Persona: il chiaroscuro dell’anima

Alessio Bombaci
ALESSIO BOMBACI
C'era una volta un cult
Ingmar Bergman Persona psicologia
Persona è un film drammatico, tragico, che punta a ricostruire la tanto frastagliata psiche umana tramite la difficoltà apparente ed effettiva dei rapporti umani, prima autentici, poi falsi, prima eterni, poi fugaci. Voto UVM 5/5

Persona è un film del 1966, diretto da Ingmar Bergman. Il cast, escluse le comparse, è ridotto a soli cinque attori, tra cui le protagoniste Liv Ullmann e Bibi Andersson, che offrono delle performance attoriali eccezionali.

TRAMA DI PERSONA

Elisabet (Liv Ullmann), un’attrice affetta da afasia (perdita parziale o completa della capacità di esprimersi o comprendere parole) in seguito a un trauma, trascorre la guarigione su un’isola, assistita da Alma (Bibi Andersson), un’infermiera che non smette di parlarle. La contrapposizione tra le due farà in modo che le loro personalità si intersecheranno, fino a dissociarsi.

 

Persona
Le due protagoniste si uniscono in un’unica persona. Persona (1966) di Ingmar Bergman.

UNA RIFLESSIONE FILOSOFICA SULLA PSICHE UMANA

Bergman, negli appena 80 minuti di pellicola, non dà molto peso alla trama ed all’evoluzione di essa tramite delle azioni specifiche, bensì, tramite il potente linguaggio visivo utilizzato e la perfetta scrittura della sceneggiatura, porta avanti una riflessione filosofica, spirituale e psicologica sull’animo umano e le sue sfaccettature, soprattutto nel suo confronto con gli altri.

Fin da subito Elisabet viene presentata ad Alma come una paziente molto turbata psicologicamente, che mentre recitava una parte nei panni dell’Elettra in uno spettacolo ha avuto una sorta di epifania ed ha iniziato a ridere senza riuscire a fermarsi. Il tutto si è poi trasformato in un trauma che ha fatto sì che smettesse di parlare.

Alma, invece, è da subito disponibile e premurosa nei confronti della sua nuova paziente, le parla continuamente per esprimersi e per non farla sentire sola.

LUCI ED OMBRE: IL DUALISMO DELLE PROTAGONISTE

L’illuminotecnica di tutto il film si basa soprattutto sul gioco tra luci ed ombre, soprattutto sul volto delle protagoniste, per creare immagini poetiche a tratti oniriche e che esprimano un contrasto che indica il senso di conflitto interiore.

Non è un caso che Alma e Elisabet siano dall’inizio rispettivamente come la luce e l’oscurità. Alma è il faro che illumina le giornate altrimenti vuote di Elisabet, che intanto, tramite il suo silenzio, assorbe la luce di Alma.

L’apparenza però, si sa, inganna. La luce che emana Alma nasconde in realtà tante ombre all’interno del suo animo frastagliato, che ha dovuto far fronte ad eventi spiacevoli, che ha confessato unicamente a Elisabet, l’unica donna che sentiva vicina. Essendo Alma cresciuta con sette fratelli maschi ed avendo un marito e una sola altra amica, non aveva mai avuto modo di avere un rapporto del genere con una donna. È proprio per questo che Elisabet, nonostante sia conosciuta solo tramite la sua carriera di attrice e nonostante non comunichi, cambia per sempre il mondo di  Alma e la percezione che ha dei rapporti sociali.

“Tu vuoi essere, non sembrare di essere. Essere in ogni istante cosciente di te, e vigile. Nello stesso tempo ti rendi conto dell’abisso che separa ciò che sei per gli altri da ciò che sei per te stessa e provoca quasi un senso di vertigine, un timore di essere scoperta, di vederti messa a nudo, smascherata, riportata ai tuoi giusti limiti. Perché ogni parola è menzogna, ogni gesto falsità, ogni sorriso una smorfia. Qual è il ruolo più difficile?“

PERSONALITÀ E PERSONA

Il ruolo più difficile è quello di accettare la realtà, così com’è. In ciò le due protagoniste hanno enormi difficoltà. Elisabet ride quando si tratta di recitazione e finzione, ma, quando vede un telegiornale che mostra immagini di proteste esplicite riprese nel mondo reale, è spaventata, forse perché non si riconosce. Alma, invece, è intrappolata dai dolori e rimorsi del suo passato, che hanno creato nel tempo un sentimento di disillusione che si è riversato nella dolorosa realtà.

Le due diventano unite, inseparabili. L’incomunicabilità apparente sembra quasi svanire davanti al loro amore reciproco. Le loro personalità si mescolano e sembrano sempre più simili. Elisabet assorbe Alma ed Alma, come succede spesso in amore, inizia a capire Elisabet anche solo tramite il silenzio.

Tutto il loro legame viene messo in discussione, però, quando Elisabet racconta alla dottoressa tutte le vicende private di Alma, tramite una lettera, che lei stessa leggerà. Entrambe entrano in crisi, sono state smascherate a vicenda e si sono rese conto del modo in cui vengono percepite, e ciò non le potrà più far tornare indietro.

Le loro personalità si sono mischiate ed avvicinate così tanto da iniziare un conflitto tra le due, che nonostante la ricerca di perdono e l’odio reciproco cominciano sempre di più a mischiare anche le loro persone, diventando un’unica persona. Ormai sono uguali, entrambe si completano e si scompongono allo stesso modo. Alma prende il ruolo di Elisabet, e viceversa. La loro vicinanza effettiva crea ulteriore bisogno di comprensione di se stesse e di ciò che sta succedendo, e come conseguenza non c’è altro che un ritorno alla difficoltà di comunicare.

Persona
Alma (a sinistra), Elisabet e suo marito (a destra). Persona (1966) di Ingmar Bergman.

INGMAR BERGMAN E LA METANARRAZIONE

La narrazione di Bergman non è lineare, il montaggio e la regia sono volutamente distorti, onirici. Uno dei film più sperimentali del regista svedese, eppure anche uno dei più popolari ed apprezzati. Il film, tra l’altro, inizia con una serie di immagini disturbanti e provocatorie, che stanno quasi ad avvertire chi sta guardando della drammaticità delle vicende che vedrà a breve. Il maestro del cinema autoriale a stampo filosofico rompe gli schemi del cinema classico per dar vita ad un’analisi metanarrativa della realtà.

Il regista, in modo complesso, riflessivo e pieno di simbolismi, comunica continuamente con lo spettatore, sia tramite i dialoghi, sia tramite le immagini. Mette in scena tutto perfettamente, soprattutto attraverso la grande presenza di primi e primissimi piani e con l’uso di elementi metacinematografici come la rottura della quarta parete da parte degli attori o, caso più emblematico, il bambino che porge la mano verso quello che sembra essere uno schermo sfocato che mostra l’immagine delle due protagoniste, all’inizio e alla fine del film.

Un film di quasi 60 anni fa, ma che sembra attuale nel raccontare la psiche umana, soprattutto femminile, e la difficoltà dei rapporti sociali e personali.

Persona
Bibi Andersson, Ingmar Bergman e Liv Ullman. Persona (1966) di Ingmar Bergman.

Alessio Bombaci