminalità organizzata locale.

Beppe Alfano: giornalista ucciso dalla mafia (Wikimedia)

Francesco D’Anna

Convegno “Mafie tra continuità e mutamento: analisi, esperienze, narrative”: intervista alla dott.ssa Rossella Merlino

Nei giorni 27 e 28 settembre si svolgerà il convegno “Mafie tra continuità e mutamento: analisi, esperienze, narrative” presso l’Aula Magna del Rettorato.

L’evento rientra nell’ambito del progetto di ricerca MessCa: “Mafia-type organised crime in the Province of Messina”, di cui è responsabile scientifico la Dott.ssa Rossella Merlino (Bangor University-U.K.) sotto la supervision del Prof. Luigi Chiara presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche dell’Università di Messina (SCIPOG), e finanziato della European Research Executive Agency (REA) della Commissione Europea.

L’evento sarà trasmesso in diretta sulla pagina Facebook dell’Ateneo.

Marie Skłodowska-Curie Actions: un programma per le eccellenze europee

La Dott.ssa Rossella Merlino è detentrice della prestigiosa borsa di studio post-dottorato “Marie Curie” (Marie Sklodowska Curie Research Fellow). Le Marie Skłodowska-Curie Actions, direttamente collegate alla Commissione Europea, contribuiscono a promuovere le eccellenze nel campo della ricerca, finanziando ricercatori con investimenti mirati a sviluppare nuove conoscenze e competenze, e favorendo la collaborazione tra diversi settori, discipline e università.

In questo contesto stimolante e autorevole, il team composto dal Professore Luigi Chiara, la Dott.ssa Merlino, la Dott.ssa Francesca Frisone, e il Dott. Marco Maria Aterrano, ha organizzato un meeting che affronterà una tematica di rilievo con ospiti da tutto il mondo: la mafia in rapporto ai suoi mutamenti ma anche alla continuità storica, entrambi elementi che la caratterizzano.

Il programma del convegno

Il ricco programma, che si svilupperà tra il pomeriggio del 27 (dalle 15.30) e l‘intera giornata del 28, affronterà il fenomeno mafioso da diversi punti di vista, grazie alla partecipazione di numerosi ospiti illustri provenienti da diversi contesti: saranno presenti in Aula Magna (oltre agli interventi previsti da remoto) sia rappresentanti delle Istituzioni, che studiosi universitari provenienti da tutta la penisola e da prestigiosi Atenei stranieri, nonché addetti ai lavori del mondo del giornalismo.

Programma completo del convegno – UniMe

Il tema principale, che accomunerà i diversi panel, è rappresentato dall’analisi multidisciplinare del fenomeno mafioso in relazione ai processi di mutamento dell’ambiente esterno: in altri termini, saranno approfonditi, da differenti punti di vista, i meccanismi di adattamento delle mafie, quali l’assunzione di forme organizzative più flessibili e di modelli d’azione più complessi e multiformi.

Interrogativi quali:

  • In che misura modelli di analisi e rappresentazione del fenomeno mafioso accompagnano questi mutamenti?
  • Quali sono le risorse che facilitano i meccanismi di riproduzione mafiosa nel tempo e nello spazio?
  • Quali le relazioni tra consorterie mafiose tradizionali e le cosiddette “nuove mafie”?

rappresentano dei nodi imprescindibili da sciogliere per comprendere quali sfide si presentano oggi nella lotta alla criminalità organizzata.

Dott.ssa Rossella Merlino – Bangor University

Vista la complessità dell’argomento – e del programma – abbiamo deciso di porre qualche domanda alla dott.ssa Rossella Merlino, per addentrarci “dietro le quinte” del convegno e approfondire il suo ruolo di ricercatrice titolare di una prestigiosa borsa di studio come la Marie-Skłodowska-Curie. 

Il convegno spazia in vari ambiti, ma delinea un percorso ben preciso. Qual è il vero filo conduttore che accomunerà i diversi interventi degli ospiti?

Il convegno prevede una serie di panel incentrati su temi diversi, da modelli di analisi e proposte interpretative sul fenomeno mafioso, all’ esperienza sul campo di autorità inquirenti, ai nuovi contesti in cui si muovono le mafie e alle loro rappresentazioni culturali. A sottendere gli interventi, tuttavia, è il focus sui processi di trasformazione che interessano le mafie, e gli elementi di continuità che le caratterizzano. Perché a caratterizzare la criminalità organizzata di tipo mafioso, in generale, è proprio la capacità di coniugare continuità di obiettivi e trasformazione del profilo operativo per adattarsi alle circostanze esterne.

Parlare di mafia in una terra come la Sicilia, a Messina, potrebbe sembrare quasi un “dovere”. Potresti dirci, a livello umano ma soprattutto scientifico, come nasce questa “esigenza”? 

