Grendizer U: un ritorno in pompa magna

Grendizer U debutta in Italia coi primi quattro episodi. Voto UVM: 4/5

Era il lontano 1975 quando, dal Giappone, arrivò sugli schermi italiani un personaggio destinato a diventare un simbolo per un’intera generazione: UFO Robot Grendizer, in Italia meglio noto come “Goldrake“. Oggi, a distanza di cinquant’anni, quello stesso personaggio ritorna in tv con una nuova serie remake del 2024, prodotta dallo studio Gaina e adattata in italiano dalla Rai, intitotolata Grendizer U. Diamo quindi il bentornato a Duke Fleed, principe del pianeta Fleed, e al suo leggendario robot.

Le origini di Grendizer

Sebbene UFO Robot sia stato uno dei primi anime (ossia i cartoni giapponesi) a venire trasmesso in Italia, esso è, in verità, la conclusione di una lunga trilogia, iniziata pochi anni prima con un’altra serie divenuta iconica, Mazinga Z, e proseguita poi con Il Grande Mazinga; tutti e tre questi robot sono stati partoriti dalla mente di un autore storico per gli appassionati di fumetti e serie giapponesi, ossia il maestro Go Nagai, creatore di serie e personaggi che hanno fatto la storia dei manga e degli anime (come Devilman, una delle sue opere più famose). Con questo trittico di eroi, il maestro Nagai riuscì a creare un intero filone narrativo, destinato a trovare fortuna nei due decenni successivi: sono i cosiddetti “super-robot“, termine col quale si indicano quelle storie in cui una potente macchina difende l’umanità dagli attacchi di giganteschi mostri.

Il maestro Nagai e Grendizer
Il maestro Nagai e Goldrake- fonte: Corriere della Sera

La trama originale…

La storia originale di Grendizer è in realtà molto semplice: Duke Fleed, principe del pianeta Fleed, scappa dalla sua patria, devastata dalle malvagie armate del Re Vega. Nella fuga, il principe esule porterà con sé una formidabile arma, sulla quale le armate di Vega volevano mettere le mani per soggiogare l’intero universo: il temibile robot chiamato Grendizer. Nel suo viaggio tra le stelle, Duke si schianterà sulla terra, dove sarà adottato dal professor Umon (o dottor Procton, nell’adattamento italiano), dirittore di un centro di ricerche sullo spazio. Tuttavia, le armate di Vega troveranno Duke, che ora si fa chiamare Daisuke Umon (Actarus, per noi italiani), e questi sarà costretto, suo malgrado, a tornare ai comandi del potente robot; ma questa volta non sarà solo nello scontro, perché verrà affiancato da Koji Kabuto (adattato in Alcor), già pilota di Mazinga Z, da Hikaru Makiba (Venusia), e dalla sorella ritenuta dispersa, Maria Fleed, la quale entrerà in scena solo in un secondo momento.

La quadra di eroi di Grendizer U
Il team di eroi di Grendizer U- fonte: Wikipedia

…e la trama reinventata

Grendizer U riprende le stesse premesse della serie originale, ma gioca con esse, le reinventa. La serie remake sostituisce il vecchio impianto narrativo, basato sullo schema del “mostro della settimana”, nel quale ogni episodio era sostanzialmente autoconclusivo, e ci presenta una trama lineare con forte continuità narrativa. I ruoli di alcuni personaggi sono radicalmente cambiati: Hikaru, ad esempio, nella serie originale era la giovane figlia di un proprietario di un ranch, mentre ora è la sacerdotessa di alcune misteriose rovine che sembrano legate a Grendizer; il robot stesso, qui, non è più una semplice macchina particolarmente potente, ma è un autentico dio, il “nume tutelare del pianeta Fleed”, come dicono Duke e altri personaggi. Inoltre, scopriamo che proprio Duke è, suo malgrado, l’involontario responsabile della distruzione del suo pianeta, e il protagonista sente, come anche nella serie originale, tutto il senso di colpa per essere stato l’autore del disastro; così facendo, Grendizer U presenta una mitologia tutta nuova che orbita intorno al potente robot, ma questa ha al suo cuore un tema già presente in altre opere di Nagai: la possibilità, per l’uomo, di diventare dio o demone, dicotomia intorno alla quale ruota la storia di Mazinga Z, di Devilman, ed altre.                                                                                                                                                     Ma la serie non si limita a reinventare personaggi già noti, anzi ne aggiunge di nuovi, andandoli a riprendere da altre versioni di Grendizer: è un esempio la principessa Rubina, promessa sposa di Duke, che altri non è se non la principessa Teronna del mediometraggio UFO Robot Gattaiger, una “forma embrionale” di Goldrake.

Grendizer distrugge il pianeta Fleed
Grendizer, fuori controllo, distrugge Fleed- fonte: Rai 2

Il design

Anche il design è stato modificato e aggiornato, pur restando fedele ai modelli originali. I personaggi umani o umanoidi sono slanciati, mentre il robot è magnifico nel suo aspetto. Alto e massiccio, trasmette quella sensazione di potenza e reverenziale timore che si addice a un “nume tutelare”.

Il potente Grendizer
Grendizer sfoggia un rinnovato aspetto che incute timore- fonte: MegaNerd.it

I primi quattro episodi

Lunedì sei gennaio, alle nove e venti di sera, sono andati in onda i primi quattro episodi adattati e tradotti in italiano. A portare la serie in Italia è stata, come già nel 1975, la Rai. Queste prime puntante fungono da introduzione alla storia, presentano i personaggi principali e i primi scontri tra robot. Bisogna dire, purtroppo, che la qualità delle animazioni non è sempre al meglio, pur restando molto valida. Nel complesso, la serie merita una possibilità. Sia da parte degli affezionati sia di chi non si è mai avvicinato a questo affascinante universo narrativo.

Ranma 1/2: perchè oggi è ancora attuale?

Ranma 1/2 è un manga scritto e disegnato da Rumiko Takahashi (la stessa autrice di Inuyasha e Lamù).

Dal manga è nato un anime composto da 161 episodi, prodotto da Studio Deen, e furono realizzati anche diversi film d’animazione e OAV.

Solo di recente è stato realizzato un remake, a cura di Kōnosuke Uda, con il character design di Hiromi Taniguchi e la colonna sonora di Kaoru Wada; e dal 5 Ottobre è possibile trovarlo su Netflix (che ha contribuito alla produzione) e su Nippon Television.

Di cosa parla Ranma 1/2?

Il maestro del dojo Tendo, Soun, riceve una cartolina del suo migliore amico Genma Saotome, che gli comunica la sua imminente visita, assieme al figlio Ranma. Soun è emozionato all’idea di incontrarli: lui e Genma vogliono far fidanzare Ranma con una delle tre figlie di Tendo e, dopo il loro matrimonio, i due promessi sposi erediteranno la palestra di arti marziali. Peccato che a casa sua si presentino un panda gigante e una ragazza di nome Ranma Saotome.

Ranma e Genma sono, infatti, vittime di una tremenda maledizione: l’acqua fredda li trasforma, rispettivamente, in una ragazza e in un panda mentre l’acqua calda li fa riacquistare il loro aspetto normale. Questo accade da quando i due sono caduti, accidentalmente, nelle Sorgenti Maledette in Cina, durante un loro allenamento.

Perché Ranma 1/2 è diventato un CULT?

Rumiko si può considerate una delle più grandi mangaka di tutti i tempi ed è nota per opere come Inuyasha, Lamù e lo stesso Ranma 1/2. È grazie a queste storie avvincenti e a tutti i suoi personaggi indimenticabili che è riuscita a conquistare il grande pubblico.

Ranma 1/2 è un’opera conosciuta in tutto il mondo, con la sua incredibile storia che unisce lo stile shōnen (si pensi a Dragon Ball, Naruto, One Piece) allo stile shōjo, quello di Piccoli Problemi Di Cuore e Sailor Moon. Una scelta stilistica che ha permesso al manga di fare breccia nel cuore sia del pubblico maschile che di quello femminile!

Così, come il protagonista passa dall’essere uomo all’essere donna e viceversa, Ranma 1/2 è un continuo oscillare tra azione e romanticismo, arti marziali e sentimentalismo.

E di certo non potevano mancare tematiche, oggi più attuali che mai, come la sessualità, l’emotività, la diversità e l’identità di genere: tutti affrontati con la giusta leggerezza!

Ranma 1/2
Ranma ragazza. Fonte: Cruncyroll.

Processo creativo: dal manga all’anime…

Agosto 1987. Viene pubblicato il primo capitolo su Weekly Shōnen Sunday. È la storia di un liceale metà ragazzo e metà ragazza, esperto di arti marziali e coinvolto in situazioni spiacevoli. Le sue avventure hanno coperto ben 407 capitoli e sono andate avanti fino al 1996.

