Fallita la Silicon Valley Bank: le ripercussioni sul mercato mondiale

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Venerdì scorso, la Federal Deposit Insurance Corporation, l’Agenzia americana che gestisce fondi del bilancio federale e fornisce assicurazioni sui depositi bancari, ha annunciato il fallimento della Silicon Valley Bank (SVB). I suoi clienti, spaventati dalle voci di possibili crolli, avevano iniziato a ritirare i propri soldi dai conti correnti, creando una reazione a catena.

Si tratta del secondo maggiore fallimento bancario nella storia degli Stati Uniti dopo quello della Washington Mutual nel 2008. Proprio per l’entità del fallimento, si teme un effetto domino che può non solo coinvolgere l’intero settore bancario americano, ma anche avere ripercussioni sui mercati finanziari e sulle borse europee.

La banca di Silicon Valley

La Silicon Valley Bank è stata fondata nel 1983 da Bill Biggerstaff e Robert Medearis ed aveva sede nella zona della Silicon Valley, nella parte meridionale della California. Inserita nell’elenco delle maggiori banche degli Stati Uniti, era la più grande banca della Silicon Valley basata su depositi locali, con una quota di mercato del 25,9% nel 2016, ed era diventata la sedicesima banca americana per dimensioni: a fine 2022 contava 209 miliardi di dollari di asset e circa 175,4 miliardi di depositi.

La banca era specializzata nel finanziare startup del settore tecnologico e hi-tech, fornendo molteplici servizi a società di capitale di rischio, finanziamenti basati sui ricavi e società che investono in tecnologia e biotecnologia, e anche servizi di private banking per persone fisiche con un patrimonio netto elevato. La banca operava da 29 uffici negli Stati Uniti e nel resto del mondo.

Sede della Silicon Valley Bank. Fonte: pymnts.com

Il motivo del crack

Le cause del fallimento della Silicon Valley Bank derivano soprattutto dall’aumento dell’inflazione. La banca ricorreva generalmente alle obbligazioni per far fruttare il denaro depositato dagli investitori, come del resto è prassi per il settore. Tuttavia, per far fronte all’incremento dell’inflazione, la Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, ha applicato delle politiche monetarie restrittive.

Una delle ragioni della crisi risiede nel fatto che l’istituto di credito ha investito circa 91 miliardi di depositi in titoli legati ai titoli di Stato americani che sono stati svalutati, perdendo circa 15 miliardi.

Inoltre, l’aumento dei tassi ha spinto i clienti a investire i propri risparmi in prodotti finanziari che rendono di più rispetto ai conti correnti, mentre alcune società di venture capital hanno consigliato alle aziende di ritirare i propri soldi dall’istituto. Il tutto si è tramutato in un’ondata di prelievi, o come viene chiamato in economia “corsa agli sportelli”, che ha portato ad un fallimento avvenuto in meno di 48 ore.

L’ondata di prelievi che si è verificata la scorsa settimana ha causato il fallimento anche di altre due banche: la Signature Bank e la Silvergate Bank, più piccola ma nota per i suoi stretti legami con la comunità delle criptovalute. La Signature Bank di New York è la ventunesima banca degli Stati Uniti, con attività stimate a 110 miliardi di dollari alla fine del 2022 e 88 miliardi di dollari di depositi. Entrambi hanno chiuso volontariamente per evitare un effetto a catena su tutto il sistema bancario statunitense.

Anche il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, si è pronunciato domenica 12 Marzo sulla questione.

Il popolo americano e le società americane possono essere sicuri che i loro depositi bancari sono a loro disposizione quando ne hanno bisogno. Sono fermamente impegnato a chiamati a rispondere a pieno i responsabili di questo disastro ed a continuare i nostri sforzi per rafforzare il controllo e il regolamento delle banche più grandi in modo che non siano più in questa posizione

Il Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden. Fonte: The Washington Post

Una nuova crisi finanziaria in Europa?

L’effetto della crisi bancaria americana ha contagiato anche in Europa. Un lunedì nero per le Borse europee ed anche per Milano, con il Ftse Mib che crolla del 3,2%, affossata dalle banche: Bper -7,2%, Banco Bpm -6,3%, Intesa Sanpaolo -5,4%.

Il Paese più coinvolto fuori dai confini americani resta la Gran Bretagna, che però si è mossa repentinamente per arginare i rischi. Il colosso londinese HSBC ha annunciato l’acquisto con effetto immediato della filiale inglese della SVB al prezzo simbolico di una sterlina. Secondo il Financial Times, la filiale gestiva depositi per quasi sette miliardi di sterline, servendo circa un terzo dell’economia delle imprese e dell’innovazione dell’intero Paese. Mentre le autorità statunitensi cercavano di contenere il crollo, il primo ministro britannico Rishi Sunak ha trovato un’ancora di salvezza per le centinaia di startup che dipendono dalla banca per i finanziamenti.

C’è davvero da preoccuparsi?

Oltreoceano non si assisteva a una simile concitazione dalla crisi del 2008, ma non sussiste paragone. Il terremoto che ha investito Silicon Valley Bank si inserisce in un perimetro ben definito e il suo epicentro è da ricercare alcuni anni addietro, all’epoca in cui la valle californiana del silicio stringeva un sodalizio di ferro tra gli istituti bancari e le startup attive nel settore tech.

Nonostante ciò, la maggior parte degli analisti finanziari al momento ritiene che non ci troviamo di fronte a una minaccia alla stabilità finanziaria paragonabile a quella, drammatica, di allora. I motivi sono diversi. Prima di tutto, pochissime banche hanno una così alta concentrazione di attività in un solo settore come SVB. Inoltre, in quanto banca regionale la SVB era regolamentata in modo meno rigoroso rispetto ad altre banche statunitensi delle sue dimensioni.

Victoria Calvo