Orso bruno: impariamo a conviverci

Gli esseri viventi con cui condividiamo questo pianeta spesso appaiono feroci o imprevedibili perché non possediamo gli strumenti per comprenderli. In questo articolo cerchiamo di osservare più da vicino l’orso bruno, in modo da comprenderne meglio i comportamenti e capire le azioni da evitare in caso di un incontro.

Indice

Dove lo troviamo?

Areale dell’orso bruno in Italia Fonte: https://grandicarnivori.provincia.tn.it

L’orso bruno è uno dei carnivori terrestri più grandi al mondo. È diffuso in gran parte dell’Asia e del Nordamerica, oltre che in Europa. In Italia vi è stata una sua reintroduzione nell’ambiente a seguito di una fase in cui la presenza era limitata a pochi esemplari in regioni circoscritte. Nel nostro paese sono presenti tre nuclei distinti. Due di questi si trovano sulle Alpi: nel Trentino occidentale e nel Tarvisiano; nelle zone di confine tra Friuli-Venezia Giulia, Austria e Slovenia. Lungo l’Appennino centrale, invece, troviamo il marsicano.

Conosciamolo meglio

Caratteristiche orso bruno marsicano Fonte: https://www.salviamolorso.it

L’orso bruno è un animale solitario, attivo principalmente durante il crepuscolo e la notte e, spesso, in cerca di cibo. La sua dieta è onnivora, ma può subire variazioni in base alla stagione o alla disponibilità del territorio. È strettamente legato a boschi e foreste. Va anche, però, considerato che la presenza umana limita le sue possibili zone di occupazione. Negli ultimi anni, inoltre, accade che degli esemplare si addentrino nelle zone abitate. I motivi sono molteplici: la ricerca di cibo, la necessità di alcune mamme di allontanarsi dai maschi per difendere i cuccioli, dinamiche sociali. Diventa, dunque, sempre più importante comprendere i loro comportamenti.

Situazioni di pericolo

L’orso bruno non considera l’uomo una potenziale preda, al contrario, lo ritiene una fonte di pericolo e, quindi, tende a evitarlo. Solitamente, dunque, le aggressioni sono una reazione di difesa a una provocazione o il risultato di un evento che lo sorprende e spaventa. Spesso si tratta di falsi attacchi. Accade, cioè, che l’orso mostri delle reazioni aggressive senza, tuttavia, arrivare a un contatto fisico.

Comportamento consigliato nelle aree in cui vive

Esemplare di orso bruno Fonte: https://it.wikipedia.org

Generalmente, dunque, l’orso tende a fuggire l’uomo. Udito e olfatto, infatti, lo aiutano a evitare incontri. Per questo motivo è bene, quando ci si aggira in zone da loro abitate, annunciare la nostra presenza, ad esempio, camminando rumorosamente.
Si deve, inoltre, porre particolare attenzione se portiamo con noi animali domestici, di modo che questi non abbiano contatti pericolosi con l’orso. Nel caso in cui venga avvistato è necessario non cercare di avere alcuna interazione con lui o con i cuccioli. Si deve, inoltre, evitare che l’orso associ l’uomo al cibo. È bene, dunque, non lasciare resti alimentari nel bosco.

Comportamento consigliato in caso di un incontro

Quando si ha un incontro ravvicinato con l’orso è importante mantenere la calma, evitando di scappare o urlare. Parlando con un tono pacato permetteremo all’orso di capire che non rappresentiamo un pericolo e non vogliamo attaccarlo. Possiamo, poi, indietreggiare lentamente, sempre tenendo d’occhio i suoi movimenti. Nel caso di un attacco è bene evitare di reagire. È necessario rimanere fermi e distendersi lentamente a terra a faccia in giù. Fingere di essere morti prima del contatto induce l’orso a capire che non rappresentiamo un pericolo. Quando ci distendiamo a terra è necessario mettere le mani sul collo o sulla faccia per proteggere le parti più delicate del nostro corpo. Infine, è bene considerare che l’orso ha la capacità di arrampicarsi sugli alberi e che correndo può raggiungere i 50 km/h. è inutile, pertanto, tentare di scalare la vegetazione o di batterlo nella corsa.

Conclusioni

I nostri boschi sono pieni di creature di cui sappiamo molto poco, eppure ci conviviamo. Avere una fauna così ricca è un bene, ma una gestione superficiale della situazione può portare molti rischi. L’informazione e la comprensione sono la nostra difesa più grande.

 

Bibliografia

Alessia Sturniolo

L’orsa Jj4 rischia davvero di essere abbattuta?

Andrea Papi, un 26enne amante dello sport, mentre rientrava dalla sua corsa è stato aggredito da un’orsa sul monte Peller sopra Caldes. L’orsa Jj4 è stata identificata tramite analisi del DNA. Ha 17 anni e nel 2020 aveva già attaccato due cacciatori. In Italia non era mai morto nessuno a seguito di un attacco di un orso.

La notizia si diffonde velocemente e tutti puntano il dito contro l’animale.   