Di mafia in Sicilia si parla da oltre un secolo e mezzo, ma non sempre il parlarne ha contribuito a conoscere meglio il fenomeno. Spesso posizioni discordanti o letture approssimative hanno contribuito semmai a creare una gran confusione sul tema.
Gli studiosi oggi hanno il compito di metterne in luce la realtà complessa, in modo rigoroso, e di divulgare i risultati della ricerca in modo da accrescere la consapevolezza generale sul tema. Nel caso specifico della provincia di Messina, contesto inspiegabilmente trascurato dalla letteratura specialistica in tema di mafia, diventa un’esigenza occuparsene da ambiti disciplinari diversi perché non si sottovaluti un territorio dove le mafie operano su più fronti.

Collegandoci alla domanda precedente, ormai sappiamo che il fenomeno mafioso ha raggiunto – da moltissimo tempo – una portata “internazionale”. Provenendo da un’università straniera – tra l’altro assisteremo agli interventi di diversi ospiti da tutto il mondo – come reputi il livello della ricerca sulle mafie fuori dal nostro Paese? Viene posta più attenzione a questo tema in Italia o all’estero?

C’è sempre stata una grande attenzione – e curiosità – all’estero per le mafie italiane. Per lungo tempo, tuttavia, ha prevalso un’immagine del fenomeno mafioso condizionata da rappresentazioni culturali, in particolar modo cinematografiche, spesso stereotipate che finivano con l’assimilare la cultura mafiosa a quella siciliana. Gli studiosi di altri Paesi impegnati sul tema hanno senza alcun dubbio contribuito alla comprensione del fenomeno mafioso, del suo radicamento sul territorio a livello locale e della sua capacità di espansione e di mobilità su scala nazionale e transnazionale, mettendo in luce la disomogeneità esistente, e le conseguenti difficoltà, nelle azioni investigative e giudiziarie di contrasto dei diversi Paesi.

Quali opportunità ti ha dato la borsa “Marie Skłodowska Curie”? È stato difficile accedervi? Puoi spiegarci più nel dettaglio di cosa si tratta?

Nel mio caso, la borsa rientra nelle azioni Marie Skłodowska-Curie Individual Fellowships. Si tratta di borse di ricerca individuali che incoraggiano la mobilità internazionale e hanno come obiettivo quello di sostenere la formazione alla ricerca e lo sviluppo di carriera dei ricercatori titolari di dottorato di ricerca in qualsiasi ambito disciplinare e su qualsiasi argomento di ricerca. Si presenta una proposta progettuale in collaborazione con un ente ospitante e sotto la supervisione di un responsabile scientifico dello stesso. Ovviamente sono borse molto competitive, per le quali, oltre ad un progetto di ricerca valido, è necessario dimostrarne l’originalità e la rilevanza.

Cosa consiglieresti a un giovane ricercatore per migliorarsi professionalmente?

Consiglierei di scegliere un percorso di formazione post-laurea mirato a sviluppare determinate competenze nell’ambito lavorativo in cui ci si vuole specializzare. Sicuramente un’esperienza all’estero aiuta, come è stato nel mio caso, magari con l’idea, un giorno, di riportare queste competenze “a casa”.

Emanuele Chiara, Claudia Di Mento

“Gli uomini passano le idee restano” in memoria di Giovanni Falcone

Giovedì 23 maggio, alle ore 10:30, in occasione dell’anniversario della Strage di Capaci, l’Aula Magna del Rettorato ha ospitato la giornata in ricordo di Giovanni Falcone, organizzata dal Centro Studi sulle Mafie dell’Università di Messina.
Dopo i saluti istituzionali del Rettore Prof. Salvatore Cuzzocrea, un breve discorso di elogio per chi onora il proprio mestiere. Ha avuto inizio il dibattito, moderato dal giornalista Nuccio Anselmo, con il Dott. Maurizio De Lucia, Procuratore della Repubblica di Messina e il Dott. Emanuele Crescenti, Procuratore della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto.

Il tempo del dibattito è stato scandito da 4 video documentario che trattavano del giudice Falcone e della strage di Capaci.

La strage di Capaci fu un attentato compiuto da cosa nostra, commissionato da Totò Riina il 23 maggio 1992 nei pressi di Capaci, per uccidere il magistrato antimafia Giovanni Falcone. Gli attentatori fecero esplodere un tratto dell’autostrada A29, mentre vi transitava la scorta con a bordo il giudice, la moglie e gli agenti di Polizia, sistemati in 4 auto blindate. Oltre al giudice, morirono altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Il sicario Giovanni Brusca azionò una carica di cinque quintali di tritolo, che era stata posizionata in una galleria scavata sotto la strada. Pochi istanti prima dello scoppio, Falcone aveva rallentato per prendere un mazzo di chiavi dal cruscotto della macchina. Lo scoppio quindi travolse in pieno solo la prima auto. I tre agenti della scorta morirono sul colpo.
La macchina di Falcone si schiantò contro il muro di cemento e detriti causati dallo scoppio. Il giudice Falcone morì durante il trasporto in ospedale a causa del trauma, causato dall’impatto. La moglie Francesca morì invece in ospedale più tardi. L’agente Costanza, che si trovava nella macchina con il giudice, rimase illeso. Gli agenti della terza automobile, feriti, ma non in pericolo di vita.

