Al chiaro di luna. Riflessioni sulla licantropia in età antica

Fortunato Nunnari
FORTUNATO NUNNARI
Cultura
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Erede del fenomeno socio-religioso dello sciamanesimo, che percepiva l’ibrido uomo-animale come il più nobile fine a cui l’uomo potesse ambire, la figura del licantropo occupa una posizione di rilievo nel corpus folkloristico europeo e in altre parti del globo.

Che sia un diretto sviluppo del caso clinico della licantropia o, per l’appunto, eredità culturale dei credi animisti che l’homo sapiens praticò per gran parte della sua esistenza, l’uomo lupo, λúkος ἄνθρωπος, presenta alcune evidenti somiglianze con altre figure leggendarie. Basti pensare agli sciamani aztechi, capaci di trasformarsi in animali, i vampiri che mutano in pipistrelli, i guerrieri norreni úlfheðnar che si trasformano in lupi e tanto altro.

E se la figura dell’uomo che muta la propria forma è pressoché presente in tutte le culture umane, in quella europea l’uomo lupo, in particolar modo, vanta una tradizione millenaria che, tutt’oggi, influenza il gusto cinematografico e letterario dell’orrore.

 

Licantropo al chiaro di luna. Immagine realizzata con IA

 

Petronio e l’amore per l’orrore

La prima attestazione letteraria di questo fenomeno, che si configura essere più sociale che clinico, è contenuta nel Satyricon di Petronio, scrittore e poeta romano del I sec. a.C.
Nel LVII libro del Satyricon è narrata la vicenda di Nicerote, amico di Trimalchione, che racconta la sua storia ad un banchetto per intrattenere i commensali. Il racconto, però, non sarà così tanto allegro come spera l’amico Trimalchione.

Quando era ancora un servo, Nicerote aveva come amante la bella moglie dell’oste, Melissa.

Quando il suo padrone andò a Capua per smerciarvi delle cianfrusaglie, approfittando della prematura morte dell’oste, Nicerote decise di far visita a Melissa e invitò un soldato ad accompagnarlo durante il viaggio.

Arrivati nei pressi di un cimitero e alzatasi la luna splendente in cielo, i due si riposarono tra le tombe, in attesa dell’alba. Quand’ecco che l’ospite, dopo essersi allontanato, si denudò, gettando i propri vestiti a terra. Vi urinò sopra, girandovi intorno, e si trasformò in un lupo. Poi fuggì nel bosco e sparì.

Nicerote, impaurito, si avvicinò ai vestiti e si incupì, ancor di più vedendoli ormai tramutati in pietra. Lo sgomento lo rapì e decise di tornare in fretta e furia alla tenuta di Melissa.

Questa gli aprì la porta e lo informò del recente attacco al gregge della sua tenuta da parte di un lupo. Che fosse il soldato di prima?

La donna, orgogliosa, aggiunse che il lupo avesse sì ucciso tutte le bestie, ma senza passarla liscia. Un servo gli aveva, infatti, trapassato il collo con la lancia.

Nicerote, dubbioso, tornò al cimitero e vide i vestiti, prima impietriti, adesso scomparsi. C’era solo tanto sangue.

Così tornò a casa e vide il medico che stava curando un uomo ferito su un lettino. Era il suo amico soldato, ferito alla gola dalla lancia del servo di Melissa. Nicerote capì allora che il suo amico fosse un lupo mannaro e, sbigottito, promise di non averci più a che fare.

Versipellis. Colui che muta la propria pelle. È questo il termine con cui il nostro Nicerote definì il soldato e con cui i Romani chiamano i lupi mannari. Difatti, è diffusa la credenza che il manto lupino sia nascosto sotto la pelle umana e tirato fuori all’occorrenza.

Non è una trasformazione della pelle, che subisce una crescita repentina di peluria e artigli affilati. È un semplice cambio di vestiti. Un “voltapelle”, dunque.

Credo sia un lupo mannaro

Il racconto di Nicerote costituisce la prima testimonianza letteraria di un caso di licantropia, sebbene essa compaia ben prima del nostro Gaio Petronio.

Effettivamente, di mutaforma si parla nel famoso mito di Licaone, il sovrano empio trasformato in lupo da Zeus, inorridito dalle nefandezze del re di Arcadia. Le feste in onore di Zeus quivi celebrate erano infatti chiamate Licee, dal nome λύκος (lupo), una delle molteplici forme assunte dal Cronide.

In Grecia pare che la figura del lupo fosse radicata all’interno dei culti locali. Non molto lontano, in Acarnania, il nonno di Odisseo, il famoso Autolico (da αὐτός «stesso» e λύκος «lupo»), era un famoso ladro di bestiame, reso  infallibile da suo padre Ermes.

In diverse situazioni Autolico ruba il bestiame altrui, appropriandosi di quell’istinto predatore tipico dei lupi che attaccano un gregge. Egli preda gli animali proprio come farebbe un lupo, quindi egli stesso è un lupo. Forse è proprio quello che avranno pensato i suoi contemporanei.

Altri elementi di teriantropia, termine indicante l’assunzione di caratteristiche animali da parte di esseri umani, di cui branca è la licantropia, possono essere rintracciati in Aita, o Eita, il dio etrusco dell’oltretomba, che si veste di pelle di lupo, assumendone le forme.

 

La trasformazione di Licaone, di Hendrick Goltzius Un caso di licantropia dei miti classici
La trasformazione di Licaone, di Hendrick Goltzius. Un caso di licantropia nei miti classici

Il lupo della porta accanto

A lungo si è ritenuto che il licantropo fosse un prodotto della fobia cristiana verso i guerrieri pagani, che i barbari coperti di pelli di lupo (gli úlfheðnar sopra citati ne sono un esempio) incutessero così tanto terrore ai monaci cattolici a tal punto da ritenerli un tutt’uno con l’animale totemico.

Eppure, come abbiamo visto, la concezione del mutaforma è già insita nella cultura europea antica, perciò quella descritta dai monaci cristiani ne è soltanto l’evoluzione. Un’evoluzione che, in seguito, ha contribuito alla cristallizzazione della figura del licantropo attribuendogli alcune caratteristiche che conosciamo tutti oggigiorno: legame profondo con la luna, ferocità, insaziabile voglia di carne umana, vulnerabilità all’argento, presenza o assenza, a seconda dei casi, della facoltà di intendere e di percepire il mondo come un normale essere umano.

Si badi bene, però, dal giudicare il licantropo una figura folkloristica che appartiene al passato. Nel Medioevo erano scoppiate vere e proprie “epidemie” di licantropia e sebbene questa isteria collettiva sia stata debellata con l’avvento illuminista, questo non significa che sia un lontanissimo ricordo.

Provate a chiedere ai vostri genitori, o ai vostri nonni, se conoscono qualche caso di licantropia. Vi racconteranno, probabilmente, di quando erano piccoli e sentivano un uomo solitario del paese ululare alla luna.

Questo perché la tradizione folkloristica ha consolidato la figura del lupo mannaro a tal punto da essere presente in ogni regione dell’Italia, seppur con nomi diversi. Lupunaru a Palermo, lunaru nel Salento, lupi minari a Forlì.

Questa notte tutte le forze del male vagheranno libere per il mondo e anche i lupi mannari andranno a caccia. Perciò rispolverate quel vecchio set di posate d’argento che vostra nonna, o vostra madre, tiene conservato con tanta cura.

Sia mai che sentiate tanfo di lupo dietro la vostra porta.

 

Bibliografia: