20 anni nella Terra di Mezzo grazie a Peter Jackson

Il 19 Dicembre 2001 con La Compagnia dell’Anello arrivò nelle sale il lavoro di riadattamento di uno dei romanzi più importanti della storia, scritto da J.R.R. Tolkien.

Il Signore degli Anelli è stato, fin dalla sua uscita nel 1955, l’ispirazione principale per qualunque opera parlasse di epica fantasy: un racconto separato dal tempo che cercava di riempire quel buco di narrazioni fantastiche che gli inglesi avevano sempre riempito con storie di altri Paesi fin dall’antichità. Fu il primo vero romanzo che inaugurò il fantasy come lo conosciamo e lo intendiamo oggi: una storia separata dal nostro mondo, ambientata in scenari che rievocano i miti del passato.

La compagnia dell’Anello

Il segreto del suo successo sta, però, anche nell’ispirazione prettamente moderna del racconto: i sei mesi passati in trincea, durante la prima Guerra Mondiale, segneranno lo scrittore e saranno la maggiore ispirazione per le infernali macchine dello stregone Saruman, così come per la battaglia del Fosso di Helm e la guerra di logoramento tra le città di Minas Tirith e di Minas Morgul.

La sfida di una trasposizione immensa

Il background storico e culturale dell’opera era quindi immenso e la sfida raccolta dal regista Peter Jackson era creduta inizialmente impossibile da molti produttori.  Lo stesso regista era fermamente convinto che per una trasposizione fosse necessario una “rinarrazione”: il romanzo era intraducibile in pellicola. A questo pensiero era già arrivato tra l’altro il regista Kubrick, quando gli era stato proposto di girare una trasposizione con protagonisti i Beatles.

Ciò nonostante, Jackson proseguì nella produzione, convinto che dopo i miglioramenti della computer grafica – visibili in film come Jurassic Park – fosse possibile portare al cinema un racconto fantasy degno di nota, che potesse finalmente rendere giustizia all’opera di Tolkien. E alla fine vinse proprio l’originale!

Frodo osserva Gran Burrone 

La scelta ripagò, grazie anche all’aiuto di artisti come Alan Lee, illustratore storico dei lavori sulla Terra di Mezzo, nonché al saggio utilizzo di modellini – come quello della città di Minas Tirith – ed effetti visivi realizzati tramite computer.

La trilogia  riesce ancora oggi a stupire per l’impatto visivo di certe scene, nonostante siano passati più di vent’anni dall’uscita nelle sale.

Una storia rimasta nel cuore

Tutto questo lavoro è riuscito a rendere la trilogia cinematografica un successo mondiale ed eterno. Ancora oggi viene considerata da molti un esempio notevole di come girare un vero fantasy al cinema.

La storia di Frodo (Elijah Wood), Sam (Sean Astin) e della Compagnia dell’Anello ha molto da raccontare per tanti motivi: gli eroi non sono grandi uomini, ma hobbit bassi e goffi, capaci però di atti d’eroismo in grado di sconfiggere il male assoluto incarnato in Sauron. Ed accanto a loro protagonisti come Aragorn (Viggo Mortensen), Legolas (Orlando Bloom) , Gimli (John Rhys-Davies) o lo stregone Gandalf ( Ian McKellen) sono ancora oggi personaggi ricordati. Così come sono ricordate le loro azioni: Frodo che getta l’anello nel Monte Fato, Aragorn che affronta l’esercito dei morti, la fuga dalle rovine di Moria o anche l’ interpretazione di Gollum (Andy Serkis), probabilmente una delle parti più memorabili dell’intera trilogia.

Gandalf arriva a Minas Tirith

Cosa riserva il futuro?

L’interesse per le storie della Terra di Mezzo continua quindi ad esistere e Amazon ha deciso recentemente di cavalcare l’onda lanciandosi nella produzione di diverse serie ambientate in quel mondo: il progetto è cominciato nel 2018, con la scelta di recarsi in Nuova Zelanda (luogo dov’è stata girata la trilogia cinematografica) per dare il via alle riprese.

L’immagine teaser della serie Amazon

Le informazioni sono ancora poche, ma già sappiamo che la trama si svolgerà millenni prima delle storie da noi conosciute, con un cast di personaggi totalmente rinnovato e luoghi e situazioni ancora inesplorate. Il tutto sarà tratto dal cosiddetto Legandarium, una serie di appunti scritti da Tolkien durante il corso della propria vita e pubblicati postumi dal figlio Cristopher, che raccontano le nascita e la storia dell’intero mondo di Arda.

Le aspettative sono perciò alte per molti fan dell’universo di Tolkien. Resta solo da attendere l’uscita, prevista per il 2 settembre 2022.

Matteo Mangano

 

La Basilica di Sant’Antonio a Messina

Ancora una volta – a causa pandemia – un altro importante anniversario rischia di non essere celebrato adeguatamente; proprio quest’anno, infatti, ricorre il centenario dalla fondazione – a Messina – della Basilica di Sant’Antonio da Padova, voluta da Padre Annibale Maria Di Francia.

La rinascita di un quartiere malfamato

La Basilica è situata nel cuore della città di Messina, nel quartiere Avignone, dove, più di un secolo fa, papa Pio X donava alla comunità un luogo che sarebbe diventato anni dopo un centro religioso e un punto d’incontro per fedeli, orfani e, soprattutto, per i più poveri. Un quartiere malfamato bisognoso di un risanamento morale e che, grazie all’arrivo di un giovane sacerdote – padre Annibale – divenne un luogo dedito alla redenzione, avente come fulcro una piccola cappella dedicata al Cuore SS. di Gesù.

La dedizione nei confronti dei più bisognosi spinse padre Annibale a venerare la santità di Antonio da Padova, in particolare per il rapporto con gli orfanotrofi; infatti, nel 1882, diede vita agli Orfanotrofi Antoniani, cambiando radicalmente la realtà del quartiere Avignone.

Padre Annibale assiste un mendicante del quartiere Avignone – Fonte: basilicaantoniana.it

La devozione a Sant’Antonio, il Santo dei Miracoli

Confidando sempre nell’aiuto divino e nell’assistenza del Santo di Padova, i1 13 giugno del 1906 Annibale lanciò un invito a tutti i devoti di S. Antonio affinché con un solo obolo di ciascuno venisse acquistata una statua in onore del Santo. La statua fu trasportata da Roma nel maggio del 1907. Da quel momento molti dei miracoli invocati dai credenti divennero realtà tangibile. La prima processione fu celebrata il 13 giugno 1907.

Dopo il terremoto del 1908 – che rase al suolo le due città dello Stretto -, la statua fu ritrovata integra e adagiata.

Inoltre, in seguito a quel drammatico evento, l’allora papa Pio X donò una “chiesa-baracca” alla città di Messina, nella quale Sant’Annibale proclamò Sant’Antonio da Padova “Singolarissimo e instancabile benefattore nostro e di tutti quelli che alle nostre preghiere si raccomandano”.

Nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1919 un misterioso incendio distrusse la chiesa-baracca; immediatamente le parole di una donna offrirono un barlume di speranza in quel momento di sconforto:

Non vi preoccupate, ora Padre Francia ne farà una tutta d’oro!

Il Santuario di Sant’Antonio – Fonte: torrese.it

La struttura della Basilica

Così il 3 aprile 1921 venne posta la prima pietra per la costruzione dell’attuale Basilica, inaugurata il 4 aprile 1926 sotto il nome di “Tempio della Rogazione Evangelica del cuore di Gesù e Santuario di Sant’Antonio”.

La realizzazione dell’opera fu affidata allo Studio dell’Ingegner Letterio Savoja: obbiettivo principale era la resa armonica di una struttura ottocentesca elegante, coerente e perfetta. L’impianto a navate che dirigono lo sguardo del fedele direttamente alle absidi rivelavano l’influenza rinascimentale. Inoltre le vetrate istoriate sostituite dopo gli assedi bellici del ’44, permettono alla luce di filtrare tenue creando un’atmosfera mistica che invita il fedele stesso alla preghiera.

Oggi la Basilica è considerata uno dei luoghi di culto più importanti per Messina e i messinesi. Essa, dal grande esempio di Sant’Annibale, offre ancora un servizio semiresidenziale per i minori tramite l’Istituto Antoniano.

All’interno della maestosa Basilica è possibile visitare la cripta dedicata a Padre Annibale, dove si trova l’urna contenente il corpo del Santo fondatore.

Annesso alla chiesa vi è un museo nel quale è visibile in due ali separate oggetti dedicati rispettivamente a Sant’Annibale e Sant’Antonio.

