La città sull’acqua

Era la città sul mare,

non aveva un nome

se non quello della nave

 

Era di strade galleggianti fatta

si ballava, si beveva e si mangiava

ondeggiando sulla marea più alta

 

Era la città sull’acqua,

non esisteva nulla intorno

nemmeno un’isola di terra astratta

 

Era piccola in confronto a qualunque ammiraglia

tredici piani all’interno tra la prua e la poppa,

gonfiava le sue vele immaginarie all’aria

e danzava sull’oceano di tappa in tappa

 

Una sinfonia sciabordante di schiuma

lascia una scia che si vede dall’alto

mille e una notte trascorrei dondolando

su una città che di sale profuma

 

Alessandra Cutrupia

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Coltivare sulla Luna? Da oggi si può!

Tra non molto vedremo germogliare una piantina sulla Luna!
Ne da annuncio un team di scienziati della NASA ed un gruppo di consulenti operanti presso l’Ames Research.

INDICE DEI CONTENUTI

  1. Generalità
  2. Coltivazioni idroponiche
  3. La struttura lunare
  4. Arabetta comune
  5. L’esperimento
  6. Livelli di stress
  7. Presenza di acqua
  8. Conclusione

Generalità

Un nuovo studio ha cercato di individuare le potenzialità del terreno della Luna per generare una forma di “agricoltura” proiettata nel “futuro”.
I vantaggi di far crescere delle piante sul suolo lunare sono particolarmente rilevanti. Infatti, oltre a produrre cibo, esse fornirebbero ossigeno,  permetterebbero il riciclo di acqua e di ripulire l’aria dentro gli edifici dall’anidride carbonica.

Coltivazioni idroponiche

L’unica possibilità di far crescere della vegetazione extraterrestre fino ad oggi, è stata quella in coltivazioni idroponiche.
In queste condizioni la terra è sostituita da un substrato inerte, come argilla espansa, fibra di cocco, lana, roccia o zeolite.
Giorgio Gianquinto, professore di scienze agrarie dell’Università di Bologna, spiega: Queste coltivazioni comprendono una vasta gamma di sistemi, in cui il rifornimento di acqua ed elementi nutritivi, indispensabili per la crescita e sviluppo delle piante, avviene attraverso la somministrazione di una soluzione nutritiva (acqua + nutrienti disciolti in essa).  In Olanda la gran parte della coltivazione in serra è attuata con sistemi fuori suolo High Tech.”
Tre ricercatori dell’Università di Florida sono riusciti a spiegare che anche la superficie lunare sembra predisposta ad accogliere la crescita di alcune piante.

static.gamberorosso.it

La struttura lunare

La Superficie lunare è composta da svariati elementi quali: potassio, magnesio, silicio, ossigeno, ferro, calcio, titanio, idrogeno, alluminio, uranio e torio.
Andando dall’esterno verso l’interno, la Luna presenta una crosta, un mantello (in parte allo stato fuso) e un nucleo, suddivisibile in interno ed esterno. Il nucleo interno della Luna è composto da ferro solido, mentre quello esterno da ferro allo stato liquido. Subito dopo il nucleo, troviamo quella parte del mantello allo stato parzialmente fuso, composto, teoricamente, da una lega di ferro metallico, nichel e zolfo.

www.meteoweb.eu

Arabetta Comune

Per il loro esperimento i ricercatori hanno raccolto da diversi punti della Luna 12 grammi di regolite, cioè  l’insieme di sedimenti, polvere e frammenti di materiale che compongono lo strato più esterno della superficie dei pianeti rocciosi.
In esso sono stati piantati alcuni semi di arabetta comune,  una piccola pianta annuale o biennale della famiglia delle brassicaceae (della senape), la stessa di broccoli e cavolfiori.
Inoltre, per la sua facilità di crescita, è una delle specie più studiate al mondo.

www.rsi.ch

 

L’esperimento

Robert Ferl, ricercatore dell’Università della Florida,  insieme al suo team, ha provato a coltivarla.
Per farlo sono stati utilizzati 12 campioni di suolo raccolti durante le missioni lunari Apollo 11, 12 e 17.  La stessa pianta è stata coltivata in un terreno contenente cenere vulcanica terreste, simile a quello lunare per dimensioni delle particelle e composizione.
In questo modo, hanno scoperto che le piante crescevano in entrambi i sostrati. Le piante cresciute nel suolo lunare, tuttavia, hanno presentato chiari segni di stress. Necessitano difatti più tempo per sviluppare radici e foglie espanse, cosa che non si verifica in quelle cresciute nella cenere vulcanica.

Livelli di stress 

I livelli di stress osservati sono dovuti ai danni provocati dai raggi cosmici, dal vento solare o dalla presenza di piccole particelle di ferro.
Dopo 20 giorni gli scienziati hanno raccolto la pianta e ne hanno studiato il DNA. Hanno così osservato che avevano risposto nel modo in cui i vegetali reagiscono a un terreno con troppo sale o metalli pesanti.

Presenza di acqua

L’acqua riveste un ruolo fondamentale per la colonizzazione del territorio lunare e la sua presenza permetterebbe di ovviare al trasporto della stessa dalla terra.
La piccola quantità di acqua presente è stata fornita dalle comete che nel corso dei secoli hanno impattato col suolo lunare. Tuttavia, viene scomposta (in idrogeno ed ossigeno) dalla luce solare e dispersa nello spazio. Esistono delle ipotesi a sostegno della presenza di acqua sulla Luna nelle zone perennemente in ombra oppure all’interno della crosta lunare.
Probabilmente alcuni dei suoi crateri polari non ricevono mai luce solare a causa delle loro elevate profondità e, di conseguenza, si ipotizza che all’interno di questi possa essere presente acqua sotto forma di ghiaccio.

www.gelestatic.it

 

Conclusione 
Questa ricerca è cruciale per gli obiettivi di esplorazione umana a lungo termine della Nasa“, ha affermato il capo dell’agenzia spaziale Usa Bill Nelson in una dichiarazione. “Avremo bisogno di utilizzare le risorse sulla Luna e su Marte  per sviluppare fonti di cibo per i futuri astronauti che vivranno nello spazio profondo“.

Nel frattempo, nell’attesa di vedere germogliare la prima storica piantina sulla Luna, non ci resta che ammirare quelle che cresceranno nelle mini-serre  (identiche a quelle lunari) che la NASA ha affidato alle cure degli studenti di numerose scuole Americane .

Elena Fortuna

Per approfondire:

Immagine in copertina: https://rwandantimes.com/wp-content/uploads/2022/05/plants-in-soil-from-the-moon3-696×365.jpg

Acqua sulla Luna, la scoperta della NASA

Ieri, 26 ottobre, in questo catastrofico 2020 una fantastica notizia ha acceso gli animi degli astrofili: la NASA ha annunciato che  “è stata scoperta dell’acqua sulla Luna.

I risultati della scoperta sono stati pubblicati sulla rivista Nature. (1) (2) 

Crediti immagine: NASA   

In realtà, già da tempo si era a conoscenza di depositi di acqua sulla superficie lunare, soprattutto ai poliInfatti, a livello di essi, la luce solare sfiora appena i crateri, i quali, restando sempre bui all’interno, permettono la conservazione di masse di ghiaccio che altrimenti, esposte alla luce del Sole, evaporerebbero. 

Perché allora c’è tanto entusiasmo per l’annuncio fatto ieri dalla NASA? 

Perché l’acqua, stavolta, è stata trovata (con molta sorpresa, visto che dovrebbe evaporare) non ai poli, mnella zona equatoriale della Luna, esposta ai raggi solari, regione di gran lunga più accessibile rispetto ai freddi poli. Inoltre, la sua presenza pare essere molto più abbondante delle precedenti previsioni, il che apre a diversi scenari interessanti. 

In particolare, l’acqua è stata trovata in corrispondenza dell’antico cratere (in quanto particolarmente eroso) Claviussituato nell’emisfero sud della superficie lunare visibile. 

Come abbiamo fatto per tutto questo tempo a non vederla? 

Il fatto che l’acqua ci sia, non significa che sia facilmente visibile. Situata all’interno del cratere Clavius, uno dei più grandi crateri lunari dopo i mari, con i suoi 231 km di diametro, è stata trovata in quantità pari a 340g/m³ di regolite. Una quantità che può sembrare irrisoria, se consideriamo che il deserto contiene quantità di acqua centinaia di volte superiori. 

Cratere Clavius – Crediti immagine: wikipedia

Come fa l’acqua sulla Luna a non evaporare? 

