La scuola di Atene, di Raffaello Sanzio

Evemerismo. Quando l’uomo divenne dio

Fortunato Nunnari
FORTUNATO NUNNARI
Cultura
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Il XX secolo ha visto la totalità della comunità scientifica impegnata nell’abbattimento dei topoi storici attribuiti, fin dalle prime esperienze della ricerca storica, ai popoli dell’antichità. E sebbene ormai queste catene si siano effettivamente spezzate, ciò non significa che l’uomo ci sia riuscito al primo tentativo.

Comprendere la propria natura e quella della società nella sua evoluzione è stato il principale motore di tutta la ricerca scientifica nel corso dei secoli. Dalla politica all’economia, dalla psicologia alla religione.

In particolar modo, quest’ultima è ormai risaputo sia il riflesso della società che la genera. Ad una società dispotica corrisponde una religione “dispotica”, ad un areale sociale diversificato corrispondono tanti culti diversi e così via.

 E così nacquero gli dèi

Evemerismo in arte: "La nascita di Venere" di William Adolphe Bouguereau, 1879
La nascita di Venere di William Adolphe Bouguereau, 1879

Un primo tentativo laico di comprendere la natura del proprio credo, dunque la demistificazione del proprio patrimonio religioso, fu proposto da uno storico e filosofo siceliota vissuto a cavallo tra il IV sec. a.C. e il III sec. a.C., Evemero da Messina.

La sua teoria, al tempo accolta con scarso successo, fu esposta nella sua opera storica “Ἱερὰ ἀναγραφή”, o racconto sacro, pervenutaci in frammenti dagli scritti di Diodoro Siculo (storico greco del I sec. a.C.) e di Quinto Ennio (poeta e scrittore romano del III-II sec. a.C.). L’opera fu oscurata dalle produzioni contemporanee, ma il pensiero di Evemero rimase, quasi ibernato, nel panorama filosofico del tempo.

Secondo la sua concezione razionalistica, che teorizzava la natura umana del pantheon greco, alcuni uomini, particolarmente potenti, si affermarono sulla popolazione locale tanto da ottenerne la devozione.

L’iniziale rifiuto dell’evemerismo da parte della comunità filosofica greca, in primo luogo Callimaco, è motivato dalla sua spinta razionalistica.

L’evemerismo, più che elevare comuni mortali al rango delle divinità, declassava gli dèi primordiali paragonandoli ai miseri ἄνθρωποι.

Sebbene sia la piccola riflessione di un poco conosciuto filosofo siceliota del IV sec, l’evemerismo riuscì ad influenzare parte della storiografia medievale, in quanto costituì la principale arma dell’opposizione dei logografi cristiani medievali al paganesimo.

Se perfino un pagano aveva confutato la natura divina di quei falsi dei, come si potrebbe non credere al figlio dell’unico e vero dio?

Dinnanzi ad una analisi approfondita, la mancata paternità della teoria evemeristica appare lapalissiana. Evemero non inventa nulla di ciò che dice, tanto meno è il primo a dirlo. Egli, infatti, eredita la tendenza alla razionalizzazione che già esisteva nel mondo greco e che, a fatica, cercava di evitare l’annegamento nella marea del tradizionalismo religioso.

Autori come Erodoto, Eforo di Cuma ed Ecateo di Mileto avevano già accennato una parziale avversione alle imposizioni della tradizione, mitologiche o letterarie che fossero.

 

Al pari di un eretico

E dunque la riflessione di Evemero sulla natura umana delle divinità si inserisce in un quadro ben più ampio di mutamenti filosofici che intaccano il mondo greco al termine della conquista macedone dell’Oriente.

In quella lontana terra l’uomo è avvezzo a elevare comuni mortali al rango di divinità, ad adorarli alla pari degli altri dèi ed accettarne la dominazione.

L’evemerismo, dunque, avverte il cambiamento filosofico del tempo e se ne impadronisce, offrendo una valida alternativa alla secolare convinzione teologica. Confutato dagli “Inni a Zeus” callimachei, celebrato dall’ “Euhemerus” del poeta latino Ennio, le affermazioni del filosofo Evemero rimasero per secoli i costituenti della principale opposizione razionalistica al teologismo religioso fino ai nostri giorni.

Un pensiero conciso, pungente, che travalica i naturali confini del mondo greco, l’Ecumene, giungendo perfino nella remota Islanda.

Altri dei, altri uomini

Ragnarok, crepuscolo degli dèi. Di Johannes Gehrts.

Nel 1120 uno storico islandese, Snorri Sturluson, attuò la più importante opera di sintesi e condensazione dell’intero patrimonio folkloristico scandinavo nella sua opera “Edda in prosa”, la versione in prosa della principale raccolta di testi mitologici norreni, l’Edda.

In questa sua produzione, Snorri affermò che la natura divina delle divinità destinate al Ragnarok fosse una fandonia. Essi non erano dèi, bensì semplici uomini. Uomini che un tempo furono grandi e che da altri uomini furono celebrati come eroi.

L’erudito islandese, infatti, propose la storia dei protagonisti troiani dell’Iliade che, costretti a scappare da Troia per fuggire dalla devastazione del conflitto, si spinsero a Nord, nelle terre scandinave, dove avrebbero ottenuto fama e potere al tal punto da essere divinizzati dalla popolazione locale.

In seguito, è riportato il passo tratto dal Fyrirsögn ok Formáli, primissima parte dell’opera di Snorri Sturluson, in cui viene raccontata la partenza di Odino, dalle terre del Tyrkland (Turchia) verso Nord.

Óðinn aveva il dono della preveggenza, e così sua moglie, e grazie a tale dono essi seppero che il suo nome sarebbe stato glorificato nella metà settentrionale del mondo, superando in fama tutti gli altri re. Perciò egli fu desideroso di partire dal Tyrkland, e fu accompagnato da una moltitudine di gente: giovani e vecchi, uomini e donne, tutti portando con sé una gran quantità di oggetti preziosi. E mentre attraversavano le terre del mondo, molte cose favolose venivano dette di loro, persino che fossero più simili agli dèi che agli uomini. Il loro viaggio non si concluse finché non furono giunti, a nord, nella terra che è ora chiamata Saxland [Sassonia]. Là Óðinn rimase per lungo tempo e prese possesso di un vasto territorio.

Il fallimento della mitologia

Per quanto sia curiosa l’argomentazione portata avanti da Snorri, la sua proposta è altamente vacillante. Eppure, l’esempio dell’Edda in prosa ci permette di comprendere il successo riscontrato da Evemero, secoli dopo la sua morte, con la filosofia razionale e antropocentrica.

Tutt’oggi la filosofia evemeristica è sfruttata nel processo della razionalizzazione della religione, in quanto plausibile spiegazione della nascita dei vari credi sparsi in tutto il globo.

Ai contemporanei di Evemero l’idea di un dio un tempo uomo non piacque molto, perché gli dèi dovevano essere ciò che di meglio era auspicabile. Esempio e conforto nella vita quotidiana. Incarnatori del conflitto eterno tra Kόσμος, l’Ordine, e  Χάος, il Disordine.

Quando l’uomo alzava gli occhi al cielo vedeva la risposta a tutte le sue domande, la risposta al creato. Quando l’uomo, però, capì che il mondo circostante era plasmabile, ecco che egli, occhi al cielo, non vide più un conforto ma un limite da superare.

 

Bibliografia: