Il Giorno del Ricordo: il racconto dell’esodo giuliano-dalmata

Ricordare gli italiani cacciati dalle terre dell’Istria, Fiume e Dalmazia, perseguitati, uccisi e infoibati da miliziani per una pulizia etnica, mira a far in modo che questa tragedia storica non si replichi mai più.

L’esodo giuliano-dalmata -Fonte:larucola.org

Il 10 febbraio ricorre il “Giorno del Ricordo”, ovvero la commemorazione civile dell’esodo giuliano-dalmata e il massacro delle foibe, istituito con la legge n.92 del 30 marzo 2004. Si ripercorrono pagine di storia per lungo tempo insabbiate e che videro una popolazione costretta ad esiliare per sfuggire a una pulizia etnica attuata dal governo comunista jugoslavo.

Foibe-Esodo: motivazioni

L’esodo giuliano-dalmata viene spesso limitato al racconto del massacro delle foibe. Sebbene sia ormai saldato nel senso comune il binomio foibe-esodo, l’indagine storico sociale ha evidenziato una vasta serie di motivazioni di natura culturale, ideologica e politica dietro la tragedia, cadute nell’oblio per molto tempo. Si intende, dunque, puntare i riflettori sul racconto di una migrazione forzata che coinvolse migliaia di italiani tra il 1943-1945.

Foibe: il Giorno del Ricordo -Fonte:corriere.it

Gli italiani venivano divisi inizialmente in chi era considerato “idoneo a essere integrato in Italia“, secondo quello che venne definito “politica della fratellanza“, e chi veniva costretto indirettamente a fuggire, poiché il regime jugoslavo rendeva la loro realtà invivibile, anche solo tramite sfratti e licenziamenti.

Esodo giuliano-dalmata: motivazioni -Fonte:fattiperlastoria.it

Poi vi furono anche gli esodi legali, che costituirono la maggior parte dei flussi di spostamento. Chi poteva esercitare il diritto di cittadinanza italiana, si poté trasferire in Italia. Però, facendo riferimento alla storiografia fascista, secondo cui molti cognomi slavi erano stati italianizzati, e nel timore dello svuotamento dell’Istria, il regime jugoslavo avviò una pratica di restituzione all’originaria grafia in slavo e una restrittiva procedura.

L’esodo istriano e giuliano-dalmata: origini e conseguenze

L’esodo corrisponde ad un abbandono forzato di una popolazione che è stata costretta a lasciare un territorio. Sebbene si diversifichi dalle modalità di esecuzione della deportazione o dell’espulsione, analogo è il risultato. Quello giuliano-dalmata, commemorato nel Giorno del Ricordo, avvenne tra il 1943-1945. Sebbene i distacchi siano diversificati per motivazioni e tempistiche, l’esito finale che li accomuna è stato il progressivo crollo della popolazione italiana nei suoi insediamenti storici.

Si intende, dunque, la fuoriuscita dai confini politici del territorio a causa di pressioni esercitate dal governo che lo controllava. Le regioni balcaniche confinanti con l’Italia furono egemonizzate dalle forze comuniste di Josip Broz, detto “Tito”, che presero il sopravvento sui territori di Croazia e Slovenia. In termini di privazione di diritti si assiste ad una violenza diretta, in corrispondenza di un radicale mutamento delle posizioni politiche al potere che investiva le relazioni fra Stati. Sebbene la migrazione forzata non fosse l’obiettivo iniziale dell’Esecutivo, essa risulta l’atto finale che quest’ultimo organizzò.

Giorno del Ricordo -Fonte:quiquotidiano.it

Le cause che hanno originato l’esodo istriano sono da ricercare nell’effetto domino della caduta del regime fascista di Mussolini, dello scioglimento del Partito e nella dissoluzione delle Forze Armate.

La prima ondata di violenza esplose con l’armistizio dell’8 settembre 1943. I partigiani di Tito diedero avvio ad anni di vendicazione contro i fascisti che, colpevoli di aver indirizzato su quelle terre una politica di italianizzazione violenta, erano dei nemici da eliminare.

Dopo una fase di resistenza tedesca, la caduta del Terzo Reich, permise a Tito di occupare l’Istria e la Dalmazia nel maggio del 1945. Il governo comunista si accanì nuovamente contro di italiani, attivando un processo di eliminazione che si svolge con esecuzioni atroci. I condannati a morte legati l’uno contro l’altro con il fil di ferro che attendono la loro fine sugli argini delle foibe e le fucilazioni a raffica sui primi tre o quattro componenti della catena umana, che precipitavano nelle cavità trascinando con loro il resto dei condannati, individuano le linee di una strage di massa. La scelta per i sopravvissuti alla caduta oscillava dunque tra l’attesa inevitabile della propria fine e le sofferenze fisiche indicibili.

Fu con l’istituzione del Trattato di Parigi firmato il 20 febbraio 1947 che la Jugoslavia ottenne l’Istria, Fiume, Zara, la Dalmazia e le isole del Quarnaro. Si diede così avvio alla gestione, con maggior forza, degli italiani sui territori conquistati.

La strategia di un’integrazione subordinata degli italiani

L’intento di Tito si palesava nella strategia mirante a una progressiva integrazione subordinata degli italiani ritenuti meritevoli. Coloro che appartenevano a particolari classi sociali e quelli contrari all’annessione, necessitavano di essere espulsi. Essendo in maggioranza fu dunque stabilito un tragico esodo, motivato dalla necessità di allontanarsi dal clima di terrore in cerca di una speranza e verso condizioni di vita ottimali.

La foiba di San Giuliano -Fonte:ideadestra.org

Si comprende pertanto che la scelta di circa 250.000 italiani di abbandonare la propria terra e di optare per la cittadinanza italiana non fu di certo libera da costrizioni.

1947: l’arrivo del treno della vergogna

L’arrivo nella penisola italica fu tutt’altro che benevolo. Gli esuli vennero non solo confinati nei compi profughi allestiti in caserme, scuole e strutture, ma furono soggetti ad atteggiamenti ostili dei connazionali.

L’episodio che passa alla memoria è quello del “treno della vergogna“ del 1947. Si tratta di esuli provenienti da Pola che sbarcarono ad Ancona, per proseguire poi il viaggio in treno fino a La Spezia. La mancata solidarietà degli italiani si manifestò fin dalla prima sosta, in quanto erano convinti che si trattasse di un treno di fascisti in fuga.

Tali credenze portarono al necessario intervento dei militari e ad attacchi contro i convogli organizzati dai ferrovieri comunisti presso la stazione di Bologna. Ciò procurò la mancata fermata, nonostante la Croce Rossa Italiana e la Pontifica Opera di Assistenza avessero predisposto loro la fornitura di un pasto caldo.

Treno della vergogna -Fonte:wikipedia.org

Gli aiuti giunsero dall’istituzione di comitati sorti per fornire asilo temporaneo e precario. Le condizioni igieniche mancanti, le temperature proibitive, le epidemie, la promiscuità e la frantumazione delle famiglie resero difficili le condizioni di vita degli esuli giuliano-dalmati.

L’accoglienza italiana doveva far i conti con gli atti di rifiuto spesso di matrice politica italiana. Quest’ultima si intrecciava con la propaganda comunista che descriveva la Jugoslavia come la realizzazione del paradiso socialista e che vedeva gli esuli come dei fascisti in fuga.

Il calvario degli italiani in Istria -Fonte:mimmobonvegna1955.altervista.org

Perché alcuni italiani non emigrarono?

La permanenza degli italiani nei territori ceduti è celata dietro il velo della storiografia che intende configurare sia la difficoltà di percorrere il labirinto di opzioni, sospendendo il progetto migratorio verso l’Italia, sia la nascita di contemporanee congiure personali che incentivano una sfiducia nelle possibilità offerte dall’Italia.

Molti, tra cui giovani, erano motivati dalla speranza nel futuro socialista e nella formazione dell’ideologia della fratellanza. Si credeva in un avvenire carico di promesse, continuamente colpito da paure, lacerazioni familiari e miserie private.

Esodo giuliano-dalmata -Fonte:wikipedia.org

Le comunità italiane negli anni riuscirono a superare l’analfabetismo linguistico e politico, lottando per non far sparire la propria identità nazionale. Nonostante ciò si dovrà attendere la metà degli anni Sessanta affinché la struttura di una rete di scambi con l’Italia venga attuata, ponendo fine al grave isolamento subito.

Giovanna Sgarlata

 

È importante ricordare anche se fa male: il Giorno del Ricordo per le vittime delle foibe

Oggi, 10 febbraio, noi italiani, ricordiamo una delle più tristi pagine della nostra storia. Da sette anni, su decisione del Parlamento, si celebra il Giorno del ricordo, per la commemorazione di migliaia di vittime, che tra il 1943 e il 1947 vennero catturate, uccise e gettate nelle cavità dell’Istria e della Dalmazia: le foibe.

Su internet, digitando la parola “foiba”, si legge “depressione carsica a forma di grande conca chiusa, derivata dalla fusione di più doline, sul fondo della quale si apre una spaccatura che assorbe le acque”. Insomma un elemento paesaggistico, come una collina, un dosso, una caverna, nulla che faccia riferimento a tutto quello che significa per un italiano: una delle più complesse e dolorose vicende della nostra storia, per molto tempo, tra l’altro, dimenticata.

(fonte: SlideShare)

La storia dietro la memoria

Istriani, fiumani e dalmati, nel tragico secondo dopoguerra, furono costretti a lasciare le loro terre per proteggersi dai partigiani jugoslavi di Tito, responsabili di quella che fu un’altra “pulizia etnica”.

È il 1943. Un periodo buissimo per l’Italia: dopo tre anni di guerra il regime fascista di Mussolini aveva decretato il proprio fallimento, con il seguente scioglimento del Partito fascista, la resa dell’8 settembre e lo sfaldamento delle nostre Forze Armate.

Nel frattempo, nei Balcani, in particolare in Croazia e Slovenia – due regioni confinanti con l’Italia – avevano avuto il sopravvento le forze politiche comuniste, guidate da Josip Broz, con nome di battaglia Tito.

Queste si vendicarono dei fascisti e della italianizzazione forzata a lungo imposta nei territori italiani fino a Trieste, che decisero di riconquistare.

Considerarono nemici non solo i fascisti, ma anche tutti gli italiani non comunisti, torturandoli e gettandoli nelle foibe.

Questa atroce vendetta finì per colpire anche italiani innocenti.

Fino alla fine dell’aprile del 1945, i partigiani jugoslavi erano stati tenuti a freno dai tedeschi, ma con il crollo del Terzo Reich niente poteva più fermarli.

L’esercito jugoslavo arrivò ad occupare l’Istria – fino ad allora territorio italiano, e dal ’43 della Repubblica Sociale Italiana – e puntò verso Trieste. Tutti territori che fino alla prima guerra mondiale erano stati negati alla Jugoslavia.

Non aveva, però, tenuto conto delle truppe alleate che avanzavano dal Sud della nostra penisola: la prima formazione alleata per la liberazione di Venezia e poi Trieste fu la Divisione Neozelandese del generale Freyberg, l’eroe della battaglia di Cassino.

Gli jugoslavi riuscirono intanto a impadronirsi di Fiume e di tutta l’Istria interna, compiendo feroci esecuzioni contro gli italiani. Non riuscirono, però, ad assicurarsi la “preda più ambita”: la città, il porto e le fabbriche di Trieste.

(fonte: Internazionale)

Alla fine del ’46 la questione italo-jugoslava era divenuta per molti un peso che intralciava la soluzione di questioni più importanti: gli Alleati volevano trovare una soluzione per Vienna e Berlino, l’Unione Sovietica doveva sistemare la divisione della Germania, l’Italia era alle prese con la gestione della transizione tra monarchia e repubblica.

Bisognava stabilire il confine esatto tra Italia e Jugoslavia. La questione si concluse con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947. Si seguii la proposta francese: l’Italia consegnò alla Jugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia.

Inoltre, si concesse alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani, con l’accordo che sarebbero poi stati indennizzati dal governo di Roma.

Dentro la foiba

Tra il maggio e il giugno del 1945, migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra. Altri furono uccisi dai partigiani di Tito, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati.

Secondo alcune fonti, le vittime di quei pochi mesi furono tra le quattromila e le seimila, per altre diecimila.