Dal manga è stato tratto un anime prodotto da Studio Deen, purtroppo cancellato dopo soli 18 episodi, per via dei bassi ascolti. La serie è stata poi rilanciata dal 1989 al 1992 con i suoi 143 episodi. Ma è solo grazie agli OAV che il resto del mondo, in particolar modo l’Italia, ha potuto conoscere Ranma ½.

Ora su Netflix, esattamente dallo scorso Ottobre, è stato avviato un remake ancora più fedele al manga originale!

Ranma 1/2
Ranma e Akane. Fonte: Netflix.

Le caratteristiche sono le stesse e i personaggi non hanno subito variazioni. Lo stile d’animazione è moderno e più curato (se non in alcuni frammenti semi-censurati di cui non si sentiva la necessità).

La nota dolente sta nel doppiaggio! Le voci storiche hanno dovuto lasciare spazio a quelle nuove: alcune più adatte (per i due Ranma, ad esempio), altre fanno fatica a farsi accettare (come per Akane e Kasumi).

Ranma 1/2
Ranma e Genma. Fonte: Magazine Pragma.

Il nuovo adattamento di Ranma 1/2 è da non perdere!

Riproporre Ranma dalle origini, per giunta in questo momento storico, è stata l’idea migliore!

È ormai evidente che viviamo in un periodo, – cinematograficamente parlando, – in cui si è soliti fare continui rimandi al passato. Un po’ per “evocare” ricordi alle vecchie generazioni, un po’ per far conoscere a quelle nuove dei prodotti “vintage” che altrimenti non conoscerebbero mai. Anche Ranma è figlia di quest’operazione. Ma chiariamo. In questo caso l’idea non è stata per niente male.

Più che di un semplice “richiamo alla nostalgia” qui si parla della riproposizione di un prodotto nel posto giusto, – Netflix, – al momento giusto: il 2024.

Ranma 1/2 parla anche di crescita, di dilemmi adolescenziali, di corpi che cambiano, della continua ricerca della normalità e dell’accettazione di sè stessi. Vi dice qualcosa?

Ranma è un personaggio che passa gran parte del tempo a vergognarsi del suo “problema”, cercando un modo per tornare ad essere un ragazzo normale. Ma in realtà è questa sua particolarità a renderlo unico.

Il remake arrivato su Netflix ha un’enorme potenziale e se la possibilità viene giocata al meglio e le premesse vengono mantenute, Ranma 1/2 avrà finalmente l’intera opera cartacea adattata nell’anime, arrivando finalmente a quel bellissimo finale lineare e contestualizzato che solo chi ha letto il manga conosce!

 

di Giorgio Maria Aloi

Dragon Ball Super – Super Hero è un ritorno al passato

Il film ci lascia un sentimento di freschezza e una speranza di rinascita e redenzione. Dragon Ball è finalmente tornato. Voto UVM: 4/5

 

Dragon Ball Super: Super Hero, arrivato nelle sale italiane il 29 settembre, è un film riuscito. La sensazione che accompagna lo spettatore una volta fuori dalla sala è di aver visto una pellicola che riesce a tenersi in piedi perfettamente. Non mancano i difetti – di cui parleremo – ma i personaggi, la narrazione e lo stile lavorano assieme creando un’ottima sinergia.

Dragon Ball: un ritorno alle origini

L’ultimo film si era concluso con i protagonisti, Goku e Vegeta, che avevano lasciato la Terra per andare su un altro pianeta. E lì sono rimasti, non avendo nessun ruolo all’interno della nuova storia. I veri protagonisti di Dragon Ball Super: Super Hero sono, invece, Piccolo e Gohan. Abbiamo apprezzato particolarmente questo cambio radicale che dà modo a tutti i personaggi di esprimersi. La prima parte è infatti un vero e proprio ”slice of life” in cui vediamo tutti i vari primari e comprimari svolgere la loro normale vita. Gohan torna ad essere uno studioso, Crilin è diventato un poliziotto e Piccolo viene costretto a diventare praticamente lo zietto di Pan, la figlia di Gohan. La dinamica tra questi due ci introduce al film: la piccola è, infatti, il cardine che muove tutte le vicende, spostando il centro della narrazione verso una sfera di eventi più piccola.

Niente grandi minacce per l’universo ma un gradito ritorno dagli albori di Dragon Ball: il Fiocco Rosso. Tornano gli androidi si, ma torna anche il primissimo Dragon Ball, quello spensierato, giocoso e sognante. Gli avversari risultano ridicoli e la loro minaccia piccola, ma tutto ciò aiuta a creare una atmosfera leggera che porta freschezza a tutta la trama ed è una direzione che ci auguriamo venga ancora percorsa.

