“Disumano” di Fedez: un album che promette molto ma trasmette poco

Nonostante la presenza di pezzi molto validi, l’album risulta sconnesso ed è facile perdercisi dentro – Voto UVM: 3/5

Fedez torna in scena e sceglie di farlo in grande: arte, pubblicità che segue un concept ben preciso, donazioni, t-shirt e denuncia sociale. Soprattutto denuncia sociale, secondo quanto sostenuto dal rapper stesso.

L’ultimo album di Fedez, Disumano, è uscito venerdì 26 novembre su Amazon, IBS e Feltrinelli Store. Al momento l’album e il vinile sono disponibili in abbinamento ad un gadget  t-shirt Uniqlo, calzini Pixel Sucks, portachiavi Santoni o freesbee Versace; le card Panini invece risultano terminate.

In pochissimi giorni il disco si è posizionato al primo posto nella classifica FIMI e nel giro di una settimana è stato certificato disco d’oro.

Uno dei poster usati da Fedez per la sua “campagna elettorale”. Fonte: Instagram @fedez

Una macedonia poco riuscita

L’album segue uno stile tipicamente elettropop, con un sound che ricorda gli anni 80 e 90. Alcune canzoni hanno una base trap, altre sono ballad e quasi tutte hanno ritornelli orecchiabili.

Della denuncia sociale tanto pubblicizzata da Fedez stesso c’è poco. L’album segna sicuramente un ritorno alle origini dell’artista ma è un qualcosa di “leggero leggero” (per citare una canzone nell’album) se così si può definire. Andiamo con ordine.

L’album contiene venti canzoni. Per alcuni sono tante, altri hanno apprezzato. Le canzoni si suddividono in quattro parti e, già dalla lettura dei titoli sul retro del disco, si capisce che qualcosa non va: sembrano disposte a casaccio. In ogni parte sono presenti cinque canzoni diverse l’una dall’altra; sarebbe stato meglio forse disporre in ogni parte canzoni con lo stesso tema o comunque simili.

Se il lancio pubblicitario dell’album aveva seguito un filo logico facendo la caricatura di una campagna elettorale, l’album sceglie (spero volutamente) di essere un po’ confusionario. Se si ascoltano le canzoni singolarmente, sono tutte stupende, sia quelle destinate a diventare hit, sia quelle che non lo diventeranno. Ogni singola canzone sembra corrispondere all’esigenza di abbracciare tutti i gusti più disparati dei fan e non di Fedez. Tuttavia è proprio questo il problema dell’album.

“Disumano”: disco e card Panini. Fonte: amazon.it

In molti sostengono che se Disumano avesse avuto meno canzoni, sarebbe stato più coerente e facile da ascoltare, togliendo magari i singoli già usciti come Mille o Bimbi per strada, uno dei singoli usciti nel 2020 e che in molti non si aspettavano di trovare nell’album. Sarò di parte, ma personalmente ho apprezzato molto la presenza del brano in questo album, forse perché è una delle mie canzoni preferite.

  Tematiche importanti

Nonostante la frammentarietà, l’album è ricco di temi che riguardano la vita personale dell’artista, ma anche la sua vita social, quella che si pensa essere “sotto gli occhi di tutti”.

Fedez più volte si è espresso a favore di temi “politicamente corretti” e questo gli ha spesso procurato diversi grattacapi e denunce. Questo non ha fermato il rapper dal continuare ad esporsi e in molti si aspettavano che queste battaglie sarebbero state presenti anche nell’album. Le aspettative sono state un pochino deluse, eppure Disumano può essere definito un album quanto meno valido.

Quali sono i temi presenti nel disco? Proviamo ad analizzarli:

