Roman Opalka

Roman Opalka: l’uomo che ha dipinto il tempo

Giusy Lanzafame
GIUSY LANZAFAME
Arte
RomanOpalka

Come si rappresenta l’invisibile? In che modo si può configurare l’incessante fluire del tempo, inteso come principio entropico che erode silenziosamente la materia, i corpi e la memoria? Roman Opalka ha dedicato oltre quattro decenni a tale interrogativo, elaborando un’opera artistica di rigore quasi liturgico: un’impresa concettuale e radicale di trascrizione visiva del tempo, svincolata da metafore e fondata, invece, su processi di enumerazione, iterazione, accumulazione e progressiva sottrazione.

Roman Opalka, “Opalka 1965 / 1 – ∞” – Fonte: flickr.com

L’arte come scrittura del tempo

Nato nel 1931 a Hocquincourt, in Francia, da genitori polacchi, Opalka ha attraversato le fratture più profonde del Novecento, prima di avviare, nel 1965, il progetto che lo avrebbe consacrato come figura nodale nell’ambito dell’arte concettuale: “Opalka 1965 / 1 – ∞”.

L’opera si configura come un processo potenzialmente illimitato, in cui il tempo si manifesta come materia prima e forma fondante. A partire dal numero 1, l’artista avvia una progressione numerica eseguita a mano, in acrilico bianco su fondo grigio scuro, inscritta su tele verticali di formato costante, ciascuna delle quali è denominata Détail. La stessa titolazione sottolinea la natura frammentaria, cumulativa e seriale dell’intero progetto, la cui compiutezza è strutturalmente esclusa, né prevista né auspicata.

Ciò che distingue Opalka da altri esponenti dell’arte concettuale è la stringente coerenza procedurale del suo operato. L’atto pittorico, reiterato e calibrato con estrema disciplina, si fa scrittura temporale.

A partire dagli anni Settanta, l’artista introduce due vettori di stratificazione simbolica e percettiva. Il primo consiste in una progressiva chiarificazione del campo pittorico, ottenuta attraverso l’aggiunta graduale di bianco al fondo, fino all’approssimarsi al “bianco assoluto”. Il secondo è rappresentato dalla ritualizzazione dell’autoritratto fotografico, eseguito con sistematicità al termine di ogni sessione pittorica, secondo un protocollo immutabile.

Tale archivio fisiognomico, sviluppato nel tempo, costituisce una drammaturgia dell’invecchiamento, un dispositivo documentale che inscrive l’irrevocabilità della trasformazione biologica all’interno del continuum dell’opera.

Contro-linguaggio della temporalità contemporanea

La sequenza numerica, in apparenza neutra e impersonale, è in realtà intrinsecamente soggettiva, manuale, affetta da microdeviazioni, da lentezza, da imperfezione. Il gesto pittorico si costituisce come atto corporeo e temporale, una dichiarazione di presenza che si oppone alla logica accelerata e disincarnata della temporalità contemporanea.

Opalka si fa interfaccia vivente del tempo, organismo sensibile che registra la propria erosione. In tal modo, l’artista si configura come sismografo dell’esserci, vettore umano di una fenomenologia della durata che reintegra la dimensione soggettiva in un sistema altrimenti astratto e impersonale.

Alla sua morte, nel 2011, all’età di 79 anni, Opalka aveva raggiunto il numero 5.607.249. L’opera non è mai stata sospesa: neppure durante viaggi o esposizioni l’artista ha interrotto la propria pratica, trasportando con sé tele, strumenti e procedure necessarie a garantire la continuità del processo.
Tale rigore va interpretato come adesione ontologica a un paradigma esistenziale in cui arte e vita coincidono senza residui: l’opera non è separata dal vivere, ma ne è l’estensione consapevole e disciplinata.

Opalka 1965 / 1 – ∞” si impone come contro-narrazione radicale all’interno dell’orizzonte ipervisivo e istantaneo della contemporaneità.
Opalka introduce così una grammatica della lentezza, una scrittura del tempo fondata sulla sottrazione, sull’iterazione, sulla fatica del gesto. Un numero alla volta.