Una tecnica da perfezionare

Se quindi la leggerezza delle vicende tiene alto l’interesse, in alcuni frangenti, la tecnica del film non è sempre allo stesso livello. La pellicola utilizza una tecnica sperimentale: la CGI adattata allo stile anime e, sia chiaro, sappiamo che in molte produzioni risulta abbozzata e spesso scadente. Ma questo film riesce comunque a rimanere sopra la media: le coreografie degli scontri sono ottime ed il design di quasi tutti i personaggi viene trasposto bene, anche se tutto ciò non esclude comunque evidenti alti e bassi. Non siamo rimasti eccessivamente scottati ma ci auguriamo che se questa è la nuova direzione dell’animazione nipponica la tecnica venga migliorata e perfezionata ancora.

Serve un motivo per diventare più forte?

Finora però non abbiamo parlato di uno degli elementi, forse, più importanti del film. Questa è una pellicola d’azione e l’azione viene portata avanti anche dalle trasformazioni. Come sono allora questi power up?  Diciamolo subito: vengono fuori da un cilindro. Sono deus ex machina chiarissimi, come d’altronde sono sempre stati. Tutto il film ma in particolare questo aspetto non viene preso sul serio neanche per un attimo: sembra quasi che Dragon Ball sia diventato consapevole di se stesso. Non c’è serietà su queste trasformazioni e ciò è un bene.  L’unica pecca sono i design che non brillano: le trasformazioni dell’opera originale vengono ricordate per la loro entrata in scena, per il build up che veniva fatto ed anche per il loro lato puramente visivo. Ci sentiamo di penalizzare un minimo il film sotto questo aspetto, ma la riteniamo un pecca minima che non guasta l’economia generale.

Piccolo in una scena del film. Scritto da Akira Toriyama, diretto da Tetsuro Kodama e prodotto da Toei Animation. Fonte: aiptcomics.com

Tornate al cinema!

Quello che ci è rimasto della pellicola è un sentimento di freschezza e una speranza di rinascita e redenzione. Dragon Ball sembrava ormai destinato a ripetere in eterno le stesse dinamiche ma questo film dimostra il contrario.

In conclusione, quello che ci sentiamo di dire è questo: se siete fan di Dragon Ball non potete perdervi questo film. E se volete una pellicola di animazione spensierata e piena d’azione correte anche voi al cinema. Dragon Ball è finalmente tornato.

 

Matteo Mangano

 

L’Attacco dei Giganti: verso la conclusione di un capolavoro

A dir poco entusiasmante: una delle serie più coinvolgenti degli ultimi anni – Voto UVM: 5/5

 

L’Attacco dei Giganti, titolo tradotto dall’originale giapponese “Shingeki no Kyojin”, è senza dubbio una delle opere più importanti e conosciute prodotte nel paese del Sol Levante.

Nato come manga nel 2009 dalla mente del giovane Hajime Isayama, ha acquisito grossa popolarità grazie al suo adattamento anime.  Proprio nei giorni scorsi, si è conclusa la seconda parte della stagione finale, con l’opera sempre più vicina alla sua conclusione che avverrà con una terza parte in uscita nel 2023.

 

“L’Attacco dei Giganti”: locandina della quarta stagione. Fonte: MAPPA Studio

Il perché del successo dell’opera

Il manga è stato pubblicato sulla rivista Bessatsu Shonen Magazine, il target quindi sarebbe quello dello “shonen”, ossia un pubblico adolescenziale, benché l’opera presenti anche tratti da “seinen”, fruibili quindi da una categoria più matura.

Partendo dal contesto iniziale, le vicende sono ambientate in uno scenario alternativo dai caratteri medievali. L’umanità è soggiogata dalla presenza di creature denominate appunto “giganti”, esseri antropomorfi di grandi dimensioni che hanno come unica finalità quella di divorare più umani possibili. Per proteggersi da questa minaccia, gli uomini si sono ritirati all’interno di un territorio delimitato da tre cerchie di mura che li tiene temporaneamente al sicuro, ma li costringe a vivere come se fossero “in gabbia”.

La situazione peggiorerà con la comparsa di due giganti anomali che faranno breccia tra le mura, dando inizio alla serie di eventi che costituiranno la trama dell’anime. E’ proprio quest’ultima ad aver generato il grande successo dell’opera, poiché ricca di diversi risvolti e colpi di scena che mantengono alti picchi di qualità in tutte le stagioni.