  • Denuncia sociale. Poca ma c’è. Attacchi a vari politici, primo fra tutti Renzi, ma anche Salvini e Meloni. Fedez attacca anche la Chiesa come istituzione politica più che religiosa. Vengono citati anche Federico Aldrovandi e Giulio Regeni, due ragazzi poco meno ventenni morti sotto le botte di chi avrebbe dovuto proteggerli: la polizia. Tutto ciò è contenuto soprattutto nel brano “Un giorno in pretura“, con toni duri e un beat pesante. È il brano più apprezzato dell’album ed effettivamente si capisce il perché. È un pezzo di critica sociale che centra il bersaglio, ma non è sostenuto da altri brani, per cui si perde in mezzo a tutto il resto.
    https://www.youtube.com/watch?v=KtEEYYThAg4
  • Amore, tanto amore. Per la moglie Chiara Ferragni e la figlia Vittoria, alla quale dedica un brano esclusivamente per lei, chiamato appunto Vittoria.
    https://www.youtube.com/watch?v=spPzq-6G3Lk&list=OLAK5uy_l4ZoneqSQfYJCbe8ugU8yN4zI_GVYt_xo
  • Malessere mentale. Fedez non ha paura di descrivere i suoi problemi attraverso la sua musica, anzi la usa per esorcizzarli. Attacca senza pensarci due volte tutti coloro che lo giudicano e che lo hanno tradito, facendo in alcuni casi i nomi ( J-Ax nello specifico). Non si vergogna a parlare di chi lo giudica solo perché condivide molto della sua vita personale e pensa quindi di sapere tutto di lui.
    https://www.youtube.com/watch?v=q_tn97D3Rfs&list=PLjcnaL80xEH4qhHnBho9JUcv0J4UgLpjt&index=20
  • Canzoni trash che non possono essere esattamente definite che avremmo potuto risparmiarci! ( La cassa spinge 2021)
    https://www.youtube.com/watch?v=VicDtBlB0Eg&list=PLjcnaL80xEH4qhHnBho9JUcv0J4UgLpjt&index=16

Tanti featuring

Fedez ha collaborato con molti artisti nella lavorazione del disco, alcuni già conosciuti nel panorama musicale italiano, altri no. Nove canzoni su venti sono featuring con artisti del calibro di Achille Lauro, Miss Keta, Tedua e Francesca Michielin. C’è anche Tananai, giovane esordiente indie uscito da Sanremo Giovani 2021.

Dargen D’Amico è una presenza costante in tutto l’album: appare in due brani come collaboratore e in moltissimi come produttore. Oltre a lui, l’album è stato prodotto anche da d.whale – già conosciuto nel settore per aver lavorato con Francesco Renga, Paola Turci e Nek fra gli altri.

Dargen D’Amico. Fonte: YouTube

L’impegno sociale

Una parte dei ricavi della vendita di Disumano e di tutto ciò che gli gravita intorno (come le statue che si vedono nella cover), è andata in beneficenza alla Fondazione Tog, un’associazione milanese che si occupa di riabilitazione di bambini affetti da patologie neurologiche complesse e che oggi ha in cura un centinaio di bimbi. Tramite Instagram il rapper ha fatto sapere:

Ho il sogno che la musica possa sostenere la partecipazione attiva delle persone. Voglio che questo disco sia parte di qualcosa che è davvero importante, la costruzione della nuova sede Tog. Grazie a chi ha creduto in questo progetto e a chi ci crederà. Non fermiamoci qui, continuiamo a sostenere questa preziosa realtà”.

Fedez consegna personalmente l’assegno di €200.000 ai bimbi in cura presso la Fondazione Tog. Fonte: Instagram @fedez

Tirando le somme

Fedez in questo disco mostra anche il suo lato “cantante” oltre che quello “rapper” e il risultato sembra piacere agli ascoltatori. Non si cimenta in acuti o in falsetti, ma la sua voce rimane riconoscibile, indice del fatto che almeno sotto questo punto di vista l’artista è in pace con sé stesso.

Personalmente l’album non mi è dispiaciuto. È facile apprezzarlo, ma la mancanza di un filo logico che collega tutto si sente. Rockol avverte in realtà una mancanza più grande e scrive:

“Disumano” arriva in modo frammentato e ripetitivo, a volte venato da ironia spicciola e adolescenziale, con momenti al limite del trash e un’intimità mai davvero profonda. È un po’ più a fuoco del predecessore “Paranoia Airlines”, ha alcune sonorità azzeccate e divertenti, ma vuole contenere troppi elementi con l’esito finale di risultare un album Frankenstein.

 

Sarah Tandurella

Maid: dall’annullamento alla riconquista di sé, un inno alla maternità firmato Netflix

Una serie veramente incredibile e ben fatta, che nulla dà per scontato e si rivela capace di emozionare – Voto UVM: 5/5

 

Tra le innumerevoli opzioni che il catalogo di Netflix ci offre, non troppo raramente capita d’incappare in vere e proprie perle d’autore: la miniserie drammatica del 2021 Maid (ideata da Molly Smith Metzler e prodotta da Margot Robbie!) è una di quelle. E vi diremo anche perché!

La serie, ispirata dal bestseller Maid: Hard Work, Low Pay and a Mother’s Will to Survive dell’autrice Stephanie Land, racconta la storia di Alex (un’incredibile Margaret Qualley, che forse ricorderete accanto a Brad Pitt in C’era Una Volta ad Hollywood), una ragazza madre nel pieno dei suoi vent’anni alle prese col duro lavoro di domestica e con tutti gli ostacoli che dovrà superare per riuscire a dare un’infanzia serena alla sua piccola Maddy (Rylea Nevaeh Whittet), avuta col compagno Sean Boyd (Nick Robinson).

Fin qui le premesse sono abbastanza generiche: ci saranno migliaia di opere che affrontano lo stesso tema, dunque cos’ha Maid di tanto speciale?

L’elemento particolare di questa produzione è l’estremo realismo con cui i tragici avvenimenti della protagonista vengono narrati. La commistione di più temi centrali, quali quello della povertà, quello degli abusi domestici ed, infine, quello della maternità viene realizzata nel quadro di una dura critica sociale alla borghesia medio-alta con un occhio aperto sulle difficoltà, per chi parte dal basso, di riscattarsi per ottenere una posizione sociale migliore.

Povertà

Alex Russell è, sostanzialmente, povera. Non che in precedenza fosse ricca (anche per via dell’eccentricismo della madre Paula, interpretata dalla vera madre della QualleyAndie MacDowell), ma una scelta che andrà a compiere la porterà – di fronte alla crudele realtà – a trovarsi sprovvista di ogni mezzo ed incapace di adattarsi velocemente alle esigenze del mercato del lavoro.

Alex intenta ad annotare alcuni pensieri durante un turno di lavoro

All’inizio della serie, la protagonista viene presentata come un personaggio privo di talenti, il cui unico obiettivo sembra essere quello della sopravvivenza. L’effetto – laddove non fosse voluto, ma lo dubitiamo – è di rendere lo spettatore leggermente disinteressato per i primi tre o quattro episodi.

Effettivamente in molti hanno avvertito lentezza nello svolgersi degli eventi nelle prime puntate, ma semplicemente perché il mondo interiore di Alex non ci era stato ancora mostrato. Esso si rivelerà lentamente, tramite la riscoperta della sua passione per la scrittura creativa.

Fondamentale in questo passaggio è il rapporto con la ricca ma infelice Regina (interpretata da Anika Noni Rose), di cui sarà domestica. Tra le due all’inizio vi sarà diffidenza reciproca, ma poi si instaurerà un’amicizia leale e duratura.

La povertà è il punto di partenza per la rinascita della protagonista, ma questa viene tenacemente osteggiata da un secondo ostacolo.

Abusi domestici

In Maid non aspettatevi di vedere una trattazione in bianco e nero di questo tema così delicato. Forse è questo l’elemento che ci ha catturato di più: la delicatezza con cui lo spettatore viene posto in ascolto delle vittime di violenza.

In particolare, quella subìta da Alex è violenza emotiva, una forma più subdola e meno evidente di abuso che tuttavia la vincola al compagno.

Alex (Margaret Qualley), Sean (Nick Robinson) e Maddy (Rylea Nevaeh Whittet) in una scena della serie

Sean Boyd, padre di Maddy, è un personaggio complesso (dicevamo prima che il tema non viene presentato in bianco e nero). Ebbene, anch’egli vittima durante l’infanzia di violenze da parte della madre, finirà per sfogare le proprie frustrazioni sulla compagna e nell’alcool. Benché, di base, la sua indole non sia cattiva, egli si renderà autore di numerosi abusi emotivi su Alex: tra questi, la priverà dei supporti economici esterni, accentrando la ricchezza del nucleo familiare nelle proprie mani.

Ecco perché la scelta di Alex di addentrarsi nel mondo senza neanche uno spicciolo in tasca, sarà il punto di partenza per la sua rinascita. Una scelta sofferta, certo, perché significa mettere a rischio anche ciò a cui tiene più al mondo: sua figlia.