Ma facciamo un passo indietro. Perché così tanti orsi in Trentino?

Nel 1999, per salvare una piccolo nucleo di orsi in estinzione, il parco Adamello Brenta con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica – grazie a un finanziamento dell’UE – ha dato avvio al progetto Life Ursus, consentendo il trasferimento di dieci orsi nati in libertà nella Slovenia meridionale.

Più del 70% degli abitanti si disse favorevole al progetto, tant’è che oggi in Trentino si contano almeno 100 orsi, ma non è certo l’unica regione in cui sono presenti, li troviamo anche nell’Appennino tra Lazio, Abruzzo e Molise.

Orsa Jj4. Fonte: Open

Ambientalisti dalla parte dell’animale

Il dirigente del Dipartimento di protezione civile del Trentino, Raffaele De Col ha dichiarato:

 Gli orsi sono animali pericolosi, non hanno antagonisti in natura, sono autonomi e non amano l’uomo

La LAVLega Anti Visezione – è un’associazione ambientalista italiana sulla salvaguardia della vita e dei diritti degli animali, che aveva espresso sia a Fugatti sia al ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica dell’Italia, Gilberto Pichetto Fratin, la disponibilità a trasferire immediatamente Jj4 e Mj5 in un rifugio sicuro. Secondo gli ambientalisti l’animale ha diritto a vivere tanto quanto l’uomo, in quanto diventano aggressivi se aggrediti o per difendere i loro cuccioli.

Il TAR – Tribunale Amministrativo Regionale – ha accettato la proposta, sospendendo l’esecuzione dell’orsa fino a maggio. L’ordinanza firmata dal Presidente della Provincia autonoma di Trento.

Queste le parole del Presidente della Provincia di Trento

Più di un orso verrà abbattuto 

Il presidente leghista della Provincia Autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, con l’approvazione dell’IspraIstituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – ha fatto sapere che l’orso di 18 anni Mj5 – “colpevole” di aver ferito un uomo in Val di Rabbi nel marzo 2023 – e l’orso M62 di 4 anni, verranno abbattuti. Quest’ultimo pare abbia dimostrato atteggiamenti troppo confidenti nei confronti dell’uomo.

Nonostante Jj4 sia stata “risparmiata” non sappiamo ancora se gli orsi Mj5 ed M62 riceveranno lo stesso trattamento.

Flavio Tosi – membro della Camera dei deputati della Repubblica Italiana – in merito alla questione si è espresso così:

Anche Mauro Corona, durante la trasmissione “Carta Bianca” andata in onda martedì’ 11 aprile su rai 3, ha voluto esporre il suo pensiero

L’orso che ha ucciso Andrea Papi in Trentino? Io proporrei lo spray urticante per difendersi e far allontanare gli orsi, ma purtroppo in Italia questa sostanza è proibita. Altrimenti bisognerà fare una grande zona transennata solo per gli orsi, certo è impensabile spostare 50 orsi da una zona all’altra. Siamo sicuri che gli altri 50 non aggrediscono?

Gabriella Pino

Dagli studenti per gli studenti: Toxoplasmosi, sintomi e trasmissione

Spesso, dietro la bontà degli alimenti come carne, verdura e frutta, che consumiamo giornalmente, potrebbe celarsi uno tra i tanti microscopici patogeni che popolano i nostri territori! Parliamo di “Toxoplasma Gondii”, parassita responsabile della toxoplasmosi.

Cos’è la toxoplasmosi

La toxoplasmosi è una zoonosi causata dal Toxoplasma gondii, un parassita che compie il suo ciclo vitale solo all’interno delle cellule. Può infettare moltissime specie e trasmettersi da un animale all’altro, attraverso l’alimentazione di carne infetta e il contatto con le feci di un animale infetto.

L’essere umano contrae la toxoplasmosi per ingestione di Toxoplasma gondii; i potenziali veicoli del contagio per via orale sono:

  • Le feci di gatti infetti: per infettarsi, non è sufficiente toccare le feci di gatti o altri animali infetti, ma occorre anche portarsi le mani in bocca (o manipolare qualcosa che poi finirà in bocca) senza averle lavate accuratamente;
  • L’acqua contaminata: condizione che interessa i paesi in via di sviluppo e quelli più poveri, nei quali i livelli igienici sono ancora molto scadenti;
  • La carne, la frutta e gli ortaggi contaminati: la carne contaminata è pericolosa solo se non cotta adeguatamente (la cottura distrugge Toxoplasma gondii). Frutta e verdura contaminate, sono pericolose solo se consumate a crudo. A maggior rischio sono quelle coltivate a terra (es: fragole e insalata);
  • Le posate e gli utensili da cucina contaminati: anche un coltello da cucina può essere veicolo di infezione. Ciò è possibile viene impiegato per tagliare carne cruda contaminata e successivamente usato per mangiare senza prima averlo lavato con acqua e sapone.

È doveroso segnalare che l’ingestione non è l’unica via di contagio; infatti è possibile contrarre la toxoplasmosi anche dopo una trasfusione di sangue o trapianto di organo da donatore infetto.