L’interno della Basilica – Fonte: lasiciliainrete.it

La processione di Sant’Antonio

Come è noto, Messina è una città ricca di secolari tradizioni religiose; e infatti, ogni anno – il 12 e il 13 giugno -, la comunità messinese rinnova la sua immensa devozione al Santo dei Miracoli svolgendo un’imponente processione. La statua di Sant’Antonio sfila per le vie del centro, seguita da innumerevoli devoti e pellegrini che indossano il saio francescano, ed è posta su di un mappamondo abbellito di fiori e ori votivi dei fedeli e attorniata da piccoli marinaretti e paggetti antoniani, in ricordo dei piccoli orfani e poveri della comunità.

Processione del Santo – Fonte: basilicaantoniana.it

Le celebrazioni per il centenario

Quest’anno le celebrazioni in onore del Santo dei Miracoli sono iniziate l’8 aprile e si concluderanno il 13 dello stesso mese.

Oggi, 10 aprile, alle ore 18 si celebrerà la Santa Messa presieduta dal Superiore Generale dei Padri Rogazionisti, Padre Bruno Rampazzo, mentre alle ore 21 si terrà – a porte chiuse –  il concerto presieduto dagli allievi del Conservatorio “A. Corelli” di Messina, con la partecipazione dell’onorevole Antonio Martino.

Domani, data del centenario, alle ore 17:30 si terrà il Solenne Pontificale, presieduto dal cardinale Marcello Semeraro – Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi -, con la lettura delle Bolla Pontificia per l’apertura del Giubileo. Conclusa la celebrazione – concelebrata dall’arcivescovo di Messina Monsignor Giovanni Accolla –  è in programma una processione interna con le reliquie di Sant’Antonio e un omaggio alla spoglie di Sant’Annibale di Francia nella cripta del Santuario.

Un festival di luci ed immagini sulla facciata della Basilica concluderà questa intensa e memorabile giornata.

 

Marika Costantino

Fonti:

basilicaantoniana.it

Si ringrazia Padre Orazio Anastasi, in particolare per le informazioni sul calendario delle celebrazioni

Immagine in evidenza:

 La facciata della Basilica di San’tAntonio – Fonte: basilicaantoniana.it

 

 

Messina 1908: La storia di un grande evento, il nostro

Orologio fermo alle 5.20, ora esatta dello scatenarsi del sisma della mattina del 28 dicembre 1908 (foto scattata nel già 1909)

“Cosa fu?” chiese il figlio al padre,

“Aspetta” disse il padre al piccolo.

Queste, silenti, brevi e semplici parole alle 5.15 di quella fredda mattina.

Soltanto cinque minuti dopo, nel momento in cui il bimbo stava per riprendere sonno, ad un tratto un boato, eccola, l’ira funesta della madre terra, che sprigionò tutta la sua forza laddove niente fu come prima. 

Tutto diventò altro, un tutt’uno tra inferno e paradiso, tra cielo e terra, tra acqua e fuoco, tra vento e quiete.

Messina subiva quello che noi oggi conosciamo come l’evento sismico più potente della nostra storia recente, uno di quelli che raggiunse il 7° grado della scala Mercalli.

Carmelo – questo il nome del bambino – si trovava nella sua cameretta, dove discuteva col padre, e da lì è stato estratto, tra le macerie della loro casa, del loro plesso, del loro rione. Carmelo percepiva le voci, le grida e i lamenti come se fossero un sogno molto realistico, non dava loro molto peso, tanto in fin dei conti da lì a poco si sarebbe svegliato,  per cui perchè preoccuparsi più di tanto…

Si rese conto nemmeno pochi istanti dopo che non era un sogno ma una realtà viva, attuale, vera più che mai. Lì iniziò a vedere con gli occhi di un bambino, quale lui era, tutto il dramma della vita: corpi riversi sotto i solai, sotto le travi e mobilia, mobilia ovunque, specchi rotti, legna, pietre, tantissime pietre, tutte le pietre del mondo dirà negli anni seguenti nei suoi racconti monotoni per i quali sarà financo schernito dalle future generazioni. 

Particolare degli interni di un appartamento in via Fossata nel 1909

Correva l’anno del Signore 1908 in quel di Messina, già sede di provincia e prima tra le quattro città di distretto configurate nell’ottica borbonica dal punto di vista amministrativo. In ordine di importanza erano queste le quattro città già demaniali e di distretto in un tempo precedente: Messina, Castroreale, Patti e Mistretta.

Carmelo era figlio di quel tempo, figlio di quella nonché nostra stessa terra, Messina, la Sicilia.

Diranno alcuni: figlio delle terre al di là del faro.

Così venivano intese infatti tutte le zone della Sicilia che non si trovavano “al di qua del faro” in cui ricadevano, geograficamente parlando, i centri della Calabria. Una dicitura già presente all’epoca borbonica e riportata per abitudine descrittiva nei vari passaggi di regno e/o annessioni territoriali.

Come lui, altre piccole anime, le quali nulla chiedevano, se non vivere a casa loro, nella loro città, tra quella che era la loro gente. Le Regie Poste, gli uffici amministrativi, abitazioni, statue, rioni, caseggiati, strutture ecclesiastiche e chi più ne ha più ne metta, andarono sgretolati nel giro di soli 37 secondi interminabili e da nessuno mai immaginabili.

Altri sismi degni di nota

È vero, dirà qualcuno anni dopo, nel corso dei secoli ci furono anche altri terremoti gravi, ancor prima del 1908. Uno su tutti il cosiddetto “terremoto di Castroreale dell’inizio del secolo 700”, 5.4 della scala Richter che colpì per forza di cose anche la città di Messina. Tra i vari ricordiamo anche i vari terremoti di Calabria dove ancora e sempre Messina, per la vicinanza geografica, ne subiva gli effetti non di poco conto.

Tornando al 1908 e al piccolo Carmelo

Tornando al ricordo limpido del piccolo Carmelo, durante i mesi a ridosso del tragico evento, cominciò a carpire cosa si stesse facendo e come si stesse operando. Fu preso in carico da alcuni parenti rimasti miracolosamente illesi durante il sisma. Rimase con loro fino al raggiungimento della maggiore età e decise di proseguire la sua giovane vita, da messinese, impegnandosi nel sociale e mettendosi al servizio della sua comunità. Altri ancora, che il piccolo Carmelo lo conoscevano bene, dissero che alla fine diventò un infermiere prestando la sua opera in quel che fu poi per tutti la culla della sanità messinese. Carmelo, cresciuto da questi parenti, passava i pomeriggi a guadare come pezzo per pezzo nasceva il già Regio Ospedale Piemonte, per molti noto come Ospedale Civico, che fu interamente finanziato dal comitato piemontese che con la ingente cifra per quel tempo (600.000 lire), contribuì alla costruzione di uno dei primi plessi presenti in città interamente pianificati in cemento armato.

Ospedale Piemonte visto da sud ( il suo retro) anno 1911

È chiaro che tra le macerie e il legname che regnava sul territorio, il cemento armato fu subito visto come soluzione risolutiva ai possibili futuri problemi sismici e quale azione lungimirante per un prosieguo di vita “normale” e soprattutto in sicurezza. L’ospedale Piemonte – racconterà negli anni ancora il piccolo Carmelo – raccolse l’eredità del Grande Ospedale di Santa Maria della Pietà, edificato a partire dal 1542, sull’area dove oggi sorge il Palazzo di Giustizia.

Messina con difficoltà oggettive cercò fin da subito di risollevarsi, come sempre la storia le insegnò a fare, ma in questo caso il processo non fu immediato. Il Governo del tempo, visto e considerato che molti uffici amministrativi, sia comunali che provinciali, andarono distrutti e venne persa molta documentazione pubblica, ordinò il trasferimento a tempo indeterminato (e fino a revoca governativa) degli stessi nella Città Regia del Castro Regale (oggi Castroreale), al tempo rientrante già nella provincia messinese.

Fu così – Carmelo raccontava ai propri assistiti durante lo svolgimento del proprio lavoro – che Castroreale venne designata quale sede di provincia, sostituendosi subito dopo il 1908, di fatto, alla vicina ed amica Messina, accogliendo moltissimi esuli messinesi con le loro famiglie al seguito.

Carmelo crebbe, e con lui, anche la sua passione per la storia, la storia della sua terra.

In un giorno di ordinario suo lavoro disse ad collega, anch’egli appassionato di storia locale: “Sapevi che il pulpito del nostro Duomo fu distrutto dal sisma del 1908 e ricostruito sulla copia esatta di quello presente nel duomo monumentale di Castroreale?” “No!” – rispose il collega – “sapevo che l’originale ancor prima era il nostro messinese e che sulla base del nostro fu copiato a Castroreale.E sai bene!” – aggiunse Carmelo –e fu fortuna che Castroreale precedentemente lo copiò esattamente dal nostro, perché nel terremoto del 1908 qui da noi, il nostro andò distrutto e l’unica copia fedele esattamente uguale restò in originale proprio quello di Castroreale! Da questo fu ricopiato l’attuale presente nel nostro Duomo.” “Per bacco!” – rispose il collega e aggiunse: “ma tu tutte questa cose come fai a saperle? Sembri più uno storico che un infermiere!Curiosità, semplice curiosità” – e abbassando lo sguardo aggiunse: “io ero piccolo, e la più piccola pietra che allora sentì sul mio corpo mi impose e mi portò alla conoscenza, a scoprire, ad essere interessato ad essa, perché se non lo fossi stato, tu stesso saresti rimasto all’oscuro su ciò che fu ed è la tua storia e la tua storia caro collega è la tua vita, il tuo nettare, la linfa per dare un futuro alle nuove generazioni. Magari un dì in questa misera vita, visitando te, i tuoi tardi nipoti, verranno devoti dove spento e sepolto sarai, ma verranno consapevoli di aver appreso da te un pezzetto di storia in più sulla loro terra, sulla loro zona e sulle loro vicende. Non credi?”

Facciata del Duomo di Messina distrutta

Il collega rimase perplesso, non sapeva che Carmelo aveva visto il padre e la famiglia morire sotto le macerie e  non poteva carpire la forza che aveva avuto a risollevare i ricordi da quelle stesse macerie, anche soltanto la storia, una di quelle che umilmente rimase ad ascoltare, accettando però l’idea che “bisogna passarci per capire” e mai sottovalutare e schernire gli effetti di una tragedia altrui.

Questo il tributo per i 112 anni dal tragico terremoto che colpì la nostra città, la nostra gente e i nostri luoghi più cari.

Fonte immagini: pagina Facebook Antica Messina

Fonte immagine evidenza: ArcheoME

Estratto da un articolo di Filippo Celi

Fabrizio De Andrè: Musica, Poesia e Società

Lunedì 1 aprile 2019. Ore 15:40. Auditorium del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università di Messina. L’associazione Must, ha dato vita ad un incontro intitolato “Fabrizio De Andrè: Musica, Poesia e Società”, in occasione dei 20 anni dalla scomparsa del famoso cantautore.

Durante l’incontro sono intervenuti il professore Giorgio Forni, ricercatore universitario, il professore di comunicazione e giornalismo Francesco Pira e il professore Marcello Mento, giornalista della Gazzetta del Sud. Ai partecipanti sono stati riconosciuti 0,25 CFU.

Nel corso del convegno sono state analizzate le canzoni di De André come vere e proprie poesie del Novecento italiano, un’indagine concentrata sull’umanità dell’autore e dei testi, sui temi e i sentimenti più forti: la necessità dell’amore, l’incombenza della morte, la ricerca di Dio.

La musica leggera italiana, dal principio sino ad ora, ha conosciuto trasformazioni perenni, metamorfosi, innovazioni del linguaggio, dei contenuti e dei destinatari. Come ogni arte è specchio di informazioni sull’uomo.

L’esordio di Fabrizio De André come cantante coincide con un periodo di palpabile fermento nel mondo della musica e nella società italiana. A questa fase di rinnovamento egli partecipa attivamente, muovendo la sua personale ricerca in direzione di nuovi contenuti e nuove forme. La finalità di De André e di altri cantautori è accompagnare alla musica una maggiore profondità testuale, una varietà di argomenti “alti” e “altri” rispetto alla tradizione canzonettistica del paese. Ne consegue la necessità di conformare alle nuove e più impegnate tematiche un linguaggio e una forma adatta a sostenerne lo slancio.
Nell’ascoltare le canzoni del cantante genovese ci si accorge immediatamente della cura che la scelta di ogni parola ha richiesto. Come nella poesia ogni termine occupa un suo posto specifico, per contenuti, musicalità, esigenze metriche o stilistiche, allo stesso modo, nelle canzoni di De André, la parola impiegata colma tutto lo spazio a sua disposizione e ha un’assolutezza che la fa apparire come insostituibile.