Maternità

Prima ancora che una critica sociale, una serie targata Netflix o un bestseller, Maid è un inno alla maternità, allo sforzo ed ai sacrifici di una madre che compie la scelta di dedicare tutta sé stessa a sua figlia.

E fondamentale è il rapporto tra genitori e figli: di Alex con sua figlia, di Sean con sua figlia, di Sean con sua madre, ma soprattutto di Alex con la madre Paula: quest’ultima, afflitta da un disturbo di personalità borderline e profondamente segnata da esperienze passate, sarà il personaggio che più di tutti metterà alla prova la sua forza mentale.

Potremmo definirla come il punto debole della protagonista: Paula è estremamente complessa e fragile e, benché ami Alex, non riesce semplicemente a renderle le attenzioni che meriterebbe. Tuttavia, è anche in lei che la giovane troverà la forza di andare avanti nel suo percorso.

Paula (Andie MacDowell) in una scena della serie

 

In ultima analisi, Maid è una miniserie che ben si presta all’istruire su circostanze di vita delicate e lo fa senza troppe ambizioni – forse è proprio questo il suo punto di forza. Si mastica facilmente, ma va consumata con lentezza e parsimonia. In sostanza, va metabolizzata. Il lavoro del cast è stato incredibile sotto questo punto di vista e la chimica tra i personaggi è ben visibile.

Valeria Bonaccorso

New World: rinascita degli mmo?

Progetto senza dubbio ambizioso, New World è il miglior videogame uscito finora dalle fucine di Amazon. Necessita ancora però di tanto lavoro di “ripulitura”. Voto UVM: 3/5

Nascita, esplosione e “morte” di un genere

Massive Multiplayer Online (mm0) è una sigla che racchiude tanto in sé: il genere permette a decine di giocatori di incontrarsi in un videogame, svolgere assieme ogni attività presente e interire con gli avatar degli altri players. Le sue peculiarità consistono anche nella capacità di accompagnare per anni, o decenni in alcuni casi, le vite di chi decide di salire sulle loro giostre: i ricordi non sono mai stati il gioco in sé, ma la condivisione dell’esperienza e l’interazione costante.

Il genere degli mmo esiste dai lontani anni 80 in cui esperienze text based si limitavano a stimolare le fantasie dei giocatori, ma già da allora si poteva notare il potenziale del genere. Fu con Ultima Online, uscito nel ’97, che i giocatori si sentirono finalmente parte di qualcosa di speciale: un mondo creato interamente dalle loro azioni con eroi e villain nati dalle loro gesta.

E’ stato però nel 2005 che il genere conobbe la sua esplosione: World of Warcraft prese di fatto tutta l’esperienza accumulata in 20 anni dagli sviluppatori e rimodellò il genere rendendolo alla portata di tutti, rimuovendo molta della tediosità e delle lungaggini dei suoi predecessori.

“Ultima online” e “World of Walcraft”: capostipite e apice degli mmo

Il panorama degli mmo negli ultimi anni è però, a detta degli appassionati, stagnante: le nuove uscite sono pochissime e in molti casi risultano già viste e con poche idee.

Anche World of Warcraft da sempre sulla cresta dell’onda con milioni di giocatori attivi, è soggetto oggi ad aspre critiche. L’unica stella che risplende è Final Fantasy 14 che, dopo la rinascita del progetto nel 2013, continua a raccogliere elogi sia da critica che da pubblico, risultando essere l’unico gioco in crescita negli ultimi anni.

“Final Fantasy 14” è attualmente l’mmo più popolare. Fonte: Square Enix

Il clima nell’ambiente quindi non è certo uno dei migliori oggi. New world, lanciato lo scorso 28 settembre da Amazon, si inserisce in questo contesto come una nuova promessa, cercando di modificare la formula classica dell’mmo che dopo il successo esponenziale di alcuni giochi, era stata imitata e ripetuta da molti nella speranza di riviverne il successo.

Qual’è l’esperienza in gioco?

Nato come gioco survival, in cui l’unico obbiettivo del giocatore era quello di raccogliere risorse per arricchirsi e contemporaneamente sconfiggere i giocatori avversari delle fazioni opposte, New World ha cambiato volto nel corso dello sviluppo virando verso il multiplayer di massa, per spiccare agli occhi di una community mmo odierna meno tendente alla competizione estrema rispetto al passato. Si è quindi snellito e reso molto meno ostico nelle sue meccaniche, dopo i feedback critici delle prime fasi di test da parte dei giocatori.

