Frankenstein e il sogno visionario di Mary Shelley

Ilaria Basile
ILARIA BASILE
Cultura
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Figlia di due pensatori rivoluzionari, Mary Shelley trasformò il dolore e la perdita in una delle opere più potenti della letteratura moderna: Frankenstein, o il moderno Prometeo.

 

Un’infanzia tra ombre e libri

Mary Wollstonecraft Shelley nacque a Londra il 30 agosto 1797, da due figure eccezionali: il filosofo William Godwin e Mary Wollstonecraft, pioniera del femminismo moderno.

La madre morì pochi giorni dopo il parto, lasciando in Mary un senso di colpa e solitudine che l’avrebbe accompagnata per tutta la vita.

Cresciuta in un ambiente colto ma severo, trovò rifugio nei libri e nella scrittura. A soli sedici anni aveva già letto Milton, Rousseau e Voltaire, e cominciava a delineare la propria voce narrativa.

L’educazione ricevuta in casa, impregnata di idee progressiste e libertarie, la preparò a sfidare i limiti imposti alle donne del suo tempo.

 

L’amore e la fuga

Nel 1814 Mary conobbe il poeta romantico Percy Bysshe Shelley, ammiratore del padre e spirito ribelle.

Shelley era già sposato, ma tra i due nacque un amore appassionato e anticonvenzionale, tanto che, nel 28 luglio di quell’anno, fuggirono insieme verso la Francia e la Svizzera, in piena Europa napoleonica. Quella fuga, segnata da scandali e difficoltà economiche, ruppe definitivamente i legami con il padre e con la società rispettabile dell’epoca.

 

I figli perduti e l’estate di Ginevra

Nei due anni successivi, Mary visse tra povertà, scandali e lutti.

Il primo figlio, nato nel 1815, morì pochi giorni dopo la nascita, lasciandola distrutta e piena di sensi di colpa.

Il secondo, William, nacque nel 1816 ma morì a tre anni, probabilmente a causa della malaria, durante il soggiorno della famiglia in Italia.

Nel 1817 nacque un’altra bambina, Clara Everina, che morì appena un anno dopo, durante un viaggio da Venezia a Roma.

Nei suoi diari Mary scrisse: «Ho perso due soli amabili bambini in un anno…e resterò per sempre infelice».

Il dolore della maternità spezzata divenne un tema costante nella sua opera, riaffiorando nella riflessione sulla creazione e sull’abbandono che percorre Frankenstein.

Dietro l’orrore e la scienza del romanzo, infatti, si nasconde anche la paura di una madre che dà la vita e poi la perde, di una creatrice che contempla la propria impotenza di fronte al destino.

Nel celebre “anno senza estate”, il 1816, Mary e Percy si recarono a Ginevra, dove vissero accanto al poeta Lord Byron e al suo medico John Polidori nella celebre Villa Diodati. Lì, tra discussioni filosofiche e giornate piovose, nacque l’idea di scrivere racconti dell’orrore, tra cui Frankenstein; or, The Modern Prometheus.

 

Il sogno che diventò storia

Frankenstein racconta la storia di Victor Frankenstein, giovane scienziato che, nel tentativo di sconfiggere la morte, crea un essere mostruoso che finirà per ribellarsi a lui.

Ma la creatura non è un semplice mostro: è un essere tragico, in cerca d’amore e riconoscimento.

Il romanzo intreccia scienza e morale, indagando la responsabilità del creatore verso la propria opera, i limiti del sapere umano e la solitudine dell’individuo.

Attraverso la figura di Victor, Mary Shelley mette in discussione l’orgoglio prometeico della modernità, mostrando come il desiderio di superare la natura possa generare distruzione.

Il sottotitolo richiama, infatti, il mito di Prometeo, il titano che rubò il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini e che, come Frankenstein, pagò la sua sfida con la sofferenza.

Manoscritto di Frankenstein

Mary Shelley dopo Percy

Il successo di Frankenstein fu immediato, anche se molti l’attribuirono a Percy Shelley, autore della prefazione.

Nel 1822, un’altra tragedia colpì Mary: Percy annegò al largo di Viareggio, lasciandola vedova a ventiquattro anni.

Tornata in Inghilterra con l’unico figlio sopravvissuto, Percy Florence Shelley, omonimo del padre, decise di vivere di scrittura: atto di indipendenza e coraggio per una donna del suo tempo.

Pubblicò Valperga (1823), romanzo storico ambientato nell’Italia medievale, The Last Man (1826), visione apocalittica che anticipa la fantascienza moderna, e Falkner (1837), romanzo sull’indipendenza femminile.

Curò con devozione le opere del marito, affermando al contempo il proprio ruolo di intellettuale autonoma.

 

L’eredità e la sua immortalità

Mary Shelley morì a Londra nel 1851, a 53 anni, accanto al figlio Percy Florence.

Oggi è riconosciuta come una delle prime autrici di fantascienza e una voce femminile controcorrente, capace di fondere sensibilità e riflessione filosofica.

Frankenstein non è solo un racconto di paura: è un mito moderno che continua a interrogarci sui limiti del progresso e sulla responsabilità morale della creazione.

Nel suo mostro, Mary Shelley ha dato forma alla paura più profonda dell’umanità: quella di creare ciò che non possiamo controllare e di essere rifiutati da ciò che amiamo.

 

Fonti:

Miranda Seymour, Mary Shelley. 2000

 

Ilaria Basile