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Animali maggiormente a rischio

In genere, i gatti sviluppano la toxoplasmosi dopo aver cacciato ed essersi nutriti di prede altrettanto infette. Per questo, la toxoplasmosi nel gatto, dipende fondamentalmente dallo stile di vita condotto dall’animale: i gatti selvatici e quelli domestici che trascorrono molto tempo all’aperto sono maggiormente a rischio.
Dopo aver contratto la toxoplasmosi, i gatti espellono il parassita responsabile con le feci per diverse settimane. All’escrezione, tali feci non sono generalmente contagiose; lo diventano nel giro di 24-48 ore, che è il tempo che serve al patogeno in esse presenti per assumere una forma attiva.
Anche gli animali da allevamento e la selvaggina possono contrarre la toxoplasmosi se il cibo di cui si nutrono proviene da aree di terreno contaminate da feci infette.

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Sintomi

Nelle persone sane e con un sistema immunitario pienamente funzionante, la toxoplasmosi è di norma asintomatica, tanto che i pazienti non si rendono nemmeno conto di esserne affetti. Nei rari casi in cui è sintomatica, gli effetti sono: mal di testa, dolori muscolari diffusi, senso di malessere e stanchezza (sintomi simili influenzali), ingrossamento dei linfonodi, mal di gola e febbre.

Nei soggetti con un sistema immunitario deficitario, come malati di AIDS, pazienti oncologici e immunosoppressi, la toxoplasmosi costituisce un’infezione sempre temibile e associata a un ricco quadro di conseguenze.

Negli adulti, il tempo di incubazione della toxoplasmosi va da 5 a 23 giorni. Da alcuni studi è emerso che l’infezione impiega meno tempo a svilupparsi quando il veicolo di contagio sono state le feci dei gatti infetti (5-20 giorni contro i 10-23 giorni quando il contagio è avvenuto per ingestione di carne contaminata).

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Parassita in gravidanza

Se una donna in gravidanza contrae la Toxoplasmosi e non viene curata, c’è la possibilità che trasmetta l’infezione al feto (40% dei casi), con il rischio di aborto spontaneo. Ciò che ne consegue è: il ritardo di crescita intrauterina, nascita prematura, con gravi sequele o con neonato morto.
Se invece la Toxoplasmosi viene contratta prima della gravidanza di solito non viene trasmessa al feto, poiché la donna -a meno che non abbia un sistema immunitario compromesso- ha sviluppato un’immunità permanente. Tuttavia, se si programma una gravidanza, è bene aspettare circa sei mesi dall’infezione.
I possibili danni da Toxoplasmosi in gravidanza variano in base al periodo in cui è stata contratta l’infezione:
durante il periodo del concepimento, le probabilità di passare l’infezione al feto sono molto basse (5%);
nel primo trimestre di gravidanza, le probabilità che accada (circa 17%) sono basse. Tuttavia, il rischio di aborto spontaneo è alto e i possibili danni al feto piuttosto gravi, poiché i suoi organi sono ancora in formazione;
durante il secondo e terzo trimestre di gravidanza, le probabilità di trasmissione sono maggiori (65-90%, specialmente nelle ultime 3 o 4 settimane di gestazione), ma le possibili conseguenze sono meno gravi poiché il feto è già formato.
Nella quasi totalità dei casi (90%) questi neonati non hanno sintomi alla nascita, ma li sviluppano nel corso dei mesi o addirittura degli anni successivi.
Al contrario i prematuri oppure i nati a termine piccoli per età gestazionale, sviluppano i sintomi già alla nascita o poco dopo. Nel caso di infezione nel neonato, anche se apparentemente sano, dovrà essere seguito per almeno tutto il primo anno di vita per poter escludere eventuali danni cerebrali e visivi nei mesi successivi.

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Trattamento e prevenzione

In genere, se non causa sintomi di rilievo, la toxoplasmosi non richiede alcun trattamento particolare. Quando è associata ad un importante quadro sintomatologico, è prevista una cura basata sull’impiego di due antibiotici: la pirimetamina e la sulfadiazina. Il trattamento in gravidanza varia in relazione a quando la gestante contrae l’infezione.
La prevenzione della toxoplasmosi passa attraverso la cottura dei cibi. È opportuno evitare il consumo di carne cruda, soprattutto agnello, maiale e manzo, insaccati, salumi e carpacci. Stessa precauzione deve essere riservata ai vegetali, che devono essere cotti per evitare il rischio di infezione. Se si possiede un gatto domestico, eliminare quotidianamente gli escrementi dalla sua lettiera, avendo cura di lavarsi le mani dopo ogni operazione di pulizia. Se si ha la passione del giardinaggio, indossare sempre un paio di guanti durante tale attività ed evitare di portare le mani alla bocca.

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Conclusioni

Negli ultimi anni, grazie a test sierologici più sofisticati, è possibile non solo accertare la diagnosi, ma disegnare anche una terapia. Allo stato attuale non esiste un vaccino contro la toxoplasmosi, ma applicando buone pratiche comportamentali è possibile ridurre notevolmente il rischio di contrarre questa malattia.