Il gioco si propone quindi come un’avventura ambientata all’epoca delle grandi colonie europee. Noi giocatori ci imbarcheremo infatti verso l’atlantico, ma non sbarcheremo sulle sponde dell’America bensì su quelle del reame di Aeternum, luogo intriso di magia. Qui gli avventurieri sbarcati prima di noi hanno già avuto modo di stabilirsi, fondare città e soprattutto le fazioni a cui dovremo unirci per aiutare nella costruzione e nell’ampliamento dei vari avamposti e fortini sparsi per la mappa.

Anche la mappa stessa gioca un ruolo importante per la raccolta di risorse: legna, ferro, pelli e carne sono tutti elementi indispensabili per la sopravvivenza nel mondo di gioco. Ognuno dei giocatori può inoltre inserirsi in varie nicchie per diventare un elemento centrale nell’esperienza dell’intero server, vendendo sul mercato i frutti del suo lavoro, aiutando gli altri giocatori nella costruzione di armi, armature o particolari piatti di cucina, nonché nella fortificazione e nel miglioramento degli avamposti e delle città.

Guerra per gli avamposti e raccolta delle risorse: due degli elementi principali del gioco

L’avventura si sviluppa quindi seguendo uno schema semplice in cui il giocatore è chiamato ad affrontare missioni ed obbiettivi che lo vedono convolto nelle stesse meccaniche: raccogliere tronchi d’albero, sconfiggere mostri o animali in giro per il mondo o colpire, occasionalmente, avamposti avversari. Il gioco non riesce sempre a divertire in questa ripetitività e purtroppo lo affliggono altri importanti problemi come la mancanza di un end game soddisfacente e che abbia al centro l’interazione tra i giocatori, così come vari errori di programmazione e bug che in molti casi rovinano l’esperienza di molti.

Siamo ottimisti per il futuro?

Non si è trattato quindi di un lancio perfetto per il nuovo gioco di Amazon, ma l’insieme di elementi nuovi per il genere lo ha reso anche dopo settimane gettonato da molti, che nonostante le imperfezioni continuano ad andare avanti nelle guerre tra le fazioni di Aeternum. Si può quindi sperare in un percorso di riassesto per il gioco, su cui Amazon ha già dichiarato di puntare parecchio. Gli sviluppatori hanno spiegato già che il gioco verrà espanso con i restanti 2/3 del contenuto.

New World, al netto di tutto ciò, si rivela senz’altro una boccata d’aria fresca per quei giocatori che si sono ritrovati in molti casi a rivivere la stessa eccitazione e frenesia dei primi anni 2000, periodo d’oro dei “Multigiocatore di massa”.

Cooperazione tra giocatori, altro elemento chiave. Fonte: Amazon Games

Resta da vedere se gli sviluppatori daranno ascolto al feedback dei giocatori e assesteranno quei pilastri pericolanti che a lungo andare possono rovinare un’esperienza che ha la possibilità di essere ricordata nel tempo, con gioia, dagli appassionati.

Matteo Mangano

Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino: top o flop?

“Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” (2021) non sarà al pari di film e romanzo, ma non così mediocre come tutti affermano – Voto UVM: 3/5

Dopo quaranta anni ritorna in scena Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino nella veste di una serie tv disponibile su Amazon Prime Video e Sky Q.

Il film e il libro hanno sconvolto varie generazioni, sono opere entrate a far della storia non solo del cinema, ma anche della società, quindi di tutti noi. Difatti raccontano la vera storia della protagonista Christiane F e del suo periodo buio  nella Berlino degli anni 70, tra droga, discoteche e primi amori col sottofondo musicale della voce indimenticabile di David Bowie.

La serie tv è approdata nella piattaforma streaming il 7 Maggio 2021 ed è il secondo adattamento del romanzo, uscito a puntate nel 1979 sulla rivista tedesca Stern. Questa nuova versione della storia di Christiane F. ha fatto subito parlare di sé, ma non è stata accolta in modo positivo né dalla critica e né dal pubblico. Per quale motivo? Cosa non ha funzionato? Ma soprattutto è davvero così mediocre questa produzione?