I due procuratori sono intervenuti all’incontro elogiando Falcone, parlando di quanto fosse importante come figura oltre che professionalmente, moralmente. Hanno parlato dei moltissimi progressi che sono stati fatti in Sicilia e in Italia nella lotta alla mafia, grazie al quel modo di intervenire impartito da uomini valorosi come Falcone. Si sono pronunciati su Messina e su come la mafia fosse meno violenta. Si era compreso prima delle altre associazioni a delinquere quanto i morti portassero l’attenzione dei media e delle forze dell’ordine, e questo faceva sì che fosse anche più complicato condurre le indagini. Delle parole sono state spese anche riguardo a Barcellona Pozzo di Gotto e a quanto pure lì le indagini abbiano portato a dei risvolti positivi per la giustizia con molti arresti, un approccio alla lotta alla mafia che deve essere intrapreso anche contro le ’ndrine al nord e le camorre. Infine gli ospiti si sono concentrati sui fatti e non sulle supposizioni sollevate ai tempi della strage dalle testate giornalistiche.

Alle 19:30 è stato proiettato presso il Cineauditorium Fasola il film “Il traditore”, film eccezionale sulla vita di Tommaso Buscetta, ex appartenete di cosa nostra, e collaboratore di giustizia grazie al buon rapporto che aveva instaurato col giudice Falcone. Un film di Bellocchio, che ha Buscetta come personaggio protagonista interpretato da Favino. La pellicola ha riscosso moltissimo successo, realizzata bene sopratutto per quanto riguarda le scene del maxi processo, di cui su YouTube si trovano le riprese originali, e mettendo a confronto recitazione e realtà, ci si rende conto della meravigliosa interpretazione di Favino. Viene analizzata una figura che grazie alle sue dichiarazioni fece arrestare moltissimi esponenti di cosa nostra tra cui Salvatore Riina, mandante della strage di Capaci e di altri molteplici omicidi.

Alberto Cavarra

Messina scende in piazza: IO VEDO, IO SENTO, IO PARLO

21 Marzo 2019.Si è svolta a Messina in Piazza Lo Sardo (Piazza del popolo) la XXIV° Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie organizzata da Libera “Orizzonti di Giustizia Sociale. L’iniziativa nasce dal dolore di una mamma che ha perso il figlio nella strage di Capaci e non sente pronunciare mai il suo nome. Un dolore insopportabile. Una vittima meno vittima. Una vittima di serie B. Una vittima a cui viene negato anche il diritto di essere ricordata con il proprio nome.

Così, dal 1996, ogni anno, un lungo elenco di nomi scandisce la memoria che si fa impegno quotidiano. Un lungo rosario civile recita nomi e cognomi, per farli vivere ancora una volta, per non farli morire mai. Perché nessuno muore finché vive nel cuore di chi resta. Tanti i luoghi del nostro Paese che si uniscono per un abbraccio sincero ai familiari delle oltre 900 vittime innocenti delle mafie, non dimenticando le vittime delle stragi, del terrorismo e del dovere. Un appuntamento preceduto da centinaia di iniziative promosse in Italia e in Europa, tra incontri nelle scuole, cineforum, dibattiti e convegni.

Libera sceglie l’equinozio di primavera non a caso. Ѐ fortemente metaforico. Vuole far sì che si viva in modo differente il solstizio, promuovendo e realizzando un percorso simbolico di risveglio delle coscienze e della memoria. Un percorso di preparazione che dura da diversi mesi, realizzato dalle organizzazioni del Presidio “Nino e Ida Agostino”, da associazioni come le Acli e dalle oltre 20 scuole, che hanno partecipato consapevolmente all’iniziativa e hanno dato vita ai “100 passi verso il 21 marzo” attraverso parole e striscioni narrando “Storie di memoria, Percorsi di verità”. Una giornata di impegno, partecipazione, riflessione, di lotta per il bene comune, per la dignità e la libertà delle persone.

