Il sapere in vendita

Il sapere in vendita

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Il sapere di plastica

Viviamo nel 2025.
Viviamo in un mondo in cui vediamo marketing ovunque guardiamo. Viviamo costantemente all’ombra di enormi cartelloni pubblicitari.

Le grandi aziende ci promettono sempre oggetti nuovi, un modo di fare nuovo, uno stile di vita nuovo, una forma mentis nuova, un mondo nuovo.

Tutto sembra ormai contenibile in una confezione di plastica. Tutto può essere etichettato, quindi tutto può essere venduto.

Da oggi, sugli scaffali dei supermercati, in mezzo a migliaia di tanti altri, si aggiunge un nuovo prodotto. Una nuova busta, contenente la possibile cura per ogni male: il sapere.

I sofisti: la prima scintilla

Possiamo ipotizzare che la scintilla da cui si generò la mentalità per cui il sapere possa essere un oggetto di lucro sia il pensiero sofista, sviluppatosi nell’antica Grecia.

Ad Atene, i sofisti erano spesso denigrati dagli intellettuali, che li consideravano come dei mercenari del sapere. Mettevano, infatti, a disposizione il loro sapere, impartendo lezioni di retorica ai nobili e facendosi pagare (spesso anche profumatamente).
Possiamo considerare questo fenomeno come uno dei primi esempi di capitalizzazione del sapere.

Con i sofisti, «il cuore […] rimase un servo del mondo, sempre affetto da desideri mondani». Questo è ciò che scrisse Max Stirner in L’unico e la sua proprietà, spiegando come per i sofisti l’intelletto fosse un potente mezzo di raggiungimento di scopi legati unicamente al mondo materiale come fama e potere.

Tutto ciò costituisce il seme di una mentalità tramandata fino ad oggi.

L’uomo macchina: l’attualità

Che la figura del lavoratore sia spesso associata a quella di una banale macchina è ormai noto dal XIX secolo.
Ci si può permettere di variare il suo salario, farlo lavorare più del dovuto, sfruttarlo fino al midollo, perché a differenza delle normali macchine è possibile pagarlo meno del dovuto.

La mercificazione dell’uomo, oggi, è stata portata su un ulteriore stadio. Oltre l’uomo in sé come mezzo fisico, si dà importanza alle conoscenza di quest’ultimo, rendendo anch’essa un prodotto da vendere.
Il sapere di ciascuno di noi può essere giudicato e “valutato” da un datore di lavoro, può letteralmente essere acquistato alla stregua di un banale servizio.

La mentalità del mercato, la continua ricerca di un sapere che possa soddisfare delle richieste di mercato, stanno generando un clima molto preoccupante.

L’intelletto schiavo del soldo: la conseguenza

Siamo la generazione degli schiavi per eccellenza.
Va specificato che il termine “schiavi” non va utilizzato come viene spesso fatto dalle precedenti generazioni. Non siamo realmente schiavi dei cellulari o dei social, come vuole far intendere chi parla in televisione con aria saccente.
La nostra condizione di schiavitù è legata ad un problema di gran lunga più viscerale. Bisogna scavare ancora più a fondo per trovare la fonte del problema, per poter additare il despota che ci stringe il cappio al collo.

Prima che di ogni altra cosa, ognuno di noi sta diventando schiavo del proprio utile. Una mentalità utilitarista, generata da una società in cui il capitalismo sta raggiungendo il suo apice, non può che recarci un danno non indifferente.

Si pensa sempre meno all’inestimabile valore astratto del sapere e si tende sempre più ad inchiodare la cultura ad uno stipendio. Gli unici campi del sapere che generano un interesse sempre crescente sono quelli che conferiscono una paga maggiore.

Non va frainteso il precedente discorso: ogni campo del sapere è immensamente interessante e degno di essere approfondito. Ciò che va condannata è la maniacale ossessione nel dare a tutti i costi un valore monetario al sapere, quasi come se andasse venduto come un qualsiasi prodotto.

Nessuno dovrebbe pensare di poter mettere all’asta la teoria delle idee di Platone o l’eterno ritorno di Nietzsche.

Il mondo: la soluzione tra materia e idee

L’unico appello che risulta sensato, in una società fatta di interessi, parte dai giovani ed è indirizzato ai giovani: non dobbiamo cercare una ragione di vita in ciò che è puramente materiale, e non dobbiamo lasciarci assuefare da ciò che è totalmente astratto.

La grandezza del concetto di cultura sta nel fatto che il sapere offre enormi benefici sia dal punto di vista astratto sia per la vita mondana.

Non si può negare che chi risulta più competente in un determinato ambito del sapere possa essere maggiormente ricercato da un determinato datore di lavoro. È totalmente errato, però, pensare che l’unico fine dello studio possa essere la ricerca di un lavoro redditizio.

La nostra speranza è quella di poter squarciare questo velo di plastica che ricopre il sapere, di poter fare a pezzi l’illusione che il sapere debba essere “spendibile”.

Adesso sta a noi utilizzare per questo scopo l’unica arma a nostra disposizione: il sapere stesso.

Fonti e bibliografia

Max Stirner, L’unico e la sua proprietà, Milano, Adelphi, 1979

Immagini:

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Salvatore Pio Andreoli