Si presume che essa sia o intrappolata in microsfere di regolite (il materiale roccioso di cui è composta la superficie della Luna ndr), oppure sia sottoforma di sali idratati contenuti nella struttura chimica della regolite stessa. In questo modo, viene schermata dai raggi solari, non potendo quindi evaporare e disperdersi nello spazio. 

La scoperta 

È avvenuta grazie all’uso di una particolare tecnologia. 

Finora, infatti, avevamo osservato la superficie lunare con dei telescopi incapaci di distinguere lo spettro emesso dall’acqua da quello emesso dall’ossidrile, in quanto molecole molto simili (H2O è la formula dell’acqua, -OH quella dell’ossidrile). 

Stavolta, però, gli scienziati hanno usato un particolare Telescopio, chiamato SOFIA (Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy), dotato di un sensore capace di osservare gli infrarossi con una precisione tale da poter distinguere le molecole di acqua da quelle di ossidrile o anche di idrogeno semplice. 

Crediti immagine: NASA

Ogni molecola, infatti, emette un proprio spettro luminoso caratteristico, che con i giusti strumenti è captabile. 

La particolarità di questo telescopio, oltre alla sua precisione per l’Infrarosso, è quella di essere il più grande telescopio ad essere installato su un aereo. Esso, infatti, è montato su un Boeing 747 SP, per sovrastare nuvole ed inquinamento atmosferico che renderebbero altrimenti impossibili certe osservazioni. 

Crediti immagine: NASA

Grazie a questo telescopio mobile, gli scienziati hanno accertato inequivocabilmente la presenza di acqua sulla superficie visibile della Luna. 

Ma come ha fatto quest’acqua ad arrivare sulla Luna? 

Sono due le principali teorie riguardo la presenza di acqua sulla Luna: 

  • La prima riguarda dei micrometeoriti contenenti acqua che, impattando contro la superficie lunare, avrebbero intrappolato l’acqua in microsfere createsi in seguito alla fusione della roccia dovuta all’impatto. 
  • La seconda teoria, invece, prevede due fasi: nella prima fase il vento solare avrebbe portato idrogeno che, combinandosi con l’ossigeno presente sulla Luna, avrebbe prodotto l’ossidrile, il quale poi, nella seconda fase, a seguito dell’impatto di meteoritisi sarebbe trasformato in acqua grazie al forte calore sviluppato. 

Entrambe le teorie vedono dunque come protagonisti i meteoriti, in quanto l’acqua è stata trovata appunto nel cratere, generato dall’impatto di questi sulla superficie lunare. 

Che implicazioni ha una simile scoperta? 

Innanzitutto, è la dimostrazione di come ciò che pensiamo di conoscere possa ancora stupirci, se indagato a fondo con nuove conoscenze. 

Una scoperta del genere proietta a scenari innovativi per le future missioni spaziali, in particolare per le missioni lunari. 

Sappiamo, infatti, che nel 2024 la NASA tenterà di riportare l’umanità sulla Luna con la missione Artemis III. 

Crediti immagine: www.nasa.org

Per affrontare un viaggio del genere, gli astronauti dovranno portare svariate scorte di cibo e acqua per sopravvivere. Questo significa avere un carico in più da vincere contro la forza di gravità.

Nel momento in cui fosse possibile estrarre acqua dal suolo lunare, questo problema sarebbe risolto, permettendo un considerevole risparmio di peso, destinabile ad esempio agli alimenti. Questo consentirebbe non solo di programmare missioni spaziali più lunghe, ma addirittura di poter pensare ad una base lunare in pianta stabile. 

Scetticismo

Ovviamente è ancora tutto da vedere. Già da tempo gli scienziati progettano di stabilire una base lunare, rifornendosi di acqua grazie ai giacimenti ai poli lunari.  

Il problema è che, nonostante ci siano considerevoli quantità di acqua ai poli, essa si trova a notevoli profondità all’interno dei crateri lunari, fino a 4km, essendo quindi molto impegnativa da raggiungere. 

Inoltre, essendo i crateri bui e mancando la Luna di atmosfera, la superficie lunare non illuminata dal Sole raggiunge temperature molto basse, che richiederebbero un plus di energia per non far congelare l’equipaggio o la strumentazione. 

Per questo motivo, per le prossime missioni spaziali, si valuterà la possibilità di estrarre la poca acqua presente nella superficie illuminata della Luna. 

