Vincent Van Gogh, “il matto dai capelli rossi”

Vincent Van Gogh, padre dell’espressionismo e genio solitario, incarna, ancora oggi, una personalità estremamente complessa. La sua eredità artistica è, infatti, il frutto del connubio tra il suo estro creativo e la sua profonda sofferenza psicologica. La storia di Vincent rammenta, anche e soprattutto in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, quanto siano necessarie maggiore consapevolezza e comprensione dei disturbi mentali.

Secondo recenti studi, tra cui quello condotto dall’UMCG di Groningen e pubblicato sull’International Journal of Bipolar Disorders, l’artista avrebbe sofferto di disturbo bipolare e disturbo borderline della personalità.

 

IL TORMENTO PSICOLOGICO

Non è un segreto, dunque, che la vita di Van Gogh sia stata scenario di un importante tormento psicologico. Lo testimoniano i pensieri messi su carta, e, in particolare, le lettere scritte al fratello Theo, che rappresentava, per lui, fonte di grande supporto emotivo.

Lettera al fratello Theo  
Fonte: timelessmoon.getarchive.net

Tra il 1877 e il 1878, ad Amsterdam, annotò: “La mia testa a volte è insensibile e spesso brucia, e i miei pensieri sono confusi”.

Dichiarazioni come questa suggeriscono, infatti, la complessità della sua condizione mentale e la difficoltà che lo stesso Vincent riscontrava nella precarietà del suo stato mentale: frequenti erano gli episodi di depressione profonda e crisi psicotiche, alternati a periodi di intensa esaltazione artistica.

È proprio in questo contesto di forti oscillazioni emotive e mentali che si colloca il tragico episodio dell’ottobre del 1888, quando Vincent si mutilò parte dell’orecchio. La mutilazione avvenne in un periodo particolarmente turbolento per l’artista: Van Gogh si era ormai stabilito ad Arles, dove affittò quattro stanze nella famosa “Casa Gialla” in Place Lamartine. Il suo intento era quello di creare una comunità artistica condivisa. Il primo, e unico, artista che si trasferì con lui fu Paul Gauguin, con il quale instaurò un rapporto complesso e a tratti conflittuale. Le differenze caratteriali e artistiche divennero fonte di tensione; la convivenza, seppur inizialmente promettente, si fece poi insostenibile. La situazione degenerò nel momento in cui, dopo una lite particolarmente violenta, Van Gogh si tagliò con un rasoio parte dell’orecchio sinistro. Questo episodio rappresentò l’apice di un periodo di forte fragilità emotiva, esacerbata dal conflitto con Gauguin.

 

IL RICOVERO VOLONTARIO A SAINT-RÉMY (1889-1890)

Vincent Van Gogh, Notte stellata, 1889
Fonte: needpix.com

Nei mesi successivi all’incidente dell’orecchio, la salute mentale di Vincent oscillò così bruscamente che lo portò a richiedere volontariamente il ricovero presso l’ospedale psichiatrico di Saint-Rémy-de-Provence. Il ricovero fu un disperato tentativo di trovare pace e stabilità.

Durante il periodo di degenza a Saint-Rémy, Van Gogh trasformò il suo dolore in arte. In numerose lettere al fratello Theo, infatti, esprimeva come la pittura rappresentasse un modo per domare il suo caos interiore.

Fu proprio in quegli anni che produsse alcune delle sue opere più celebri, come la Notte stellata. Pennellate vive, decise, violente, che raffigurano, prepotenti, la tremenda inquietudine dell’artista. Un “terribile bisogno di Dio”, che l’artista ricercava di notte dalla finestra della sua cella d’ospedale. Un cielo stellato, dalle più svariate note di blu e giallo, che manifesta il più profondo desiderio di libertà dell’artista olandese.

 

PERCHÉ VINCENT VAN GOGH ERA OSSESSIONATO DALLA PITTURA GIALLA?

Vincent Van Gogh, Due girasoli appassiti, 1 serie, 1887
Fonte: needpix.com

Particolarmente noto è il rapporto ossessivo che Van Gogh sviluppò con il colore giallo, ricorrente in molti dei suoi dipinti, come nel celebre ciclo dei Girasoli. Il colore giallo assumeva per Vincent un significato speciale: era sinonimo di felicità, luce e speranza.

Secondo alcune testimonianze e lettere, si dice che Van Gogh arrivò, addirittura, ad ingerire pittura gialla durante i suoi periodi più critici. Ciò rappresentava un vano tentativo di “assorbire” quella luce e quella vitalità che, nella realtà, sentiva di perdere. Era risaputo che la vernice fosse tossica se ingerita, ma a Vincent non importava. Non rappresentava nulla di nocivo, era solo un modo per evadere da una realtà che era, ormai, diventata troppo stretta.

 

Giusy Lanzafame

 

 

 

 

Fonti:

vangoghmuseum.nl

artesvelata.it