Il mondo perde David Lynch, ma la sua arte rimarrà immortale

Alessio Bombaci
ALESSIO BOMBACI
Attualità
arte cinema David Lynch

 

Ci lascia a 78 anni David Lynch, una delle menti più geniali del panorama artistico degli ultimi 50 anni. Era malato di enfisema polmonare.

Una personalità riservata ma al contempo ribelle e immensamente creativa. Nell’arco della sua vita è stato regista, pittore, attore, sceneggiatore, montatore, produttore, scenografo, cantante, compositore, designer. Lascia 5 figli e la moglie Emily Stofle.

David Lynch nel 2006. Immagine Brunopress.

Il sogno dell’artista

Nasce a Missoula, in Montana, nel 1946. Fin da giovane sogna di diventare un’artista, ed inizia, infatti, la sua carriera lavorativa come pittore. Dopo essere stato licenziato da un negozio di cornici presso cui lavorava decide di viaggiare in Europa per studiare. Il viaggio però dura soli 15 giorni, dopo i quali Lynch torna negli Stati Uniti e da lì comincia la sua carriera da regista con la realizzazione di alcuni cortometraggi sperimentali, tra cui il fantastico The Alphabet (1968).

Gli albori del cinema di David Lynch

Il regista comincia a lavorare al suo primo lungometraggio nel 1971, ma, per mancanza di budget, la pellicola viene portata a termine solo nel 1977: l’indimenticabile Eraserhead – La mente che cancella, che, tra l’altro, fu definito da Stanley Kubrick come il suo film preferito.

Già dal suo primo film Lynch scandisce bene quelle che sarebbero state le caratteristiche del suo stile che diverrà inconfondibile: l’atmosfera cupa, il disagio, il sogno che si interseca con la realtà, l’inconscio.

La sua carriera prosegue nel 1980 con The Elephant Man, un drammatico ritratto di un “rigetto” della società, che lo rende acclamato e popolare tra critica e pubblico.

Dopo il fallimento, per via della produzione, del suo primo ed ultimo progetto ad alto budget, Dune (1984), darà vita allo splendido Velluto Blu (1986) in cui prenderà parte anche la sua musa dell’epoca, Isabella Rossellini.

David Lynch e Anthony Hopkins sul set di The Elephant Man (1980). Produzione: Paramount Pictures.

Twin Peaks e la rivoluzione della serialità

Nel 1990 David Lynch, insieme a Mark Frost, rivoluziona per sempre il mondo della Serie TV, facendo in modo che queste diventassero un nuovo strumento per raccontare storie impegnate, andando contro a quelle che erano le mode di quegli anni e che facevano sottovalutare il potenziale della serialità. Adesso chiunque, dagli Stati Uniti all’Italia, conosceva il caso dell’omicidio di Laura Palmer, interpretata da Sheryl Lee, e tutti si sentivano degli investigatori insieme all’agente Cooper, interpretato da Kyle MacLachlan, probabilmente l’attore che fu più caro al regista.

Nel 1992 Lynch non accontenta i fan e mostra gli avvenimenti precedenti a quelli della serie, invece che quelli successivi al finale, nel film Twin Peaks – Fuoco cammina con me. La sua scelta, tanto criticata, dà vita ad un capolavoro. 

Laura Palmer (Sheryl Lee) in una scena di Twin Peaks. Produzione: Lynch/Frost Productions.

“Ci rivedremo tra 25 anni”

25 anni dopo l’uscita della prima serie, Lynch inizierà la produzione della terza ed ultima stagione di Twin Peaks, che è l’ultima grande opera realizzata dal regista.

La seconda parte della filmografia

Dopo il successo di Twin Peaks, nel 1990 vince la Palma d’Oro per il miglior film a Cannes grazie al suo cult Cuore Selvaggio.

Nel 1999 si discosterà dal suo stile per dare vita a Una storia vera, un drammatico road movie su un anziano in cerca del fratello malato.

 Il picco massimo della sua carriera dal punto di vista dei lungometraggi, però, arriva con la sua “Trilogia dell’Onirico”, tre film sconnessi tra di loro ma che hanno molte caratteristiche in comune: Strade Perdute (1997), Mulholland Drive (2001) e Inland Empire – L’impero della Mente (2006).

Tutti e tre i film ci fanno viaggiare tra il sogno (o l’incubo) e la realtà, basandosi sul tema del doppio e mostrando la parte più inconscia dei personaggi. Lynch mette in scena il suo stile onirico inconfondibile e sopraffino, rendendo i suoi capolavori inimitabili e dal valore artistico inestimabile.

David Lynch: un artista a 360 gradi

Ovviamente David Lynch è maggiormente conosciuto per la sua carriera da regista, tralasciando però come la vena artistica lo abbia portato a non fermarsi lì. Lynch, infatti, oltre ad aver realizzato 10 film, circa 60 cortometraggi e 3 stagioni di Serie TV si è occupato di molto altro: ha realizzato diversi quadri, che rimandano al suo stile cinematografico; in ambito musicale ha prodotto e cantato in 4 album, oltre ad aver collaborato ad alcune colonne sonore per i suoi film insieme al maestro Angelo Badalamenti. Ha poi scritto 5 libri e nell’ultima parte della sua vita si è dedicato anche all’interior design.

Scena tratta dal documentario David Lynch: The Art Life (2016). Produzione: Duck Diver Films.

Un ultimo addio al Maestro

É doveroso rendere omaggio a tutto ciò che David Lynch ha realizzato in ambito artistico, a tutte le parole spese nelle sue interviste e nei suoi interventi pubblici. Lynch ha sempre cercato di fare in modo che le sue parole fossero personali e allo stesso tempo potessero essere condivise da chi ne avesse bisogno.

Parlava spesso della ricerca delle idee, che definiva “grandi pesci” che dobbiamo cercare di pescare, per quanto difficile sia, e del processo creativo che ne deriva. Discuteva frequentemente del confronto di artisti e non con la salute mentale, di come il troppo stress e la demotivazione non faccia bene alla creatività e motivava i giovani sognatori a cercare di combattere e superare le proprie paure e insicurezze, di guardare sempre, come diceva lui, “la ciambella, non il buco”.

 In tutto il mondo tante persone, come me, l’hanno sempre visto come una sorta di mentore, come un idolo e un’ispirazione.

Ha rotto regole per crearne di nuove, è andato contro il mercato hollywoodiano provando a sbeffeggiarlo e criticarlo quando possibile. Ha sempre cercato di portare avanti ciò che lui stesso voleva davvero, mettendo in secondo piano i problemi di comprensibilità e digeribilità richiesti dall’industria e dallo spettatore, ed infine, ciò lo ha premiato in quanto artista.

Se ne va uno dei più grandi di tutti i tempi, che ha lasciato un patrimonio immortale al mondo. Un artista tanto importante che rimarrebbe indimenticabile anche se si bruciasse tutto ciò che ha mai realizzato.

 

Alessio Bombaci