Fabrizio De André era maniacale, perfezionista e puntiglioso, capace di stare per giorni interi a cercare la parola giusta da incastrare in un verso, ma era anche un grande compositore musicale, oltre che attento ricercatore di musica antica e popolare. Spicca la perfetta fusione fra una melodia leggera anche se drammatica, e un testo che dietro alla poesia, volutamente ingenua. Uno degli stratagemmi musicali utilizzati dal compositore durante la prima parte della sua carriera era l’alternanza tra la tonalità di La minore e quella di Do minore. L’ascoltatore, nei testi di Faber – così soprannominato per la sua passione per le matite colorate –  si immerge completamente. Il cantautore spesso si appropria di stili, sonorità o addirittura di melodie, prese in prestito dalla sua memoria.

L’ultima grande fonte di influenza, una tra quelle che maggiormente hanno caratterizzato il suo stile musicale, è stata la musica etnica. Molteplici sono state le influenze folcloristiche nella musica del Maestro, partendo dalle influenze del bacino mediterraneo, ad esempio con l’utilizzo del classico giro armonico della tarantella napoletana o come il dialetto genovese  che riesce a fare da base ad una straordinaria serie di influenze musicali mediterranee, che vengono dalla Catalogna, attraverso la Sardegna e si spingono fino al medio oriente, per poi risalire in Grecia ed arrivare a lambire i Balcani.

Vent’anni fa, l’11 gennaio 1999, se ne andava Fabrizio De Andrè. Ci resta la sua buona novella, chissà se qualcosa l’abbiamo imparata interrogandoci su come avrebbe cantato questo nostro tempo.

Gabriella Parasiliti Collazzo

4 Giugno 1989: 29° anniversario della protesta di piazza Tienanmen

Risultati immagini per tienanmenAccadeva proprio oggi, nella notte tra il 3 e 4 giugno 1989,  la protesta di piazza Tienanmen, nota anche come Primavera democratica cinese, e denominata in Cina “incidente di piazza Tienanmen” o “incidente del 4 giugno”. Questo evento si consumò in una serie di dimostrazioni di massa, che ebbero luogo principalmente in piazza Tienanmen a Pechino.

Nel 1989 due eventi fecero esplodere la protesta studentesca: in aprile la morte dell’esponente riformista Hu YaoBang, costretto anni prima dai conservatori a dimettersi dalla carica di primo ministro per aver appoggiato i movimenti democratici; in maggio la visita a Pechino del presidente russo Gorbačëv, ritenuto il simbolo della democratizzazione dei regimi comunisti.

La visita dell’ultimo segretario generale del PCUS, costituiva per gli studenti l’occasione per rendere visibili le loro richieste al mondo intero. Così, quasi un milione di universitari di Pechino si riversò nella Piazza Tienanmen, davanti alla Città Proibita (l’antica residenza degli imperatori), per chiedere l’abolizione di ogni forma di dispotismo e una maggiore libertà politica. Alle manifestazioni nella piazza, che durarono quaranta giorni, si unirono via via operai, impiegati, giornalisti, imprenditori.

Il 13 maggio 1989, al rifiuto del governo di qualsiasi forma di dialogo, un gruppo di studenti, davanti alle telecamere, proclamò uno sciopero della fame e innalzò nella piazza un’enorme monumento ispirato alla Statua della Libertà statunitense. Una settimana dopo i dirigenti comunisti, sempre più preoccupati per l’estendersi delle proteste ad altre città della Cina, proclamarono la legge marziale e nella Piazza Tienanmen comparvero i carri armati. La dura presa di posizione del regime, tuttavia, non fermò la protesta.

Fu così che si arrivò al tragico  4 giugno 1989,  dove i militari accerchiarono con mezzi blindati la piazza, aprendo il fuoco contro i dimostranti provocando un massacro: molti furono schiacciati dai cingolati, altri furono gravemente feriti durante i violenti scontri con l’esercito.

I dati sulle vittime sono controversi, ma comunque ben diversi da quelli forniti dai dirigenti cinesi: il governo dichiarò la morte di 200 civili e 100 soldati, cifra successivamente ridotta a una decina; la Croce Rossa cinese parlò di 2600 morti e 30.000 feriti, mentre le stime più alte fanno salire a 12.000 il numero delle vittime.