Alice Pantano

Bibliografia

https://www.epicentro.iss.it/toxoplasmosi/

www.fondazioneveronesi.it

www.saperidoc.it

www.ospedalebambinogesu.it

www.izsvenezie.it

Cervello da gallina: un insulto…

Fin dagli albori dell’umanità, gli uccelli sono stati considerati animali di poco conto per quanto riguarda la loro intelligenza. Del resto, come puoi essere scaltro con un cervello delle dimensioni di una nocciolina? Ma è davvero così?
Fino al XXI secolo anche gli scienziati la pensavano così, ma sempre più studi hanno mostrato come molti uccelli abbiano comportamenti complessi: canto, riconoscimento di singoli individui di un gruppo, manipolazione di strumenti, risolvimento di enigmi.
In alcuni casi si sono mostrati capaci di reazioni istintive inimmaginabili per un essere umano. Del resto, se pensiamo che alcune specie migrano per migliaia di kilometri per poi tornare a casa nello stesso identico cespuglio o albero, qualcosa di speciale dovranno pur  avere.
Ma quali sono in particolare le specie che si contraddistinguono?

Indice dei contenuti

Pappagalli e corvi

I corvi possiedono un’incredibile memoria visiva che gli permette di riconoscere singoli individui: studiosi affermano come all’interno dei loro studi, i corvi reagiscano alle singole voci, riconoscano il rumore della auto o ricordino e distinguano il volto di chi gli porta il cibo.
In particolare, il corvo della Nuova Caledonia, essendosi adattato ad un ambiente dove è complicato ricercare il cibo, ha sviluppato una incredibile capacità di manipolazione degli oggetti, come: piccoli rami o foglie seghettate usate per trovare cibo dentro al legno. E non finisce qui: quegli  strumenti vengono a loro volta usati per costruirne di altri e, il loro impiego viene tramandato come cultura. Questo è un comportamento riconosciuto pochissime volte in natura e solo in grandi scimmie antropomorfe, spesso in cattività.

Due corvi imperiali. Fonte

 

L’altro grande gruppo di uccelli noti per il loro acume sono i pappagalli. E questo è noto a tutti quelli che ne hanno tenuto uno in casa sentendosi ripetere (non in tutte le specie)  quello che dicevano.
Una specie che eccelle proprio nel linguaggio è il pappagallo grigio africano. Irene Pepperberg, studiando questa specie, ha scoperto che posso memorizzare un centinaio di vocaboli umani e capire la differenza tra: uguale, diverso e zero.
Un altro gruppo interessante sono i cacatua, che utilizzano semi o rami per produrre percussioni. Ognuno di loro riesce ad avere una propria melodia e a farsi riconoscere tramite essa. Benché non tutte le specie lo facciano, alcuni si muovono anche a ritmo della loro musica. In cattività alcuni esemplari hanno mostrato anche di saper seguire il ritmo della musica umana.

Un cacatua. Fonte

 

Tutti questo sembra alienante se riflettiamo su quanto questi animali ci somiglino pur essendo così diversi da noi. Ma qual è il loro segreto? Si tratta di un’efficiente uso dello spazio.

Meraviglie celebrali

Sebbene a livello di effettive dimensioni il loro cervello non raggiunga, in proporzione, le dimensioni di quello di un primate, hanno lo stesso numero di neuroni. Insomma molti uccelli fanno a gara con animali come scimmie o addirittura balene. Le comuni gazze hanno la capacità, simile a quella dei delfini, di riconoscere se stessi nel proprio riflesso.
Un’altra caratteristica simile alla nostra è la memoria. La nocciolaia di Clark riesce durante l’autunno a nascondere fonti di cibo in 3000 luoghi diversi nel suo territorio riuscendo poi a rilocalizzarli con una buona probabilità, anche quando coperti dalla neve.
Ma ciò che forse vi lascerà di stucco sono le capacità del colibrì, il vertebrato più piccolo al mondo, capace di programmare la visita ai vari fiori in base alla possibilità di prenderne il nettare dividendoli per aspetto in base alla specie e ricordandosi l’ultima visita fatta per evitare di trovarne uno vuoto. Ancora pensiamo ai pinguini imperatore, capaci di riconoscere il proprio compagno nel mezzo alla cacofonia del branco.

Una gazza con la refurtiva. Fonte

Conclusioni

Potremmo andare avanti all’infinito parlando di questi animali.
Speriamo solo che la prossima volta che incontrerete un corvo o una gazza ladra potrete salutarli. Magari un giorno diventerete loro amici.

 

Matteo Mangano

 

Bibliografia
https://www.activewild.com/bird-intelligence/
https://www.nationalgeographic.com/magazine/article/bird-brains-crows-cockatoos-songbirds-corvids
https://www.nationalgeographic.com/animals/article/year-of-the-bird-brains-intelligence-smarts
https://www.youtube.com/watch?v=MxxMnQa2B68&t=788s

Giraffe: il segreto per un cuore sano

L’estrema lunghezza del collo delle giraffe fa sì che i loro ventricoli debbano lavorare a pressioni altissime: come fanno ad avere un cuore sano?

