Quei bravi ragazzi: un film buffo

Aurelio Mittoro
AURELIO MITTORO
C'era una volta un cult
Martin Scorsese Ray Liotta recensioni Robert De Niro
Un documentario sulla mafia italoamericana anni 60′-90′ raccontato da un ex-gangster pentito. Voto UVM: 5/5

Tratto dal romanzo Wiseguy di Nicholas Pileggi, il quale contribuirà anche alla sceneggiatura del film, Quei bravi ragazzi  è indiscutibilmente uno dei capolavori assoluti della storia del cinema. Una vera e propria analisi in dettaglio dei meccanismi dietro la malavita organizzata che illudeva i giovani ragazzi nell’America degli anni 60′-90′, per condurli in una vita fatta di rispetto, agiatezza, violenza ed inevitabilmente la galera, o la morte.

Prodotto e distribuito dalla Warner Bros, è disponibile su Prime Video ed è stato proiettato nel secondo incontro del cineforum organizzato da UniversoMe e Nuovo Cinema.

Quei bravi ragazzi immagine 1
“Quei bravi ragazzi” (1990) di Martin Scorsese.

TRAMA

In una Brooklyn anni 50′, un ragazzino di nome Henry Hill (Ray Liotta) inizia a svolgere dei lavoretti per conto del boss locale Paul “Paulie” Cicero (Paul Sorvino): la sensazione di potere e di agiatezza, mista all’ammirazione verso le figure di spicco della malavita newyorchese, trascineranno il giovane Henry dentro ad un sistema particolare, composto di finti valori, manipolazione e passione estrema che si trasforma in violenza e sadismo.

LA VISIONE DI SCORSESE

Quei bravi ragazzi si differenzia dai precedenti gangster movie per via del suo approccio documentaristico verso il mondo della malavita: Martin Scorsese non ha interesse nel raccontare un mondo verosimile ma romanzato, com’era la mafia romantica e passionale del Padrino di Coppola, bensì ci descrive una realtà tangibile, nella quale i nostri protagonisti non risultano mai glorificati, bensì miserevoli, ingenui ed opportunisti.

Gli stessi spietati criminali pronti ad uccidere a sangue freddo chiunque sotto il giusto compenso, passano le loro giornate ad ostentare ricchezza nei localetti di New York oppure a preparare il sugo per il pranzo in famiglia, che sia quella reale o quella malavitosa (emblematica la scena in cui Paulie sminuzza l’aglio in prigione, girata dal regista con una carica quasi erotica).

Quei bravi ragazzi immagine 2
“Quei bravi ragazzi” (1990) di Martin Scorsese.

IL FASCINO DELLA MALA

Henry riesce a scalare i ranghi della criminalità esattamente come un dipendente di un’azienda passa da spazzino a manager: oltre a questo parallelismo non troppo velato, Scorsese ci spiega perfettamente come un clan mafioso non ripaghi i suoi affiliati con delle semplici banconote, ma con un’apparente libertà di vivere la vita a proprio piacimento, infrangendo quante più regole possibili senza doverne subire le conseguenze.

Del resto è proprio il senso di potere e di rispettabilità che gli “uomini d’onore” esercitano sul prossimo ad affascinare il giovane Henry, e che lo stesso rimpiange quando tutto sarà finito.

LE DINAMICHE DEL POTERE

L’intero film è considerabile un’analisi retrospettiva che il nostro protagonista esegue sulla sua vita da “wiseguy”: la forza della narrazione, di fatti, sta nell’abilità di Henry di riuscire a contestualizzare in maniera perfetta ogni singola vicenda, puntualizzando spesso le dinamiche che caratterizzavano la sua quotidianità come se fosse un professore di lettere che spiega Carducci.

Ciò che si può delineare dal racconto del pentito è dunque una società animalesca, nella quale ogni singolo elemento cerca un pretesto per esercitare violenza sul prossimo, che sia per migliorare la propria posizione o semplicemente per mantenere quell’immagine rispettabile di sé che pare essere fondamentale soprattutto per i delinquenti più efferati.

Quei bravi ragazzi immagine 3
“Quei bravi ragazzi” (1990) di Martin Scorsese.

LA TERZA VIA D’USCITA

Il film descrive brillantemente l’evoluzione delle attività criminali delle famiglie mafiose in America: da semplici “protettori”, i gangster italoamericani si immischiano nel giro della droga, il che comporta grandi guadagni ma allo stesso tempo attenzioni indesiderate da parte della polizia.

Ogni singolo personaggio presente nella pellicola è cosciente del fatto che la sua vita terminerà inevitabilmente in carcere, oppure prematuramente in qualche vicolo della città con un foro di proiettile dietro la nuca, dunque passano le loro giornate a fuggire costantemente da tale pensiero; con l’entrata in scena della polizia federale, si apre una terza opzione.

Lo stato ha bisogno d’informazioni, ed il nostro protagonista è ben disposto a fornirgliene, purché possa uscire da quella spirale di violenza che da giovane tanto ammirava; quei valori di amicizia, rispetto ed onore di cui i “wiseguys” tanto si fregiavano, lasciano spazio ad un crudo cinismo e ad uno spietato opportunismo, ripagati con una casetta in mezzo al niente e delle lasagne al ketchup a carico del governo.

 

Aurelio Mittoro