Il governo non solo non ha mai fornito una versione ufficiale, ma censura ogni approfondimento sulla strage e ne proibisce la commemorazione. Simbolo della rivolta rimane l’ormai famoso Rivoltoso Sconosciuto o Tank man, un coraggioso studente che la mattina del 5 giugno 1989 cercò di bloccare l’avanzata di una fila di carri armati, spostandosi a seconda della loro traiettoria.

Diverse ipotesi sono state avanzate sull’identità del ragazzo, ma nessuna è stata mai provata e lo stesso regime non ha mai fornito informazioni sull’accaduto; alcuni ritengono che il ragazzo abbia passato anni nei campi di rieducazione, altri dicono che sia stato ucciso dopo poche ore o giorni. L’unica certezza rimane il suo gesto che, in tutto l’Occidente, è diventato l’emblema della rivolta popolare contro l’autoritarismo del governo cinese e la lotta per la libertà e la dignità della persona.

Santoro Mangeruca

Coraggio e libertà di informazione. Ricordo di Peppino Impastato

Quaranta anni dopo il sole ricopre la campagna brulla che circonda il casolare alle porte di Cinisi. In quello stesso spazio in cui, nella solitudine, si compì la tragica mattanza per mano dei sicari di Cosa Nostra, ieri si è riversata una moltitudine di ragazzi e studenti provenienti da tutte le parti di Italia che ha portato con sé striscioni colorati e intonato canzoni per ricordarlo.

Speaker alla radio, giornalista, nonchè militante di Democrazia Proletaria, Peppino Impastato pagò con la vita, ad appena 30 anni, la sua ostinata volontà di eliminare il velo di omertà in cui viveva. Con Danilo Sulis, impegnato oggi nell’associazione Rete 100 Passi e nell’omonima webradio, fondò negli anni ‘70 il Circolo Musica e Cultura, che si trasformò rapidamente in un punto di incontro per tutto il circondario. A questo progetto seguì l’idea di aprire le porte anche ad altri temi di interesse sociale e civile; presero quindi le mosse il collettivo femminile e quello antinucleare, mentre Radio Aut iniziò a trasmettere in FM da Terrasini la rubrica satirica Onda Pazza.

Al presidio al casolare, nel giorno della sua uccisione, ci sono gli amici di un tempo, come Faro Sclafani, c’è Umberto Santino, fondatore del centro Impastato; i volontari di varie associazioni, e l’auto bianca di Peppino, un simbolo al pari della Renault 4 in cui venne ritrovato il corpo di Aldo Moro, qualche ora dopo, in via Caetani a Roma. Giovanni Impastato, il fratello, nel sostenere la necessità di passare ormai il testimone della memoria alle giovani generazioni, sottolinea:

 “vogliamo coinvolgere la Meglio Gioventù con l’impegno, ma anche con l’aggregazione”

Durante il pomeriggio le celebrazioni sono proseguite con un corteo, dove era presente Giovanna Camusso e, tra gli altri, il gruppo 44 di Amnesty International, le Agende Rosse di Salvatore Borsellino e Legambiente, per fare da ponte tra la sede della radio a Terrasini e Casa memoria Felicia e Peppino Impastato a Cinisi, distante cento passi dalla casa di Badalamenti, bene confiscato alla mafia dove sono state poste le attrezzature della radio che trasmette oggi sul web. In serata c’è stato infine un collegamento con la famiglia Regeni.  Luisa Impastato, nipote di Peppino, ha messo in evidenza il legame ideale tra i due giovani, morti entrambi per una causa di verità. Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera in un suo discorso ha parlato soprattutto di giovani e desiderio di legalità:

“combattere la mafia dissacrandola, questa è stata la grande intuizione di Peppino Impastato. Invece di abbassare la testa al potere corrotto, insieme agli altri ragazzi alzavano il volume della radio. Oggi c’è bisogno di Onda Pazza, oggi c’è bisogno di più coraggio, più impegno. Il nome di Impastato significa per noi giustizia, bellezza, sogno, libertà. ”

Il casolare, con la collaborazione del Centro Regionale per l’Inventariazione, la Catalogazione e la Documentazione dell’assessorato regionale ai Beni culturali e il Comune di Cinisi, resterà aperto fino a venerdì sera, quando si terrà la pièce teatrale “Lamentu per la morte di Peppino Impastato”.

 

                                                                                                                                                     Eulalia Cambria 

                                                                                                              Ph: Vanessa Rosano e Liliana Blanda