Un’altra locandina della quarta stagione. Fonte: MAPPA Studio

Non vi sarà solo lotta per la sopravvivenza contro queste mostruose creature, ma anche la lotta interna, segno che spesso il peggior pericolo per l’uomo è rappresentato dall’uomo stesso.

L’ambiente, per la gran parte degli episodi, è cupo e tetro: pochi sono i sorrisi, le storie d’amore, i momenti di gioia… Non c’è spazio per tutto questo! Distruzione, morte e miseria prendono il sopravvento nel mondo, considerato più volte dagli stessi personaggi così crudele: un contesto perfetto per far notare l’orrore della guerra. Ma nell’animo umano è presente la speranza, il motore che porta ad andare avanti alla ricerca della libertà e della verità.

I nuovi episodi: un’altalena di emozioni

Questa seconda parte della quarta stagione è stata a tratti molto entusiasmante, a tratti invece un po’ lenta ed esplicativa. Si riprende da dove ci eravamo lasciati: Marley cerca di ottenere la sua vendetta, dopo la disfatta di Liberio, arrivando allo scontro con Eren, il cui obiettivo è entrare in contatto con Zeke per ottenere il potere del gigante fondatore.

I primi episodi di questa parte sono tutti un crescendo, che proietta luce su eventi passati con nuove e fondamentali rivelazioni, con il terzo episodio in particolare che può essere definito uno dei più entusiasmanti dell’intera serie. Dopo di che notiamo un rallentamento nei ritmi delle puntate, con meno azione e scoperte eclatanti.

Osserviamo comunque come in questa parte i personaggi secondari si prendano la scena, con un’analisi psicologica importante ai fini dell’evoluzione delle vicende. Le ultime puntate, infine, riprendono il tenore delle prime: combattimenti, flashback e chiarimenti importanti vanno a creare terreno fertile per un gran finale. Nota di merito per le scene conclusive dell’ultimo episodio, che fanno venire i brividi.

Cosa è cambiato (in bene e in male) ?

I nuovi episodi mettono in discussione ancora di più lo stereotipo classico del “villain” in una storia: ognuno può essere il cattivo dal punto di vista dell’altro. Uno degli aspetti distintivi, che rende l’opera superiore rispetto ad altre, è appunto la presenza di un protagonista caratterizzato magistralmente, molto complesso a livello psicologico, che allo stesso tempo risulta un’antagonista pericolosissimo, ma con delle motivazioni e uno scopo ben preciso.

Lo studio di animazione, MAPPA Studio, ha svolto un lavoro notevole dal punto di vista visivo: si nota maggior cura dei dettagli, grande fluidità nell’ animazione, computer grafica migliorata rispetto agli episodi precedenti, grazie a un budget più ampio stanziato per la produzione.  Il tutto accompagnato da un’impeccabile colonna sonora che dà quel tocco in più all’opera.

Frame di una puntata dell’anime. Fonte: MAPPA Studio

La vera pecca consiste nella mancanza di un doppiaggio in lingua italiana, che fino a questo momento era stato sempre realizzato (e anche in maniera impeccabile). L’anime, infatti, è fruibile solamente in lingua originale con sottotitoli, da quando la piattaforma di streaming Crunchyroll, che non è interessata a curare gli adattamenti nelle lingue degli altri Paesi, ne ha acquisito i diritti. Si spera che si sblocchi la situazione e si possa arrivare a un accordo, anche per dare continuità al lavoro magistrale realizzato dai doppiatori nostrani.

In conclusione, non ci resta che attendere l’anno prossimo per la trasposizione degli ultimi capitoli del manga, che chiuderanno il cerchio di questa fantastica opera.

 

Sebastiano Morabito

 

 

Cowboy Bebop: rispolveriamo la serie originale

L’opera magna di Watanabe, capace di divertire ed appassionare, si conferma una tappa imprescindibile per gli appassionati di animazione giapponese – Voto UVM: 5/5

Da oggi è disponibile su Netflix il live action di una delle serie cult dell’animazione giapponese degli anni ’90: Cowboy Bebop. In attesa di poter vedere questa nuova versione è sempre importante ricordare la serie originale.

L’anime sci-fi prodotto da Sunrise e diretto da Shin’ichirō Watanabe è disponibile già da tempo sulla stessa piattaforma streaming con tutti e 26 gli episodi che lo compongono. Si tratta senza dubbio di un must watch per gli appassionati di animazione nipponica.

