Attentato a Sigfrido Ranucci

Esiste ancora la libertà di stampa? L’attentato a Sigfrido Ranucci e il silenzio che avanza

Elisa Guarnera
ELISA GUARNERA
Attualità
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La Costituzione italiana tutela e garantisce la libertà di stampa con l’articolo 21, che “sancisce il diritto di manifestare liberamente il pensiero e vieta autorizzazioni e censure preventive“.

In teoria.

In pratica in Italia abbiamo un problema di minacce ai giornalisti, quindi alla libertà di stampa. Abbiamo una premier che si sottrae il più delle volte alle domande dei giornalisti, fino ad arrivare addirittura a vantarsene e politici che sfruttano la stampa come megafono per la loro propaganda o che querelano i giornalisti stessi. Strano, in un paese in cui “la libertà e l’indipendenza dell’informazione sono valori irrinunciabili e che continueremo a difendere“, come afferma il nostro Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Parole che sicuramente trovano un fondo di verità.

In pratica il nostro paese è al quarantanovesimo posto nella classifica dell’ONG Reporter senza frontiere, organizzazione che valuta la libertà di stampa in 180 paesi, in base alla possibilità per i giornalisti di informare liberamente, senza pressioni politiche, economiche, legali o sociali e senza rischi per la propria sicurezza. 

Infatti, il 16 ottobre Sigfrido Ranucci, giornalista e conduttore di Report, è stato vittima di un attentato sotto casa sua. Un chilo di esplosivo è stato piazzato sotto la sua auto e quella di sua figlia. Le due vetture sono saltate in aria, davanti l’abitazione del giornalista. Un carico di esplosivo che avrebbe potuto uccidere.

Chi è Sigfrido Ranucci

Nato a Roma, classe 1961, Sigfrido Ranucci è un giornalista, autore televisivo e conduttore televisivo italiano. Inizia la sua esperienza in Rai nel 1991 come assistente ai programmi e programmista regista, in seguito come giornalista presso il Tg3. Nel 1997, è assunto in Rai come redattore presso Rai International, mentre nel 1999 è assegnato a Rai News 24 dove, nel 2001, viene nominato “inviato speciale”. Dal 2006 è a Rai 3, dove collabora in qualità di autore alla trasmissione Report, programma di cui diviene anche conduttore nel dicembre 2016.

Le inchieste di Ranucci

Autore di numerose inchieste sul traffico illecito di rifiuti e sulla mafia, Ranucci è stato il primo a trovare l’ultima intervista al giudice Paolo Borsellino. Inoltre, nel settembre 2001 è stato inviato a New York per seguire l’attentato alle Torri Gemelle,  poi nel 2004 a Sumatra per lo Tsunami. È stato anche inviato nei contesti di guerra dei Balcani e in Medio Oriente dove ha realizzato inchieste sulla violazione dei diritti umani e sull’utilizzo di armi non convenzionali. Nel 2005 ha denunciato per primo l’uso del fosforo bianco in Iraq da parte degli Usa. Ranucci ha dedicato inchieste agli affari della criminalità organizzata, ricevendo le prime minacce, a seguito di un’inchiesta su una cava di sabbia. Tra gli ultimi episodi di minacce quelle del novembre 2024 per un servizio sul conflitto tra Israele e Palestina, in cui il conduttore si ritrovò due proiettili all’esterno della sua abitazione.

 

Rapporti congelati tra stampa e politica

Tanta la solidarietà, le manifestazioni e le proteste per ciò che è accaduto. Numerosi i ministri che hanno espresso la loro vicinanza, denunciando sui vari social la natura intimidatoria dell’attentato, definendolo un gesto vigliacco, che attacca non solo la persona ma anche la libertà di stampa. Nonostante ciò, nei giorni successivi all’attentato si sono aggiunte altre querele, rispetto a quelle già presenti (220, per l’esattezza) al programma Report. Da parte di chi? Degli stessi esponenti politici che hanno protestato fortemente contro il fatto gravissimo dell’attentato.

Insomma, l’Italia ha un problema con la libertà di stampa. E chi nasconde la testa sotto la sabbia o chi pensa di poter fare a meno del giornalismo (soprattutto quello di inchiesta) non comprende la gravità inaudita dell’accaduto.

Tutto il giornalismo che tocca i nervi scoperti del potere è sotto attacco. Perché la politica e il mondo degli affari mal digeriscono la verità.

D’altronde non dovrebbe sorprenderci. È noto a tutti che il presidente del Consiglio Meloni nutre una certa insofferenza per le domande dei giornalisti. Lo ha ammesso proprio lei, in un fuorionda, al presidente Trump. “Io non voglio mai parlare con la mia stampa“. Secondo uno studio di Pagella Politica, da gennaio a settembre 2025 Meloni ha risposto complessivamente a 94 domande dei giornalisti durante dichiarazioni e conferenze stampa. Sempre meno rispetto ai numeri del 2024, in cui le domande erano state 163.

 

La libertà di stampa in Italia. Cosa c’è di sbagliato?

Il caso Ranucci è il risultato italiano più eclatante di minaccia alla libertà di informazione. Come già accennato precedentemente, la situazione è in netto peggioramento; Reporter senza frontiere fotografa un Paese che ha perso punteggi sotto il governo Meloni.

 

 

La libertà di stampa in Italia
La libertà di stampa in Italia: la classifica. Fonte: Reporter senza frontiere

 

L’ONG ha motivato il calo di punteggio dell’Italia, sottolineando alcuni problemi strutturali. La forma di autocensura dei giornalisti, dovuta anche al timore di querele e all’introduzione della norma (voluta dal governo) che vieta la pubblicazione integrale delle ordinanze di custodia cautelare. Secondo i sostenitori di tale norma, questa legge servirebbe a tutelare la presunzione d’innocenza degli indagati. I contrari alla legge, che definiscono legge bavaglio, sostengono che riduce la trasparenza delle indagini, limitando il diritto dei cittadini a essere informati.

In questo contesto assume un’enorme importanza nella libertà di manifestazione del pensiero il “diritto di cronaca” o “diritto di informare”, che consente ai cittadini di essere pienamente informati, ma anche di diffondere e riferire riguardo la gestione della cosa pubblica. Sempre nel rispetto della dignità della persona.

Inoltre, Reporter segnala la dipendenza economica dei media da pubblicità e fondi pubblici, la concentrazione delle testate in pochi proprietari, la precarietà del lavoro giornalistico, la persistente polarizzazione sociale e le minacce rivolte a chi indaga su criminalità e corruzione. 

Una struttura giornalistica che gli italiani conoscono molto bene. Ma che, a quanto pare, non ha una rilevanza significativa. Questa che dobbiamo combattere è una guerra contro quel bavaglio che cercano di farci indossare. Contro un Paese che si ritrova una mente prosciugata dal proprio pensiero critico. Contro coloro che mirano a totalizzare una massa con idee tutte uguali. Perché così è più facile controllarle e rigirarle. Davanti alle minacce,  alle auto esplose, alle aggressioni,  alle querele e alle numerose pressioni per bloccare il giornalismo libero, ribelliamoci e chiediamoci se siamo tutti pronti ad affrontarne le conseguenze, lasciando un quesito provocatorio a cui probabilmente sapremo tutti rispondere, ma non ne troviamo il coraggio: esiste ancora (o non è mai esistita) una libertà di stampa?

 

Elisa Guarnera