Gli scienziati devono ancora capire se l’acqua sia contenuta in microsfere di regolite, oppure sia parte integrante della struttura chimica dei sali che compongono la roccia lunare (possiamo portare l’esempio del solfato di rame pentaidrato). 

Nel primo caso, basterebbe estrarla fisicamente, mentre nel secondo caso il processo richiederebbe qualche reazione chimica. 

Si ipotizza, inoltre, che Clavius sia solamente il primo di tanti altri crateri contenenti acqua nella loro struttura. 

Crediti immagina: ESA/Piere Carril

Un futuro roseo per l’esplorazione spaziale

Se gli esperimenti delle prossime missioni lunari andranno a buon fine, l’umanità potrà fare a meno di portare l’acqua dalla Terra ed avere così basi lunari stabili, con tutto il progresso tecnico-scientifico che ne consegue. 

L’esplorazione spaziale ci ha infatti già fornito innumerevoli innovazioni tecnologiche. Basti pensare al GPS, alla TV satellitare, ai termoscanner che oggi usiamo per misurare la temperatura. Per non parlare dei benefici in medicina: leghe al titanio per gli interventi ortopedici, algoritmi del telescopio Hubble usati per una migliore risoluzione delle mammografie per la diagnosi di tumore della mammella, e molto altro ancora.

Purtroppo, per quanto riguarda la possibilità di vita aliena sulla Luna, essa appare ugualmente improbabile nonostante questa scoperta, vista l’esigua quantità d’acqua per volume di regolite (340g/m³) ed il particolare immagazzinamento di essa nella roccia lunare. 

In ogni caso c’è da festeggiare, l’uomo a breve tornerà sicuramente sulla Luna per studiarla e siamo un passo più vicini al sogno che fin dalla notte dei tempi affascina l’uomo: vivere sulla Lunapotendo toccarla con un dito. 

Roberto Palazzolo 

(1) https://www.nature.com/articles/s41550-020-01222-x

(2) https://www.nature.com/articles/s41550-020-1198-9

Il nuoto è davvero lo sport perfetto? Alcuni miti da sfatare

Il nuoto rappresenta uno degli sport più accessibili, praticato da persone di tutte le età, per i più svariati motivi. Da un punto di vista medico viene spesso consigliato come sport per risolvere o supportare molte condizioni: dal mal di schiena alla riabilitazione osteomuscolare, dal sovrappeso al controllo dello stress. Tutto ciò in virtù del fatto che è considerato un’attività a basso impatto sulle articolazioni; capace di allenare integralmente il corpo, coinvolgendo tutti i gruppi muscolari ed essendo un ottimo metodo per bruciare grassi e controllare il peso corporeo.

Tuttavia spesso non si ottengono i benefici sperati e, talvolta, il nuoto può risultare nocivo specie in determinate condizioni. Andiamo a sfatare o comunque a valutare meglio qualche mito legato alla pratica di questo sport.

• Il nuoto come “soluzione” al mal di schiena e ai problemi articolari.
Un’attività come il nuoto che non risente, in linea di massima, degli effetti della forza di gravità sembra perfetta per garantire uno sgravio del carico sulla colonna vertebrale, che a prima vista potrebbe apparire terapeutico.

Al contrario, sembrerebbe essere meglio sottoporre la colonna vertebrale alla gravità durante l’attività sportiva per migliorare la densità ossea. A conferma di ciò un recente studio afferma che anche la composizione del disco intervertebrale, implicato nelle ernie della colonna vertebrale, migliora con sport “gravitari” come la corsa. Inoltre uno studio mostra come non vi sia differenza nella prevalenza del mal di schiena tra chi pratica nuoto o sport di diverso tipo.

L’Isico (istituto scientifico italiano sulla colonna vertebrale) ha, tra l’altro, messo recentemente in evidenza che, al contrario di come viene spesso erroneamente suggerito, il nuoto non migliora la scoliosi bensì l’aggrava. In un campione di un centinaio di atleti agonisti praticanti lo sport si è notata un’accentuazione della cifosi toracica e delle asimmetrie del tronco.