Le vicende dei protagonisti Spike Spiegel, Jet Black e Faye Valentine hanno fatto appassionare tantissimi fan, regalando, attraverso una narrazione verticale, puntate sempre avvincenti in cui molto viene lasciato all’intuito dello spettatore.

Honky Tonk Women (1×03)

La serie futuristica con un occhio al presente e l’altro al passato

Il paradosso creato da Watanabe è il vero fulcro dell’intera serie: i tre protagonisti principali, pur essendo uomini del futuro, dipendono dal loro passato.

Spike è un cacciatore di taglie con un conto in sospeso che ne condiziona il presente: egli (per sua stessa ammissione) non riesce a vedere il futuro. Jet è la sua spalla ed ha un passato altrettanto travagliato: sono tanti i traumi che lo hanno portato a perdere la fiducia in un futuro migliore e a vivere dunque il presente con distacco. Faye invece un passato non lo possiede neanche (a causa delle perdita della memoria dopo un misterioso incidente): non ha amici ed è sommersa di debiti; questo la obbliga a vivere alla giornata. Si sente sola in un tempo che non le appartiene: il suo presente è dedicato a recuperare il suo passato, di conseguenza anche il suo futuro è altrettanto nebuloso.

Tutti e tre hanno un conto in sospeso con il tempo, tutti e tre sembrano esistere solo nell’immediato.

L’ambientazione ed il melting pot di generi

La storia è ambientata nel 2071, un futuro in cui i viaggi spaziali sono all’ordine del giorno e Marte è diventato il centro della civiltà umana. Quello che impressiona fin da subito è lo stile che Watanabe ha dato al proprio prodotto mischiando elementi tipici del genere sci-fi all’animazione giapponese mainstream delle arti marziali, condendole con altre influenze, dal poliziesco noir al western.

Tutti questi generi convivono in maniera pacifica e strabiliante all’interno della stessa ambientazione. Si passa così da puntate che si risolvono con la più classica delle sparatorie ad episodi che presentano scontri spaziali tra navicelle. Il mondo di Cowboy Bebop si presta a qualsiasi soluzione narrativa in un futuro lontano in cui nessun riferimento sembra essere fuori posto.

Ballad of Fallen Angels (1 x 05)

La narrazione verticale come valore aggiunto

Le singole puntate delle serie sono perfettamente in grado di reggersi da sole: sono veramente pochi i casi in cui una singola storia è spezzata in due episodi (solo due per la precisione).

Una delle argomentazioni più inflazionate dei detrattori della serie attacca proprio questo aspetto, poiché, a onor del vero questa narrazione lascia poco spazio alla curiosità dello spettatore che vorrebbe sapere tutto e subito. La scelta rende però gli episodi molto godibili anche se presi singolarmente.

Watanabe è stato capace di far rientrare nei 20 minuti di ogni puntata delle ottime storie circolari in grado di intrattenere e divertire lo spettatore.

Un’altra delle critiche più sentite riguarda invece gli episodi stessi ritenuti troppo ripetitivi nello sviluppo delle trame. La serie di certo non si presenta come il prodotto più adatto per gli amanti dell’adrenalina e dei colpi di scena. Quello di Cowboy Bebop è il racconto della frenetica quotidianità di un gruppo di cacciatori di taglie spaziali: la trama di conseguenza è parecchio lineare.

Hard Luck Woman (1 x 24)

 

Ma è sbagliato vedere nella quotidianità raccontata da Cowboy Bebop l’anticamera della monotonia. Le emozioni forti invece sono dietro l’angolo, pronte ad esplodere quando questa routine viene stravolta, lasciando allo spettatore la sensazione che il mondo gli stia cadendo addosso.

Un plauso finale meritano le musiche, in prevalenza jazz, che accompagnano magistralmente ogni singola puntata e che permettono di vivere in maniera ancora più coinvolta le vicende di Spike e del resto del gruppo.

Antonio Ardizzone

Studio Ghibli: 5(+1) film per entrare nella magia di Hayao Miyazaki

Quando si parla di animazione è veramente difficile superare i Giapponesi: ne sa qualcosa lo Studio Ghibli, fondato nel 1985 a Tokyo. Il suo nome si è fatto largo in Occidente e nel grande cinema grazie ad Hayao Miyazaki, cofondatore dello studio e suo regista di punta. Nelle sue creazioni il maestro affronta tematiche di grande spessore attraverso gli occhi dei protagonisti, spesso bambini. Questo fa sì che i film dello Studio Ghibli siano godibili sia da un pubblico giovanissimo sia da quello più avanti con l’età.

