Sveglia, coscienza

Giusy Lanzafame
GIUSY LANZAFAME
Cultura
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Cara coscienza assopita,

è difficile scrivere, ancora una volta, di violenza di genere. Non perché manchino le parole, ma per l’inquietante consapevolezza che ogni lettera rischi di svanire come fumo.

Parlarne non è un atto di cortesia, né un esercizio di retorica. Non c’è spazio per la delicatezza, né per il buonsenso. È un gesto che lacera, che destabilizza. È un obbligo a confrontarti con la mostruosità del tuo torpore morale.

La violenza di genere non è un’astrazione, non è una cifra da relegare al margine di una pagina di giornale. È carne marchiata, è sangue che si coagula in silenzio. È una strage quotidiana che non conosce tregua.

E tu continui a guardare. Immobile. Impassibile. Indifferente.

Quante altre donne dovranno essere abbattute come bestie prima che tu smetta di dormire? Quanti nomi dovranno, ancora, essere cancellati dal respiro dell’esistenza perché un uomo si è arrogato il diritto di decidere, di possedere, di distruggere?

Ogni donna assassinata, ogni corpo lacerato sono una cicatrice che macchia la tua pace fatta di ipocrisia. È una sentenza che urla “complice” contro la tua inerzia.

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Fonte: pexels.com

Centinaia, migliaia, milioni di vite smembrate. Non sono numeri. Sono ossa frantumate, occhi svuotati, urla soffocate. Eppure, per te non sono che un sussurro irrilevante.

E no, non è normale. Non lo è mai stato. Ma continuiamo a vivere in una società che si nutre del marcio, che coccola il proprio disfacimento come un parassita vorace. Una società che si compiace nel giustificare l’abominio, con un linguaggio affilato e velenoso: “Non aveva denunciato”, “Non lo aveva lasciato”. Parole vuote, lame che incidono ferite già profonde. È sabbia gettata su piaghe aperte.

Di chi è la colpa? È della mano che uccide, certo. Ma è anche colpa tua, cara coscienza. Sì, proprio tua. La tua complicità è un sudario di silenzio, un manto di indifferenza che avvolge ogni crimine.

Ti nascondi dietro scuse patetiche, ti rifugi nell’illusione che non sia affar tuo. Ma sei tu ad alimentare il mostro. Sei tu a nutrirlo ogni volta che chiudi gli occhi, ogni volta che lasci che il sangue si rapprenda senza chiederti perché.

Adesso, però, ti guardo negli occhi. Senza indulgenza, senza concedere pietà.

Quante altre Giulia, Celeste, Patrizia, Roua, Sharon dovranno morire prima che tu ti svegli? Quanti altri corpi dovranno essere straziati prima che tu ti renda conto di essere complice di questa carneficina?

Il cambiamento non è un lusso, non è una concessione. È una rivoluzione. È lotta spietata contro ogni sguardo che si volta altrove, contro ogni parola che perpetua la tortura, contro ogni silenzio che alimenta il fuoco.

Allora, rispondi: quanto ancora? Quante lacrime dovranno ancora impregnare questa terra, quanti corpi dovranno essere ridotti in polvere prima che tu smetta di voltarti dall’altra parte?

Quanto sangue dovrà essere versato prima che tu, coscienza, decida di svegliarti e agire?