La protagonista Christiane F (Jana McKinnon) – IFonte: today.it

Noi, ragazzi dello zoo di Berlino (2021): tre ragioni per guardarla

Si imparava in maniera del tutto automatica che tutto quello che è permesso è terribilmente insulso e che tutto quello che è vietato è molto divertente.

Grande attesa e grandi spersanze si prospettavano, ma la serie non ha avuto la critica sperata: difatti, dopo meno di 24 ore, gli haters più accaniti, come fossero Zorro in prima linea col loro smartphone, si sono riversati sui social e hanno detto la loro: c’è chi ha elogiato la serie, chi l’ha definita una produzione da quattro soldi, c’era anche chi si era svegliato con la luna storta ed era spinto a demolire accompagnato più da un gusto personale che da reale senso critico. O forse, ancor meglio, la maggior  parte degli utenti ha seguito la massa dei pareri negativi.

Ma ora fermiamoci un attimo e immaginiamo: se la serie avesse avuto recensioni positive, gli utenti social l’avrebbero comunque criticata? Io credo di no. Ma voglio dire la mia: Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (2021) a pieno neanche me, ma, analizzandola nei minimi dettagli, è un’opera che ha il suo perché . Per ben tre ragioni:

1) Si presenta allo spettatore in modo onirico, narra una realtà che non tutti noi possiamo capire se non la viviamo in prima persona o come testimoni diretti.  Come i suoi due “antenati” (film e romanzo), mostra alle nuove generazioni a cosa possa portare la droga e come pian piano possa distruggere non solo il proprio corpo ma anche l’anima.

2) Non c’è solo la storia di Christiane a 360 gradi, ma anche quella degli altri ragazzi. Nel film vediamo nello specifico solo il racconto della protagonista, mentre la serie mostra la storia dei ragazzi dello zoo, dimenticati dai propri genitori, abbondonati per ore e ore in una metropoli come Berlino.

3) C’è un ritorno al passato degli anni ’70, tra rock e mode del momento, niente cellulari e social, ma solo un mondo fatto di maggiore realismo e meno immagini.

I sei “ragazzi dello zoo di Berlino” – Fonte: today.it

Promossa o bocciata?

E’ vero, la serie non presenta quel crudismo dei suoi “predecessori”: non notiamo la sgradevolezza di quei ragazzi distrutti o il disgusto che si riversava nello zoo, ma ci troviamo di fronte a un racconto che si è più adattato alle generazioni attuali.

Forse proprio per questo la serie non rimarrà nella storia: perché è andata a perdere quel senso di empatia che manca alla nostra società attuale. Che lo si voglia o no, ricordiamoci però che mette in scena le vite di quelle persone abbondanate o cacciate di casa, persone che non sanno cosa fare, persone sole, che si rifugiano in un mondo psichedelico perché troppo spaventati da un mondo che non sentono loro, mentre davanti ai loro occhi passano famiglie felici che rientrano nella loro case calde.

Insomma Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino non sarà al passo con i propri “genitori”, ma è comunque una serie che merita di essere guardata e capita fino in fondo.

L’amore è come l’eroina: «che mi fa un solo buco?» e ricadi nella dipendenza totale, «che mi fa un solo sguardo?» ed eccoti qui a piangere di nuovo.

                                                                                    Alessia Orsa

 

 

 

Il Capa è tornato: habemus Caparezza

Il Capa con il suo ritorno è riuscito a dare una scossa alla musica italiana  4.0 – Voto UVM :4/5

Dopo tre anni ritorna sulle scene musicali Caparezza, con un nuovo album autobiografico, come dichiarato dall’artista. Ci aveva lasciato con Prisoner 709 (2017) e aveva entusiasmato tutti con la sua lingua tagliente e pure Exuvia, uscito il 7 maggio, non è da meno.

L’artista non ha bisogno di presentazioni: che lo si voglia o no, Caparezza è uno degli autori più talentuosi e autentici del panorama della musica italiana. I suoi testi parlano della società circostante, le sue canzoni hanno denunciato la mafia e gli errori della politica, ma hanno parlato anche d’amore e di speranza, per un mondo che ormai vive di immagine e finzione.

Meglio depressi che stronzi del tipo «Me ne fotto», perché non dicono «Io mi interesso»?

Caparezza. Fonte: centralfloridavocalarts.com

Exuvia( 2021)

A mio agio nel caos, ecco la mia Exuvia.

