copertina di Stalker

Stalker: lo specchio della nostra anima

Aurelio Mittoro
AURELIO MITTORO
C'era una volta un cult
C'era una volta un cult cinema fantascienza Stalker Tarkovskij

 

"Stalker" di Tarkovskij è elegante connubio tra cinema, filosofia e teologia
“Stalker” di Tarkovskij è elegante connubio tra cinema, filosofia e teologia   – Voto UVM: 5/5

Ispirato vagamente dal romanzo “Picnic sul ciglio della strada” dei fratelli  Strugackij, Stalker risulta essere il film anti-fantascientifico per eccellenza: imbastendo un lungometraggio  pacato, riflessivo ed esistenzialista, Andrej Tarkovskij ci regala un’alternativa di stampo sovietico al cinema sci-fi americano, imbottito di azione e spesso magniloquente.

Prodotto dalla Mosfil’m (1979) e distribuito in Italia dalla C.I.D.I.F., è attualmente disponibile su Youtube integralmente sia in lingua originale con i sottotitoli in inglese, sia nella versione doppiata in italiano.

Lo scrittore di Stalker
“Lo scrittore” (Anatolij Solonicyn). “Stalker” (1979) di Andrej Tarkovskij.

LA TRAMA

In un imprecisato luogo dell’est Europa, un intellettuale ed uno scienziato decidono di avventurarsi in un sito protetto e difeso dall’esercito, la cosiddetta “Zona”, poiché si pensa che al suo interno ci sia una “Stanza” miracolosa che ha il potere di realizzare il desiderio di chiunque entri al suo interno: si rivolgono dunque, ad uno “stalker”, ovvero un’esperto della “Zona” che durante il film li aiuterà a superare le insidie e le trappole sovrannaturali che costituiscono il pericolo principale della suddetta area.

UNA FANTASCIENZA ATIPICA

Uno dei principi narrativi più attenzionati e misinterpretato da registi e sceneggiatori nell’ultimo secolo, è la cosiddetta “Pistola di Cechov”; il drammaturgo russo sovente consigliava ai propri allievi di eliminare dai loro lavori qualsiasi elemento futile ai fini della narrazione, riassumendo il concetto nell’iconica frase: «Non si dovrebbe mettere un fucile carico sul palco se non sparerà. È sbagliato fare promesse che non si vuole mantenere.»

Questo è ciò che contraddistingue Stalker da qualsiasi altro film fantascientifico: Tarkovskij ci promette una pellicola frenetica, nella quale i nostri protagonisti dovranno superare eroicamente le insidie nascoste nella pericolosa “Zona”, ed alla fine ottenere il loro meritato premio, come nei più classici dei romanzi o poemi epici.

Eppure le promesse non vengono mantenute; l’unica scena movimentata è la fuga dalle forze armate (che assomiglia più ad una partita a scacchi che ad un vero inseguimento) e i personaggi sono accomunati da un’aura di miserevolezza che si amplifica ad ogni estenuante lamentela, ad ogni insicurezza che viene rivelata man mano che i tre si addentrano nella “Zona” (ed è in questo che forse Stalker si avvicina maggiormente ad un’opera di Cechov).

lo stalker di "Stalker"
Lo “Stalker” (Aleksandr Kajdanovskij). “Stalker” (1979) di Andrej Tarkovskij.

IL MIRACOLO DELLA “ZONA”

L’ambientazione di Stalker è una stupenda metafora che riassume già nei primi minuti ciò che diventerà palese solo nelle battute finali: Tarkovskij descrive una realtà sospesa nel tempo, fatiscente ed immersa in uno stato catatonico, che il regista ci restituisce magistralmente impiegando uno sciatto seppiato (ricordando visivamente il cinema espressionista tedesco dei primi anni ’20) che infetta l’inquadratura come un virus, sottolineando lo stato di estrema apatia di ogni essere umano che vediamo a schermo.

È solamente grazie ai paesaggi pittoreschi della “Zona” (un misto di Russia, Estonia e Tagikistan) che la pellicola riacquista il colore e riesce ad esprimere le sue piene potenzialità: nonostante la sua natura soprannaturale, essa non è altro che la personificazione della vita stessa.

D’altronde è lo stesso Tarkovskij ad affermare stizzito di aver fatto di tutto per rendere palese questo concetto; coloro che entrano nella zona spesso non si rendono conto di cosa stia veramente accadendo, possono proseguire con un incosciente moto rettilineo uniforme verso la meta e non trovare alcun pericolo, oppure farsi sopraffare dalle paranoie,  perdersi e vagare all’infinito per poi scoprire di aver semplicemente girato in tondo per tutto il tempo.

 

La prova del "Tritacarne" in Stalker
La prova più insidiosa, il “Tritacarne”. “Stalker” di Andrej Tarkovskij.

I VIAGGIATORI

Ciascuno dei tre protagonisti rappresenta una visione diversa della realtà, spesso conflittuale l’una con l’altra. Il regista, inoltre, evita volontariamente di rivelare i loro nomi per rendere più universali i concetti che esprimeranno durante la pellicola; essi non sono soltanto degli individui, bensì degli archetipi.

Lo scrittore è un intellettuale disilluso da tutto, fatto a pezzi ed incattivito dalla società che lui stesso ancora cerca ardentemente di impressionare; ciò che cerca è l’ispirazione, ma non sa neanche lui di cosa sia composta, né tantomeno come si trovi. Il suo viaggio appare più come un costante tentativo di suicidio, un barattare la propria vita nella speranza di poter trovare finalmente l’appagamento, anche nella morte.

Il professore è uno scienziato scettico, fermamente convinto che la ragione sia la risposta a tutto e che la scienza sia la panacea per tutti i mali; infatti anch’egli intraprende il viaggio con un impreciso obiettivo, ma l’esperienza della “Zona” lo cambierà radicalmente.

                                                                                        E LO STAKER

Lo stalker è la rappresentazione di un fedele appassionato, devoto visceralmente alla “Zona”: per lui non c’è altro, nel momento stesso in cui ritorna al mondo esterno si sente svuotato del suo vero senso nella vita.

Egli istruisce i suoi due compagni nelle vie della “Zona”, esattamente come il suo maestro (il famigerato “Porcospino”) aveva fatto con lui; la sua conoscenza dei segreti della “Zona” si manifesta nei piccoli gesti, quasi dei riti che egli compie per evitare le trappole, per trovare la strada corretta, persino per ingraziarsi la buona volontà della “Zona”, come se fosse un dio che li giudica costantemente.

Egli non ha mai espresso il suo desiderio, conscio dell’avvertimento del suo maestro: sarebbe come spiegare un trucco di magia dopo averlo eseguito, o rivelare il mistero di Dio ad un fedele. Ecco perché viene definito “stalker”: si limita ad osservare e a traghettare gli altri verso qualcosa che non potrà mai raggiungere, e in questo trova la propria felicità.

Aurelio Mittoro