In occasione della loro recente aggiunta al catalogo di Netflix, vi proponiamo 5(+1) opere che meglio rappresentano il regista giapponese.

1) Il mio vicino Totoro (1988)

Giappone anni ‘50, Setsuki e la sorellina Mei si stanno trasferendo insieme al padre in un piccolo villaggio di campagna per meglio assistere la madre ricoverata in un ospedale lì vicino. La nuova casa è di fianco a un bosco dove le due sorelline faranno la conoscenza di Totoro, spirito buono della natura e custode della foresta. Quest’ultimo accompagnerà le fortunate bambine alla scoperta di una natura affascinante e viva. Si dimostrerà anche essere un amico fedele e pronto ad aiutarle nel momento del bisogno, quando ogni speranza sembrava persa. Il personaggio di Totoro ha riscosso così tanto successo da essere stato scelto come logo dello studio.

Setsuki, Mei e Totoro alla fermata del bus. Fonte: mamamo.it

2) Porco Rosso (1992)

Marco è un ex pilota dell’aeronautica italiana che, dopo aver rischiato la morte durante la prima guerra mondiale, si ritrova trasformato in un maiale. Dopo l’avvenimento decide di ritirarsi a vita privata e diventare un cacciatore di pirati, lasciandosi alle spalle il suo passato. Il film è rappresentativo dello smisurato amore del regista per gli aerei (viene anche citato il bimotore Ghibli, velivolo che ha ispirato Miyazaki per il nome dello studio). Spiccano anche altri temi cari al regista come il rifiuto della guerra e la forza delle donne, che saranno di fondamentale aiuto al protagonista, trattati con la leggerezza e l’ironia che contraddistinguono le opere dello studio.

Marco sul suo aereo. Fonte: anime.everyeye.it

3) Principessa Mononoke (1997)

Il giovane principe Ashitaka è costretto a uccidere uno spirito-cinghiale maledetto che aveva attaccato il suo villaggio. Durante lo scontro, però, si ferisce a un braccio e viene contagiato dalla maledizione dello spirito. Partito alla ricerca di una cura per il male che altrimenti lo porterebbe alla morte, il principe si imbatte in San, una ragazza cresciuta dai lupi ed educata al rispetto della natura e all’odio verso gli umani. Superate le iniziali tensioni, i due collaboreranno per contrastare la Città del Ferro che minaccia la foresta dove vivono San e il Dio-Cervo, l’unico a poter sciogliere la maledizione. Spettatori dell’eterno scontro tra l’uomo e la natura, la pellicola ci lascia con un interrogativo: è davvero impossibile una convivenza tra queste due parti?

Ashitaka e San. Fonte: mardeisargassi.com

4) La città incantata (2001)

Opera in assoluto più famosa di Miyazaki, è stato anche il primo e unico anime ad aggiudicarsi un Oscar. Chihiro e i suoi genitori si imbattono in una città apparentemente deserta composta solo da locali e ristoranti, in cui i genitori della bambina iniziano a servirsi da mangiare. Chihiro, allontanatasi un momento, scopre al suo ritorno che i genitori si sono trasformati in maiali e, come se non bastasse, che di notte la città si popola di spiriti di ogni genere. Sarà un ragazzo di nome Haku a soccorrerla e a svelarle l’unico modo per sopravvivere in quel luogo: trovare un impiego presso la strega Yubaba che controlla la città. Chihiro intraprenderà dunque un percorso interiore che la trasformerà da timida e impaurita a forte e risoluta: basterà per salvare se stessa e i suoi genitori?

Chihiro e Haku. Fonte: nospoiler.it

5) Il castello errante di Howl (2004)

Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Diana Wynne Jones, narra le vicende di Sophie Hatter, una giovane cappellaia che, dopo essere stata tramutata in vecchia dalla Strega delle Lande, incontra il misterioso mago Howl e inizia a vivere nel suo castello. Per sdebitarsi dell’ospitalità ricevuta offrirà i suoi servizi come donna delle pulizie e la convivenza le permetterà di venire a conoscenza dell’oscuro passato del mago e del perché conduca una vita da eremita. Il suo aiuto però andrà ben oltre le pulizie e Howl inizierà ad assumersi le proprie responsabilità. Smetterà infatti di scappare dai doveri che lo vedrebbero impegnato nella guerra che incombe sul regno in cui vive e inizierà a combattere per le persone che vuole proteggere.