Da considerare infine, specie per chi segue sessioni più intense di allenamento, che, per esempio, la gambata a delfino esercita un importante stress sulle strutture lombosacrali e può determinare l’insorgenza di patologie come ernie e spondilolisi (frattura posteriore della vertebra, a livello dell’istmo). La bracciata può provocare un danno cronico al cingolo scapolare che risulta essere a tutti gli effetti il “tallone d’Achille” dei nuotatori. La gambata a rana determina uno sforzo dei muscoli del bacino e degli adduttori degli arti inferiori. Inoltre eseguire la nuotata in maniera scorretta o sbilanciata potrebbe determinare degli squilibri tra le due metà del corpo.

Nonostante ciò il nuoto rappresenta un’ottima strategia per gestire il mal di schiena in tutti quei soggetti che, a causa di problemi agli altri inferiori o di gravi compromissioni della colonna vertebrale, difficilmente potrebbero praticare altri sport. Spetta al medico o al fisioterapista individuare la miglior soluzione sulla base delle proprie condizioni personali.

• Il nuoto come sport per aumentare la massa muscolare.
Seppur il nuoto agisca su molteplici gruppi muscolari, essere immersi in acqua non rappresenta la miglior condizione per favorire la crescita del muscolo. Le resistenze imposte dall’acqua non sono particolarmente alte, specie se si possiede una buona tecnica. Inoltre i muscoli più impiegati sono generalmente quelli del tronco e degli arti superiori, infatti le gambe presentano un ruolo meno importante e garantiscono più la stabilizzazione che la propulsione.

Man mano che si allungano le distanze le gambe diventano sempre meno utilizzate, così come nel complesso l’attività richiede meno forza e una minor massa. Infatti il fisico del nuotatore è definito (per una riduzione della massa grassa) ma non ipertrofico, specie in considerazione del fatto che un’eccesso di massa magra peggiora il galleggiamento.

L’uso di strumenti che aumentano le resistenze come carichi e palette può essere funzionale in alcuni periodi del programma di allenamento, ma se utilizzati troppo spesso potrebbero determinare un peggioramento della nuotata e uno stress articolare importante, soprattutto alle spalle e ai tendini dei muscoli che agiscono sull’arto superiore.

• Il nuoto come sport per dimagrire.
Il Centro per la prevenzione e controllo delle malattie suggerisce un’attività aerobica settimanale di 150 minuti al fine di controllare il peso corporeo.

Per aerobica si intende un’attività moderata che consente a quantità sufficienti di ossigeno di raggiungere i gruppi muscolari e permettere l’ossidazione dei grassi e il consumo completo degli zuccheri. Si tratta del metabolismo predominante negli atleti di medie e lunghe distanze e che meglio da la possibilità di perdere peso. Al contrario, il metabolismo degli sprinter è principalmente anaerobico, determinando una maggior produzione di acido lattico a partire dagli zuccheri e uno scarso consumo di lipidi.

Con l’obiettivo di dimagrire, quindi, l’impegno potrebbe tradursi in cinque corsette settimanali da mezz’ora, così come in tre nuotate da cinquanta minuti.

Mentre correre a basso ritmo per trenta minuti non rappresenta generalmente un grosso problema, l’utente medio che si approccia con meno esperienza o con meno allenamento a una pratica sicuramente meno naturale come il nuoto, difficilmente riesce a raggiungere cinquanta minuti complessivi di attività aerobica in una seduta di allenamento.

Secondo alcuni studi il metabolismo del nuotatore risulta essere prevalentemente anaerobico per distanze inferiori ai 200 metri. Per avere un vero impegno aerobico, che sfrutta anche le riserve di grassi, sarebbe necessario nuotare, a basso ritmo, distanze superiori ai 400 metri. Un’attività di questo tipo richiede una buona base tecnica e un allenamento non comune a tutti gli utenti.

Infine, d’altro canto, abbassando eccessivamente il ritmo, si rischia di finire per galleggiare passivamente con una velocità di avanzamento molto lenta, percorrendo nel complesso distanze molto brevi con una bassa spesa energetica.

Comunque, in generale, il raggiungimento del proprio obiettivo di allenamento è fortemente influenzato dalla tecnica di nuotata. Essa risulta essere fondamentale per aumentare le distanze percorse; permette di migliorare i tempi ed evita inutili sovraccarichi o squilibri muscolari. Chi si avvicina da poco allo sport deve considerare la possibilità di ricevere delle istruzioni per affinare il gesto atletico che, se migliorato, può ridurre enormemente la fatica garantendo migliori risultati in tempi più brevi.