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I valori pressori umani e dei mammiferi

Negli esseri umani adulti, i valori pressori “normali”, sono di circa 130 mmHg per la pressione sistolica (quella “massima”, corrispondente alla contrazione dei ventricoli) e di 80mmHg per quella diastolica (anche detta “minima”, corrispondente al rilassamento dei ventricoli del cuore).
Esistono tuttavia certi range nei quali la pressione arteriosa è considerata normale, mentre altri in cui ci si avvicina ad una condizione di pericolosità.
In questa tabella possiamo vedere i valori pressori classificati in base alla loro pericolosità secondo le linee guida del2018 del ESC/ESH – European Society of Cardiology – European Society of Hypertension.

 

Livello Pressione sistolica (mmHg) Pressione diastolica (mmHg)
Ottimale <120 <80
Normale 120-129 80-84
Normale – Alta 130-139 85-89
Ipertensione di grado 1 140-159 90-99
Ipertensione di grado 2 160-179 100-109
Ipertensione di grado 3 ≥ 180 ≥ 110
Ipertensione sistolica isolata ≥ 140 ≤ 90

 

Oltre certi livelli pressori, il cuore si inizia a danneggiare in quanto costretto ad un lavoro maggiore, con conseguente carenza di ossigeno, danni ecc. Nel tempo ciò porta ad un rimaneggiamento del cuore stesso, che da cuore sano inizia inesorabilmente a trasformarsi in un cuore scompensato, malato. I tessuti muscolare ed elettrico iniziano a diventare tessuti fibrotici, con tutti i problemi che ne derivano (aritmie, insufficienza cardiaca ecc).
Ecco perché è importante mantenere i valori pressori entro certi target, per evitare questa evoluzione fibrotica del cuore.
Nei mammiferi di media e grossa taglia, il funzionamento del cuore e le varie pressioni sono simili, come è simile il danno che deriva da un eccesso pressorio, tranne che in un caso: nelle giraffe.

Crediti immagine: https://www.medimagazine.it/fibrosi-cardiaca-mantenere-cuore-sano-gli-acidi-biliari/

La pressione arteriosa delle giraffe

Le giraffe, spinte dalla pressione evolutiva, hanno sviluppato nel corso di migliaia di anni un collo spropositatamente lungo rispetto al resto del corpo. Certamente questo le aiuta a nutrirsi in ambienti aridi come la savana, raggiungendo cibo che nessun altro animale rivale è in grado di raggiungere.
Il rovescio della medaglia per un simile traguardo evolutivo è però quello di un’eccessiva pressione arteriosa. Per far sì che il sangue raggiunga il cervello delle giraffe, situato a oltre 2-2,5 metri dal petto, il cuore di una giraffa deve lavorare a pressioni elevatissime: 220/180 mmHg, per ottenere a livello cerebrale una pressione normale di 110/70 mmHg.
Ma come fanno allora le giraffe, nonostante questa enorme pressione a livello cardiaco, a non sviluppare patologie legate all’ipertensione come la fibrosi cardiaca, la fibrillazione atriale e lo scompenso cardiaco?

Crediti immagine: https://www.medscape.com/viewarticle/951907

Come la ricerca sulle giraffe potrebbe curare lo scompenso cardiaco

La biologa evoluzionista Barbara Natterson-Horowitz e i cardiologi dell’Università di Harvard e dell’ UCLA  (University of California, Los Angeles), incuriositi da queste caratteristiche hanno scoperto che esse possiedono dei ventricoli più spessi, ma senza rigidità nelle pareti degli stessi o fibrosi, cosa che invece hanno gli esseri umani sottoposti ad elevate pressioni arteriose per molto tempo.
Andando quindi a studiare il genoma delle giraffe, gli scienziati hanno visto come nei loro geni siano presenti 5 mutazioni nei geni che producono fibrosi (es. ACE, FGFR-L1, ecc.) rispetto agli altri mammiferi.
Ulteriori ricerche hanno dimostrato come le giraffe possiedano delle proprie varianti genetiche specifiche per geni coinvolti nei processi di fibrosi.

Crediti immagine: Did giraffe cardiovascular evolution solve the problem of heart failure with preserved ejection fraction?
June 2021Evolution Medicine and Public Health 9(1)

 

Conclusioni

Ulteriori studi da effettuare su questi animali potrebbero svelare altre meraviglie del loro sistema cardiovascolare, rappresentando così una possibile svolta per i problemi cardiaci dell’uomo. Dallo scompenso cardiaco alla fibrillazione atriale, aritmie ecc., si potrebbero curare molte patologie cardiache.
Scoperte del genere dovrebbero farci riflettere su quanto meraviglioso ed interconnesso sia il mondo della scienza. Dei fisici curiosi si saranno chiesti a che pressione lavorasse un cuore di giraffa per pompare il sangue così in alto, una biologa evoluzionista ha fatto delle ipotesi, con la genetica si sono trovate delle mutazioni ai geni della fibrosi.
Da qui, in futuro potremmo avere delle cure migliori per il cuore.