Sophie e Howl. Fonte: anipponnight.wordpress.com

5+1) Nausicaä della Valle del vento (1984)

Sebbene prodotto un anno prima della fondazione dello studio, il film è perfettamente in linea per stile e tematiche con le altre opere di Miyazaki targate Ghibli. Tratto dall’omonimo manga del regista, il film ci mostra la Terra devastata da una guerra termonucleare avvenuta millenni prima della storia che vediamo. Nausicaä è la principessa di uno degli ultimi insediamenti di umani che vivono liberi dai miasmi emanati dal Mar Marcio, una foresta in continua espansione abitata da insetti mutanti. Andando contro il pensiero di tutti, la ragazza dimostrerà che anche una natura apparentemente così inospitale, se capita e rispettata, può nascondere un cuore sano e capace di accogliere gli umani.

Nausicaä in una scena del film. Fonte: cinema.fanpage.it

A tutti coloro che sono in trepida attesa della prossima uscita firmata Hayao Miyazaki, dobbiamo dire di pazientare ancora un po’. In una recente intervista Toshio Suzuki, produttore dello Studio Ghibli, ha infatti affermato che per l’uscita del suo prossimo film dovremo aspettare almeno tre anni. Pensate un po’, è necessario un mese di lavoro per disegnare i fotogrammi che compongono un solo minuto di film! È bello come, in un mondo che si avvia sempre più verso la digitalizzazione, c’è chi ancora valorizza le abilità manuali e le tradizioni.

Davide Attardo

Death note: uno sguardo al mondo degli Anime!

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Insoddisfazione, noia, disgusto, verso un mondo distrutto dalla criminalità e dalle ingiustizie: sono questi i sentimenti che dominano l’animo di Light Yagami. Bello, desiderato da tutte le ragazze e il miglior studente della scuola, eppure per nulla contento della sua vita, tanto perfetta quanto vuota. Ben presto, la svolta: un quaderno nero con la scritta “Death Note”. Uno scherzo? Una trovata geniale?  Chissà, nel dubbio Light lo raccoglie ed è così che fa la conoscenza di Ryuk, uno shinigami (dio della morte) che, animato dalla stessa noia del protagonista, ha deciso di far cadere il suo quaderno sulla terra per divertirsi. Un po’ per curiosità, un po’ per mettersi alla prova, Light quindi decide di usare il quaderno della morte per scrivere i nomi dei più grandi criminali del Giappone; di cui deve necessariamente conoscere il nome ed il volto.

Pian piano imparerà a usare sempre meglio questo strumento, sperimenterà nuove regole riguardo le condizioni e le modalità dei suoi omicidi. Quella che inizialmente doveva essere una piccola missione, ovvero ripulire il mondo dai criminali, diventa per Light una vera e propria impresa. Solo lui può eliminare il male dal mondo, solo lui può essere giudice delle ingiustizie, tanto da arrivare a credersi una sorta di divinità.

Tuttavia, il suo lavoro è ostacolato prima dall’intervento della polizia Giapponese, poi dall’istituzione di una squadra speciale incaricata di indicare su Kira (“assassino”, soprannome assunto da Light), di cui fa parte anche il suo stesso padre, Soichiro Yagami, sovrintendente della polizia giapponese ed Elle, giovane detective dalle strabilianti capacità. Proprio Elle si rivela essere l’immagine speculare di Light. Entrambi eccessivamente intelligenti, sicuri di sé, ciascuno con un proprio senso della giustizia ma con un obiettivo comune: battere l’altro per portare avanti il proprio ideale. Light per divenire il giustiziere di questo mondo malato, Elle per combattere proprio ciò che lui giudica il sommo male.

Sarà una lotta assolutamente pari, con colpi bassi, acute rivelazioni e sorprese da parte di entrambi. “Death note” è una serie interessante, complessa oserei dire, perché sdogana il classico concetto di bene e male, di giusto e sbagliato. Riesce a tenere con il fiato sospeso a ogni puntata, nonostante le scene d’azione siano quasi inesistenti, in quanto sono proprio le elucubrazioni, le macchinazioni e l’introspezione psicologica dei protagonisti che tengono le fila della trama e che ci portano a capire ed a immedesimarci nei loro pensieri, fino a giustificare o addirittura a supportare le loro decisioni, non sempre edificabili.

E voi, da che parte state?

Edvige Attivissimo