Il nome “exuvia” indica la muta dell’insetto, quindi un cambiamento e una nuova maturità, senza lasciare indietro il proprio passato. Come l’insetto, pure Caparezza con il suo nuovo stile ha voluto regalarci un artista nuovo: con una metamorfosi è riuscito a incoronare il suo percorso rendendolo più maturo e di questo ci parla la traccia Exuvia. Un significato a primo impatto banale per coloro che non accettano cambiamenti e vivono dentro una bolla rivestita da mero egoismo e pregiudizi.

Ogni mio scatto è di prassi bruciato
Non dimentico le radici perché tengo alle mie radici
Ma ci ritornerò quando sarò inumato
I miei dubbi hanno dei modi barbari
Invadenti e sono troppi
Il segreto è fare come gli alberi
Prima cerchi, dopo tronchi
Chi ti spinge dopo quella soglia
Se non è la noia, sarà il tuo dolore
L’occasione buona per andare altrove, tipo fuori

L’album contiene 19 tracce, ed è stato anticipato un mese e mezzo fa con Exuvia e subito dopo La Scelta. Il disco si presenta cupo e percepiamo una sensazione di malinconia nell’ascolto. Come un vero genio incompreso, Caparezza mescola temi della politica e dell’arte, facendoci affrontare un viaggio nell’inafferrabile: solo chi presterà la massima attenzione potrà capire il disco.

Nelle canzoni troviamo le collaborazioni di altri artisti quali Matthew Marcantonio (leader dei Demob Happy) che canta il ritornello della traccia Canthology e Mishel Domenssain, una cantautrice e rapper messicana che accompagna l’artista nella traccia El Sendero.

Come già citato sopra, l’artista ha rilasciato più di un mese fa le tracce Exuvia e La Scelta. Di cosa parla La scelta? La scelta rappresenta la solitudine, un “limbo“- come dichiara l’artista- in cui si è soli e non si hanno aiuti e solo tu decidi che strada intraprendere e quella scelta, che a volte è un concetto banalizzato, è ciò che condiziona la tua vita: quindi bisogna essere prudenti e ponderare prima di agire. Caparezza in merito a questa canzone ha dichiarato:

Uno degli elementi ricorrenti del nuovo album è la stasi, il limbo, il “non luogo” senza via d’uscita. Come si viene fuori da questa impasse? Esiste un solo modo: fare una scelta, prendere una decisione. Ho immaginato di trovarmi davanti ad un bivio, due sentieri che si diramano dal bosco.

Fino a qualche mese fa nessuno si aspettava un nuovo disco di Capa: difatti l’artista non aveva rilasciato dichiarazioni o tracce sul suo profilo Instagram, ma il 31 marzo, ha sganciato all’improvviso come una bomba l’uscita della sua nuova opera e pagine social e giornali inneggiavano al ritorno di Caparezza. Diciamocelo: l’artista pugliese ha giocato bene le sue carte, cogliendoci tutti di sorpresa!  

Fonte: Copertina ufficiale Exuvia-Juloo.it

Nelle nuovi canzoni, non troviamo più il vecchio Caparezza, anche la sua voce nasale è scomparsa, ma il suo essere diretto è sempre presente (in fondo è il suo marchio di fabbrica).

Non è un’artista amato da tutti, forse per il suo modo d’essere troppo schietto o forse perché è poco attivo sui social e non rilascia mai interviste o non segue la linea commerciale che richiede la nostra società; nonostante tutto il suo nome viene ancora ricordato e rimane uno degli artisti più amati della nostra terra, è la prova vivente che non bisogna amalgamarsi alla massa per creare arte.

Non me ne frega un cazzo dell’opinione di un giornalista, non mi interessa cosa possa pensare lui della mia band!… Certo, a chi non fa piacere una cazzo di recensione positiva, però non si può dipendere dalle opinioni altrui. E la maggioranza dei giornalisti che scrivono di musica sono dei poveracci.

Fonte: fm-world.it

                                                                                                                                Alessia Orsa

 

 

Oscar 2021: ecco cosa è successo nella notte più attesa dagli amanti del cinema

Gli Oscar di quest’anno sono stati senza dubbio inusuali rispetto agli standard soliti dell’Accademy: la cerimonia si è infatti svolta in differenti location, data l’impossibilità per molti dei protagonisti di viaggiare o anche solo di potersi riunire nella normale location del Dolby Theatre.

