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Milano calibro 9: “E cenere ritorneremo”

Aurelio Mittoro
AURELIO MITTORO
C'era una volta un cult
C'era una volta un cult Fernando di Leo Milano Calibro 9 recensioni
Una contorta e malsana fotografia dell’animo umano  – Voto UVM: 5/5

Milano calibro 9, tratto dall’omonima antologia di racconti dello scrittore Giorgio Scerbanenco, è un gangster movie estremamente cupo, con tinte noir ed una componente thriller/giallo che tiene incollati gli spettatori allo schermo durante le convulse vicende del nostro presunto protagonista Ugo Piazza (Gastone Moschin) fino ad un finale magistrale; il tutto in una Milano anni ’70, tetra e costantemente soffocata dal fumo, sia che provenga dalle sigarette, dalle marmitte delle vecchie FIAT, o dalla canna di una pistola.

Scritto e diretto da Fernando di Leoe distribuito dalla Minerva Pictures nel 1972, è attualmente disponibile gratuitamente su RaiPlay.

Ugo Piazza (Gastone Moschin). “Milano Calibro 9” (1972) di Fernando di Leo.

TRAMA

Dopo 3 anni passati in carcere, il malavitoso corriere Ugo Piazza si ritrova tormentato dalla polizia e dagli uomini di un boss della zona, “L’Americano”, entrambi convinti che l’ex-galeotto avesse tenuto per sé i 300.000 dollari che gli furono affidati durante un colpo precedente.

Piazza nega tutte le accuse, ma si vede costretto a lavorare per “L’Americano” che lo vuole tenere sott’occhio: in questa clima di tensione, composto di rapine, sparatorie e  giochi di potere, il nostro protagonista incontra una sua vecchia fiamma, Nelly Bordon (Barbara Bouchet), la quale lavora in un night club.

La passione arde ancora tra i due, i quali decidono di scappare insieme e lasciarsi tutto alle spalle, ma il corriere avrà ancora un’ultima faccenda da sistemare…

LA “TRILOGIA DEL MILIEU”

Gli anni 60-70 del Novecento furono caratterizzati da una massiccia presenza, sia in sala che in libreria, di opere che presentavano (spesso in maniera convincente, molte altre volte in maniera dozzinale) una commistione di generi come il thriller, il giallo, il noir, il poliziesco e l’hard-boiled; gli autori spesso cadevano nella trappola, nel tentativo di umanizzare i propri protagonisti, di romanticizzare figure come criminali assetati di sangue e malavitosi senza scrupoli.

La “Trilogia del Milieu” di Fernando di Leo, composta dai tre film “Milano Calibro 9” (1972), “La mala ordina” (1972) ed “Il Boss” (1973), riesce magistralmente a rappresentare la società criminale senza alcun tipo di ambiguità: ogni singolo personaggio che appare a schermo, che sia un protagonista o un villain, ragiona secondo un intricato sistema di interessi personali, finti valori e passioni sfrenate, dunque non appartiene né ai buoni né ai cattivi.

Il regista non crea un mondo diviso in bianco e nero, ma si sofferma a raccontare la società con crudo cinismo, delineando ogni singolo carattere con infinite sfumature di grigio.

Rocco (Mario Adorf) ed il suo scagnozzo Alfredo (Omero Capanna). “Milano Calibro 9” (1972) di Fernando di Leo.

“CENERE SIAMO…”

Alla calma serafica del protagonista, di Leo contrappone la personalità impulsiva e schietta di Rocco Musco (l’eccezionale Mario Adorf, protagonista del secondo film della trilogia): i due rappresentano una dicotomia costante per tutto il film, due modi completamente antinomici di affrontare la vita, nonostante abbiano in comune più di quello che pensano.

Questa antitesi diventa il “Lietmotiv” della pellicola, che incatena numerose sequenze in cui una coppia di personaggi si scontrano per la loro visione diversa del mondo, come il continuo duello tra il commissario di polizia (nel quale riecheggiano le influenze dei lavori di Elio Petri) ed il suo vice, oppure con il confronto tra la disillusione di Don Vincenzo, e del suo fidato Chino, e l’incomprensibile ottimismo di Piazza.

Il film, come un abile pugile, lavora lo spettatore ai fianchi e lo stordisce imbastendo una narrazione frenetica, che dipinge i personaggi in maniera furba e non lascia tempo per riflettere, per ragionare su cosa stia effettivamente accadendo: il regista delinea una storia intrigante ma piuttosto lineare, nella quale il nostro protagonista si erge a detentore dei valori morali, contrapposti all’avidità dell’Americano, alla follia di Rocco, alla violenza della polizia ed al nichilismo di Don Vincenzo.

Chino (Philippe Leroy), il sicario amico di Ugo. “Milano Calibro 9” (1972) di Fernando di Leo.

“… E CENERE RITORNEREMO”

L’intuizione geniale  di Fernando di Leo sta nel non far dubitare neanche per un momento lo spettatore della presunta innocenza di Piazza: il pubblico la dà per scontata sin dal primo istante, d’altronde è il protagonista di questa storia.

Eppure, della parabola di Ugo Piazza rimarrà soltanto cenere, sparsa sulle strade di una Milano già stracolma di racconti simili: di Leo ci fa assaporare questa spirale di violenza come una sigaretta, una delle tante; intensa, ma che restituisce sul finale un retrogusto amaro in bocca.

Del resto, di cenere sono fatti gli ideali dei nostri personaggi, pronti a rinnegare tutto non appena intravedono la possibilità di guadagno, trasformando miracolosamente l’odio in rispetto, l’onestà in malizia, la passione in tradimento.

<<Tu, quando vedi uno come Ugo Piazza… il cappello ti devi levare!>>

 

 

 

Aurelio Mittoro