 

 

Roberto Palazzolo

Il cuore enorme della Terra: un’armonia tutta nostra

Che differenza c’è tra noi uomini e gli animali? Molti si sono posti tale domanda.
Alcuni sono riusciti a trovare una maggior ”capacità intellettiva” nella nostra specie, che si dimostra in piccole azioni giornaliere come la possibilità di soffrire e riflettere, l’empatia o un’estrema abilità comunicativa. In alcuni casi però questa domanda perde significato. Troviamo un sentire quasi comune, il cuore enorme della Terra che batte a diverse frequenze, nei corpi di tutti coloro che la abitano. 

Il canto delle megattere

La megattera (Megaptera novaeangliae) è un cetaceo della famiglia Balaenopteridae. Il nome deriva dal greco μέγα πτερόν (grande ala), in riferimento alle pinne pettorali che possono raggiungere una lunghezza pari a circa un terzo di quella del corpo. In queste creature il grado di apprendimento sociale si estende a popolazioni intere. I maschi usano complicati canti per comunicare. Queste melodie durano da dieci a venti minuti e vengono ripetute per diverse ore. Sono caratteristiche di ogni popolazione e ciascun esemplare del branco le conosce e usa.
Uno studio recentemente condotto della University of Queensland e pubblicato su Scientific Reports mostra, però, che tale capacità di apprendimento si allarga oltre i confini della singola popolazione.

Fonte: https://rivistanatura.com

Ascoltando una melodia di onde

Per lo studio, il team australiano ha monitorato due diverse popolazioni di megattere: una vive al largo delle coste orientali dell’Australia, l’altra intorno alla Nuova Caledonia. I ricercatori hanno registrato per sei anni, dal 2009 al 2015, i loro canti. È stato, così, possibile identificare quelli tipici sia degli esemplari australiani che di quelli della Nuova Caledonia, nonché osservare come si è evoluto il loro repertorio in questo lasso di tempo.

Di bocca in bocca

I contatti costanti tra i due gruppi hanno fatto sì che alcuni canti di una popolazione venissero appresi da un’altra ed integrati nei loro spartiti. Dal confronto tra le versioni originali e quelle apprese si è scoperto che le canzoni sono state imparate alla perfezione e riprodotte in maniera identica.
Il processo, peraltro, si è ripetuto con regolarità: ogni anno le megattere cambiavano la loro canzoni e, ogni anno, la popolazione vicina la imparava senza errori. Secondo gli autori dello studio, uno scambio culturale di questa portata (le popolazioni di megattere possono raggiungere i 200 esemplari) è molto raro. Inoltre, i risultati supportano l’ipotesi che le diverse popolazioni di megattere si scambino le canzoni quando si incontrano, per esempio, lungo rotte migratorie comuni.

La mente sensibile degli elefanti

Gli elefanti hanno il cervello più grande tra gli animali terrestri, con una massa superiore a cinque chili. Il volume della corteccia di un elefante permette un enorme ventaglio di processi cognitivi. Il risultato è una capacità neuronale superiore a quella di qualsiasi primate e cetaceo. Ciò si traduce in diversi tipi di intelligenza.
La sua struttura cerebrale è complessa e sofisticata, con più di 250.000 milioni di neuroni. La grande quantità di sinapsi della loro corteccia cerebrale permette di comprendere bene il linguaggio non verbale. Si ritiene che ciò sia associato anche alla loro elevata capacità di imitare anche le persone. Gli elefanti, inoltre, non replicano solo i gesti umani, ma anche i suoni dell’ambiente circostante. 

Fonte: https://www.ildigitale.it

Ricordi e memoria

Le dimensioni dell’ippocampo di un elefante superano quelle di qualsiasi primate.
Si tratta di una struttura cerebrale appartenente al sistema limbico che possiede, tra le altre, la funzione di elaborare alcuni tipi di memoria, come quella spaziale.
L’elefante può usare più dello 0,7% delle sue strutture cerebrali, mentre gli umani di solito ne sfruttano appena lo 0,5%. Ciò permette loro di avere una memoria davvero privilegiata. Questo aspetto è dimostrato in numerosi studi scientifici, ma è visibile anche nei comportamenti allo stato brado.

Il lutto

Gli elefanti manifestano un notevole interesse per gli esemplari deceduti della propria specie. Gli scienziati hanno osservato che gli elefanti piangono i propri morti e, inoltre, continuano a interagire con le carcasse per lungo tempo. In alcuni casi gli esemplari continuano a tornare a mucchi di ossa bianche arse dal sole. A descrivere questi comportamenti è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del San Diego Zoo Institute for Conservation Research e dello Smithsonian Conservation Biology Institute. I biologi, coordinati dalla dottoressa Shifra Goldenberg, hanno condotto uno studio di revisione sulle osservazioni di 32 carcasse di elefante. In alcuni casi è stato osservato il momento esatto in cui un esemplare è morto. Quando è crollato a terra i membri del suo gruppo sono accorsi attorno al corpo provando a sollevarlo e spostarlo con le proboscidi, emettendo vocalizzazioni per richiamare il compagno.
Non è chiaro il motivo per cui gli elefanti si comportino in questo modo, ma sembra che in alcuni casi negli animali sociali non ci sia “accettazione della morte”.
Un recente simile ed emblematico è quello dell’orca che ha trascinato la carcassa del suo piccolo innanzi al porto di Genova per diversi giorni.