L’evento

La cerimonia si è infatti svolta in diverse sedi: il Dolby Theatre e la Union Station a Los Angeles, più svariati altri luoghi da cui gli attori hanno ricevuto i loro premi. Tutto ovviamente per assicurare il rispetto delle norme anti Covid e garantire allo stesso tempo la presenza fisica degli invitati alla cerimonia: la loro assenza è infatti costata cara ad altri eventi come i Golden Globe, che hanno visto più che dimezzato il proprio pubblico.

Il Dolby Theatre, tradizionale scenario della magica notte degli Oscar. Fonte: flickr.com, © 2016 American Broadcasting Companies

Un’altra innovazione rispetto ai precedenti anni è stato anche il ritmo dell’evento stesso, che si è rivelato essere molto più incentrato sui premi stessi: si è scelto infatti di eliminare le gag tra un premio e l’altro che costituivano prima parte integrante dello show, così come si è scelto anche di rivedere l’ordine delle premiazioni in sé: il miglior film è stato infatti eletto quasi all’inizio della serata in contrasto con la convenzione che lo vede come “portata finale”, persino in eventi che prendono gli Oscar ad esempio.

I film

I lungometraggi più importanti quest’anno sono senza alcun dubbio quelli candidati come miglior film: Nomadland racconta la storia dei nuovi nomadi americani, che colpiti dalla grave crisi economica del 2008 si ritrovano ad affrontare una nuova vita senza fissa dimora; The sound of metal racconta poi il tema della sordità di un musicista, Minari quello del pregiudizio razziale, mentre Mank e Una donna promettente raccontano rispettivamente la storia dello sceneggiatore di Quarto Potere e di una donna che porta avanti una vendetta per la violenza di cui è stata testimone.

I premi

Questa edizione ha visto come maggiori contendenti al più alto numero di statuette Netflix e Disney, che si sono alla fine spartiti tra loro due un totale di 12 premi, con Netflix che ha prevalso con  7 premi.

Importante caratteristica delle premiazioni di quest’anno è stata la grande inclusività: Chloé Zhao, regista di nazionalità cinese,  è stata la seconda donna nella storia dell’evento a vincere il premio come miglior regista; sono stati premiati anche Daniel Kaluuya come miglior attore non protagonista e il film Ma Rainey’s Black Bottom per miglior trucco e costumi, girato con un cast di personaggi interamente di colore. Ci si sarebbe aspettati anche un premio al compianto Chadwick Boseman, che è invece andato ad Anthony Hopkins eletto miglior attore protagonista per il film The Father. Anche il film Soul è stato eletto come miglior lungometraggio d’animazione avendo un protagonista di colore.

Anthony Hopkins, vincitore dell’Oscar come miglior attore protagonista per la sua interpretazione in “The father”. Fonte: flickr.com

Il premio più importante come miglior film è stato poi dato a Nomadland, come tra l’altro molti pronosticavano. Il film ha anche raccolto il premio alla miglior attrice, donato a Frances McDormand.

A completare i premi i due alla miglior sceneggiatura, Una donna promettente e The Father, quello ai miglior effetti special per Tenet, e quello per la miglior attrice non protagonista dato a Yoon Yeo-jeong per la sua performance nel film Minari. Nulla da fare invece per Laura Pausini, con il trionfo di Fight for You.

I protagonisti

Un altro elemento di rottura rispetto alle edizioni precedenti è stata la presenza di più conduttori della serata, diversamente dal singolo che di solito presenta sul palco: la cerimonia è stata fatta partire da Regina King e proseguita poi da attori come Brad Pitt e Harrison Ford, in continuazione della tradizione che vede i precedenti premi Oscar premiare i nuovi vincitori.

Chloe Zhao, vincitrice dell’Oscar “miglior regia” per “Nomadland”. Fonte: Vegafi, wikimedia.org

Oltre ciò però la serata ha sicuramente sancito per l’industria un ritorno che si speri continui con la riapertura delle sale, perché come ha anche detto Chloé Zhao questo medium vive nei cinema e sul grande schermo. Quella che stiamo vivendo deve limitarsi ad essere solo, per quanto lunga e dolorosa, una parentesi.

 

                   Matteo Mangano