Antonino Micari

Su Marte scoperto ossigeno nell’acqua

Finora si era sempre supposto che su Marte potessero vivere solo microrganismi ed entità biologiche monocellulari simili ai batteri presenti sulla Terra, tipici degli ambienti privi di ossigeno.

In realtà la scoperta scientifica dell’ossigeno contenuto nell’acqua salata presente nel sottosuolo del pianeta aprirebbe scenari di vita e sopravvivenza inediti e sorprendenti.

L’acqua riuscirebbe a catturare l’ossigeno dalla’atmosfera circostante “il pianeta rosso” all’interno della quale il gas sarebbe presente in piccole tracce.

L’ossigeno, certamente sinonimo di vita, potrebbe trovarsi anche all’interno dell’acqua ricca di minerali del lago scoperto dal radar italiano “Marsis” sulla sonda spaziale europea “Mars Express”, a condizione che vi possano essere delle contaminazioni di gas con l’atmosfera.

Queste le novità scientifiche ed i dati emersi dagli studi scrupolosissimi condotti dal “California Institute of Technology”.

Le analisi indicano che la presenza d’ossigeno potrebbe garantire la vita sia di piccolissimi microrganismi che di animali più complessi come le spugne.

“Non siamo sicuri se Marte abbia mai ospitato la vita”, affermano i ricercatori, ma “i risultati dei nostri studi sicuramente estendono le possibilità di cercarla”.

Per le forme di vita, che basano la loro esistenza sulla presenza imprescindibile dell’ossigeno nell’aria, Marte aveva rappresentato fin qui una condizione biologica impossibile, data la scarsa presenza di questo gas nella sottilissima atmosfera del pianeta rosso.

Gli aggiornamenti scientifici dunque mostrano orizzonti biologici nuovi ed inaspettati: il gas fondamentale per la vita dall’acqua salata potrebbe entrare in contatto con le altre sostanze aeriformi dell’atmosfera attraverso fessure della crosta, come fanno i “mari terrestri”, evidenzia E. Pettinelli dell’Università Roma Tre.

Quanto sostenuto dall’astrobiologa di Tor Vergata D. Billi, “i nuovi dati allargano la gamma delle possibili forme di vita che Marte potrebbe ospitare”.

Spiega infatti la Dottoressa che, “nel tempo i livelli di presenza di ossigeno nell’atmosfera potrebbero essere diventati tali da supportare organismi dal metabolismo basato sull’ossigeno.

La scienza dunque, ancora una volta come magico luogo di scoperte per la vita e di nuove possibilità di esistenza per l’uomo anche su altri pianeti, dettate forse dall’istinto di sopravvivenza.

Antonio Mulone

La dieta del secchione: soddisfatti o rimandati

Ringrazio i pochi che, dopo questo incipit, non hanno ancora chiuso tutto e mandato a quel paese me e questo articolo. Ma c’è poco da fare, inutile far finta di niente, è ora di mettersi sotto. Fuori dalla finestra della camera di ogni studente, l’estate farà man mano il suo ingresso, le belle giornate saranno una costante, il sole, il mare, le granite… tutto fuori dalla finestra, perché tu sarai dentro a studiare.

La ricetta per affrontare al meglio un esame sta tutta nella preparazione, con un pizzico di fattore C (di fortuna). Se sul fattore C è vero che non abbiamo potere, possiamo fare qualcosa invece sulla preparazione. Tuttavia spesso si trascorre ore ed ore sui libri, senza però che si impari realmente ciò che si legge. Questo accade perché la volontà di studiare, seppur forte, non riesce a far funzionare correttamente quei meccanismi neurali atti alla comprensione e memorizzazione di un argomento. Per far questo c’è bisogno che l’organismo sia recettivo e concentrato sugli stimoli che gli si propongono. Semplice a dirsi, un’impresa storica a farsi, lo so. La scienza però ci corre in aiuto, sa che proprio noi, studenti sotto esame disperati, abbiamo bisogno di qualche “trucchetto” per rendere al meglio nel momento giusto. Esistono alcuni alimenti e qualche accorgimento che può davvero fare la differenza tra una giornata di studio persa ed una proficua. Ecco cinque consigli (più uno extra) che possono influire sulla qualità dello studio.