Fonte: https://www.animalidacompagnia.it

La Terra e le sue creature

Conoscendo meglio le creature che condividono con noi questo pianeta si amplia la visione di noi stessi. Abbiamo la possibilità di sentire come la muta acqua risponde al canto delle megattere, di osservare come i più grandi mammiferi terrestri si muovono con delicatezza tra le foreste. Siamo parte di quest’armonia, anche quando ci limitiamo a guardarla sbirciando dalle finestre delle nostre case.

Alessia Sturniolo

Bibliografia

Covid-19: primo cane positivo in Italia, infettato dai padroni. Nessun pericolo di contagio

Anche gli animali sono suscettibili al Covid-19?

Da alcuni studi di analisi biomolecolare e genomica condotti dall’Università della California a Davis, è stato reso noto che animali di diversi ordini e specie sono esposti al rischio di essere infettati dal nuovo SARS-CoV-2.

Questo perché in oltre 410 specie di vertebrati è presente il recettore ACE2 (Angiotensin Converting Enzyme 2). Esso permette al virus di legarsi alle cellule dell’epitelio polmonare, il quale consente di proteggere da stress, infezioni e infiammazione i polmoni.

Da tale ricerca risulterebbe confermata l’alta suscettibilità del gatto e in misura minore del cane.

La bassa suscettibilità nel cane e la sua carica virale

Cinque beagle sono stati inoculati con il virus per via nasale e alloggiati con due beagle non inoculati. I tamponi orofaringei e rettali di ciascun cane sono stati raccolti e studiati. L’RNA virale è stato rilevato solo nei tamponi rettali di due cani inoculati col virus, ma non in organi o tessuti. Inoltre, il virus non è stato trasmesso a nessun esemplare trattato. Questi risultati indicano che i cani hanno una bassa suscettibilità alla SARS-CoV-2 e scarsa carica virale.

Nonostante la rilevazione di tali dati, ci sono noti casi di cani infetti. Il primo si è verificato a Wuhan nel dicembre 2019. Ad inizio giugno è stato diagnosticato un caso in un pastore tedesco a New York, dal NVSL (National Veterinary Services Laboratories) degli USA. E, ancora, è stata confermata la presenza di due cani a Hong Kong e uno in Belgio.

E’ stato dimostrato mediante PCR con trascrizione inversa, sierologia, sequenziamento del genoma virale e isolamento del virus che ben 2 cani su 15 sono infetti (ricerche condotte a Wuhan). Gli esemplari in questione sono provenienti da famiglie con membri positivi.

Il caso italiano: il barboncino di Bitonto

Pochi giorni fa un caso analogo è stato rilevato a Bitonto (BA) dal Professor Nicola Decaro, Professore ordinario di malattie infettive degli animali presso l’Università di Bari e componente dell’Executive Board Del College Europeo di Microbiologia Veterinaria.

Un esemplare femmina di barboncino di un anno e mezzo è risultato positivo al Covid-19 con una carica virale bassa.

I padroni sono risultati positivi al test e sintomatici. E’ stata loro premura inviare i tamponi all’Università di Bari per eseguire gli accertamenti in accordo alle norme di legge.

Il primo tampone positivo sul cane risale al 5 novembre e l’esito è stato riconfermato dai successivi test molecolari. Gli animali non sono un pericolo per la nostra salute, piuttosto i padroni hanno trasmesso la malattia al loro animale.

Il Professor Decaro fin dalla prima ondata dell’epidemia si è occupato dello studio dell’andamento del virus negli animali d’affezione. Ad oggi erano stati accertati in Italia, soprattutto in Lombardia, casi di cani positivi al test sierologico. Il dato è interessante perché prova che gli animali in questione avevano contratto il virus in passato e sviluppato gli anticorpi.

 

A cosa vengono sottoposti i nostri amici a quattro zampe?

Il veterinario ASL sottopone l’animale al tampone, ripetendolo dopo 7 e 14 giorni successivi. I campioni vengono poi inviati all’IZS competente per territorio. In caso di positività, il tampone viene ripetuto fino a negativizzazione. E’ importante precisare che l’animale non viene allontanato dal nucleo familiare e , in ogni caso, non potrà essere sottoposto ad eutanasia.

Lo studio virologico prevede un prelievo di sangue o raccolta delle feci dell’animale nel caso in cui non sia trattabile. Il sangue viene trattato senza anticoagulate per il test sierologico. Inoltre l’animale può essere sottoposto al tampone nasale, faringeo e rettale. In caso di decesso dell’animale, è necessario allertare i Servizi Veterinari per l’invio delle carcasse alla sede dell’ IZS per  effettuare indagini post mortem. Questi segnalano all’ ASL, alla Regione e al Ministero della Salute tutti gli eventuali casi di positività.

