Il 25 aprile si configura quale ricorrenza annuale deputata alla commemorazione della liberazione del territorio nazionale dall’occupazione nazifascista. Celebra, inoltre, la ritrovata autodeterminazione popolare e la rifondazione dell’ordinamento costituzionale su basi democratiche.

In questo senso, la liberazione non può essere confinata entro i limiti statici della ritualità celebrativa o della rievocazione storica. È un processo aperto, in costante ridefinizione, che interroga la Repubblica sulla capacità di rendere effettivi i principi su cui essa si fonda.
L’articolo 3 della Costituzione assume un ruolo paradigmatico, delineando – nella sua duplice articolazione – un progetto trasformativo ad elevata densità normativa e assiologica:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Attraverso tale disposizione – che si configura, secondo consolidata lettura dottrinale e giurisprudenziale, come norma a contenuto programmatico vincolante per tutti gli organi dello Stato – il costituente ha delineato un modello di democrazia sostanziale. Questo si fonda sull’obbligo positivo di rimozione delle barriere sistemiche che ostacolano l’effettiva eguaglianza tra i cittadini e il pieno sviluppo delle potenzialità individuali.
Il concetto di “liberazione” odierno, pertanto, non può che misurarsi sulla capacità dello Stato e delle sue articolazioni di contrastare – attraverso politiche pubbliche strutturate, inclusive e coerenti con i principi costituzionali – le forme contemporanee di subalternità e diseguaglianza.
Queste includono povertà educativa e abitativa, precarietà lavorativa, discriminazioni di genere, etniche e socioeconomiche, nonché disuguaglianze territoriali.
Tali fenomeni, pur non riconducibili a una forma autoritaria in senso stretto, si configurano come dispositivi capaci di riprodurre rapporti di forza asimmetrici e gerarchie incompatibili con l’architettura valoriale della Repubblica.
Il 25 aprile interpella il presente ben oltre il perimetro della memoria resistenziale. È una data che continua a domandare se e quanto la Repubblica abbia saputo realizzare la propria promessa costituente.
Liberarsi oggi significa dunque agire in direzione dell’effettività, dello smantellamento delle diseguaglianze strutturali e dell’ampliamento reale degli spazi di libertà e partecipazione. Solo in tale prospettiva la Liberazione può dirsi viva, attuale, operante. Non come compimento concluso, ma come orizzonte etico-politico da perseguire quotidianamente, nel segno della giustizia costituzionale.