1) Il caffè fa bene (il giusto)

Croce e delizia di tutti gli studenti universitari, il caffè rappresenta l’alimento più consumato durante le lezioni, e non solo. Il caffè, d’altronde, è la bevanda più bevuta in Italia (il 97% degli italiani beve quotidianamente caffè), sia per il suo inconfondibile aroma, sia, e soprattutto, per l’effetto psicoattivo della caffeina. Da questo fronte ci sono buone notizie!

Una dose di caffeina di 200-400 milligrammi, l’equivalente di circa due tazzine e mezza di caffè espresso, migliora le prestazioni mnemoniche. E’ questo il risultato di una ricerca pubblicata su Nature Neuroscienze che dimostra per la prima volta un effetto specifico della sostanza sul processo di consolidamento dei ricordi. Nello studio, i soggetti, tutti di età compresa tra 18 e 30 anni non abituali consumatori di caffè, dovevano visualizzare su uno schermo una serie di oggetti e poi assumere 200 milligrammi di caffeina (due tazzine di espresso). A 24 ore di distanza ogni volontario doveva riconoscere gli stessi oggetti. Dall’analisi statistica delle risposte, è emersa una notevole differenza tra i soggetti che avevano assunto caffeina e quelli che avevano assunto il placebo: i primi dimostravano di riuscire a riconoscere con maggiore frequenza gli oggetti simili a quelli del giorno prima. Chi aveva assunto placebo infatti ricorreva più spesso nell’errore di riconoscere come “già visti” oggetti che in realtà erano solo simili ai precedenti.

E quante volte, stanchi e assonnati, abbiamo sentito la necessità di prendere un caffè, praticamente tutti i giorni. Questo aumento inconsapevole del consumo di caffè, e quindi caffeina, nelle persone sottoposte a stress, è legato alla capacità di questa sostanza di prevenire diverse alterazioni cerebrali, specie nell’ippocampo (struttura importante per la memoria), indotte proprio dallo stress. I ricercatori hanno studiato i principali recettori neuronali su cui agisce la caffeina, quelli dell’adenosina, cui si lega a essi e li blocca. Un gruppo di topi è stato trattato con un inibitore di questo recettore, e poi sottoposto a stress così come un altro gruppo di topi con recettore normali. Il primo gruppo ha mostrato comportamenti meno alterati e una conservazione della memoria migliore rispetto ai topi del gruppo di controllo, con la sola eccezione di un livello di ansia leggermente più alto nei topi che assumevano caffeina.
Ciò fa ipotizzare, concludono i ricercatori, che la maggiore assunzione di caffeina nei soggetti stressati sia in effetti un tentativo inconsapevole di automedicazione.

 Ricordate di non eccedere e di rimanere entro le 2 tazzine al giorno, in quanto l’eccessiva assunzione provoca effetti spiacevoli di nervosismo, tachicardia e gastrite, sindrome nota come “caffeinismo”.

2) Non hai sete? Bevi comunque
Durante le lunghe sessioni di studio spesso ci si dimentica di bere, perché il nostro organismo, grazie a complessi meccanismi, conserva i liquidi senza farci avvertire la sete.
Già in passato la letteratura scientifica aveva suggerito un collegamento fra una forte disidratazione e il calo delle funzioni cognitive. Ora si sa che una condizione di ‘leggera disidratazione’ può essere nociva e renderci meno produttivi.
Alcuni studiosi hanno dimostrato come una perdita di acqua corrispondente a circa il 5% del peso corporeo, può influire sull’attività neurale.
Topi di laboratorio sono stati privati di acqua per 24 o 48 ore, periodo in cui è stata analizzato il flusso sanguigno verso la corteccia neurale. La disidratazione ha innalzato l’osmolarità plasmatica ed i livelli di vasopressina (ormone anti-diuretico), un ormone prodotto per limitare l’eliminazione di liquidi, che è l’artefice delle alterazioni cognitive osservate. E’ diminuito il flusso di sangue alla corteccia durante lo stimolo con attività cognitive, e si è visto come questo sia correlato alla presenza protratta nel tempo di vasopressina. Questa porta a stress ossidativo e stimola il rilascio di endotelina-1 nelle arteriole cerebrali, che ne causa una vasocostrizione.