Gestione degli animali da compagnia

Se il detentore di un animale d’affezione risulta positivo al covid-19, dovrà segnalare la presenza di animali domestici ai servizi sanitari dell’ASL.

  • In caso di infezione da COVID-19 in un nucleo familiare è raccomandato che gli animali restino presso la famiglia. La persona infetta deve evitare il contatto ravvicinato con l’animale.
    Se non fosse possibile detenere l’animale, esso potrà essere preso in custodia da terzi, i quali non dovranno avere contatti con il padrone dell’animale.
  • Se in un nucleo familiare una o più persone sono sottoposte a ricovero per COVID-19, l’animale verrà affidato a terzi disposti ad accudirlo presso il proprio domicilio o in quello originario preventivamente sanificato.

E’ bene puntualizzare che l’epidemia da SARS-CoV-2 è alimentata unicamente dalla trasmissione del virus tra individui umani o mediante il contatto con oggetti contaminati, senza alcun coinvolgimento di animali. Pertanto non abbandoniamo i nostri fidati amici, piuttosto preserviamo la loro salute.

Francesca Umina

Bibliografia

https://www.lescienze.it/news/2020/08/27/news/animali_rischio_covid-19_coronavirus-4785236/

https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-differenze-genere-possibilimeccanismi

Infezione da Sars-Cov-2 negli animali: incidenza e trasmissione

https://bari.repubblica.it/cronaca/2020/11/11/news/cane_positivo_covid_puglia273938357/

https://www.izsvenezie.it/wp-content/uploads/2020/04/ministero-salute-linee-guida-pets-covid19.pdf

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32408337/

https://science.sciencemag.org/content/368/6494/1016.long

 

 

 

 

 

La Terra chiede aiuto

Uno studio dell’autorevole “Lancet” dice che per impedire il collasso del pianeta dovremo cambiare radicalmente dieta e sistemi di produzione alimentari, riducendo drasticamente i consumi di carne.

Salvare il pianeta si può.

Il consumo globale di frutta, verdura, noci e legumi dovrà raddoppiare, mentre il consumo di prodotti alimentari come la carne rossa e lo zucchero dovrà essere ridotto di oltre il 50 per cento.

Ad affermarlo è uno dei più corposi studi scientifici mai realizzati e pubblicato dalla commissione Eat-Lancet su cibo, pianeta e salute.

La commissione, che riunisce 37 esperti provenienti da 16 paesi con competenze in materia di salute, nutrizione e sostenibilità ambientale, ha pubblicato la “Planetary Health Diet”, ovvero una dieta che, se applicata, porterebbe a ridurre le emissioni di gas serra a livelli compatibili con l’accordo di Parigi e a migliorare la salute dei 10 miliardi di persone che popoleranno il pianeta nel 2050.

Il rapporto per la prima volta fornisce i target scientifici da perseguire per giungere ad un sistema di produzione alimentare sostenibile e ad una dieta sana per noi e per il nostro pianeta.

In questo senso lo studio fornisce quello che dovrebbe essere il regime alimentare giornaliero: il 35 per cento delle calorie dovrebbe provenire da cereali e tuberi; per quanto riguarda le fonti proteiche, queste dovrebbero essere principalmente vegetali, riscoprendo per esempio il consumo dei legumi.

“Questo rapporto non fa altro che confermare ciò che avevamo già indicato con l’Oms.

Questa commissione ha rianalizzato i dati disponibili sul rapporto tra dieta e salute e conferma che una dieta a base di carboidrati, legumi, grassi insaturi è associata ad una minore mortalità, causata da malattie cardiovascolari e tumori”, afferma il dottor Francesco Branca, direttore del dipartimento della nutrizione per la salute e lo sviluppo dell’Oms.

“Anzi si conferma che, se questa dieta venisse adottata a livello globale, si potrebbero salvare oltre 10 milioni di vite l’anno”.

Una dieta equilibrata, molto simile a quella dei nostri nonni e genitori e praticata oggi in paesi come India, Indonesia o Centro America.

“La novità di questo rapporto è indubbiamente il legame tra questo schema alimentare e l’impatto sull’ambiente. Le attuali tendenze di consumo non sono più sostenibili. Bisogna cambiarle”, continua Branca.

“Solo con un cambiamento dei nostri stili di vita potremmo affrontare il cambiamento climatico e le sfide ad esso legate”.

Lo studio non evoca un vegetarianesimo estremo.

Piuttosto “richiama all’importanza di un riequilibrio dei consumi animali.

Lo scopo di questo rapporto è proprio di aprire un dibattito pubblico su questioni fondamentali”, conclude Branca.

L’uomo ha oggi il dovere di ascoltare le grida della “Terra”.

Se così non facciamo correremo il rischio di rimanere senza casa.

La natura, madre della vita, merita rispetto.

Antonio Mulone