Si uccideva con estrema crudeltà: i condannati venivano legati tra loro con un fil di ferro stretto ai polsi e fucilati in modo che si trascinassero nelle cavità, gli uni con gli altri.

(fonte: CLN)

Sembra impossibile, che una simile tragedia sia rimasta nell’oblio per quasi sessant’anni, tra quel quadriennio del ’43-’47 e il 2004, quando il Parlamento approvò la legge Menia – dal nome del deputato triestino Roberto Menia, che l’aveva proposta – sull’istituzione delGiorno del Ricordo”.

La risposta andrebbe cercata in una sorta di tacita complicità tra le forze politiche centriste e cattoliche, da una parte, e quelle di estrema sinistra, dall’altra. Solo dopo il 1989, con il crollo del muro di Berlino e l’autoestinzione del comunismo sovietico, nell’impenetrabile diga del silenzio incominciò ad aprirsi qualche crepa.

Il 3 novembre 1991, l’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga si recò in pellegrinaggio alla foiba di Basovizza e, in ginocchio, chiese perdono per un silenzio durato cinquant’anni.

Le parole di Mattarella

“Il silenzio, le sacche di deprecabile negazionismo militante e il riduzionismo, sono gli ostacoli contro cui ancora si combatte per questa sciagura nazionale”.

Lo scrive il presidente Mattarella, in occasione dell’odierna Giornata, il quale aggiunge che il vero avversario da battere, “più forte e più insidioso”, è quellodell’indifferenza, del disinteresse, della noncuranza, che si nutrono spesso della mancata conoscenza della storia e dei suoi eventi”.

Il capo di Stato sottolinea anche che angosce e sofferenze sono un monito perenne “contro le ideologie e i regimi totalitari che negano i diritti fondamentali della persona e rafforzano ciascuno nei propositi di difesa e promozione di pace e giustizia”.

(fonte: Telefriuli)

Le iniziative in tutta Italia per ricordare

Diverse le iniziative – vista la drammatica situazione sanitaria, quasi tutte online – per celebrare il Giorno del Ricordo.

Domani, in rappresentanza della Regione Emilia-Romagna, l’assessore regionale Mauro Felicori parteciperà alla cerimonia di commemorazione che si svolgerà a Bologna, alle ore 15.30, al cippo nel Giardino Martiri dell’Istria Venezia Giulia e Dalmazia, dove sarà deposta una corona in onore delle vittime.

Il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, afferma:

“Una tragedia a lungo dimenticata. Che abbiamo il dovere di ricordare, con obiettività, per preservare la verità storica del nostro passato. Un dramma che costò la vita a tanti innocenti e causò l’esilio di tanti italiani, persone e famiglie intere, che furono costretti a fuggire dalle loro terre e dalle proprie case”.

Pensiero condiviso anche da Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste che chiede di non dimenticare: “se si costruisce un mondo su odio e violenza non si va da nessuna parte“. Discorso che ruota intorno alle parole “riconciliazione” e “purificazione della memoria”, l’attività della Chiesa di quegli anni e di oggi.

Nel frattempo, si è sollevata la polemica per un simpatizzante neofascista chiamato lunedì 8 febbraio in Palazzo Vecchio di Firenze, per la commemorazione della tragedia delle foibe. Subito è scoppiata una rivolta a sinistra e anche nell’Anpi, l’associazione dei partigiani:

“Così facendo il Consiglio comunale si è piegato alla deriva che vede le foibe, l’esodo giuliano dalmata e tutte le terribili vicende storiche dei confini orientali un mero esercizio di contrapposizione politica, perdendo il senso e il significato storico complesso e articolato che hanno quelle vicende”.

Gallarate, invece, celebra con un brano musicale che racconta un pezzo della storia dell’Istria, territorio conteso e poi perso dall’Italia, annesso alla Jugoslavia e oggi parte della Croazia.

L’Amministrazione comunale di Arcisate propone la rappresentazione del libro “Perché la notte” di Lorella Rotondi, con le illustrazioni di Daria Palotti e la lettura di Anna Paola Montanari.

L’Italia non si ferma, non può fermarsi, perché solo così può mantenere vivo il ricordo; come dice un brano di Raige e Annalisa: “per non dimenticare mai”.

Manuel De Vita