3) Mangia cioccolato

Il cacao, contenuto principalmente nel cioccolato fondente, può venirci in aiuto più di quanto si immagini. Il cioccolato contiene dei principi attivi stimolanti, tra cui spicca la teobromina, una molecola caffeino-simile. I ben noti effetti stimolanti del cacao sono legati proprio alla presenza di teobromina, che oltre ad essere psicoattiva, ha anche un effetto salutare per il sistema cardio-circolatorio. La teobromina ha effetti psicoattivi più blandi rispetto a quelli della caffeina, ma ne è un perfetto sostituto in quanto ha un effetto minore ma più duraturo. Inoltre la quantità di zuccheri per 100g è adatta alle esigenze di un piccolo calo di attenzione. Infine contiene numerosi flavonoidi, composti dal potere antiossidante.
Il cioccolato inoltre favorisce la produzione di serotonina, un neurotrasmettitore eccitatorio che, se presente in difetto, causa una riduzione patologica dell’umore. Poiché l’assunzione di cioccolato, soprattutto fondente, aumenta la produzione di serotonina, si potrebbe definire uno “antidepressivo naturale”. Tuttavia, se presente in eccesso, la serotonina favorisce la comparsa di emicrania, il peggior nemico dello studente sotto esame.

4) Rinuncia al sale (tranne nelle limonate del chiosco)

Una dieta troppo ricca di sale fa male all’organismo ed è associata ad un aumentato rischio di malattie cardio e neurovascolari e demenza. Uno studio, apparso su Nature Neuroscience, ha mostrato che un eccessivo apporto di sodio compromette le capacità cognitive e ha svelato che ciò accade mediante un sorprendente meccanismo di natura immunitaria che origina nell’intestino. E’ stato visto che il sodio determina un aumento dei linfociti Th17, cellule del sistema immunitario; ciò favorisce il rilascio di una proteina, l’interleuchina 17 (IL-17), da parte dei linfociti.

IL-17 agisce sulle cellule endoteliali cerebrali, che ricoprono la parte interna dei vasi e ne regolano il flusso di sangue tramite la produzione di ossido nitrico, un vasodilatatore. L’aumentata IL-17 in circolo va ad agire proprio lì, alterando così il flusso ematico. Lo studio, condotto sui topi, ha mostrato un miglioramento delle prestazioni cognitive e comportamentali quando dalla dieta è stato eliminato il sale, o quando i piccoli animali sono stati trattati con un anticorpo contro IL-17. Questo farmaco contrasta gli effetti cerebrovascolari e cognitivi della dieta ricca di sale e può aiutare chi soffre di malattie o condizioni associate ad elevati livelli di IL-17, come la sclerosi multipla, malattie infiammatorie croniche intestinali e altre malattie autoimmuni.

 5) Pasti leggeri e regolari

L’effetto del cibo sulle funzioni cognitive e sulle emozioni inizia già prima dell’assunzione, in quanto il sistema visivo e quello olfattivo preparano in anticipo l’organismo al pasto. L’ingestione in sé attiva il rilascio di ormoni come l’insulina, l’ormone simile al glucagone (GLP-1) in circolo; queste sostanze raggiungono l’ippocampo e attivano alcuni processi metabolici che promuovono le attività sinaptiche contribuendo all’apprendimento e alla formazione di nuovi ricordi. Un altro ormone importante in questo asse è la leptina, sintetizzata dal tessuto adiposo per ridurre l’appetito.
Si è visto come la leptina, a livello del sistema nervoso centrale, possa stimolare l’espressione di fattori neurotrofici (BDNF) nell’ipotalamo e nell’ippocampo, che hanno la capacità di favorire l’apprendimento e la memoria. Infine il fattore insulino-simile (IGF1) è prodotto dal fegato e dai muscoli scheletrici in risposta a stimoli prodotti dal metabolismo e dall’esercizio fisico. IGF1 stimola la crescita dei nervi, la differenziazione e la sintesi ed il rilascio dei neurotrasmettitori. La dieta, di concerto all’esercizio fisico, specie quello aerobico, ha effetti positivi nelle funzioni cognitive.
Se mangiare spesso stimola questi ormoni neurotrofici, al contempo bisogna evitare le abbuffate, cibi fritti e ricchi di grasso che impegnano il nostro organismo in lunghe e dispendiose digestioni, che causano il cosiddetto “abbiocco” post-pranzo, e ci offuscano la mente.

6) Il nutrimento più importante…lo studio

Quindi studiate e in bocca al lupo.

Antonio Nuccio