Antonio Gallo, Presidente Provinciale delle Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) di Messina spiega la volontà di unirsi ad un’associazione come Libera:

“Insieme alle altre associazioni che hanno aderito, noi delle Acli ci consideriamo in prima linea in questo percorso, la nostra società nasce nel 1944 da principi cristiani, infatti, il nostro punto di riferimento è la dottrina sociale della chiesa, di conseguenza è insito nel nostro DNA associativo essere paladini della legalità e di ogni forma di antimafia. Ci poniamo l’obiettivo di continuare a lavorare per la cultura della giuridicità, per fare in modo che questa straordinaria partecipazione si trasformi in un nuovo impegno di tutti i cittadini, dal Nord al Sud della Penisola.  Per la fioritura di una nuova terra. Una terra di speranza e riscatto, per una nuova primavera dell’impegno civico e sociale. Oggi partecipiamo attivamente all’iniziativa ma è solo una delle tante iniziative a cui abbiamo aderito e aderiremo. Negli anni scorsi abbiamo, infatti, partecipato a delle marce in nome di Falcone e Borsellino”.

I promotori dell’evento sottolineano che per contrastare le mafie e la corruzione occorre sì il grande impegno dell’arma, ma prima ancora, occorre diventare una comunità solidale e corresponsabile, che faccia del “noi” non solo una parola, ma un crocevia di bisogni, desideri e speranze. Non vi è la necessità di grandi opere ma dell’opera quotidiana di cittadini responsabili, capaci di tradurre la domanda di cambiamento in forza di cambiamento.

Gabriella Parasiliti Collazzo

C’è chi dice NO

Gli studenti dell’Università degli Studi di Messina hanno detto NO alle mafie.

Questa mattina, grazie alla preziosa collaborazione dei professori Chiara e Moschella, si è svolto presso il Rettorato l’evento “I giovani e la lotta alla mafia. In ricordo di Giovanni Falcone.“, che ha visto da programma i saluti del Magnifico Rettore e gli interventi di diverse autorità, accompagnate dagli speech di due studenti e dalla mostra fotografica allestita dagli stessi studenti presso l’atrio del Rettorato. L’evento di per se è stato un chiaro segnale di non sottomissione nei confronti del fenomeno mafioso, e oltre alla commemorazione di una figura fondamentale come quella di Falcone, è riuscito a descrivere i connotati di una mafia che dagli anni ’60 si è impossessata dapprima della sua terra natia per poi espandersi fino ad arrivare a colpire il potere centrale e a farsi carico di azioni spregevoli e atteggiamenti che, se inizialmente venivano visti al sud come qualcosa di “normale”, hanno varcato i confini del Tevere per arrivare fin sotto le Alpi.

Ma l’evento di per se è uno specchietto per le allodole se visto sotto l’ottica pura del ricordo: ci hanno sempre abituati a vedere le cose sotto il punto di vista del “ricordare è giusto, tenere viva la memoria e non permettere più atteggiamenti dello stesso stampo”, bypassando di fatto quello che a mio modo di vedere è il nodo fondamentale della questione, cioè l’educazione.

Troppo facile dire che Falcone, Borsellino, Livatino e tanti altri, magistrati e non, siano esempio per noi se poi a questi propositi non seguono azioni concrete che si sviluppano già in fase pre-adolescenziale. Non siamo educati fin da bambini a schierarci apertamente contro le mafie, e non parlo solo di quelli che sono i media di uso comune ma di educazione civica nel senso più puro del termine. Siamo sempre stati condizionati dalla distinzione “bravo e mafioso” e “scarso ma onesto”, precludendo la via della meritocrazia, del “bravo e onesto”, in favore della più agevole via del clientelismo e dell’interesse personalistico, in un mondo e in una terra dove la mafia si respira ogni giorno, anche oggi, dove la generazione che dovrebbe ribellarsi, in modo più o meno assordante, alle logiche del favoritismo e che rappresenterà la classe politica del domani non fa altro che scendere a compromessi e a giocar al “politico di stampo prima repubblica” in fantomatiche posizioni di potere che a dir la verità di potere ne hanno poco e sono solo il banco di prova per futuri momenti di scelta elettorale.

Combattere la mafia significa anche debellare questo malcostume, scendere in campo preparati, con l’ardore che dovrebbe contraddistinguere un cittadino interessato a sé ma anche al bene comune, ma soprattutto che dovrebbe attraverso un processo democratico scegliere da che parte stare e chi sostenere guardando esclusivamente al merito, cercando di costruire attorno a se una società fatta finalmente non di gente “brava e onesta”, ma esclusivamente “brava”, perché l’onestà dovrebbe essere terreno comune dove coltivare sogni e ambizioni e far crescere la speranza di una società migliore. Una massa di gente con coscienza e criterio, che la mafia vuole vederla SCONFITTA. Oggi gli studenti Unime, anche attraverso questa iniziativa, hanno avuto la forza e il coraggio di scegliere di intraprendere questa strada, con l’auspicio che nonostante sia particolarmente tortuosa non cambino mai idea, ma che anzi, piuttosto che camminare, possano iniziare a correre.

https://youtu.be/kQdXRxv_QcE

Salvo Bertoncini